Aborto?

L’aborto, ovvero l’interruzione della gravidanza attraverso la rimozione del feto, è una pratica molto discussa nel nostro Paese in quanto risente molto la presenza del Vaticano, da sempre contrario perché contro il pensiero cristiano. L’aborto è regolamentato dalla legge italiana dal 1978 purché avvenga entro i primi 90 giorni di gravidanza. Nonostante ciò, ciclicamente si continua a parlare di questo in TV, sui Social e ci si dimentica spesso che è un diritto del cittadino. Si ascolta sempre più frequentemente di donne e ragazze che vengono torturate psicologicamente prima di procedere con l’atto di aborto. Chi decide cosa è corretto o meno fare? Non penso che una persona abbia il diritto e il dovere di decidere per un’altra senza conoscere nemmeno la storia che ci sta dietro. Semmai l’unica cosa che può fare è ascoltarla e, solo dopo, dare un suo parere e consiglio personale.
Prendere la decisione di abortire non è mai facile. È una scelta che viene presa, in teoria, consultando il compagno e i propri parenti. Poi i medici. Se però una donna arriva a pensare di abortire vuol dire che il problema sta a monte. Come mai rifiuta di diventare mamma e non vedere mai quello che sarebbe suo figlio? Ci sono tanti motivi di gravidanze inattese. Tra questi possiamo suddividerli in 3 macroclassi: quelli che riguardano lo “stupro”, successivamente quelli che riguardano “l’inconsapevolezza della ragazza” e poi quelli della “casualità del fatto”.
Per quanto riguarda il primo, oggigiorno sono sempre più i casi di uomini (se si possono definire tali) che con la forza usano le donne per puri piaceri sessuali. In questo caso come non comprendere la giovane donna nel voler abortire? Che vita avrebbe il futuro figlio senza padre e nato da una relazione non voluta? Non si tratta di essere egoisti, bensì di pensare al prossimo per fargli vivere una vita più normale possibile. Lo stesso se si pensa a relazioni clandestine di ragazze che, dopo una serata allegra, rimangono incinte.
Infine, arriviamo all’ultimo punto, forse quello più delicato. Può succedere che pur avendo copulato in modo protetto la ragazza rimanga incinta. Lo dice la scienza. In questo caso cosa fare? Be’ come ho detto prima, non sono nessuno per dire quello che bisogna fare e la decisione che è corretta prendere. Penso che sia bene parlarsi tra coniugi e valutare le circostanze. Alcune domande che mi porrei riguardano l’aspetto economico oltre a quello sentimentale. Com’è la situazione economica della coppia? I due partner sarebbero in grado di crescere un figlio? Hanno abbastanza tempo da dedicare al futuro figlio o dovranno sempre richiedere favori ai futuri nonni? Che vita faranno fare al figlio? Si amano veramente o è una relazione che è in procinto di terminare?
Ho detto prima che questo è il caso di gravidanza più delicata appunto perché la coppia non cercava e non voleva il figlio. Però, dal momento che c’è la possibilità di averlo, bisogna valutare bene le cose. Non penso conti l’età della ragazza. Anzi, se esistono i presupposti detti prima, una coppia può avere un bambino anche a 20 anni. Contrariamente, se i possibili futuri genitori non hanno un lavoro stabile, hanno poco tempo da dedicare o se hanno altri mille problemi, è meglio che decidano per l’aborto della ragazza.
Penso che i medici, piuttosto che criticare o provare a far cambiare idea, debbano aiutare la donna a prendere la giusta decisione per lei e per il figlio. Soprattutto quando sono in sala operatoria non devono abbandonarla a sé stessa perché è sempre una donna che soffre sapendo di perdere quello che sarebbe potuto essere suo figlio.
Marco C. – Milano

Il modo migliore per formare delle coscienze e per coltivare dei valori è quello di saper discutere e dialogare non solo con chi la pensa come te, bensì con chi parte anche da altri presupposti. Questo vale specialmente quando si collabora con una persona giovane e in modo particolare quando in questa nostra società anche bella, i parametri sono differenti.
Per questo motivo ci piace pubblicare la riflessione di Marco C., ma anche rispondere.
Il tema della vita è un tema troppo importante per non essere ragionato e rielaborato continuamente, specialmente oggi dove la tecnica ci permette azioni prima impensabili e il soggettivismo – non ho scritto individualismo – prevale nel pensare e proporre le proprie idee.
La vita, anche la mia vita personale, seppure pensiamo di esserne gli unici responsabili, non è solo una mia proprietà, riguarda sempre anche gli altri, sempre.
Quando poi parlo di una vita che deve nascere tutto ciò vale ancora di più, specialmente perché questa vita non ha voce.
Allora se io sono un soggetto ragiono pensando anche l’altro come un soggetto, se io sono un individuo, l’altro che debba nascere o essere già vivo, non mi interessa perché ci sono io e basta.

Al di là dell’essere o no cristiani, la vita non è una mia proprietà, la vita è sempre altro da me, è sempre un dono che chiede di essere incontrato. Purtroppo chi attenta in vari modi alla vita questo non la fa, non è interessato a incontrare ma a sfruttare l’altro.
Anche la vita che una donna porta dentro di sé non è di esclusiva proprietà della donna (e purtroppo la tecnica attuale lo dimostra in modo evidente).
La vita va sempre accompagnata e custodita, specialmente nei momenti di fragilità.
Questi momenti sono quelli che ha elencato Marco, momenti che non solo il medico o chi per esso talvolta “violenta”, ma tutta la società dimentica.
Tralasciando il caso estremo di uno stupro sulla donna (qui consiglierei però la visione di: Venuto al mondo) negli altri casi mi domando se dobbiamo lasciare il neo concepito a semplice prodotto di errori, dimenticanze o questioni economiche.
Da maschio non posso dire se l’aborto lasci una traccia indelebile nel corpo di una donna; da uomo che si sente parte complementare di una donna voglio dire che di fronte a una vita che può nascere non possiamo agire semplicemente secondo il nostro sentire o il nostro portafoglio.
Da uomo, in quanto partner o società, non posso lasciare solo una donna nel momento delicato di una vita in grembo.
Ma anche il fatto di poter gestire da sola un aborto, come l’attuale legge prevede specialmente con la pillola dei giorni dopo, è una scelta che scaturisce da una idea di essere umano sempre più pensato come individuo piuttosto che come soggetto e / o persona.
Non voglio mettere i discussine la legge sull’aborto, ma l’incapacità della nostra società di sapere accompagnare una donna e talvolta una coppia nell’affrontare un momento così importante della vita non solo della donna e dell’embrione ma di tutta la società.

Una rivoluzione dopo Covid?

Si parla spesso di rivoluzione portata da questa pandemia. La rivoluzione indica un qualsiasi cambiamento radicale nelle strutture sociali.

Non si vuole fare troppo allarmismo, certo, ma è anche vero che se 100 anni fa riconoscevi il nemico contro cui combattere, ora non è così; mi viene da ridere quando sento il primo anziano in coda al supermercato riderci sopra dicendo che lui ha superato la guerra. Non è la stessa cosa.
Sicuramente ci sarà una crisi post epidemia che ricorderà molto quelle post guerra: le imprese dovranno affrontare una crisi di merce invenduta e magazzini pieni mentre le persone dovranno ottimizzare bene la spesa pensando più volte a cosa acquistare. Diversa gente non potrà più permettersi di fare vacanze lunghe (e già prima erano in pochi rispetto ai tempi del boom economico) o altre cose che fino al 2019 venivano date per scontato fare. Paradossalmente anche mantenere più auto o comprare il motorino al ragazzino.
Si capirà meglio, forse, il valore dei soldi e della fatica, avremo più a cuore i piccoli gesti tra i quali aiutare il bisognoso, riutilizzare oggetti vecchi e non buttare gli avanzi di cibo, ma anche solamente il salutare una persona amata. Sicuramente le nuove generazioni capiranno che non sono immortali soltanto perché sono nati con lo smartphone o possono fare Londra-New York in 6 ore.

Ma chi siamo noi per dire cosa è giusto e cosa è sbagliato?
Qualcuno si domanda se ci sarà una rivoluzione virale? Non proprio.

Più che di rivoluzione parlerei di un ritorno al passato e, riprendendo l’economista inglese Thomas Malthus, di un ciclo che ricomincia dopo aver sforato il limite. Se nel 1700 le nascite superavano i mezzi di sussistenza andando così a creare uno squilibrio tra risorse e capacità di soddisfare la domanda, ora possiamo fare un parallelismo con gli acquisti inutili effettuati rispetto a quelli necessari. Con questa epidemia, la cosiddetta “catastrofe malthusiana”, si va a chiudere un’epoca aprendosene un’altra; casualmente in concomitanza con il nuovo decennio.

Il virus non darà un colpo mortale al capitalismo, il quale continuerà imperterrito per la sua strada, ma sicuramente sarà un osso duro per tutti, capitalismo compreso. Come dicevo prima si darà più peso al valore delle cose e si analizzeranno accuratamente i propri acquisti. Se si era abituati a cambiare cucina ogni 5 anni, forse ora ne serviranno 10 per vedere un nuovo piano cottura in casa propria. Se prima si era abituati a comprare l’ultimo modello del cellulare preferito, ora si penserà due volte prima di fare questo investimento.

Molte altre cose, però, rimarranno inalterate. Ricordiamoci che il Dio denaro prevale su tutto da sempre e si è più portati a far continuare il capitalismo anche a costo di fare poi svariate campagne, spot e altro ancora per salvare il Pianeta.

Dal punto di vista politico (perché anche di questo dobbiamo parlare) svaluto il pensiero di Zizek, che ho trovato in un articolo, ovvero di una caduta del regime comunista cinese, come svaluto l’idea di una superiorità cinese stessa nei confronti del resto del mondo, la gente si dimentica facilmente le cose. Ci sarà un ennesimo finto senso di uguaglianza e di comunità tra Stati dell’Unione Europea e non. Classico giochetto illusorio per far credere di star facendo qualcosa di importante, quando in realtà non si sta combinando nulla.

Servono e serviranno più che mai fatti concreti e non maschere da indossare quando fa comodo. Perché un giorno mi conviene essere tuo amico mentre il giorno dopo non più? Se non siamo noi cittadini stessi a essere uniti (e non lo siamo perché dopo 159 anni ci sono ancora meridionali che incolpano settentrionali e viceversa), perché ci vogliono far credere di esserlo con Paesi nemici dai tempi dei romani? Perché essere disonesti con se stessi? Forse hanno ragione i diversi studi scientifici che affermano che l’essere umano è egoista per natura e l’altruismo è solo un modo per sentirsi migliori agli occhi di chi guarda. Un esempio è la classica storia del ragazzo che trova una moneta per terra: quando è da solo la tiene, altrimenti la dona al povero. Questa azione viene fatta inconsciamente, ma è dettata da diversi fattori tra i quali la società e la paura di essere emarginato.

Marco Ciniero – Milano