Con Paolo, alla scoperta del centro del Vangelo

SAMZ ci invita ad andare a Cristo ispirandoci a Paolo.
Ma perché proprio Paolo? Quale forza è la sua, che colpì tanto SAMZ e che attraverso i secoli ancora oggi può risuonare nei percorsi di tanti cristiani?

A prima vista i testi di Paolo appaiono difficili, ed è sempre stato così, non solo per gli uomini del nostro tempo, tanto distanti da lui per cultura e linguaggio, ma addirittura per i suoi stessi contemporanei. San Paolo, nelle lettere, sovente deve tornare a spiegarsi, dato che l’annuncio fatto precedentemente all’interno delle sue comunità a volte genera interpretazioni sbagliate. La Scrittura stessa contiene poi un richiamo esplicito circa la difficoltà nel comprendere gli scritti dell’apostolo: «Così vi ha scritto anche il nostro carissimo fratello Paolo, secondo la sapienza che gli è stata data, come in tutte le lettere, nelle quali egli parla di queste cose. In esse vi sono alcuni punti difficili da comprendere, che gli ignoranti e gli incerti travisano, al pari delle altre Scritture, per loro propria rovina». (2Pt 3,15b-16).

Paolo scrive agli inizi dell’avventura cristiana, le sue lettere sono le prime pagine del Nuovo Testamento, scritte prima dei vangeli e solo 20/25 anni dopo la morte di Gesù. Siamo in un tempo in cui le comunità cristiane stanno nascendo e si va formando l’identità stessa del cristianesimo. Conseguentemente Paolo si concentra, nel suo annuncio, attorno al fulcro della “buona notizia” del Vangelo, messaggio che risulta sempre nuovo e sorprendente perché per essere accolto richiede conversione del cuore e della mente (Rm 12,2: «Non conformatevi alla mentalità di questo mondo, ma lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto»). Proprio per questo contenuto di perenne novità, tanto per i cristiani di ieri come di oggi, gli scritti dell’apostolo risultano spesso ostici e tuttavia molto importanti e di grande fascino. È bello perciò, seguendo il consiglio di SAMZ, avvicinarci all’apostoloPaolo lasciandoci provocare dal suo invito alla conversione, per scoprirlo pienamente e cogliere quel nucleo originale del Vangelo che deve stare a fondamento del nostro essere cristiani.

Stefano Maria

Afghanistan, il mantenimento della pace

Tra i carabinieri in missione in Afghanistan c’è anche un ex-alunno del Collegio San Francesco di Lodi. Dopo averlo aiutato a sostenere una mamma di Herat che ha partorito 4 gemelli gli abbiamo chiesto di scriverci qualche riflessione sulla sua missione che pubblicheremo a puntate sul nostro blog. Per motivi di sicurezza non pubblichiamo il nome dell’autore.

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Il mantenimento della pace mondiale dovrebbe essere, e son sicuro che lo è, un motivo d’orgoglio per l’identità nazionale; ciò possiamo comprenderlo dallo sforzo notevole che la nostra nazione ha espresso in particolar modo in questi ultimi anni.

Per la maggior parte degli italiani, il mantenimento della pace evoca immagini positive ed eroiche dei soldati che operano in ambienti difficili e spesso tragiche: un soldato che protegge un bambino durante uno scontro a fuoco; un pilota che vola in condizioni disperate al fine di portare rifornimenti i posti inaccessibili; un medico che benda le ferite di un rifugiato in difficoltà; un soldato di pattuglia nella terra di nessuno tra mille insidie e pericoli di attacchi; un ufficiale che scopre fosse comuni dopo un genocidio. Per noi soldati italiani, il mantenimento della pace è il cercare di proteggere le persone in pericolo di vita, offrendo la speranza in situazioni quasi disperate, e portando la pace e un po’ di giustizia per le comunità devastate dalla guerra in terre lontane. Si tratta di sacrificio e di un servizio mondiale.

Queste nozioni di coraggio e di servizio in passato non sono state percepite dalla nostra comunità che oggi è finalmente conscia e le ha fatte proprie. Il sostegno del popolo italiano per questo ruolo delle forze armate di mantenimento della pace è forte ed è diventata parte integrante dell’identità nazionale. Si tratta di una parte di ciò per la quale l’Italia si è resa celebre come nazione, e come popolo. I nostri soldati hanno sempre avuto un ruolo positivo, straordinario durante i loro impegni internazionali. Questo fattore ci è stato riconosciuto da tutti i paesi del mondo. Purtroppo anche il numero dei fratelli italiani che hanno dato la vita è elevato e a volte poco ricordato.

Da diversi anni partecipo alle missioni internazionali per conto del mio paese. Ho cominciato nel 1993 in Cambogia dove l’Italia partecipò alla missione UNTAC con l’invio di 75 Carabinieri quali osservatori per conto della Civil Police dell’ONU dislocati nei vari distretti di quella terra martoriata dal regime di Pol Pot al fine di permettere al quel popolo di poter scegliere il proprio futuro attraverso libere elezioni. Da giovane Carabiniere qual’ero allora, fu un’esperienza tremendamente ricca di emozioni forti che hanno lasciato il segno nella mia vita. Laggiù l’ambiente era difficile e le carenze organizzative dell’ONU spaventose. Siamo stati mandati in province sperdute del territorio cambogiano, assediati dalle zanzare senz’acqua né luce; scarsi sistemi di comunicazione, internet e telefoni cellulari non erano nenache stati inventati! Per non parlare dell’alloggio. Ma la voglia di far bene di aiutare i cambogiani ha sopraffatto le mille difficoltà.

I visi di quelle centinaia di bambini sempre sorridenti che ci accoglievano come fossimo dei babbo natale… si è stampata nella memoria! “Bye Bye UNTAT”, dicevano nell’accoglierci e noi cercavamo nelle tasche un qualsiasi cosa da poter regalare, anche una semplice bottiglia d’acqua.

Dopo la Cambogia, via via ci sono state altre missioni fino ad arrivare al 2009 quando per la prima volta vengo chiamato per l’Afghanistan. Una terra che solo a pronunciarne il nome faceva paura! Ora sono al secondo “giro” al termine del quale avrò trascorso piu’ di due anni in questa terra.

Sono lontano dagli affetti: i miei piccoli gioielli, i miei bambini, la mia amata moglie che con immensa forza e coraggio manda avanti “la baracca” come si usa ancor dire dalle mie parti. Un po’ di malinconia mi assale, ma dura poco: il sorriso dei colleghi e la riconoscenza degli afghani mi da coraggio. (Continua)

La diversificazione

La diversità in tutte le sue forme è il requisito fondamentale alla base del progresso. L’esperienza e lo studio hanno reso evidente quanto la sua applicazione favorisca lo sviluppo in svariati e molteplici campi. In biologia viene definita differenziamento e indica la maturazione di una cellula da una forma primitiva a una forma complessa. In petrografia la differenziazione magmatica rappresenta una variazione del magma tale da originare rocce eruttive di diverso genere.

In ambito finanziario, invece, tale concetto viene espresso con il termine diversification e spiega come investire in una collezione di assets (portfolio e/o beni), i cui ritorni non sempre muovono nella stessa direzione, implichi una diminuzione del rischio complessivo rispetto ad un investimento su un singolo asset (bene). Tra le varie funzioni degli intermediari finanziari vi è quella di promuovere il risk sharing (la condivisione del rischio) per aiutare ogni individuo a diversificare e dunque diminuire la quantità di rischio a cui viene esposto. Un chiaro esempio fondato sul concetto di diversificazione è il mutual fund (fondo comune): i piccoli investitori che comprano azioni individualmente sono limitati nell’acquisizione di sufficienti titoli in un numero adeguato di aziende per poter trarne benefici, il mutual fund dunque acquisisce fondi vendendo titoli a molti individui e usa il ricavato per comprare portfolio diversificati di azioni e bond. Inoltre, il mutual fund rappresenta una via low-cost per la diversificazione in titoli stranieri.

Un altro esempio di come la diversificazione sia uno strumento inalienabile per l’efficienza economica si costruisce nel contrariare il concetto di “grande è meglio”: aumentare le dimensioni di poche banche e eliminarne le più piccole, creando di fatto un’oligarchia a discapito della concorrenza, significherebbe distruggere l’equilibrio sul quale si erge un’economia di libero mercato. Basti ricordare che una delle principali cause della recente crisi finanziaria è da ricollegare all’eccessiva fiducia verso quelle poche banche “troppo grandi per fallire” e troppo potenti per essere regolate. La crescente diversificazione del potere, e dunque del portfolio dei debiti bancari e dei relativi rischi, è fondamentale per la resistenza del sistema finanziario, per la sua capacità di resistere alle crisi e di ridurne le probabilità.

La diversità non è necessariamente causa di impoverimento e divisione, ma opportunità di arricchimento culturale, sociale ed economico.

Il concetto di diversificazione e la conseguente specializzazione che ne deriva, come tutela e sviluppo di un “(eco)sistema”, persiste dunque in ogni ambito ed è brevemente riassunto da una vecchia massima che recita: “You shouldn’t put all your eggs in one basket”.

Giorgia Lombardini