Fare politica secondo Lorenzo Guerini

Cari Amici di Giovanibarnabiti.it buon giorno!
Leggendo non sole le ultime cronache politiche, ma anche quelle più datate, la politica continua a non lasciare un bel segno di sé e sembra sempre più distaccarsi dal sentire della gente che comunque non ha perso la voglia di vivere e agire; l’ultima indagine di Ilvo Diamanti (La Repubblica, 8 aprile 2015) conduce proprio in questo verso, ciò nonostante della politica non si può fare a meno. Il cristiano poi è chiamato in modo particolare non solo a pregare per i propri governanti, ma anche a occuparsi della res publica. Per affrontare anche questo tema cerchiamo di disturbare qualche persona che di politica si occupa direttamente.
Partiamo da Lorenzo Guerini, vicesegratario del Partito Democratico e portavoce del primo ministro della Repubblica.

Buon giorno Lorenzo, sono qui con alcune domande elaborate da alcuni nostri giovani da diverse parti d’Italia; però, però la prima domanda è mia! Non per approfittare del mio ruolo, semplicemente per introdurci nel tema.
Cosa significa per te la parola politica oggi?
Prima di tutto significa servizio. La politica ha il compito di porsi al servizio della comunità per farla crescere attraverso un progetto ideale e concreto. Significa anche riconoscere le persone e le loro idee, anche quando diverse dalle mie. Solo così si può costruire una politica che avanza, che costruisce.

Guardando però quanto spesso accade nel Parlamento, il rispetto non sembra essere molto presente, piuttosto sembra una chimera.
Hai ragione, stiamo vivendo un momento difficile ma anche ricco di opportunità.

In questo tempo di riforme e di necessità di coordinarsi per cambiare le regole del gioco, è corretto secondo te un confronto, un parallelo con l’Assemblea Costituente?
Le situazioni sono molto diverse. L’Assemblea costituente era chiamata a ricostruire l’unità nazionale dopo la guerra, dopo la dittatura. Fu un confronto tra giganti, della politica, del pensiero, che ebbero la capacità di riconoscere insieme il bene del paese, senza abdicare ai propri principi ma con la capacità di metterli in relazione con quelli altrui. Un esempio che vale anche per l’oggi quando invece l’immediata relazione tra ciò che si produce in Parlamento e l’immagine che si vuole dare all’esterno nel rapporto con l’opinione pubblica, spesso prevale sui contenuti. È più facile voler realizzare solo la propria idea, piuttosto che la fatica del confronto e dell’ascolto per cercare una sintesi.

Diciamo che la cultura dell’immediato è entrata anche in Parlamento?
Si, questa cultura ormai è parte anche della vita politica. Da un lato questo è positivo, perché ci sollecita a essere capaci di dare risposte più veloci; dall’altro però è un approccio rischioso quando si devono affrontare percorsi complessi che richiedono più attenzione. La politica deve ritornare a fare i conti con la complessità. Noi abbiamo recentemente affrontato il percorso sulla riforma costituzionale ed è evidente che nella posizione di alcuni gruppi parlamentari ha pesato molto la valutazione dell’immagine verso i propri elettori, piuttosto che la fatica di costruire insieme l’incontro necessario per cambiare le regole istituzionali del nostro paese. Ma così ci si limita a restare alla superficie e si privilegia l’immagine alla sostanza.

Credo però questo sia un problema di tutti: vivere non l’istante, con la sua parzialità, ma il tempo, con la sua globalità.
Dipende anche da come si raccontano le cose. Se ogni fase deve avere un vincitore e un vinto, un promosso o un bocciato, se il tutto deve essere comunicato nell’immediato e il giorno dopo subito bruciato… si privilegia una pedagogia sbagliata. Con queste modalità risulta chiaro che si afferma una visione distorta della politica che invece richiede tempo e approfondimento: una vera e propria pedagogia della politica.

Hai parlato di pedagogia: esistono ancora delle scuole di politica?
La formazione è ancora oggi fondamentale, ma assai carente da parte di tutte le agenzie sociali e politiche, anche delle realtà prepolitiche. Non credo sia utile e fruttuoso affidare la formazione solo alle nuove tecnologie, pur molto importanti, perché il rischio è di lavorare in modo superficiale.

Questo discorso ci porta alla domanda successiva e a quelle pensate dai nostri ragazzi sparsi per l’Italia.
Io partirei da una tua concittadina, una lodigiana. Francesca chiede se è molto diverso, cioè quale è stato il passaggio dalla politica di una piccola città come Lodi a una grande realtà come l’Italia intera!
E poi chiede se il tuo è stato un percorso che ti sei costruito o, semplicemente, ti è accaduto; cioè c’era nella tua idea di fare politica il pensare di arrivare dove sei arrivato ora?
Il salto è stato sostanziale. Una cosa è fare il sindaco di una cittadina, che misura quotidianamente la tua insufficienza unitamente al bello di una comunità locale, altro è questo lavoro di vicesegretario di un partito grande, molto grande. Qui misuro maggiormente la mia inadeguatezza, quando sono chiamato a confrontarmi con altre dinamiche, specialmente quella della comunicazione, così difficile e insidiosa.
Il mio percorso politico è cominciato intorno ai 20 anni – ho sempre avuto passione per la politica – quando il mio parroco mi ha detto: ora devi fare di più! Ho cominciato dal consiglio comunale ed è cresciuta una esperienza che si è sviluppata grazie al mio impegno, ma anche all’aiuto di molte persone che mi hanno fatto capire le responsabilità del servizio. L’importante è non farsi inebriare e darsi tempo, ponendosi l’obiettivo di passare ad altri il testimone. Il mandato deve avere un limite.
L’uomo tende a pensarsi onnipotente, il politico forse di più…
Questa è un’esperienza lieve che nasce e finisce.

Da Genova Elena, chiede quanta attenzione avete per il mondo della formazione e per il suo rapporto con il mondo del lavoro.
A questo proposito c’è il progetto della buona scuola: si è concluso il percorso di ascolto che ha coinvolto tutti i protagonisti della scuola. Sono arrivate tante proposte e sollecitazioni utili che si sono tradotte in misure per il futuro della scuola. La scuola è centrale per il paese, per la sua crescita e competitività. È molto positivo che ci sia stato questo ascolto di chi la scuola la fa e la vive ogni giorno per pensare a un rinnovamento dell’intero sistema di istruzione.

A proposito di scuola Gregorio, di un liceo di Bologna, chiede cosa ne pensi del fatto che i giovani oggi siano così protesi nel lasciare l’Italia.
I giovani negli ultimi anni hanno ricevuto l’idea dell’Italia come un paese in cui non si possa progettare il proprio futuro. Io, noi, siamo stati educati a pensare la vita come un progetto. Oggi per un giovane è molto difficile fare lo stesso. Io penso che si può avere fiducia nella forza del nostro paese e il Governo ne sta dando prova attraverso le riforme che sta attuando. L’intervento sul lavoro vuole proprio colpire un punto di debolezza del nostro sistema. Il mercato del lavoro è molto frammentato e i giovani sono le prime vittime perché rimangono senza tutele. Siamo intervenuti proprio per creare un nuovo equilibrio tra lavoratori e imprese, per agganciare la ripresa che sta dando i primi seppur piccoli segnali positivi. Il mondo sta cambiando, vogliamo andare oltre i confini nazionali, ma anche creare un’Italia accogliente specialmente per i giovani. Occorre inoltre ripensare il welfare che oggi è basato su un sistema obsoleto in cui i giovani sono assolutamente tagliati fuori da molti punti di vista. Non possono pensare a una pensione sicura, c’è il problema del sostegno al lavoro per chi ha famiglia, del sostegno all’acquisto di una casa. Abbiamo parlato negli anni molto di politica, ma poco di politiche!

Certo sulla famiglia dovremmo ragionare di più, pensiamo solo al tasso di natalità più basso di Europa, anche tra gli immigrati ormai.
Ragionando su futuro e prospettive, da Milano Sarah, stufa di vedere continue strade in costruzione chiede se sono realmente necessarie tutte queste Grandi Opere che hanno distrutto le campagne della Lombardia!
L’Italia aveva e ha ancora un deficit strutturale di viabilità. Ritengo però la scelta di puntare sulle strade ferrate, sulla ferrovia, importante e prioritaria. Nei decenni scorsi è stata consumata una quantità di territorio davvero esagerata per realizzare abitazioni non vendute. A questo poi si lega un campanilismo esasperato incapace di fare sistema per crescere insieme e coordinare i bisogni, piuttosto che moltiplicarli. L’individualismo di cui parlavano prima si rileva anche in queste realtà. Però stiamo assistendo a un’inversione di tendenza, riguardo sia alle norme, sia alle scelte di crescita di cubature edilizie, pensiamo per esempio alla scelta volume zero per puntare invece al recupero efficace dell’esistente.

Scendendo verso il centro, da Roma Beatrice chiede:
Il papa vende i suoi regali per i poveri: quanti politici rinunciano ai propri benefici?
Sicuramente la politica non ha dato una buona immagine di sé negli ultimi decenni. Devo dire che sulle indennità dei parlamentari si sono già fatti interventi, ma si può fare sempre di più. Inoltre c’è bisogno di equilibrio: se pensiamo ai sindaci, verifichiamo una indennità molto bassa rispetto le responsabilità che hanno. Detto questo gli sprechi vanno combattuti e vanno contenute le indennità e controllati i vitalizi. Ricordo solo che intanto abbiamo abolito il finanziamento pubblico ai partiti, per impulso soprattutto del PD.

Da Napoli invece Francesca chiede cosa stiamo facendo per questo grande problema internazionale dell’Isis.
Il tema del terrorismo internazionale è complesso, viene da lontano ed è molto delicato. Scontiamo una certa superficialità dell’Occidente nel leggere i mutamenti profondi che attraversano il mondo. Così come non abbiamo capito il fenomeno dei terroristi di terza o quarta generazione nati e cresciuti in Europa. Oggi è necessaria molta diplomazia, cooperazione internazionale più compatta e coesa rispetto a ieri, un protagonismo dell’Unione europea che finora non si è visto. Immaginare una possibilità militare deve essere solo una extrema ratio quando e se le armi della politica sono state giocate tutte e sono risultate insufficienti. Ma io rimango comunque molto prudente e penso che solo con la politica e il dialogo si possa fronteggiare chi invece agisce con violenza contro gli stessi dettami dell’Islam.

Mattia, infine, chiede cosa significano oggi parole come legalità, onestà e coerenza.
Legalità significa che tutta la vita pubblica deve essere rispettosa delle leggi. Non si deve essere indulgenti. La politica poi deve fare delle scelte, e non di convenienza. Anche se si dovesse perdere qualche voto non si può rinunciare alla coerenza e alla chiarezza. Occorre tenere molto alte le antenne e non girarsi dall’altra parte o cercare accomodamenti, sulle piccole come sulle grandi questioni. Stiamo facendo un bel lavoro con l’Autorità anticorruzione e la presidenza di Raffaele Cantone. Però deve crescere il rispetto della legalità ed è un bene che si accertino tutte le responsabilità. Il senso di legalità serve sì per controllare le grandi opere, ma deve crescere anche nella coscienza delle persone.

Ultima domanda – anche perché vedo sul tuo tavolo tanti fogli e giornali che presumo dovrai leggere. – Non tutti ma buona parte sì. A chi ti ispiri nel tuo lavoro, chi ti riqualifica, quindi cosa consiglieresti a dei giovani che volessero impegnarsi in politica?
Ognuno ha i suoi percorsi. Io sono stato molto stimolato da Emmanuel Mounier e dal suo personalismo comunitario, dall’esempio di De Gasperi, e poi da Aldo Moro, specialmente da una sua frase: “in aderenza alla realtà per dominare con intelligenza gli avvenimenti”.
Oggi invece sto leggendo Hans Jonas, un filosofo ebreo, sul principio della responsabilità.
Non è sempre facile mediare tra ciò che leggi e ciò che devi fare, però avere riferimenti alle spalle, non tanto per imitazione ma per continuare a costruire, è bello, ti aiuta. Dobbiamo tornare a pensare e ad approfondire per dominare con intelligenza gli avvenimenti. Dobbiamo usare l’intelligenza per cambiare la realtà. Una politica che non è in aderenza alla realtà non lavora per l’uomo. Ma una politica che non domina gli avvenimenti rischia di farsi guidare invece che guidare le trasformazioni.

Su questo pensiero: usare l’intelligenza per capire e cambiare la realtà e su quello dell’inizio del nostro incontro: capire l’avversario, confrontarsi con lui per costruire il bene comune saluto e ringrazio Lorenzo Guerrini e auguro buon lavoro.
Grazie a voi e a tutti i vostri ragazzi di Giovanibarnabiti.it.

non è facile fare Pasqua oggi

Cari amici, con ritardo per ovvie questioni d’impegni di lavoro!

 Non è facile celebrare la Pasqua oggi.

Non è facile perché abbiamo nel cuore e negli occhi i nostri fratelli cristiani uccisi da una violenza inaudita e inumana, solo perché cristiani, solo perché ogni domenica ancora frequentano le proprie chiese nonostante il pericolo della persecuzione, in beffa alla nostra accidia religiosa occidentale!
Non è stato facile celebrare la Pasqua per i primi amici di Gesù, per quelle donne amiche di Gesù, vere protagoniste della Risurrezione: la speranza nata dall’amicizia con questo uomo di nome Gesù era morta.
L’uomo in cui avevano creduto, forse il Dio che avevano cominciato a riconoscere in Gesù, era oramai chiuso in un sepolcro, schiacciato da una grande pietra.
Le donne vanno al sepolcro, più per pietà che per speranza e portano oli e aromi per il corpo, il corpo morto di Gesù. Non c’è più nulla da fare, c’è solo il problema di spostare una grande pietra!
Non è facile oggi celebrare la Pasqua se siamo solidali con tutti i nostri fratelli cristiani che stanno rischiando la vita a causa del Vangelo.
Come celebrare la Pasqua sapendo che il sepolcro non può nemmeno contenere tutti i 147 giovani keniani, i 50 pakistani, i 21 copti, i … e quanti altri insieme sono periti.
Chi toglierà la pietra del dolore, la pietra della nostra incomprensione?
Chi toglierà la pietra di questa violenza inaudita e inumana?
Scriveva ieri sul Corriere della Sera uno scrittore, non un teologo, un filosofo o un tecnico, ma uno scrittore, perché certe cose solo la letteratura sa scriverle:

«Siamo in buona parte educati e terzomondisti, ma resiste in noi un nocciolo di apatia, ed esso non conosce evoluzione, ragiona in maniera istintiva o non ragiona affatto. Cambiare colore alla pelle dei ragazzi riversi fra le sedie e le chiazze di sangue rappreso cambia ancora qualcosa nella nostra reazione. … Se azzeriamo per un istante la distanza dal Kenya e l’alterità rispetto a quel luogo, Garissa, che fino a giovedì non avevamo sentito nominare; se ignoriamo il fatalismo irriducibile che ci coglie quando i flagelli si abbattono sull’Africa, riconoscere nei cadaveri della fotografia degli studenti in tutto simili a quello che siamo o siamo stati – riconosceremo noi stessi. Perché questo è il punto: i ragazzi dell’università di Garissa sono stati trucidati perché ci assomigliavano, perché cristiani e attratti dalla stessa cultura universale sulla quale si fonda ogni nostro atto quotidiano. Il loro peccato imperdonabile era di essere come noi. … Se potevamo sentirci solo tiepidamente partecipi davanti alle immagini affini dei massacri in Rwanda, stavolta l’esercizio di immedesimazione è un obbligo. Sapremmo tollerare la stessa impietosa prospettiva aerea nei cortili della Sapienza, della Sorbonne, della Federico II?, che una qualunque delle nostre università venisse trasformata per un giorno in una fossa comune? Io non riesco neppure a immaginarlo. Eppure, a quanto pare, è già successo. (Paolo Giordano)

Non è facile celebrare la Pasqua oggi e noi ancora vogliamo andare al sepolcro, ma quali oli e aromi vogliamo portare a questi nostri fratelli perseguitati?
Possiamo portare solo gli aromi della preghiera, vera e unica radice della pace.
Possiamo portare solo gli oli della mitezza, l’unica e vera virtù del cristiano capace di scardinare la pietra del male e dell’apatia dell’Occidente illuminista.
Questi sono gli oli che possiamo portare quest’oggi insieme alle donne dei Vangeli, se vogliamo ancora cantare: Cristo è risorto, è veramente risorto! Alleluia!

 5 aprile 2015

santa Pasqua 2015

 

bimba sirianaicona copta USA

Cari amici,

la Pasqua è alle porte, con il suo percorso dall’Ultima Cena, attraverso la Morte e Sepoltura, alla Risurrezione.

Un percorso per pregare e … pensare!

Penso alle fotografie dalla Siria, della bimba con le mani in alto spaventata da una macchina fotografica scambiata per fucile; all’icona dei 21 cristiani copti uccisi sulle rive del Mediterraneo; a tutti gli uomini vittime di una male che forse più di ieri sembra insidiarsi tra noi.

Penso a quell’Uomo che condivide un pezzo di pane e un goccio di vino con dei suoi amici, che siamo noi, e ne ottiene non solo un tradimento, ma una crocefissione. E nonostante ciò ha ancora la forza di accogliere il ladrone pentito poco prima di morire. E comunque scende nel profondo degli inferi per schiacciare ed estirpare la radice del male. E quindi risorge, ma non per se stesso, perché quell’uomo è La Vita, bensì per noi affinché sappiamo ancora credere alLa Vita e vivere La Vita.

Penso alla Madre di Dio che ai piedi della Croce accoglie il suo Figlio per ridonarlo, per farlo rinascere per noi, lei che umanamente lo donò a noi a Betlemme ora lo dona a noi per sempre insieme al suo Spirito.

Proprio perché penso tutto ciò credo che si possa ancora celebrare, nel 2015, il Giovedì santo, il Venerdì santo, il Sabato santo e la Domenica di Risurrezione.

Grazie a tutti voi, piccoli, giovani e adulti che mi avete permesso di prepararmi a celebrare una buona Pasqua: non smettete di fare il bene: questa è la vera Pasqua.

Santa Pasqua a tutti voi

Giannicola M. prete

Inflazione: arma a doppio taglio

Ultimamente sta molto a cuore ai politici e agli economisti (quelli che operano a livello europeo, in verità) il tema dell’inflazione (o, meglio, della deflazione, visto il periodo che si sta attraversando!), attendendo che si realizzi l’obiettivo fissato di un’inflazione pari al 2% annuo da parte della Banca Centrale Europea (da ora “BCE”).

L’inflazione, in poche e, economicamente parlando, “volgari” parole, è la variazione percentuale del livello generale dei prezzi nell’unità di tempo (solitamente annuale o, talvolta, trimestrale).

A rigor di logica, se per ogni euro che si spende, dovesse corrispondere un euro che si guadagna, all’aumento generale dei prezzi, non dovrebbero esserci troppi problemi, poiché, all’aumento generale dei prezzi, dovrebbe anche corrispondere un aumento generale dei redditi; questo fenomeno è abbastanza percepibile per i cosiddetti “imprenditori”, i quali guadagnano in base alla quantità che vendono e a “a quanto”: se, quindi, il livello generale dei prezzi si alza, possiamo presumere che anche il loro redditi, “a nominale”, si alzano. Ma cosa significano “nominale” e “reale”? Per “valore nominale”, in questo caso della moneta, intendiamo il valore teorico, cartaceo, ciò che “in teoria la moneta vale”; se, ad esempio, siamo abituati a comprare, con 1€, un kg di pane, il “valore nominale di 1€ è un kg di pane: se però durante l’anno vi è un tasso di inflazione pari al 3%, il valore nominale rimane 1€, mentre il “valore reale” diventa 1,03€, che sarà il nuovo prezzo per un kg di pane. Per quanto riguarda, invece, il reddito dei cosiddetti “dipendenti”, molti di loro hanno un contratto di lavoro indicizzato al tasso di inflazione (in tal caso, la loro retribuzione cresce di pari passo con il tasso di inflazione), soprattutto per i contratti “a tempo indeterminato”. Ma quindi l’inflazione non è un problema? Non proprio; poiché ad aumentare sono tutti i prezzi (si parla a tal proposito di “aumento generale dei prezzi”), la moneta perde valore.

E reddito cosa significa? Da una parte è ciò che un individuo percepisce in forma monetaria attraverso il proprio lavoro, dall’altra, la quota di reddito che l’individuo decide di non spendere e, quindi, di risparmiare (è pur sempre il suo reddito!). Se un individuo decide di detenere come risparmio sul proprio conto corrente 100 €, percependo dalla banca un “guadagno” (rappresentato dagli interessi a favore in conto corrente) annuo sulla propria giacenza dell’1,5%, a fine anno vedrebbe il proprio risparmio passare da 100 euro a 101,5 €.

Se però durante quello stesso anno il tasso di inflazione è del 2%? Per capire affidiamoci a un semplice passaggio algebrico: 100 – 2 + 1,5 = 99,5 €; in sostanza, come si è dimostrato, il risparmiatore ha perso denaro, certo non tangibilmente; a termine nominale ha in conto corrente 101,5 €, ma in termini reali, ossia sottraendo il tasso di inflazione, ha perso potere d’acquisto: ha perso denaro.

Ma “da cosa è generata l’inflazione”?

Tra le diverse cause, quella più studiata e riscontrabile nella storia dell’economia è l’aumento di quantità di moneta all’interno di un’economia.

Secondo tale teoria, infatti, l’inflazione è generata da un aumento eccessivo della quantità di moneta rispetto all’aumento della produzione di merci. La moneta immessa nel sistema economico, finendo nelle mani degli individui, prima o poi verrà da costoro spesa nell’acquisto di merci. Se la produzione di queste non può essere espansa perché il sistema economico è in una situazione di piena occupazione (cioè gli impianti e i macchinari sono pienamente utilizzati e non vi sono lavoratori disoccupati), si avrà una domanda di merci superiore all’offerta e un conseguente aumento dei prezzi delle stesse, cioè del livello generale dei prezzi.

L’inflazione può anche essere definita una “lama a doppio taglio”, poiché una moderata inflazione, che cammina di pari passo con l’espansione dell’economia (grazie alla domanda di beni e servizi che supera l’offerta e, di conseguenza, fa alzare moderatamente il livello generale dei prezzi) è considerata positivamente e contribuisce al buon funzionamento di un’economia; è stato, a questo proposito, utilizzato l’aggettivo “moderata” (inflazione): un’inflazione eccessiva può, infatti, portare a danni irreparabili.

Ricorderete tutti cosa avvenne durante la lontana seconda guerra mondiale in Germania: Hitler, che versava in gravi difficoltà finanziare, decise di sovvenzionare la propria guerra stampando la moneta necessaria. In quella sede, si ebbe una conferma tangibile che immettendo troppa moneta in un mercato si genera effettivamente troppa inflazione, in troppo poco tempo: il prezzo di una birra raddoppiava nel tempo in cui questa veniva bevuta (motivo per cui i furbi tedeschi ne acquistavano subito due).

Detto ciò, sembra quasi che il responsabile della BCE stenti a stampare e immettere moneta nel mercato per paura di raggiungere un’iperinflazione simile a quella tedesca della seconda guerra mondiale, generando però, di contro, una progressiva deflazione, che in termini reali vuol dire recessione dell’economia, depressione e crisi.

La vicenda umana di Paolo

Non possiamo comprendere San Paolo senza riferirci alla sua vicenda umana.
I tratti principali della sua vita, narrati negli Atti e nelle lettere, sono abbastanza conosciuti: la sua iniziale posizione di persecutore dei cristiani, la vocazione sulla via di Damasco e infine i tre viaggi missionari fino alla prigionia e alla morte in Roma. Tra le righe di questi eventi, tuttavia, si possono scorgere i segni di un’avventura umana e spirituale spesso non altrettanto nota.
Occorre considerare anzitutto che Paolo, fin dal principio, è un grande credente: fariseo, discepolo di Gamaliele il Grande e pieno di zelo per la fede nel Dio d’Israele (At 22,3).
Le sue posizioni intransigenti verso i primi cristiani, che contrastano con quelle del suo maestro (At 5,34-35), rivelano una personalità focosa. Questo lato del suo carattere emergerà in diversi episodi, come ad esempio il litigio con Barnaba e la conseguente separazione tra i due (At 15,36-40).
Sulla via di Damasco Paolo fa un’esperienza forte di Cristo che lo porta a riconsiderare la propria posizione nei confronti dei cristiani e a reinterpretare il suo ruolo a servizio della fede nel Dio dei padri. Egli comprendedi avere una vocazione: annunciare Cristo ai pagani affinché si compiano le antiche profezie e Dio sia annunciato fino ai confini della terra (Ger 1,5; Is 49,1-6). Il progetto di una grandiosa opera missionaria da estendersi fino in Spagna (Rm 15,20-21. 15-24) e in seguito, forse, anche in Nord Africa, non riesce tuttavia a concretizzarsi poiché le esigenze della carità impegneranno Paolo a risolvere i mille problemi delle comunità già evangelizzate; ciò lo distoglierà, suo malgrado, dalla principale vocazione costringendolo però a smussare quei lati troppo rigidi del suo passato da fariseo zelante.
La prigionia e la morte violenta a Roma fanno definitivamente fallire l’ambizioso progetto, facendoci comprendere come la vicenda dell’apostolo non trovi compimento tanto nell’opera di evangelizzazione, quanto in una piena configurazione a Cristo e alla sua croce, attraverso la lotta interiore per la rinuncia dei propri desideri in favore di una resa fiduciosa e incondizionata alla volontà divina che raffina come metallo nel crogiolo. Proprio da quel servizio alle comunità scaturirà, infatti, il frutto più prezioso che Paolo lascia al cristianesimo di tutti i tempi: le sue lettere, attraverso le quali passa addirittura parte della rivelazione biblica.

Stefano Maria

Sei generoso?

Se sei generoso, il tema di questa V domenica di quaresima.

Si può ancora parlare di generosità oggi?

Non la generosità di una grande beneficienza o di un bel regalo esagerato a questo o quello, ma la generosità del chicco di grano che muore per donare frutto.

Umanamente parlando ogni generosità porta in sé una dose di egoismo, è vero, ma se il mio egoismo è ben calibrato ogni generosità porta fuori di sé molto bene.

Oggi ci è chiesto una grande gesto di generosità: inginocchiarci davanti alla Croce.

Vogliamo inginocchiarci davanti alla croce, perché è della croce che ancora oggi ci parla Gesù, perché solo inginocchiandoci davanti alla croce noi riusciamo a comprendere quale infinito gesto di generosità ci viene donato da Dio nel Figlio suo Gesù attraverso la continua azione dello Spirito.

«Per sapere chi sia Dio devo solo inginocchiarmi ai piedi della Croce» (Karl Rahner), ma anche il nostro SAMZ dice una cosa simile quando ci chiede di piantare la croce di Cristo nelle nostre viscere.

Oltre a toccare la croce sulla colonna entrando in chiesa – scaramanzia? – vi inginocchiate davanti alla croce qualche volta?

Quando vi segnate con il “Segno della Croce” è un occasione per “inginocchiarvi” e penetrare il mistero della generosità di Dio?

Se sappiamo inginocchiarci davanti alla Croce possiamo comprendere i tre insegnamenti che la liturgia di oggi ci offre, quasi lo statuto del cristiano: morire per portare frutto, ascoltare la parola di Dio, aggrapparsi alla Croce.

In questo sta la generosità di Dio per noi: donarci la sua parola da ascoltare, per diventare seme che muore per noi, e raggiungere quella Croce che ci attira a sé!

La croce di Cristo non è un semplice ornamento, è la possibilità di una diversa qualità di vita. È la forza che ti aiuta a combattere il male che ogni giorno ci assedia per costruire il bene, anche nelle piccole cose. “Siamo tutti corrotti” diceva ieri papa Francesco a Scampia, è vero, ma tutti possiamo far crescere il bene se ci inginocchiamo davanti alla croce, se moriamo ai nostri egoismi quotidiani.

Il martirio, la testimonianza del bene di fronte al male non è solo quello dei nostri fratelli cristiani in Pakistan, in Libia, in Orissa, in Siria, in Ucraina, in Nigeria; e come non pensare ai turisti di Tunisi o musulmani nelle moschee dello Yemen.

Il martirio, la testimonianza ci riguarda tutti, sole le piccole ordinarie scelte quotidiane possono costruire grandi scelte di vita: se seminiamo gramigna cosa cresce? Se seminiamo bene cosa cresce?

Il Signore ci ha donato un cuore nuovo e uno Spirito nuovo (1^ lettura), ma noi li usiamo?

Il cuore e lo Spirito nuovo ci sono donati per:

imparare a morire al male che rischiamo di compiere ogni giorno per lasciare spazio al bene;

imparare ad ascoltare la parola di Dio;

imparare a guardare con gioia e speranza a quella croce di Cristo che vuole attirare tutti a sé.

«La Croce non ci fu data per capirla ma perché ci aggrappassimo ad essa» (Bonhoeffer): attratto da qualcosa che non capisco ma che mi seduce, mi aggrappo alla sua Croce, cammino dietro a Cristo, morente in eterno, in eterno risorgente.

Crocefisso a mezz’aria

4 domenica di Quaresima

Crocefisso a mezz’aria! Così un esegeta definisce Gesù in questo brano di Giovanni 3, come volesse affermare che Gesù non era degno né della terra, né del cielo.
Cosa pensiamo realmente quando guardiamo una croce con questo uomo crocefisso? Quando vediamo questa croce su un orecchino, su un ciondolo, su un tatuaggio o su una pubblicità?
Cosa pensiamo veramente?
È un Dio che ha tentato qualche cosa di originale, ma assurdo: salvare l’uomo, ma poiché le cose continuano ad andare come sempre è un fallito, non degno del cielo!
È un uomo che ha preteso di farsi Dio, ma il fallimento lo fa essere indegno della terra.
O forse la sua bellezza è proprio in questo stare tra le terra e il cielo per aiutare l’uomo a trovare il senso della propria esistenza, per aiutare Dio a non perdere l’uomo, quell’uomo che preferisce fare da sé.
Stare tra terra e cielo per aiutare l’uomo a fare il salto di qualità, perché non si può camminare tenendo tutti e due i piedi per terra o per aria.
Ma vogliamo saltare nel buio o nella luce?
Nicodemo va di notte da Gesù non tanto perché aveva paura, ma perché la notte è la dimensione in cui spesso si ritrova l’uomo, per volontà o perché obbligato.
Due esempi.
Quante scuole da qs parti non si fanno funzionare per mantenere i giovani nel buio dell’ignoranza e della dipendenza dalla criminalità.
Quanta incapacità di offrire ai nostri giovani spazi diversi da sale bar trasformate in sale da gioco d’azzardo per evitare che possano pensare.
Eppure l’uomo cerca la luce, cerca un riscatto, cerca la libertà.
Nicodemo cerca la luce e si accorge che non basta guardare dentro di sé: bisogna avere il coraggio di guardare la luce e accogliere il dono della Luce.
Il primo passo è guardare dentro di sé, il secondo passo è guardare fuori di sé e accogliere il dono dello Spirito santo che permette di rinascere dall’alto. Gesù non chiede a Nicodemo di fare questo o quello, semplicemente lo invita a rinascere dall’alto. A riconoscere nella morte di Gesù la risurrezione; nella glorificazione (cioè essere innalzato) la vita.
Gesù è il figlio dell’uomo che ha accettato in pieno di discendere sulla terra per poter essere riempito della vita di Dio e così salire in cielo: ha accettato di essere pienamente uomo per poter essere il Figlio di Dio.
L’uomo sogna sempre un mondo ideale nel quale non ci siano più problemi e sofferenze e lo aspetta da Dio: ma Dio non fa questo, piuttosto offre all’uomo il mezzo, la via, la luce, la certezza che anche in ciò che lo schiaccia, l’uomo è salvato.
Ma come fare per rinascere? Noi tutti abbiamo ricevuto lo Spirito santo: lo teniamo nel cassetto della nostra coscienza o lo “sfruttiamo” per investire il nostro futuro? Per illuminare il nostro futuro? Vogliamo affidarci a Gesù, come Nicodemo che nella notte è andato da Lui?

Nel cuore dell’uomo

«Gesù conosceva quello che c’è nell’uomo».

Così finisce il brano del vangelo di oggi: Gesù conosce quello che c’è nel cuore di ognuno di noi! Noi siamo conosciuti da Dio, da sempre: non siamo soli, mai, ma noi conosciamo quello che c’è nel cuore di ognuno di noi? Nel mio cuore?
La più grande scommessa di ognuno di noi è sempre quella di conoscere cosa c’è nel mio cuore.
La Quaresima è il tempo speciale per la conversione, per la riforma di noi stessi: dov’è il mio cuore, la mia coscienza?
Domenica scorsa abbiamo ragionato e meditato sul valore della preghiera, oggi potremmo ragionare sul valore della testimonianza, della testimonianza verso me stesso prima ancora che verso gli altri.
Le letture di oggi denunciano proprio questa realtà, sollecitano questa domanda: dov’è la mia coscienza? Cosa fonda il mio pensare, il mio agire, il mio credere?
Troppo spesso diamo per scontato di sapere cosa pensare, dire, fare e poi ci ritroviamo con un pugno di mosche, con un niente, anche se abbiamo pensato di fare, costruire chissà che cosa.
Approfittiamo della liturgia di oggi per verificare come i nostri valori ci informano e formano e, specialmente, quale fede coltiviamo?
Gesù compie un altro segno – come a Cana – per scuotere una fede addormentata, fatta di atti esteriori, di religiosità senza fede: quanto è più facile comprare un santino o un rosario o fare una bella processione rispetto a credere, a fermarsi davanti a Cristo per capire in quale Dio crediamo!
Gesù con questo segno ci sollecita a lasciare un tempio esteriore per cercare il vero tempio in cui pregare; il vero tempio è il corpo di Cristo, di Cristo crocefisso e risorto (1Co 1,22). Gesù ha fatto questo segno per farci vedere e quindi permetterci di credere. Infatti, i discepoli poi si ricorderanno…

Ma il vero corpo di Cristo però non lo troviamo nelle chiese, bensì nel nostro corpo, corpo nel quale lo Spirito santo prima e l’Eucaristia poi vogliono trovare dimora. Non siamo noi a metterci al posto di Cristo, seppure spesso lo facciamo: è Cristo che entra in noi e chiede di cambiare il nostro modo di stare con Lui, ci chiede dov’è il nostro vero tesoro, quali sono i valori che ci illuminano.
Pensate ai 10 comandamenti: li osserviamo da bravi soldatini o li viviamo nella loro totalità?
L’altro giorno un ragazzo mi dice: padre, le sembra giusto che i miei genitori mi mettano in mano un telefono da 600 euro?
E un altro: papa Francesco ci chiede di combattere la globalizzazione dell’indifferenza, ma sei miei genitori sono i primi a non impegnarsi per il bene comune, a dirmi di pensare solo a me stesso, io quanto devo darmi da fare?
Oggi è la giornata delle donne. Voglio ricordare e chiedere giustizia per tutte quelle donne che da queste parti sono obbligate a lavorare in nero per confezionare il nostro pret a porter di lusso: non ai può essere cristiani e far finta di nulla; non si può andare a messa la domenica e pagare € 2,00 a scarpa!
Cari amici quanti venditori di fumo o di false devozioni abbiamo intorno a noi: lasciamoci aiutare da Cristo a rovesciare i banchi delle nostre ipocrisie per costruire la vita nuova che Dio ci ha donato in Cristo, che lo Spirito santo vuole operare con noi.
Diventiamo noi il vero tempio di Dio nel quale possa dimorare con gioia il Cristo morto e risorto.

Signore vogliamo andare a scuola

Cari amici, continua la testimonianza dall’Afghanistan del nostro exalunno

Questa esperienza, in questo luogo, l’Afghanistan, è stata ed è incisiva. Questa terra che in passato ha dato prova di resistere a tante invasioni ora sta cercando di voltare pagina e ci sta riuscendo. Ma è pur vero che le difficoltà che si incontrano ancor oggi sono innumerevoli.
Quando un soldato (ma vale per chiunque questa sensazione) è costretto per un motivo o l’altro a trascorrere molto tempo lontano dalla famiglia può essere che capitino momenti di panico, di angoscia. Ma, ecco, emergere la forza dell’amore: la fede in Gesù emerge e ci aiuta a capire che i sacrifici fanno parte della nostra vita.
Ovunque ci sono fatti, episodi che quotidianamente ci possono cambiare la vita. Ci sono esperienze che contestualmente ci fanno maturare e comprendere appieno le varie sfumature della nostra vita. E la vita è un dono prezioso e andrebbe vissuta nel pieno rispetto e armonia di tutto le persone e cose che ci circondano.
Ogni giorno in questi teatri operativi si impara ad apprezzare quello che non si ha sotto mano: quelli che in Italia appaiono normali pasti qui da noi sono invece sontuosi! Ci sono poi gli aiuti della tecnica e della scienza: skype che mi avvicina un po’ più ad amici e famiglia; poter vedere e sentire i miei bimbi è una gioia immensa.
Quando con i colleghi afghani incontro i loro bambini cerco di comprenderne i pensieri, li osservo e penso ai nostri bimbi ai quali cerchiamo di regalare ogni agiatezza. Questi piccoli afghani non hanno neanche l’acqua da bere! Ti corrono dietro offrendoti il nulla e i loro sorrisi. A volte mi piace scambiare qualche parola, chiedere loro cosa desiderano. Le risposte sono quasi sempre le stesse: Signore vogliamo poter andare a scuola, ci aiuti, ci dai qualche soldino per comprare i libri?
Le loro espressioni non si possono dimenticare tanto facilmente, la sporcizia, la povertà, la polvere che li copre fino all’inverosimile! E se fossero i nostri pargoletti? Chissà quante urla di mamme e papà: Ma dove sei stato? Guardati come sei sporco! Sorrido e poi se riesco scatto una foto. Rubo un attimo della loro vita per tenerla con me per sempre. Per poterla mostrare un giorno ai miei bimbi. Per poter riflettere insieme a quanto siamo/sono fortunati a crescere in Italia, in un paese che nonostante tutto permette di andare a scuola, di crescere e vivere con una certa agiatezza: di essere “liberi”.