Cari amici, ritengo utili riportare questo breve scritto di Aldo Nove, pubblicato su Avvenire, domenica 7 giugno 2020, perché ci illumina un poco sul nostro rapporto con gli adolescenti.

La maggior parte delle persone che perdono la fede lo fanno in quel difficilissimo periodo detto “dell’età evolutiva” o, più semplicemente, “adolescenza”. Il Paradiso (o l’Inferno) dell’infanzia termina con un’estrema turbolenza in cui alla mutazione del corpo corrisponde, lo sappiamo tutti, una serie di esperimenti di orientamenti “autonomi” sanamente rispondenti all’affermazione di un “io” adulto ma ancora del tutto in formazione, davvero perfettamente ritratto da Collodi nelle avventure del suo burattino (che è un ragazzo, non un bambino) in virtù del suo libero arbitrio e ragionamenti e affezioni che gli siano proprie, il tutto di fronte al prospettarsi del fardello delle responsabilità a cui va incontro. Allora tutto viene messo in discussione. Messo in discussione non vuole dire essere negato, ma posto alla prova dei fatti. Un semplice fatto personale: da bambino, in qualità di capo-chierichetto del paese, andavo a messa tutti i giorni. Da solo. Poi, la domenica, con i miei genitori che, seppi dopo stanchi e malati, smisero di frequentare la messa domenicale. Chiesi loro perché avevano smesso. Non mi risposero e mi dissero “Vacci tu!”. Così smisi di andarci. Per anni. L’adolescenza è un periodo delicatissimo. Un gesto, una parola, possono cambiare le nostri sorti.
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