Gestire la violenza

Passando per Pisa qualche giorno fa non potevo non ripensare a quanto accaduto un paio di mesi fa a degli studenti come me.
Le notizie legate alle violente cariche della polizia contro gli studenti a Pisa accadute il 23 febbraio scorso, sembrano essere state definitivamente archiviate dalle redazioni di quotidiani o Tg. Tutto nella norma, verrebbe da pensare, in un’epoca in cui l’informazione sembra essere legata a un’ostinata ricerca del maggior numero di click e le notizie che suscitano un duraturo interesse nell’opinione pubblica si contano sulle dita di una mano. Se questa cosa sia effettivamente normale o giusta non sta a me dirlo, né vuole essere l’oggetto di queste poche righe.
Come studente però, credo che sia doveroso, oltre che necessario, tornare a riflettere su quanto accaduto, affinché lo stupore e l’indignazione suscitati nelle prime ore dalla notizia diventino un monito che ci ricordi come, in un mondo in cui i principi democratici risultano minacciati, fatti come questo, che minano le fondamenta del nostro Paese, non possono essere minimizzati, giustificati o, ancora peggio, dimenticati.
Condannare l’azione della polizia non significa condividere i motivi per cui era stata organizzata la manifestazione, che, come ognuno di noi ricorderà, era stata indetta per esprimere solidarietà e vicinanza al popolo palestinese. Condannare l’azione della polizia, che non ha fatto nulla per prevenire le violenze, non ha seguito i passaggi graduali previsti in materia di tutela della sicurezza e ha reagito in modo sproporzionato rispetto alla manifestazione pacifica causando 18 feriti, significa far presente a gran voce che la nostra libertà è un principio inviolabile, non negoziabile su cui nessuno di noi sarà mai disposto a scendere a compromessi. E invito chi dà questa cosa per scontata a riguardare le immagini di queste violenze, o a rileggere le recenti notizie di persone che sono state identificate dalla Digos: chi per aver deposto fiori in memoria di Alexei Navalny, sotto la targa in ricordo di Anna Politkovskaya o chi per aver gridato “Viva l’Italia antifascista” durante la Prima della Scala. Tutti questi fatti non possono essere ritenuti casi isolati o normali “falle nel sistema”. Si tratta di veri e propri “schiaffi” a chi ha combattuto e dato la propria vita per la nostra libertà e per tutti quei principi che sono i cardini della nostra Costituzione e che, proprio per questo motivo, non possono essere sottovalutati o normalizzati.
“L’autorevolezza delle Forze dell’Ordine non si misura sui manganelli ma sulla capacità di assicurare sicurezza tutelando, al contempo, la libertà di manifestare pubblicamente opinioni. Con i ragazzi i manganelli esprimono un fallimento”: con questa nota ufficiale il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, come sempre provvidenziale, ha voluto condannare la violenza della polizia.
Dopo questo comunicato qualcuno di noi si aspettava delle scuse o quantomeno un’autocritica da parte di altre cariche dello Stato che purtroppo, forse non inaspettatamente, non sono arrivate.
Di fronte a questo vero e proprio fallimento non ci resta dunque che fare nostre le parole del Presidente Mattarella e imprimerle nella nostra mente. Solo così questa violenza non sarà mai “archiviata” e saremo sempre consapevoli che per difendere libertà e democrazia non dovremo mai tollerare o minimizzare fatti di questo tipo.

Riccardo S. – Lodi

Violenza di gruppo.

La violenza è il modo in cui molti uomini e molte meno donne cercano di dire quello che non sanno dire di se stessi o della vita.
La violenza in tutti i suoi livelli, non solo quelli materiali, è l’incapacità di sapere affermare se stessi di fronte agli altri. È l’incapacità di saper gestire la propria libertà perché incapace di incontrare la libertà altrui. È cosi già dai tempi di Caino e Abele.
La violenza contro il più debole, perché donna?, perché diverso da …, perché più fortunato di me o perché incontrare l’altro comunque inconsciamente spaventa? E non importa se più grande o piccolo di me.
Confesso che una sera, camminando in centro a Milano, con alcuni adolescenti l’incrociarsi con altri adolescenti visibilmente di origine non milanese provenienti dalle periferie mi ha fatto pensare, preoccupare un poco e allertare le “antenne”.
Forse solo perché caciarosi, perché in gruppo, perché “stranieri” pur parlanti italiano?
Intanto, senza la pretesa di una analisi professionale, la violenza non riguarda solo ragazzi di prima, seconda, terza generazione: la violenza è un fenomeno che coinvolge molti uomini e meno donne di ogni razza, censo, estrazione sociale e/o interessi. Certo poi è più facile stigmatizzare alcune realtà piuttosto che altre. Secondo alcuni, altri alcuni per forza sono violenti perché di seconda generazione, perché incapaci di accogliere le regole.
Come scriveva Giuliana Tondini, procuratrice tribunale dei minori di Brescia, quello che preoccupa è oggi l’accelerazione con cui oggi si radunano le bande violente, basta un TikTok. «Questa accelerazione non favorisce il pensiero riflessivo, ma privilegia risposte istintuali e spesso violente.» La fatica di riflettere.
Dei ragazzini, non pochi, di cosiddetta seconda generazione hanno fatto violenza su alcune loro coetanee agli inizi di giugno su un treno da Peschiera del Garda verso Milano. Ragazzi che poco prima si erano ritrovati per un raduno “etnico-tribale” come ce ne sono tanti altri in Italia e non solo e non solo di ragazzini.
Ragazzi che probabilmente hanno trovato ispirazione in tanta musica che permettiamo di ascoltare perché tanto è solo musica. (a questo proposito leggi https://www.marcobrusati.com/categorie/musica-video/490-idoli-del-trap-de-cantano-droga-violenza-e-ragazze-prede-sessuali).
Il fatto verrà giudicato e sanzionato dalle autorità competenti; il recupero delle loro vite e la rielaborazione del trauma delle vittime saranno la missione delle famiglie e degli specialisti competenti. Speriamo.
Non era e non è facile affrontare queste realtà che chiamiamo disagio. Sicuramente la politica ostacolando qualsiasi proposta di legge per un riconoscimento di cittadinanza non comprende che ciò significa ignorare che l’immigrazione è sempre una complicazione, da che mondo è mondo, e va affrontata.
«Non credo che tutti i giovani e turbolenti immigrati diventerebbero agnellini, ottenuta la cittadinanza, come la cittadinanza di per sé non aggiusta le teste matte dei giovani turbolenti di nostra produzione. Ma forse avrebbero una ragione in meno per sentirsi sradicati e stranieri nella terra dove sono cresciuti, e dove un aspirante leader li considera indegni di noi.» (M. Feltri, LaStampa, 1 luglio 2022).
Dobbiamo continuare a vigilare e creare spazi di incontro e di riflessione (non solo scuola che a molti adolescenti dà un senso di fastidio) per gli adolescenti; dobbiamo trovare il modo di far percepire che verso gli adolescenti c’è fiducia, non solo sopportazione. I tempi di “ri-costruzione” saranno lunghi ma porteranno frutti se sapremo dare loro tempo di ascolto e proposte di vita, se sapremo far riscoprire il valore dei “sì” e dei “no”! Non è un lavoro semplice, richiede molta rete, specialmente con quanti di cosiddetta seconda generazione – per restare nel campo – hanno raggiunto dei successi. Altrimenti si rischiano sempre livelli distinti e lontani che continueranno a distinguere e allontanare.

Donne

Violenza contro le donne è il filo conduttore di questa domenica, con piacere pubblichiamo una riflessione di una giovane donna quale nostro piccolo contributo alla causa.

Nelle ultime settimane oggetto di discussioni più o meno animate è stata la vicenda della giovane Desiree, sedicenne di Cisterna Latina morta, secondo quanto emerso fino a ora dalle indagini, in seguito a uno stupro. A fare particolare scalpore è stato il fatto che il crimine sia stato commesso in uno stabile occupato, noto per essere un centro di spaccio.

Ora, tralasciando le “specifiche del caso”, la situazione ci permette di riflettere su un tema troppo spesso sottovalutato. Da sempre “la città” è divisa in un centro elegante, perbene e in sobborghi malfamati. Negli ultimi anni, però, la situazione è andata peggiorando sempre più, fino a diventare impossibile da ignorare. La totale indifferenza delle istituzioni ha lasciato troppo spazio alla criminalità per agire, radicarsi in questi territori ed espandersi poi a macchia d’olio anche in quel centro considerato sicuro, così che l’intera città è diventata un enorme macchia scura, un buco nero che risucchia ogni speranza e possibilità. Sgombrare uno stabile non basta, se poi la cittadinanza non se ne riappropria davvero. Se lo Stato non trova una destinazione a questi edifici, saranno sempre delle fabbriche di illegalità.

Ma è davvero possibile che non si riesca a trovare loro una destinazione? Possibile che questi quartieri non abbiano bisogno di una biblioteca, di un cinema, di una sala con un biliardino? Possibile che nessuno ci abbia pensato? O è forse molto più semplice ignorare il problema e dare la colpa al capro espiatorio di turno quando qualcosa di tragico accade? Sicuramente non potremmo mai saperlo con certezza, ma se quello stabile fosse stato una ludoteca, probabilmente Desiree sarebbe ancora viva.

Carmen Guida, S. Felice a Cancello

La guerra del pensare, ragionare, scrivere

L’anno passato ci ha lasciato difficili e drammatiche situazioni che non sappiamo come affrontare. L’anno appena arrivato vede già due begli articoli di Fabio e Pasqua che ci insegnano una semplice ma ardua soluzione: pensare, ragionare, scrivere.

Non sono gli isterismi a cui ci aggrappiamo che risolvono le paure e la fatica di continuare a vivere, ma la voglia di pensare, ragionare, scrivere.

Un mio amico impresario scrive che oggi i giovani, ma anche noi adulti io credo, hanno bisogno di modelli, di punti di riferimento per affrontare la liquidità nella quale sono obbligati a vivere. Sapere che la lettura è al terzo posto tra gli interessi dei giovani, dopo musica e internet e che il volontariato trova molto spazio nel loro tempo libero è un modello che dobbiamo amplificare.

Leggere, pensare, ragionare, scrivere sono le migliori “armi” per combattere le armi della violenza, del sopruso, dell’ubriacatura ideologica o religiosa. Non gli isterismi o le reazioni di pancia, ma l’uso della sapienza, dell’intelligenza, della fortezza sono le migliori armi per affrontare Parigi, Colonia, Damasco, Teheran… Armi meno efficaci? A prima vista sicuramente, ma a lungo tempo no. La storia in questo ci è maestra, seppure talvolta ce ne dimentichiamo.

È questo il motivo per cui inizio questo nuovo anno 2016 ringraziando Pasqua e Fabio ma anche quant’altri hanno già pubblicato nel 2015 o avranno la voglia di raccontarci, di aiutarci a capire qualche cosa attraverso la propria capacità di leggere, pensare, ragionare e scrivere.

Papa Francesco ci invita a combattere la “globalizzazione dell’indifferenza” se vogliamo salvaguardare il mondo; voi, noi giovanibarnabiti possiamo con orgoglio dirci in prima linea in questa “guerra” e desiderosi di continuare a combatterla per costruire una “globalizzazione della responsabilità”.

Buon lavoro,

Giannicola M. Simone, prete.