La baraonda informativa

La baraonda dell’informazione

Le opportunità di avere molta informazione e la baraonda che ne deriva è un tema sentito dai diversi giovani. I giovani che ho incontrato in questi giorni di preparazione al Natale ne sono ben consapevoli. Sanno che oggi sapere tante cose, conoscere quello che succede in tanti paesi lontani dall’Italia è una opportunità per sentirsi di più cittadini del mondo e ciò è bello. Però il numero enorme di notizie è anche faticoso da sopportare, perché sono troppe per le nostre capacità elaborative, perché non sempre sono approfondite. Il fatto poi che molte, quasi tutte le notizie, siano lanciate on line, siano visibili agli occhi e non udibili dalle orecchie non migliora la situazione.
Allora il monito di san Paolo non adattatevi alla mentalità di questo mondo, il Signore non guarda l’apparenza ma il cuore è molto adatto per affrontare questa situazione. Proprio di fronte all’informazione non possiamo fermarci alla superficie, dobbiamo andare in profondità, non possiamo fidarci della grida di questo o di quello ma cercare il vero anche se ciò costa fatica. C’è una democrazia dell’ignoranza che impera e che siamo chiamati, come credenti a fermare. E su questo i social, che pure sono utili per molti ambiti dell’informazione, ci avvelenano: ci impediscono di pensare senza essere pensati, di pensare in libertà. Ci impediscono di coltivare la pazienza della ricerca anche per noi “comuni mortali”. La pazienza, l’attesa, la ricerca, la soglia di attenzione sono il problema principale dei nostri giovani. Ma ciò è anche colpa nostra: che non riusciamo più a gestire la pazienza, il tempo necessario per operare ciò che la vita ci chiede; che non siamo più capaci di farci vedere “disconnessi” dai nostri figli.
Non adattatevi alla mentalità di questo tempo. Fate digiuno, almeno intermittente, del vostro smartphone, del vostro pc. Abbiate il coraggio di restare “off” quando cenate o quando siete insieme: arriverà il silenzio? Dopo il silenzio arriverà la parola.
Guardate al cuore non all’apparenza. Riprendere in mano un libro, uno spartito. Non andate a manifestare con gli slogan degli altri, scrivete i vostri: pazienza se non fanno like, se non vanno in trend topic. Non è vero che hanno tutti ragione, che non c’è niente da insegnare a nessuno. C’è moltissimo da insegnare, ad avere la buona sorte di trovare maestri. C’è moltissimo che resta da capire.
Nel vostro quartiere c’è ancora una edicola? approfittatene, comprate un quotidiano; lo leggerete il giorno dopo? Non importa. Fate riscoprire ai giovani le dita sporche dell’inchiostro della stampa, il fruscio della carta. Aiutate a capire che una edicola è una opportunità per un quartiere, è una opportunità di relazione. Insegnate loro, e forse un poco anche a voi, che il cristiano non vive fuori della Storia, ma nella Storia di tutti gli uomini e in quella Storia le mani se le vuole sporcare.
Perché sporcarsi le mani? Perché così ha fatto Jahweh almeno due volte: quando ha plasmato l’uomo e la donna, quando ha mandato il suo Figlio in mezzo a noi. Anzi continua a sporcarsi le mani attraverso l’azione continua dello Spirito santo tra di noi.
Giorgio Montini, padre di Giovanni Battista nonché Paolo VI, era direttore del Giornale di Brescia che il regime fascista fece chiudere assaltando e distruggendo la tipografia perché faceva pensare!
Lorenzo Milani, del giornale fece la scuola principale dei suoi allievi.
David Sassoli, del suo giornalismo fece un servizio alla politica dell’Europa. «Il periodo del Natale – scriveva nel suo ultimo augurio – è il periodo della nascita della speranza e la speranza siamo noi quando non chiudiamo gli occhi davanti a chi ha bisogno, quando non alziamo muri ai nostri confini, quando combattiamo contro tutte le ingiustizie. Auguri a noi, auguri alla nostra speranza.»
Le opportunità informative oggi sono fortunatamente tante, ma la qualità delle notizie dipende da noi “consumatori”, non dimentichiamolo.

Influncer del proprio ego

Definire Maria “influencer di Dio” può sembrare un paragone azzardato per qualcuno, ma non per Papa Francesco, che con tali parole esorta i giovani a seguirne l’esempio per farsi messaggeri dei valori cristiani (GMG 2019, Panama).
Chi sono gli influencer? Sono personaggi divenuti così popolari da rivestire un ruolo primario nell’ambito della comunicazione pubblicitaria; utenti che vantano un profilo di migliaia (o milioni) di follower sui social network dove, attraverso foto e video, trasmettono messaggi e contenuti di vario genere.
Sono per lo più personalità del web o VIP, che non si prestano soltanto a promuovere i prodotti delle aziende per cui vengono ingaggiati (a differenza dei testimonial), ma si presentano come esperti nel proprio settore e per questo capaci di conquistare la fiducia dei follower. “Primi tra pari”, gli influencer non sembrano così diversi da noi, poiché lontani dall’alone di perfezione che riveste le star hollywoodiane…ed è proprio tale percezione (genuinità = credibilità) che ci spinge a seguirli.
Non è un caso che la rete dei social – nella quale si insedia la cultura dell’esteriorità e del superfluo – costituisca l’habitat naturale per il proliferarsi di una tale figura, spesso icona di bellezza… ma non è questo il punto della digressione sopraesposta, che mira piuttosto a contestualizzare le recenti parole di Papa Francesco.
Il fenomeno “influencer” è un trend, e Bergoglio, che ama esprimersi con il linguaggio dei giovani, non esita a farne menzione quando dice: «Senza alcun dubbio, la giovane di Nazaret non compariva nelle “reti sociali” dell’epoca, però senza volerlo né cercarlo è diventata la donna che ha avuto la maggiore influenza nella storia». “Esperta” di fede e amore, donna comune all’apparenza (certamente non una diva del suo tempo), Maria è la “prima fra gli umili” scelta Dio per la diffusione del Suo messaggio di pace e la realizzazione del Suo progetto di salvezza.
Considerato il fatto che le aziende reclutano un influencer sulla base del suo profilo – il più possibile compatibile con i rispettivi valori d’impresa – si potrebbe dire che la scelta di Dio abbia seguito con successo le dinamiche di questo fenomeno.
Ma cosa significa, per noi cristiani, essere «“influencer” nel secolo XXI»? Certamente non vuol dire ambire «a possedere l’ultimo modello di automobile o acquistare l’ultima tecnologia sul mercato. In questo consiste tutta la grandezza dell’uomo?».
Siamo strumenti nelle mani di Dio, partecipi di un progetto più grande di quella che è la fitta/finta “rete” dei social, dove i giovani che ostentano la ricchezza materiale sono sempre più influencer del proprio ego e prigionieri di uno schermo dove si combatte per la visibilità e non per un ideale.
«È la cultura dell’abbandono e della mancanza di considerazione» afferma Papa Francesco, «molti sentono di non avere tanto o nulla da dare perché non hanno spazi reali a partire dai quali sentirsi interpellati. Come penseranno che Dio esiste se loro da tempo hanno smesso di esistere per i loro fratelli?».
Solo aprendo il nostro cuore, come Maria aprì il suo accettando la volontà di Dio, diventeremo “influencer di pace” e, attraverso il concreto (non digitale) condividere, potremo finalmente sentirci parte attiva di una comunità che agisce per il bene comune.
Come J.K. Rowling scrive in uno dei suoi più celebri romanzi: «non serve a nulla rifugiarsi nei sogni e dimenticarsi di vivere», allo stesso modo non ha senso restare connessi tutto il giorno, per sentirsi apprezzati e amati da una comunità tutt’altro che vera, preferendo un contatto online al contatto diretto, un post a una buona azione.
Riscopriamo l’essenza delle relazioni e cancelliamo i filtri, quelli che ci trasformano in personaggi costruiti e poco credibili agli occhi di Dio e del prossimo, perché «solo l’amore ci rende più umani, più pieni… tutto il resto sono cose buone, ma vuoti placebo».

Pasqua Peragine – Altamura