4 chiacchiere con Francesco Costa sull’informazione per il 9 compleanno del nostro blog

Chiacchierata con Francesco Costa, vice direttore de ilPost.it per il 9 compleanno del nostro Blog

Celebrare un compleanno non significa soltanto contare gli anni; vuol dire anche dare senso e significato a quegli anni. Quelli passati e quelli che verranno. A ogni compleanno della nostra esistenza si fanno bilanci e propositi, si tirano somme e si progetta il futuro. E come per ogni compleanno che si rispetti, festeggiamo il nono anno di vita del nostro blog www.GiovaniBarnabiti.it, e della sua costola cartacea IlGiovaniBarnabiti, regalandoci una preziosa intervista a Francesco Costa, vicedirettore del Post.it, programmando impegni e coltivando sogni e speranze di dare voce al futuro.

Qualcuno potrebbe contestarci che sia un regalo troppo “laico” per la nostra testata, ma la tradizione barnabitica è sempre stata attenta all’incontro con il mondo intorno a sé per annunciare, per far conoscere, per imparare.

D’altra parte nella bella chiacchierata con Francesco Costa (Catania, 1984) emerge subito il dato per cui scrivere significa, prima di tutto, andare “oltre il proprio ombelico” per parlare di e con altri. È il primo consiglio che ci ha fornito Costa, in una breve riflessione sulla comunicazione, sul giornalismo odierno, con i suoi punti di forza e di debolezza, sulla scrittura come strumento per comprendere la complessità del reale.

«Scrivere, mettere inchiostro su carta – ha detto Costa – ci costringe a pensare a ciò che scriviamo, quindi a ragionarci, a confrontarci con le persone che abbiamo intorno, ci spinge a essere curiosi. Per questo può essere uno strumento molto utile per comprendere la realtà. Dovremmo provare a utilizzare la scrittura non soltanto per raccontare se stessi, ma anche per raccontare il prossimo. Attraverso la scrittura dovremmo provare ad esplorare mondi sconosciuti, ad andare oltre noi stessi, al di là di un esercizio da diario che definirei ombelicale».

In un mondo così complesso, bombardato di innumerevoli informazioni, dove anche le notizie si prestano a diventare terreno di scontro e non occasione di crescita, invitare i giovani a scrivere significa dare fiducia alle loro capacità, alla loro abilità di analisi e di prospettiva non inferiore a quella degli adulti, sottolinea Costa. E noi concordiamo: tenere aperto un blog, anche senza pretese immense deve essere l’occasione di educare a informazioni sempre fondate e ragionate. Educare all’informazione; rendere consapevole il lettore: è questa la vera sfida nell’attuale ecosistema informazione. “La rapidità dell’informazione – spiega Costa – che comunque considero un vasto arricchimento, ci ha disabituati al fatto che queste stesse informazioni andrebbero maneggiate con cautela, verificate. Non sempre il primo racconto, la prima testimonianza è quella vera. Inevitabilmente la velocità è nemica della precisione. Sono tutti elementi di cui il lettore deve essere consapevole”. Non per smettere di leggerle ma per essere per orientarsi e meglio comprendere.

«Non credo – continua – che i giovani siano più vittime di altri di questa complessità odierna delle informazioni. Anzi mi sembra che nelle abitudini di lettura ci sia nei giovani maggiore curiosità, maggiore voglia di comprendere come funziona la realtà, dunque un vantaggio in più rispetto a chi è più adulto».

Ma quanto la frammentarietà, aggiunta alla velocità dell’attuale ecosistema informazione, ne danneggia la qualità? «C’è sicuramente una crisi industriale – spiega – Meno soldi, meno pubblicità, dunque meno persone, meno tempo da dedicare alle cose, quindi meno qualità. Ma c’è anche – quasi come una conseguenza – una crisi professionale che si spiega con una diversa cultura del lavoro e con un approccio superficiale alle cose. La velocità probabilmente ha aggravato la situazione”.

In considerazione di questo scenario non possiamo che essere ancor più attenti ai giovani, specie a quelli che ancora vogliono – e ci chiedono – di pensare. Ma domandiamo: in che modo?

«Sicuramente coltivando la curiosità rispetto al mondo che ci circonda. Se pensiamo che informarsi sia importante, dobbiamo fare un piccolo investimento anche in termini di tempo: non possiamo pensare che la nostra informazione sia frutto soltanto di una selezione casuale di notizie. Che sia leggere un giornale, ascoltare un podcast, leggere libri: ognuno trovi lo strumento più adatto ai suoi interessi ma decida ogni giorno di fare qualcosa per la propria informazione. Perché sia utile».

Questa riflessione sul cercare il “tempo per” ci porta all’ultima domanda, forse la più impegnativa, come ci dirà il nostro interlocutore.

Il 27 maggio ricordiamo la canonizzazione del nostro Fondatore Antonio Maria Zaccaria (1502-1539), per noi una sorta di padre. Aldilà della dimensione specificamente religiosa che questa data ha per noi Barnabiti, e per le varie realtà legate alla nostra comunità, chiediamo a Francesco Costa, di quale paternità avrebbero bisogno – a suo parere – i giovani di oggi?

«È una domanda molto bella e impegnativa. Di una paternità che possa andare oltre l’idea biologica di paternità. Credo che i giovani abbiano bisogno di una paternità fondata sull’esempio. Mi sembra, da sempre, la cosa migliore che possano fare le persone adulte, quelle che hanno un ruolo di guida di una comunità, qualunque essa sia. Nei rapporti tra adulti e giovani l’esempio mi sembra la chiave fondamentale. Si può insegnare e parlare tantissimo, ma se manca il cuore non si trasmette ciò che si comunica».

Sarebbe stato interessante scambiarci altre idee, ma il tempo del lavoro e la saggezza di non volere il troppo ci hanno indotti ai saluti e a un ringraziamento reciproco per l’arricchente occasione di approfondimento.

Le riflessioni di Costa sulla necessità di trovare il tempo opportuno per l’approfondimento e la riflessione, l’idea di una paternità fondata sull’esempio, ben si legano a quello “stile zaccariano” annunciato dal nostro Fondatore.  Antonio Maria chiede infatti con forza di andare sempre alla profondità delle cose, di non restare nel campo della superficialità, della tiepidezza. Noi, con umiltà, impegno e costanza, ci proviamo. 

Grazie Francesco Costa e Buon compleanno GiovaniBarnbiti.it

pJgiannic e Raffaella DM

Buon compleanno GiovaniBarnabiti.it dal cardinal Matteo Zuppi

Cari GiovaniBarnabiti.it buon 7° compleanno!

Con tante idee e non pochi sforzi di organizzazione eccoci a un altro compleanno che quest’anno vogliamo festeggiare chiacchierando con don Matteo Zuppi, cardinale di Bologna che gentilmente mi ha accolto per parlare di … comunicazione e giovani. Grazie cardinal Matteo da tutti i GiovaniBarnabiti.

Ma grazie a tutti coloro che ci stanno aiutando come scrittori e come lettori!

Buongiorno don Matteo, grazie per l’accoglienza tra i suoi mille impegni! E al dono che ci porge per festeggiare il 7° compleanno di una piccola produzione comunicativa.

I barnabiti hanno sempre coltivato la cultura specialmente tra i giovani; a dei giovani che vogliono scrivere, ragionare, comunicare questo cosa augurerebbe o cosa chiederebbe?

Innanzitutto di sottrarsi alla logica digitale, perché molte volte purtroppo la logica digitale condiziona anche lo scrivere. Lo stile, il modo in cui si descrivono le situazioni o le preoccupazioni che si vogliono condividere, con la scrittura mostra una estraneazione da sé e quindi una introspezione necessari per comunicare ad altri. Dobbiamo saper scrivere senza la logica di “chi arriva prima”, con una certa velocità che distrugge la profondità. È necessaria una comunicazione che davvero metta al centro il contenuto pur ugualmente trovando una capacità di comprensione, un’efficacia di trasmissione che raccolga tutto il fatto.

In un momento come questo della pandemia, penso che dobbiamo, possiamo anzi, condividere i tanti modi con cui abbiamo vissuto tutti la stessa situazione; una condivisione profonda dei vari sentimenti e reazioni, delle varie fatiche e considerazioni senz’altro aiuta a non far passare invano questo tempo così drammaticamente importante.

Noi non siamo dei giornalisti certificati, scriviamo per hobby, ma riteniamo che questa fatica sia necessaria e utile; scriveva un mio amico gesuita: “la fatica della riflessione è la fatica di essere liberi e aiuta altri a diventare liberi”: cosa pensa di questa affermazione così forte?

Giustissima perché la riflessione aiuta un’auto coscienza, una consapevolezza e la comprensione delle cose della storia del mondo nella quale altrimenti si finisce prigionieri o catturati dallo spazio e non dal tempo, per riprendere sempre le così tanto efficaci indicazioni dell’enciclica “Evangelii Gaudium”. È chiaro che è importante anche la comunicazione perché questa deve trasmettere, ecco il nodo, la profondità.

Davvero l’uomo oggi fatica a riflettere, a ragionare o questo forse è solo un ritornello?

Facciamo più fatica perché siamo digitali perché c’è un uomo digitale che si sta formando che in qualche modo già qualche volta scambia la rapidità della comunicazione per la profondità della comunicazione o la quantità di comunicazione per la conoscenza. Facciamo più fatica perché siamo compulsivi mentre, al contrario, c’è tanto bisogno di tempo per una comprensione profonda del comunicare e dell’ascoltare. Spesso poi evitiamo le fatiche in senso stretto, pensiamo che si possa arrivare immediatamente al risultato: non è così, soprattutto quando si devono comunicare le cose vere e profonde della vita, della persona.

Mi colpisce per esempio nell’enciclica “Fratelli tutti” il commento così intelligente sul buon samaritano; papa Francesco dice: “Che cosa ha regalato il samaritano al malcapitato?”. Il tempo, perché c’è bisogno di tempo, non è che ti regalo una prestazione di servizio e con la ottimizzazione “prima faccio meglio è”, no! Ti regalo il tempo che è anche un modo per non buttarlo da un altro punto di vista, perché poi in realtà l’uomo digitale butta via un sacco di tempo.

Ma i giovani oggi, quelli che riesce a frequentare o vedere, per certi versi fanno molta più fatica di quando avevamo noi 15/17 anni?

Io direi diversa. Diversa perché da una parte fanno meno fatica in quanto comunicano moltissimo, per certi versi molto di più di quanto comunicavamo noi; c’è una quantità di comunicazione, di emozioni, superiore e diverse. Io mando le foto, mando i miei racconti, mando la musica, mando tutti i modi per comunicare qualcosa di me; non è scrivere una lettera, no, che richiedeva però anche un altro tipo fatica. Da una parte si fa meno fatica dall’altra parte si fa più fatica perché troppe volte siamo molto nell’emozionale. Ma noi dobbiamo sempre passare dall’emozionale all’interiore altrimenti si vivono tante emozioni e non riusciamo a farne tesoro qui è la vera sfida, qui la fatica per non saltare il sapere ineludibile della profondità delle cose.

A questo proposito poiché i ragazzi faticano a parlare anche faccia a faccia ho scritto e inviato una lettera personale: tanto stupore ma nessuno ha risposto!

Certamente la comunicazione, l’emozionale l’interiorità è un mondo importante, qui però si apre il problema non solo di una comunicazione migliore, ma anche di una comunicazione falsa. Come riuscire a evitare le notizie false su di sé, sulla vita intorno a noi?

E questa è una delle grandi sfide perché apre all’utilizzo del discernimento. Ci sono delle esperienze che sicuramente ci aiutano in questo, perché molte volte distinguere le fake dalle vere news non è facile, però dopo l’esperienza ti dà qualche indicazione in più, qualche parametro in più, per non accettare tutto come vero.

Forse siamo anche talmente immersi di notizie che ci diventa difficile…

Ci sono anche delle fake news che oltre a essere distorte sono anche quelle che non servono a niente. Se tu sei uno che si informa e quindi hai i riferimenti dati dalla cultura è più facile capire le notizie false dalle vere, se invece sei ignorante, se non conosci il mondo, la storia intorno a te, è molto più facile credere a qualunque cosa, essere molto più vulnerabile.

All’opposto del falso c’è la verità: in poche parole può dire qualcosa sulla verità o cos’è la verità?

Questa è una bellissima domanda che qualcuno fece un po’ a sé stesso e un po’ a Gesù. È una domanda a cui diamo una risposta pratica ma può sembrare una domanda filosofica, e lo è anche. La filosofia ci aiuta nell’arte della vita, a non perdersi nel ragionamento, in quel ragionamento che molte volte fa coincidere la verità solo con quello che ho, con quello che io sento, con quello che io possiedo.

La verità per noi cristiani è Gesù: questa è un enorme liberazione, sia dalle finte verità di noi stessi sia dalle terribili e spietate verità di noi stessi perché poi ad un certo punto possono anche diventare spietate quando ci dobbiamo confrontare con i nostri limiti. Che la verità sia Gesù ci aiuta non a scappare ma a misurarci con lo sguardo molto più largo, molto più profondo verso noi stessi di quello di cui noi stessi siamo capaci. Una verità che non è moralista è una verità che ricorda ma anche sa andare oltre e una verità aperta non è mai una verità chiusa, compiuta e ripeto, una verità non moralista. Molte volte il moralismo fa credere di capire la verità dell’altro, spesso invece è un modo per allontanare l’altro.

Aprendo una parentesi, sono d’accordo sulla verità aperta, ma la difficoltà è che non sempre nell’interlocutore trovi questa capacità di aprirsi. Lo vediamo forse anche in questo dibattito sul decreto Zan: la linea di molti cristiani o anche di Avvenire è una linea, comunque, di confronto e di dialogo che però non sempre si riscontra dall’altra parte.

Il fatto è che nel passato abbiamo costruito troppi muri e pochi ponti, mentre la capacità di dialogare richiede anche un superamento di sé, la capacità di andare oltre i propri parametri, oltre le proprie “verità” per questo che la verità sia in Gesù e Gesù è qualcosa che ci aiuta diciamo così a saperla cercare, a saper cogliere la verità dell’altro.

I giovani faranno più fatica o meno a cercare la verità?

I giovani come tutti quanti noi facciamo una gran fatica quando non la cerchiamo perché diventiamo prigionieri di noi stessi. Quando poi la verità diventa “io” è terribile, perché non è vera, perché è distorta. Ma se siamo in maniera anche molto faticosa alla ricerca di qualche orientamento che appunto spieghi, che risponda, questa è la verità, per cui penso che per fortuna per noi la verità è Gesù.

Costruire ponti è faticoso ma necessario. Devo chiederglielo per forza, per quale motivo i giovani fanno così fatica a credere oggi in Dio e si allontanano dalla Chiesa?

Ci possono essere varie risposte, uno, per la semplice fatica che facciamo tutti quanti noi, perché nostro Signore ci lascia liberi e quindi dobbiamo saper scegliere, e qualche volta non sappiamo scegliere, perché credere in Dio non è mettersi una camicia, non è schiacciare un bottone, non è mettere una firma, è una scelta interiore, in questo senso, non ci deve scandalizzare che ci sia sempre una fatica. Poi c’è la fatica della Chiesa, per cui molte volte molti dicono “io credo in Dio non credo nella Chiesa”, non si ha Dio come Padre se non c’è la Chiesa come Madre e qualche volta la Chiesa ha dato testimonianza negativa e questo chiaramente allontana.

Questa fatica credo faccia parte di un cammino anche ciclico della Chiesa che però può diventare l’occasione per una riforma più forte più sicura…

Questo lo speriamo perché ce n’è un grande bisogno, soprattutto di maggiore autenticità purché espressa con vicinanza, non umiliando l’altro. La vicinanza non significa compromesso, non significa svendita. Io sono vicino proprio perché non ho timore, perché sono qualcosa che non ho timore di perdere.

Con questo invito a una autenticità vicina all’altro chiudiamo il nostro incontro, ma apriamo un rinnovato lavoro per tutti noi e per il nostro blog. Grazie don Matteo e … buon compleanno GiovaniBarnabiti.it

Scrivere

Scrivere non è facile, richiede arte innata, richiede tempo.

Scrivere impegna: la mente, la mano, il cuore.

Quando si è abituati a scrivere in continuazione messaggi e messaggini, non so quanto siano veramente impegnati mente, mano e cuore. Forse o l’uno o l’altro. Perché scrivere richiede arte e impegno.

Non so perché molti facciamo fatica a scrivere. Non perché tutti dobbiamo essere Dante o Manzoni, a ognuno è bene lasciare le proprie doti, piuttosto perché scrivere – come leggere – apre la mente e dà ritmo al cuore.

Ognuno ha un proprio tesoro nel cuore, piccolo o grande che sia, comunque sempre prezioso. Forse se don Abbondio avesse scritto qualche cosa di sé, anche solo per sé, anche senza la pretesa di farlo leggere a qualcuno, anzi con la piena consapevolezza che nessuno avrebbe letto il suo scritto, avrebbe imparato a essere meno il don Abbondio che conosciamo e più il don Abbondio che non conosciamo.

Noi delle persone conosciamo solo degli aspetti, e su quelli ci fermiamo con ostinazione incapaci di andare oltre: il giudizio si fa pregiudizio inamovibile. Se potessimo leggere qualche cosa di questo o quello forse scopriremmo dietro le corazze di ognuno un cuore.

Dio non ebbe paura di scoprire la corazza di Caino, per citare un caso. Ma Lui è Dio!

Se Etty Hillesum, per parlare di una umana, non avesse scritto del suo modo di vivere, di affrontare il soldato della Gestapo che la processava, non avremmo mai potuto scoprire il bene che anche quel giovane soldato ostinatamente nascondeva nel più profondo del cuore. Il pregiudizio di tutti noi in Etty diventa giudizio, giudizio per il bene.

Si scrive, scrivo perché ognuno ha un proprio tesoro nel cuore che non è proprietà privata, o meglio è proprio, per l’umanità.

L’uomo è sulla terra, forse creato, per il bene degli altri uomini e del creato. La preoccupazione massima dell’uomo dovrebbe essere quella di prendersi cura dell’altro intorno a sé. Scrivere è il modo, non esclusivo ma forse più semplice, per prendersi cura di sé, quindi dell’altro

Lo scrivere è una sorta di crema da corpo per prendersi cura di sé, è uno specchiarsi non come la strega di Biancaneve, tronfa di sé, ma per aprirsi all’altro da sé. Siamo soliti a parlare male di Narciso, forse perché pensiamo solo al momento dell’annegamento dimenticando che la ricerca di sé non è cosa malvagia se sa fermarsi prima di specchiarsi troppo. Se Narciso avesse scritto un poco più di sé avrebbe scoperto la possibilità di dirsi e di dire qualchecosa di sé.

Oggi non scriviamo quasi più perché è più seducente annegare nella propria immagine, che affascinarsi della propria storia.

Scrivere aiuta a invecchiare imparando a riconoscere i propri giorni come delle opportunità, questo è sapienza, questo è vivere in un mondo che sembrerebbe voler vivere solo per se stesso.

È trascorso già un mese di questo nuovo anno, un mese appendice del precedente anno orribile 2020 scriveva qualcuno.

Non voglio scrivere tutto ciò che l’anno scorso mi ha tolto o donato, mi basta scrivere quanto vorrei ancora di più ricevere anche quando dovrò sperimentare altri vuoti.

Il dono della fede non è il dono dell’ingenuità, ma della responsabilità di continuare a sperare perché vivo della vita di Uno che è vivo e vivifica, anche tra i dirupi del dolore. Di questa speranza vivente voglio continuare a scrivere in ogni giorno che il proseguire di questo anno mi darà, con l’incoscienza di voler scrivere un poco della storia non solo mia.

Per questo è stato scritto il Vangelo.

LA FUNZIONE SENO DI GENNY’a CAROGNA

Anche questa mattina dopo colazione ho sfogliato il giornale. Per me è un gesto abituale, al quale sono affezionato pur sapendo che un solo giornale non basta per una corretta informazione.
Oggi, leggendo con la coda dell’occhio un articolo di cronaca non particolarmente attraente, ho notato una parola che non mi è piaciuta: “parabola”. Ovviamente non per il suo significato (ogni termine matematico per me è misteriosamente magico) ma per il contesto nel quale era stata inserita.
L’articolo riguardava Gennaro De Tommaso, ex capo ultrà diventato “famoso” per le tristi vicende della finale di Coppa Italia 2014, all’interno delle quali fu ucciso un giovane tifoso napoletano. All’epoca De Tommaso era proprio capo ultrà della tifoseria partenopea ed eccolo quindi sulle pagine di tutti i giornali di quei giorni.
Notizie più recenti, invece, sono quelle riguardanti la sua condanna: 9 anni di arresti domiciliari per spaccio di stupefacenti.
Letto l’articolo a causa del titolo ancora indigesto ho scritto al Corriere della Sera.
Premetto però quattro punti.
1) Le parole sono importanti. Molto più di quanto pensiamo. Così affermano e spiegano 1984, il libro di Orwell e il film di Nanni Moretti Palombella Rossa;
2) Gli ultimi sono persone da proteggere;
3) Siate sempre critici e indignatevi quando ce n’è bisogno. Soprattutto FATE, è la cosa più decisiva che ognuno di noi può raggiungere. Troppo spesso ristagniamo nella tiepidezza tanto insultata da SAMZ e non agiamo.
Scrivere a un giornale è una mossa microscopica, ma mi sono messo in gioco come non facevo da troppo tempo ed è stato importante. Soprattutto siate critici con la Stampa, con i mezzi di informazione. Ricordo sempre molto volentieri un incontro al liceo con un grande giornalista, Antonangelo Pinna. Paragonò il suo mestiere a quello del cane da guardia, perché il giornalista deve essere un giornalista contro. Contro le ingiustizie, le repressioni ma specialmente contro il potere. Ora paragonerei i giornalisti a cani di compagnia, a Pastori Normanni improvvisamente ammansiti e coccolosi. È nostro compito riportarli al loro ruolo originario, perché, sempre citando il grande Pinna, il padrone di un giornale è il lettore.
4) Studiate la matematica che è una materia bellissima.

Buongiorno,
sono Luigi Cirillo, vent’anni.
Oggi ho letto sul Corriere un titolo che mi ha indispettito: La parabola di Genny’a carogna: Da capo ultrà a collaboratore rinnegato da amici e familiari, di Fulvio Bufi. Sono rimasto particolarmente colpito, in negativo, dal titolo: La parabola di Genny’a carogna.
Il termine che mi ha fatto storcere il naso, ma soprattutto mi ha provocato un forte dispiacere è “parabola”.
Per quanto il termine sia molto vago e impreciso (che tipo di parabola? Com’è orientata?), nel gergo comune, al contrario, applicato in un contesto di questo genere assume un significato specifico.
Si tratta di una parabola discendente, con un massimo e presumibilmente un minimo, in quanto la vita di una persona non è infinita e quindi si tratta di un dominio chiuso.
Con queste ipotesi, le quali mi auguro siano sbagliate si può arrivare facilmente a brutte conclusioni.
Ovvero che la vita di Gennaro De Tommaso abbia avuto un massimo, che va ricercato nel passato, in quanto se si parla di parabola ora vuol dire che il punto di massimo sia già stato raggiunto. Un passato macchiato da violenza e spaccio di droga, il quale credo sia orribile identificare come vertice della vita di un uomo.
In secondo luogo, l’altra conclusione, ancora peggiore, alla quale questo termine può portare, è che ora la vita del Signor De Tommaso si avvii verso una traiettoria discendente, simbolo di declino.
Questi ragionamenti, mai supportati ma nemmeno smentiti all’interno dell’articolo, mi trovano fortemente in disaccordo.
Sono convinto, al contrario, che la vita del Signor De Tommaso non abbia raggiunto un massimo nei suoi anni di maggiore potere criminale; al contrario, credo che questi possano essere paragonati a un minimo.
Soprattutto mi auguro, come cittadino e come uomo, che la sua vita possa invece ripartire proprio da ora, dal suo punto più buio e trovare finalmente il massimo in una vita onesta e dedita al rispetto del prossimo.
Credo sia nostro dovere, in quanto membri di una stessa comunità, credere in questo e credere nella giustizia, anche nella sua componente punitiva.
Dimentichiamo sempre che il carcere, così come l’arresto domiciliare, ha come primo scopo quello di riportare in società chi ne è stato allontanato.
Se non siamo noi i primi credere in questo, non saremo mai i primi a cambiare la schifosa realtà del sistema punitivo italiano (mi riferisco soprattutto alle condizioni inumane nelle carceri, ma anche al recupero dei condannati che spesso non avviene).
Cambiare si può, basta crederlo e FARLO.
Come sempre si parte dalle cose piccole, da un termine innocuo (parabola) che invece è il primo sintomo di un senso comune deficiente dei giusti obiettivi.
Le parole sono importanti, specialmente quando sono scritte su una delle testate italiane più prestigiose e storiche.
Scrivere parole giuste nel loro contesto, è questo è il ruolo molto delicato di Voi Giornalisti e una delle vostri enormi responsabilità.
Anche il pentimento non deve essere valutato come un minimo. Quale sia stato il motivo dietro ad esso, reale rimpianto o decisione finalizzata al proprio interesse, noi non possiamo saperlo ed è giusto che sia così.
Tuttavia sappiamo che è il primo fondamentale passo verso il riscatto di un uomo e come tale va considerato.
Concludo aggiungendo che non mi piace paragonare la vita di un uomo ad una funzione matematica, ma se proprio si vuole applicare questa forzatura ecco come avrei titolato: “La funzione goniometrica di Gennaro De Tommaso. Da capo ultrà a collaboratore rinnegato da amici e familiari”.
Una funzione con alti e bassi, che non sta a noi conoscere o giudicare.
Vi prego di far arrivare queste poche righe anche al Signor Fulvio Bufi, principale destinatario.

Cordiali saluti,
Luigi Cirillo

buon 5 compleanno #giovanibarnabiti

Buon 5° compleanno www.GiovaniBarnabiti.itè l’occasione per fare il punto della situazione e anche un poco di … silenzio.
Si, di silenzio, perché affinché la parola, le immagini, (il web) acquistino la propria densità, distinguendosi dal mero rumore, è necessario nutrirli del dovuto silenzio.
Quando i nostri “giornalisti” scrivono per voi, e non sono pochi e non sono avventizi, hanno bisogno del dovuto silenzio, altrimenti tutto diventa caos.
Scriveva Romano Guardini (teologo e pensatore del secolo scorso): «La parola è una delle forme fondamentali della vita umana; l’altra forma è il silenzio, ed è un mistero altrettanto grande. (…) Le due cose ne fanno una sola. Parlare significativamente può soltanto colui che può anche tacere, altrimenti sono chiacchiere; tacere significativamente può soltanto colui che può anche parlare, altrimenti è un muto. In tutti e due questi misteri vive l’uomo; la loro unità esprime la sua essenza».
Se abbiamo voluto fortemente questo blog 5 anni fa e continuiamo a sollecitare e “sfruttare” i nostri “giornalisti” è perché siamo ancora convinti che abbiamo bisogno di proseguire a ragionare e riflettere per costruire i sogni che ogni persona, anche la più impensabile, porta in sé.
Sogni semplici e piccoli, sogni complessi e giganti non importa: sogni.
Il sogno di crescere ogni giorno persone che coltivano e alimentano il proprio senso critico per vivere da persone che non amano stare sul balcone a guardare. Certo non è semplice, certo non è scontato né automatico scrivere, pubblicare, farsi leggere, ma si può e si deve fare.
Buon compleanno allora significa ringraziare i Fabio, i Roberto, i Giacomo, i Luigi, le Raffaella, i Alessandro, i Samuele, le Carmen, i Paolo, le Ana-Clara, i Mattia… ma soprattutto tutti voi che ci leggete.
E il regalo? Il regalo quest’anno è la lettera che il nostro padre generale ha scritto ai giovani delle nostre opere e l’intervista collegata. Ma altri ne arriveranno.

Tanti auguri giovanibarnabiti.it!

Buon compleanno giovanibarnabiti.it

1, 2, 3, 50 compleanni non importa quanti siano, ma che si festeggino.
Oggi, giorno della canonizzazione di sant’Antonio M. Zaccaria (1897), compie tre anni il nostro blog Giovanibarnabiti.it e il suo partner cartaceo IlGiovaniBarnabiti.
Un compleanno piccolo ma sempre un’occasione per fare il punto della situazione.

Un compleanno che quest’anno cade nella 51^ giornata per le comunicazioni sociali. Nel messaggio per l’occasione papa Francesco invita a non perdere di vista, nell’immenso e variegato panorama comunicativo attuale, la responsabilità di trasmettere il vero e il bello. La citazione di Cassiano rimanda al nostro Fondatore che di Cassiano era un estimatore: «La mente dell’uomo è sempre in azione e non può cessare di “macinare” ciò che riceve, ma sta a noi decidere quale materiale» comunicare per il bene dei lettori.

Certo il nostro blog non vuole gareggiare con altre ben più potenti, diffuse e dinamiche agenzie di formazione, ma nemmeno può chiudersi in una nicchia per pochi eletti. Anche noi siamo consapevoli di essere chiamati a «offrire ogni giorno un pane fragrante e buono». A noi giovani zaccariani questo monito “paninesco” ci richiama all’Eucaristia ma ancora di più alla responsabilità verso chi ci legge.

Un anno in più significa anche più maturità, più consapevolezza nel nostro pensare, scrivere, comunicare.
Papa Francesco invita i giornalisti a intraprendere la “logica della buona notizia”, che non è ingenua estetica ma capacità di far riconoscere il lievito o il seme che pur morendo è capace di far crescere il pane, una pianta.

Il nostro piccolo blog e connesso giornale hanno dato la possibilità in questi tre anni di sollecitare al pensare, allo scrivere, al comunicare molti dei nostri giovani, di sviluppare le proprie doti, di migliorare il proprio senso critico. In un mondo che spesso definiamo liquido in queste bande informatiche uno spazio di solidità non è un arroccarsi al passato, bensì una possibilità di poter marcare il tempo, di creare un po’ cultura, come nella più sana tradizione barnabitica.

I cristiani sono testimoni del Dio-con-noi che però sembra non vedersi tra noi, perché lo Spirito non si vede, ma c’è. L’augurio e il regalo per questo compleanno è di poter continuare a esserci con la nostra semplice visibilità per contribuire a far crescere il regno degli uomini e il regno di Dio.
«Anche oggi – conclude il messaggio – è lo Spirito a seminare in noi il desiderio del Regno, attraverso tanti “canali” viventi, attraverso le persone che si lasciano condurre dalla Buona Notizia in mezzo al dramma della storia, e sono come dei fari nel buio di questo mondo, che illuminano la rotta e aprono sentieri nuovi di fiducia e speranza».

Buon compleanno Giovanibarnabiti.it

 

La guerra del pensare, ragionare, scrivere

L’anno passato ci ha lasciato difficili e drammatiche situazioni che non sappiamo come affrontare. L’anno appena arrivato vede già due begli articoli di Fabio e Pasqua che ci insegnano una semplice ma ardua soluzione: pensare, ragionare, scrivere.

Non sono gli isterismi a cui ci aggrappiamo che risolvono le paure e la fatica di continuare a vivere, ma la voglia di pensare, ragionare, scrivere.

Un mio amico impresario scrive che oggi i giovani, ma anche noi adulti io credo, hanno bisogno di modelli, di punti di riferimento per affrontare la liquidità nella quale sono obbligati a vivere. Sapere che la lettura è al terzo posto tra gli interessi dei giovani, dopo musica e internet e che il volontariato trova molto spazio nel loro tempo libero è un modello che dobbiamo amplificare.

Leggere, pensare, ragionare, scrivere sono le migliori “armi” per combattere le armi della violenza, del sopruso, dell’ubriacatura ideologica o religiosa. Non gli isterismi o le reazioni di pancia, ma l’uso della sapienza, dell’intelligenza, della fortezza sono le migliori armi per affrontare Parigi, Colonia, Damasco, Teheran… Armi meno efficaci? A prima vista sicuramente, ma a lungo tempo no. La storia in questo ci è maestra, seppure talvolta ce ne dimentichiamo.

È questo il motivo per cui inizio questo nuovo anno 2016 ringraziando Pasqua e Fabio ma anche quant’altri hanno già pubblicato nel 2015 o avranno la voglia di raccontarci, di aiutarci a capire qualche cosa attraverso la propria capacità di leggere, pensare, ragionare e scrivere.

Papa Francesco ci invita a combattere la “globalizzazione dell’indifferenza” se vogliamo salvaguardare il mondo; voi, noi giovanibarnabiti possiamo con orgoglio dirci in prima linea in questa “guerra” e desiderosi di continuare a combatterla per costruire una “globalizzazione della responsabilità”.

Buon lavoro,

Giannicola M. Simone, prete.