Cari GiovaniBarnabiti.it buon 7° compleanno!
Con tante idee e non pochi sforzi di organizzazione eccoci a un altro compleanno che quest’anno vogliamo festeggiare chiacchierando con don Matteo Zuppi, cardinale di Bologna che gentilmente mi ha accolto per parlare di … comunicazione e giovani. Grazie cardinal Matteo da tutti i GiovaniBarnabiti.
Ma grazie a tutti coloro che ci stanno aiutando come scrittori e come lettori!
Buongiorno don Matteo, grazie per l’accoglienza tra i suoi mille impegni! E al dono che ci porge per festeggiare il 7° compleanno di una piccola produzione comunicativa.
I barnabiti hanno sempre coltivato la cultura specialmente tra i giovani; a dei giovani che vogliono scrivere, ragionare, comunicare questo cosa augurerebbe o cosa chiederebbe?
Innanzitutto di sottrarsi alla logica digitale, perché molte volte purtroppo la logica digitale condiziona anche lo scrivere. Lo stile, il modo in cui si descrivono le situazioni o le preoccupazioni che si vogliono condividere, con la scrittura mostra una estraneazione da sé e quindi una introspezione necessari per comunicare ad altri. Dobbiamo saper scrivere senza la logica di “chi arriva prima”, con una certa velocità che distrugge la profondità. È necessaria una comunicazione che davvero metta al centro il contenuto pur ugualmente trovando una capacità di comprensione, un’efficacia di trasmissione che raccolga tutto il fatto.
In un momento come questo della pandemia, penso che dobbiamo, possiamo anzi, condividere i tanti modi con cui abbiamo vissuto tutti la stessa situazione; una condivisione profonda dei vari sentimenti e reazioni, delle varie fatiche e considerazioni senz’altro aiuta a non far passare invano questo tempo così drammaticamente importante.
Noi non siamo dei giornalisti certificati, scriviamo per hobby, ma riteniamo che questa fatica sia necessaria e utile; scriveva un mio amico gesuita: “la fatica della riflessione è la fatica di essere liberi e aiuta altri a diventare liberi”: cosa pensa di questa affermazione così forte?
Giustissima perché la riflessione aiuta un’auto coscienza, una consapevolezza e la comprensione delle cose della storia del mondo nella quale altrimenti si finisce prigionieri o catturati dallo spazio e non dal tempo, per riprendere sempre le così tanto efficaci indicazioni dell’enciclica “Evangelii Gaudium”. È chiaro che è importante anche la comunicazione perché questa deve trasmettere, ecco il nodo, la profondità.
Davvero l’uomo oggi fatica a riflettere, a ragionare o questo forse è solo un ritornello?
Facciamo più fatica perché siamo digitali perché c’è un uomo digitale che si sta formando che in qualche modo già qualche volta scambia la rapidità della comunicazione per la profondità della comunicazione o la quantità di comunicazione per la conoscenza. Facciamo più fatica perché siamo compulsivi mentre, al contrario, c’è tanto bisogno di tempo per una comprensione profonda del comunicare e dell’ascoltare. Spesso poi evitiamo le fatiche in senso stretto, pensiamo che si possa arrivare immediatamente al risultato: non è così, soprattutto quando si devono comunicare le cose vere e profonde della vita, della persona.
Mi colpisce per esempio nell’enciclica “Fratelli tutti” il commento così intelligente sul buon samaritano; papa Francesco dice: “Che cosa ha regalato il samaritano al malcapitato?”. Il tempo, perché c’è bisogno di tempo, non è che ti regalo una prestazione di servizio e con la ottimizzazione “prima faccio meglio è”, no! Ti regalo il tempo che è anche un modo per non buttarlo da un altro punto di vista, perché poi in realtà l’uomo digitale butta via un sacco di tempo.
Ma i giovani oggi, quelli che riesce a frequentare o vedere, per certi versi fanno molta più fatica di quando avevamo noi 15/17 anni?
Io direi diversa. Diversa perché da una parte fanno meno fatica in quanto comunicano moltissimo, per certi versi molto di più di quanto comunicavamo noi; c’è una quantità di comunicazione, di emozioni, superiore e diverse. Io mando le foto, mando i miei racconti, mando la musica, mando tutti i modi per comunicare qualcosa di me; non è scrivere una lettera, no, che richiedeva però anche un altro tipo fatica. Da una parte si fa meno fatica dall’altra parte si fa più fatica perché troppe volte siamo molto nell’emozionale. Ma noi dobbiamo sempre passare dall’emozionale all’interiore altrimenti si vivono tante emozioni e non riusciamo a farne tesoro qui è la vera sfida, qui la fatica per non saltare il sapere ineludibile della profondità delle cose.
A questo proposito poiché i ragazzi faticano a parlare anche faccia a faccia ho scritto e inviato una lettera personale: tanto stupore ma nessuno ha risposto!
Certamente la comunicazione, l’emozionale l’interiorità è un mondo importante, qui però si apre il problema non solo di una comunicazione migliore, ma anche di una comunicazione falsa. Come riuscire a evitare le notizie false su di sé, sulla vita intorno a noi?
E questa è una delle grandi sfide perché apre all’utilizzo del discernimento. Ci sono delle esperienze che sicuramente ci aiutano in questo, perché molte volte distinguere le fake dalle vere news non è facile, però dopo l’esperienza ti dà qualche indicazione in più, qualche parametro in più, per non accettare tutto come vero.
Forse siamo anche talmente immersi di notizie che ci diventa difficile…
Ci sono anche delle fake news che oltre a essere distorte sono anche quelle che non servono a niente. Se tu sei uno che si informa e quindi hai i riferimenti dati dalla cultura è più facile capire le notizie false dalle vere, se invece sei ignorante, se non conosci il mondo, la storia intorno a te, è molto più facile credere a qualunque cosa, essere molto più vulnerabile.
All’opposto del falso c’è la verità: in poche parole può dire qualcosa sulla verità o cos’è la verità?
Questa è una bellissima domanda che qualcuno fece un po’ a sé stesso e un po’ a Gesù. È una domanda a cui diamo una risposta pratica ma può sembrare una domanda filosofica, e lo è anche. La filosofia ci aiuta nell’arte della vita, a non perdersi nel ragionamento, in quel ragionamento che molte volte fa coincidere la verità solo con quello che ho, con quello che io sento, con quello che io possiedo.
La verità per noi cristiani è Gesù: questa è un enorme liberazione, sia dalle finte verità di noi stessi sia dalle terribili e spietate verità di noi stessi perché poi ad un certo punto possono anche diventare spietate quando ci dobbiamo confrontare con i nostri limiti. Che la verità sia Gesù ci aiuta non a scappare ma a misurarci con lo sguardo molto più largo, molto più profondo verso noi stessi di quello di cui noi stessi siamo capaci. Una verità che non è moralista è una verità che ricorda ma anche sa andare oltre e una verità aperta non è mai una verità chiusa, compiuta e ripeto, una verità non moralista. Molte volte il moralismo fa credere di capire la verità dell’altro, spesso invece è un modo per allontanare l’altro.
Aprendo una parentesi, sono d’accordo sulla verità aperta, ma la difficoltà è che non sempre nell’interlocutore trovi questa capacità di aprirsi. Lo vediamo forse anche in questo dibattito sul decreto Zan: la linea di molti cristiani o anche di Avvenire è una linea, comunque, di confronto e di dialogo che però non sempre si riscontra dall’altra parte.
Il fatto è che nel passato abbiamo costruito troppi muri e pochi ponti, mentre la capacità di dialogare richiede anche un superamento di sé, la capacità di andare oltre i propri parametri, oltre le proprie “verità” per questo che la verità sia in Gesù e Gesù è qualcosa che ci aiuta diciamo così a saperla cercare, a saper cogliere la verità dell’altro.
I giovani faranno più fatica o meno a cercare la verità?
I giovani come tutti quanti noi facciamo una gran fatica quando non la cerchiamo perché diventiamo prigionieri di noi stessi. Quando poi la verità diventa “io” è terribile, perché non è vera, perché è distorta. Ma se siamo in maniera anche molto faticosa alla ricerca di qualche orientamento che appunto spieghi, che risponda, questa è la verità, per cui penso che per fortuna per noi la verità è Gesù.
Costruire ponti è faticoso ma necessario. Devo chiederglielo per forza, per quale motivo i giovani fanno così fatica a credere oggi in Dio e si allontanano dalla Chiesa?
Ci possono essere varie risposte, uno, per la semplice fatica che facciamo tutti quanti noi, perché nostro Signore ci lascia liberi e quindi dobbiamo saper scegliere, e qualche volta non sappiamo scegliere, perché credere in Dio non è mettersi una camicia, non è schiacciare un bottone, non è mettere una firma, è una scelta interiore, in questo senso, non ci deve scandalizzare che ci sia sempre una fatica. Poi c’è la fatica della Chiesa, per cui molte volte molti dicono “io credo in Dio non credo nella Chiesa”, non si ha Dio come Padre se non c’è la Chiesa come Madre e qualche volta la Chiesa ha dato testimonianza negativa e questo chiaramente allontana.
Questa fatica credo faccia parte di un cammino anche ciclico della Chiesa che però può diventare l’occasione per una riforma più forte più sicura…
Questo lo speriamo perché ce n’è un grande bisogno, soprattutto di maggiore autenticità purché espressa con vicinanza, non umiliando l’altro. La vicinanza non significa compromesso, non significa svendita. Io sono vicino proprio perché non ho timore, perché sono qualcosa che non ho timore di perdere.
Con questo invito a una autenticità vicina all’altro chiudiamo il nostro incontro, ma apriamo un rinnovato lavoro per tutti noi e per il nostro blog. Grazie don Matteo e … buon compleanno GiovaniBarnabiti.it