Può il ferro, divenuto ruggine con l’influsso degli agenti atmosferici, ritornare com’era prima? Sebbene ciò sia chimicamente impossibile, umanamente lo è.
Nel Nord della Francia, Alì si ritrova improvvisamente sulle spalle Sam, il figlio di cinque anni che conosce appena. Senza un tetto né un soldo, i due trovano accoglienza a Sud, ad Antibes, in casa della sorella di Alì. Tutto sembra andare subito al meglio. Il giovane padre trova un lavoro come buttafuori in una discoteca e un giorno conosce Stephanie, istruttrice di animali acquatici e preda irraggiungibile, dalla vita apparentemente piena e felice. Una tragedia, però, rovescia presto la loro condizione.
Craig Davidson, Audiard e Thomas Bidegain traggono un racconto cinematografico a tinte forti, temperate però da una scrittura delle scene tutta in levare.
La trama e la regia sono estremamente coerenti nel seguire uno stesso rischiosissimo movimento, che spinge il film verso il melodramma e non solo verso la singola tragica virata del destino ma verso la concatenazione di disgrazie, salvo poi rientrare appena in tempo, addolcire l’impatto della storia con “la ruggine” di un personaggio maschile straordinario, per giunta trovando un appiglio narrativo che tutto giustifica e tutto rilancia. Un equilibrismo che può anche infastidire ma che rende il film teso, malgrado alcune mosse prevedibili…
“Un sapore di ruggine e ossa” è un film misuratamente cupo, che tratta l’esperienza dolorosa di Stephanie con il giusto tono drammatico, senza perdersi nei classici cliché melodrammatici eccessivamente attenti al pathos. La Cotillard e Schoenaerts recitano con naturalezza e fluidità, lasciando trasparire la drammaticità delle vite dei loro personaggi senza pianti o gemiti di disperazione…
Come nella migliore filmografia di Audiard, corpo e spirito si fanno tutt’uno, si ammaccano e si rimarginano insieme, senza bisogno di troppe parole: al contrario, la comunicazione, specie quella femminile, passa attraverso un linguaggio muto ma intimamente comprensivo.
La macchina da presa del regista non è certo invisibile e le tesi dietro il suo modo di filmare sono sempre molto evidenti. Questo film non fa eccezione e anzi spinge più che mai sui contrasti manichei tra bellezza e squallore, forza e debolezza, spirituali e letterali, fin quasi alla maniera. Raggiunge tuttavia un risultato non scontato laddove, pur essendo in realtà un lavoro molto scritto, dove tutto, fin dal primo istante, è pensato per tornare a domandar vendetta, la direzione degli attori e la qualità dei dialoghi ci distraggono magistralmente, facendo sì che non ce ne accorgiamo quasi mai. La capacità del miglior cinema di Audiard di scartarsi da un percorso troppo rigido o incline alla retorica, questa volta non si manifesta né a livello di soggetto né di regia ma si ritrova più sottilmente nelle pieghe della messa in scena, nei gesti e nelle espressioni degli attori.
Fabio Greg Cambielli, Coopenaghen