16 agosto 2025, Seminário Mãe da Divina Providência – Benevides – Pará, Brasile

Durante i giorni di missione qui in Brasile abbiamo avuto il piacere di conversare con il Professor Mario Tito, docente presso l’Università dell’Amazzonia (UNAMA), la Facoltà Cattolica di Belém e l’Università Statale del Pará (UEPA). Ma soprattutto il prof. Tito è anche un grande amico dei Giovani Barnabiti, nonché della Barnabiti APS ed ancora una volta ha deciso di dedicarci il suo tempo.
In Brasile, dove siamo venuti per il secondo anno consecutivo, abbiamo l’obiettivo di affiancare attività di promozione sociale e sensibilizzazione sul tema ambientale alle attività ludiche con i ragazzi, sia nelle scuole che nelle comunità barnabitiche di Benivedes. La fotografia verrà impiegata come medium poiché grazie alla sua immediatezza e universalità è un modo interessante per dialogare con i ragazzi brasiliani (vista anche le difficoltà di parlare lingue diverse) e ancor di più per stimolarli a studiare i luoghi che abitano con un nuovo sguardo, ma sempre attraverso i loro occhi.
Il prof. Tito, fortemente interessato al nostro progetto, ha sottolineato come questo permetterà di fotografare la situazione della foresta, la sua bellezza ma anche la sua devastazione e il degrado che troppo spesso si incontra nei dintorni di Belem, la capitale dello stato federale Pará che a novembre ospiterà la COP30.
Ritrarre la foresta e i suoi abitanti dal loro stesso punto di vista – ci ha detto il professor Tito – è un modo intelligente per insegnare qualcosa di pratico come la fotografia e allo stesso tempo sensibilizzare sulla preservazione dell’Amazzonia. Insegnare e riflettere insieme, al contrario dei conquistadores europei di oggi e di allora (il post-colonialismo è ancora realtà in tanti paesi del mondo), permette di lasciare un segno duraturo che potrà germogliare col tempo. O almeno questa è la nostra speranza.
Insieme ci sentiamo responsabili della cura della foresta polmone del pianeta, tesoro inestimabile di rara bellezza e testimone dell’immensa forza della natura. Ma i veri custodi non possono che essere i suoi abitanti, nonostante non tutti abbiano questa consapevolezza.
Spesso – ci ha spiegato il prof. Tito – gli abitanti non si sentono parte della floresta perché questo termine viene utilizzato per indicare le aree più ricche di vegetazione. Ma l’Amazzonia è così vasta da contenere città grandi e paesini, autostrade e fabbriche. Con circa 6 milioni di chilometri quadrati attraversa vari paesi: inizia in Venezuela e termina in Bolivia, ma è il Brasile a ospitarne la maggior parte, il 63%. Ecco perché oltre a floresta si può anche utilizzare la parola mata, un termine che include anche le zone più urbanizzate.
L’Amazzonia, grazie alle sue risorse, è un tesoro che fa gola a molti; in particolare alle multinazionali come Nestlé, Johnson&Johnson, Coca Cola, Pepsi, Heineken. Multinazionali che proprio a partire da queste ricchezze costruiscono i loro imperi.
Ad oggi – prosegue il professore – le attività che distruggono la foresta sono principalmente quattro: l’estrazione mineraria (in Amazzonia si ricavano oro, bauxite, allumina e terre rare), la produzione di soia (e in generale il settore agroalimentare), gli allevamenti intensivi e il prelievo di acqua.
L’Amazzonia, infatti, è la più grande riserva di acqua potabile al mondo. Proprio l’area di Benevides, ad esempio, è ricca di acqua dolce con qualità particolari. Importanti produttori di birra e bevande come Heineken o Coca Cola costruiscono proprio qui i loro stabilimenti.
Sempre rimanendo nello stato del Pará, recentemente sono stati scoperti nuovi giacimenti di petrolio nell’Atlantico di fronte a Belem. Il governo brasiliano, capitanato da Lula, sembra intenzionato ad autorizzare le estrazioni (seppur a certe condizioni), ma sarà uno dei temi caldi che verranno discussi nella COP30.

Come BarnabitiAPS tenteremo di apportare il nostro piccolo, forse per alcuni insignificante, contributo per un’inversione di rotta: l’Amazzonia non è una terra da saccheggiare ma da amare perché colma di biodiversità e culture.
Di fronte al disastro ambientale e sociale in corso, l’Europa non può non riconoscere le proprie responsabilità. Il modello economico inventato nel vecchio continente e poi esportato in tutto il mondo non è sostenibile e crea un divario sempre più ampio tra sfruttati e sfruttatori. Se gli interessi economici in Amazzonia sono così forti è perché il nostro mercato, il più ricco al mondo, richiede continuamente beni a cui non siamo disposti a rinunciare.
La nostra volontà è quindi innanzitutto quella di lavorare sui noi stessi e in secondo luogo di rendere più consapevoli gli abitanti della foresta, i primi a subire le cause dello sfruttamento dell’Amazzonia.

Luigi C. – Roma