Posso azzardare?
Lo dico con un’umiltà che mi parte dalla cervicale e arriva fin sotto i piedi – ma con la consapevolezza che il nostro è anche un Paese (semi)libero dove la libertà d’espressione dev’essere tutelata (e poi l’Italia s’è guadagnata ben 25 posti nella classifica sulla libertà di stampa quest’anno), con La pazza gioia, Valeria Bruni Tedeschi si merita il titolo di “Meryl Streep italiana”.
Attrice a 360°, accompagnata da una sceneggiatura curata – non senza qualche buco qua e là – del notevole Virzì, la Tedeschi ancora una volta si riconferma una delle attrici più talentuose, versatili e fondamentali del panorama italiano contemporaneo.
L’ultimo lungometraggio di Paolo Virzì ci trasporta nella sempre soleggiata Toscana dove una casa di cura per persone mentalmente instabili ospita Beatrice (Tedeschi) e Donatella (Micaela Ramazzotti, o anche la Sig.ra Virzì, nelle vesti di una diffidente punk tatuata aggredita dalla depressione e da tendenze suicide).
Sin da subito Beatrice ammette Donatella, appena arrivata, e diventa il più fidato destinatario delle sue storie, e le due portano reciprocamente un arcobaleno di energia nella vita di entrambe: clinicamente, si direbbe, trasmettono influenze salutari l’una sull’altra. Un giorno, durante una gita in campagna, quando il loro furgoncino è in ritardo, Beatrice e Donatella scappano e prendono una autobus verso il centro città, e da qui parte la storia.
Anche se non completamente realistico, il percorso catartico delle due inizierà e si svilupperà in maniera molto al Thelma e Louise di Ridley Scott (1991) – con la sola differenza che non ci sarà posto per il conteggio corporeo e per il manifesto femminista radicale scottiano.
Entrambe le attrici registrano un’impressionante performance, e anche se lo script non è sempre forte di trovate d’oro, la Tedeschi domina incontrastata nella sua dimensione di persona non libera, privata di tutto e di tutti, “fanciullo incontentato” (per citare Corazzini), un ritratto accurato di un essere umano disfunzionale, trascinato in nevrosi nell’illusione attraverso il proprio doping e da quelle forze esterne inimiche che non possono non sollevare riflessioni sociologiche che riportano a una conclusione circolare senza disturbare lo status quo.
Da vedere assolutamente!
Finalmente un “Sì” deciso (ma non completamente meritato) a un grande regista italiano di oggi.
“[…] ritorni su’ tuoi pianti
ostinati di povero
fanciullo incontentato,
e nessuno ti ascolta.”
– Sergio Corazzini, Per organo di barberia
Fabio Gregg Cambielli