Qualche settimana fa, verso i primi giorni di agosto, sono andato al cinema per vedere Barbie; nuovo film di Gerwig che racconta l’epopea della bambola Mattel alle prese con pensieri di morte e femminismo. Nonostante il film fosse uscito da ormai diversi giorni, la sala, in un mercoledì sera, era lo stresso gremita di persone, fra cui moltissimi ragazzini e ragazzine, vestite per lo più di rosa. Il pubblico non era certo il solito depresso di una serata qualunque di agosto in Milano, le persone erano ben felici di essere presenti e trepidanti di iniziare la visione che vedeva come protagonista Margot Robbie e Ryan Gosling nei panni rispettivamente di Barbie e Ken.
La trama è molto semplice, siamo nel mondo Barbie e Margot Robbie che interpreta la bambola stereotipo (bionda e occhi azzurri) viene assalita da pensieri di morte e altre situazioni che la portano presto a confidarsi con Barbie Stramba la quale le consiglia di andare nel mondo reale. Barbie va quindi nel mondo reale accompagnata da Ken. Qui la sceneggiatura regge grazie a diverse trovate divertenti e gag di Gosling, su tutte quando chiede a Barbie di dormire insieme senza un apparente motivo. Poi ancora, il film presenta diversi balli, canti e altre battute giocate sui luoghi comuni e infine la scoperta di Barbie che il suo femminismo non ha influenzato il mondo degli umani, anzi! Nel mondo comandano solo gli uomini.
In questo film ci sono però diversi snodi importanti e svariate incoerenza di sceneggiatura che non tolgono il divertimento e le riflessioni sulla contemporaneità. Andiamo con ordine.
Il motivo con il quale Barbie viene richiamata nel mondo reale è molto macchinoso. Il film Barbie è costato meno di 150 milioni di dollari, ma le sceneggiature in quella parte lasciavano molto a desiderare. Secondo, c’è stata troppa pubblicità. Anzitutto con Mattel, che è legittima in quanto ha prodotto il film con Warner Bros, ma il culmine si è raggiunto con il noto brand tedesco che produce sandali unisex. Non è un caso che le azioni della Birkenstock siano schizzate alle stelle dopo il primo giorno del film. Infine, sempre a mio avviso, il film dal punto di vista della sceneggiatura aveva delle lacune anche in base al contesto nel quale i personaggi si trovavano. Nel mondo Barbie mi va bene che i personaggi fluttuino, ci siano passaggi segreti e altro, ma nel mondo reale non l’ho trovato molto carino. Come non ho trovato molto carino utilizzare lo stereotipo dell’uomo che ama soltanto il cavallo (forza), la palestra (bel fisico) e la carriera (soldi) per descrivere i Ken. Dal film quasi tutti i Ken sembravano avere un alto tasso di deficienza, nel senso che sembravano tutti dei bambini in corpi di adulti.
Tutte queste cose, in un film con un gran bel potenziale, non mi sono sembrate sposarsi bene con il bel messaggio che Greta Gerwig voleva lasciare. Ovvero quello che la multiculturalità diventi la normalità. Non mi sono sembrate sposarsi bene perché ha rischiato uno di non farsi capire da tutti, magari sopravvalutando il suo target (ricordiamo che in sala c’erano e ci saranno molti bambini) e due perché è andata un po’ a screditare i Ken facendoli passare per bamboccioni cadendo nello stereotipo dell’uomo medio. Infatti la prova del nove, l’ho avuta quando fuori dalla sala ho sentito bambini chiedere ai propri genitori di spiegare dei passaggi e soprattutto chiedere se gli uomini fossero sempre cattivi. Probabilmente il bambino aveva paura di crescere come i Ken.
Il successo del film mostra però che il cinema, nonostante quel che si diceva qualche anno fa durante il Covid, non è morto e le sale si riempiono anche nelle sere di mezza estate. Bisogna però produrre film che portano le persone al ragionamento e non solo film commerciali privi di messaggi.
Marco C. – Milano