Oggi la liturgia ci presenta il 2° racconto della risurrezione, meglio della Pasqua, secondo san Luca (24). È il racconto più articolato e ragionato rispetto a quelli sobri e rapidi di tutti i vangeli.
È un racconto che non riguarda solo i 12, ma i discepoli Cleopa e forse una donna, sua moglie che vivevano lo sconforto, l’incomprensione, l’amarezza. Questo riguarda la prima Chiesa, ma anche quella di oggi se ci pensiamo bene.
Il contesto temporale del brano è la fine del giorno dopo il sabato, ci dice la lentezza della fatica di capire, di riconoscere, di riprendere la gioia. Quel giorno dopo il sabato è stato un giorno lungo, come tutti i giorni in cui siamo chiamati a ricomprendere il senso delle cose: un lutto, un imprevisto grave, una rottura… La risurrezione, ancora oggi, non è cosa facile da comprendere; una vita che sa guardare le cose dal punto di vista di Dio in Gesù non è cosa facile.
C’è una lentezza dell’incomprensione del raggiungere una comprensione che atterrisce e sbilancia.
Dopo il contesto del tempo, c’è il contesto delle relazioni tra i personaggi.
È questo il racconto del litigio, perché il verbo che è stato tradotto con “discussione” (24,13) nella sua origine è proprio “litigio”, termine che è usato più volte nei vangeli quando non si vuole comprendere chi è veramente Gesù, ricordiamo solo il litigio dei due apostoli che volevano essere i primi!
«Vi è una dimensione di violenza nelle parole che i due si scambiano e si gettano l’uno contro l’altro: Gesù stesso svela questa violenza delle parole e dei cuori usando il verbo antiballein, “scagliare contro”, per indicare le parole che essi si scambiavano in cammino (,17). La divisione è certamente nei confronti di Gesù che essi non riconoscono, ma anche nei confronti della storia che hanno vissuto e delle persone con cui pure fino a poco prima condividevano il cammino.»
Le situazioni difficili, quelle drammatiche spesso portano l’uomo a litigare, a scagliarsi contro, piuttosto che a tessere la fatica della comprensione per la ricerca di una soluzione. (Pensiamo alla fatica dell’Europa nel tessere qualche cosa di utile per tutti, anche se pare qualche cosa verso il meglio si stia muovendo!)
Solo al termine del racconto quando i due si ritroveranno con gli altri a Gerusalemme leggeremo:
«“Essi raccontavano le cose accadute lungo il cammino e come si era rivelato a loro nello spezzare il pane”. Questa frase che conclude il racconto dell’esperienza pasquale dei due discepoli di Emmaus sintetizza in modo meraviglioso il senso dell’esistenza cristiana di ogni discepolo di Gesù Cristo.» Che cos’è la novità cristiana se non vivere la normalità della vita, con le gioie e le tristezze, le speranze e le angosce, illuminata, interpretata, dall’evento di Cristo che si rivela nella condivisione del pane spezzato?
Poi c’è un contesto pedagogico.
La pedagogia di questo brano è insegnarci a vedere e vivere la vita con gli occhi di Gesù.
Quando Gesù riprende le Scritture e i gesti che aveva compiuto non lo fa solo per guardare indietro, bensì per insegnarci la giusta memoria illuminata dalla risurrezione. Leggere, capire, vivere, spezzare il pane non come cronaca storica ma con gli occhi di Gesù risorto e vivo. È ciò che forse molti cristiani non comprendono oggi.
Infatti se prima i due parlavano al passato, Gesù aprirà loro il presente e il futuro, quel futuro che permetterà di tornare correndo a Gerusalemme a condividere la gioia e l’amore di Dio per l’umanità.
Questo brano ci insegna perciò a non vivere di passato ma di un futuro che sostenga il nostro presente.
Il contesto dell’abitudine.
Questo brano ci insegna a non scadere nell’abitudine e nel chiudersi in se stessi, ma ad aprirci continuamente alla vita, perché Cristo è vita.
L’abitudine alla tiepidezza, l’abitudine di sapere sempre tutto, l’abitudine di starcene in pigiama nelle proprie case pensando che le cose non possano cambiare. (in questi giorni in casa come vi vestite? Non è una domanda di moda, ma di attenzione a come vogliamo reagire alle cose!)
Per correre con Cristo non possiamo stare in pigiama, è necessario essere vestiti, svegli e pronti per non rischiare che il Signore ci venga accanto e passi oltre perché siamo impegnati a badare solo a noi stessi.
L’altra sera in un incontro con i nostri giovani il vescovo Giovanni Peragine ci ricordava le centinaia di migliaia di bambini di Aleppo (ma non solo) che in 10 anni non hanno ancora avuto un giorno di pace e noi pensiamo di essere gli unici a soffrire…
Ci ricordava che in Albania pur avendo meno problemi sanitari di virus però sono aumentate le conseguenze: dalla povertà alla miseria (nessuno ti può portare a casa la spesa!).
Dio è un’abitudine o una novità?
Dio non è una abitudine accanto a noi, Cristo vuole entrare in casa e stare con noi, in mezzo a noi, abbiamo letto domenica scorsa. Ecco la novità, un amore dirompente che vuole stare nella nostra casa, con la sua parola, con la fraternità della Chiesa, con la carità di un pane spezzato, con la voglia di correre ad annunciare che Cristo è risorto, è veramente risorto.