10. Giuseppe, Aversa
Molto bello e oggettivo l’articolo da lei scritto. [Lasciare la poltrona per un trampolino sul quale farsi guidare quanto basta per spiccare il tuffo. Ndr.]
Rimanere sulla poltrona credo sia una frase emblematica di due elementi che “travaricano” nella nostra società.
Uno è l’incapacità di guidare se stessi, l’altro è l’impossibilità di agire per raggiungere un obiettivo che possa sublimare la nostra esistenza. La pigrizia, il restare sulla poltrona o sul trampolino ad aspettare quello che potrebbe essere il giorno giusto, sono uno degli ostacoli più grandi del cammino evolutivo di ognuno di noi.
Io le colpe di questo disfacimento, di questa pigrizia, di questa incapacità le do parzialmente alla Chiesa, ma dal punto di vista antropologico, per il semplice fatto che (condivido tutte le cause della Chiesa, perché non chiede carte di identità o documenti) accoglie il dolore qualsiasi esso sia, dal più comprensibile al più impossibile da comprendere; su questo c’è tutta la benevolenza e tutta la condivisione che è propria della funzione della Chiesa.
Mi trovo in contrapposizione quando si vede che fondamentalmente la fede, i portatori di fede (laici o consacrati) si ostinano a proporre strategie per affrontare il dolore o con un solo modello, univoco. Nel mio caso una sorta di ossessione mi ha portato a mettere da parte la mia persona, con l’intento inconsapevole di volermi distruggere. La complessità del mondo, dell’individuo che è spappolabile all’infinito è così articolata che non possiamo ridurre il cammino evolutivo personale o interpersonale, solo dietro a una parola di conforto che può guarire momentaneamente ma non di più.
Io sogno un giorno, se dovessi uscire da questa mia dimensione attuale, di vivere e lavorare nelle “sedi” del dolore o meglio, dove si cerca di esorcizzarlo.
La massima espressione della realtà maledettamente complessa nel quale siamo, vuoi o non vuoi, incastrati la vedo in drogati, alcolisti, anoressici, bulimici, orfani ecc… Le crisi di astinenza dei tossici, la psicopatia di una donna, il delirio di uno schizofrenico sono elementi che rappresentano l’essenza stessa della vita.
La sofferenza è alla base dell’apprendimento e dell’adattamento. Fino a che non ci si convince dell’oggettività di questo cammino, il dolore non verrà mai ridotto, nemmeno di un centimetro. Si cerca, invano, di poter sostituire il dolore con protesi materialistiche, che in certi casi non fanno che alimentarlo. Se il mondo non è l’inferno, resta sicuramente una trascrizione del Purgatorio.
[Ma forse il trampolino per la vita si può trovare! Ndr]