Gli anni a cavallo tra il XIX e il XX secolo furono anni di grande cambiamento e fermento, in cui movimenti culturali e femministi iniziarono a reclamare a gran voce il riconoscimento dei diritti per le donne.
Oltre ai noti movimenti suffragisti inglesi e americani, ne esistevano diversi anche in Italia, portati avanti da studiose, filosofe e giornaliste. In molti casi, si trattò di associazioni definite di “femminismo cristiano”: le affiliate, infatti, aspiravano ad unire temi di denuncia sociale a principi e valori di ispirazione evangelica.
Tra le madri fondatrici di tali movimenti, vi fu Adelaide Coari, maestra cattolica che proponeva la costruzione di un programma minimo femminista, sulla scia delle rivendicazioni Socialiste di inizio secolo.
Tra le figure più importanti troviamo Elisa Salerno. Nata e vissuta a Vicenza, si interessò in particolare allo studio e alla denuncia delle condizioni operaie delle lavoratrici e dei lavoratori veneti. Formatasi da autodidatta, imparando il latino, il francese e il tedesco, la filosofia e la teologia, impiegò tali conoscenze per fondare, all’inizio del ‘900, il suo giornale dal titolo “La donna e il Lavoro”.
All’interno dell’editoriale, l’attenzione è posta in particolare su studi, ricerche e interviste alle donne della classe operaia vicentina, mettendo in luce, nel dettaglio, aspetti quali il divario salariale fra uomini e donne, le precarie e insalubri condizioni di lavoro, le continue sopraffazioni morali e sessuali a cui venivano sottoposte. L’idea di fondo di tale ricerca era che, oltre alla giusta battaglia sindacale e sociale, fosse soprattutto necessario una battaglia culturale e ideale, che partisse dall’istruzione, nel tentativo di avviare un radicale cambiamento ideologico.
In tale contesto, Salerno accusò pubblicamente la Chiesa e le sue istituzioni, che nonostante professassero la necessità di difendere e proteggere i deboli e gli ultimi, di fatto perpetravano la situazione di subalternità delle donne, a causa di un intrinseco antifemminismo nella patristica e nella scolastica.
Per tali coraggiose affermazioni, la studiosa fu prima condannata dalla Chiesa Locale, poi dalle Curia Romana e infine fu scomunicata, nel 1927, anno in cui interruppe definitivamente la sua produzione editoriale.
Giulia C. – Firenze
Author: Giovani Barnabiti
QUANDO IN UN MONDIALE DI CALCIO NON CI SI INTERESSA DEL CALCIO
Il campionato mondiale di calcio 2022 sarà la ventiduesima edizione della massima competizione per le rappresentative di calcio maschili delle federazioni sportive affiliate alla FIFA. Il Mondiale si svolgerà in Qatar dal 20 novembre al 18 dicembre 2022 e fin da subito risaltano all’occhio le date anomale nelle quali si svolge il torneo. Seppur poco tradizionali, esse sono comprensibili per via delle temperature proibitive del Paese ospitante. Oltre a ciò, sarà l’ultima edizione con sole 32 nazionali partecipanti, ma verrà ricordata quasi sicuramente anche per essere la prima in quasi 100 anni di storia a disputarsi in uno Stato del Medio Oriente.
Nel 2010 la FIFA, attraverso le consuete elezioni, ha infatti scelto di premiare la candidatura qatariota rispetto ad altre più ricorrenti come quella americana, australiana o giapponese. Fin da subito, però, la scelta della sede del Mondiale ha destato non poche polemiche. In quei giorni, è stato raccontato successivamente, c’è stato un pranzo all’Eliseo che ha visto come ospiti l’allora Presidente francese Nicolas Sarkozy con i presidenti di FIFA, UEFA e il principe ereditario del Qatar, che sarebbe diventato poi emiro tre anni dopo. Da quel momento, la strada spianata per un Paese ricco che poteva economicamente offrire tanto ai partner europei si era spianata.
In una costante affermazione di soft power, l’assegnazione dei Mondiali 2022 è stata seguita dall’acquisizione del PSG e da altri investimenti dal valore di centinaia di milioni di euro, che, secondo alcuni, avrebbero portato la Francia prima e l’Occidente poi a chiudere un occhio su molti aspetti etici. Tra i più noti, i modi con i quali sarebbero state costruite le infrastrutture.
Nell’ultimo decennio il Paese ha conosciuto un boom edilizio: 7 stadi, hotel, grattacieli, tram, metropolitane, strade e addirittura un aeroporto, i quali sorgono in mezzo al nulla. In occasione della competizione calcistica si sono persino costruite città nuove. L’investimento per l’emirato guidato dal 2013 da Tamim bin Hamad al-Thani è stato enorme: 229 miliardi di dollari, 15 volte in più del budget utilizzato per finanziare i Mondiali in Russia nel 2018 (all’epoca record per una competizione calcistica).
Ma perché tutte queste polemiche? Durante questi anni, ci sono state svariate indagini condotte da giornalisti e organizzazioni (tra le più note la Human Rights Watch) che hanno denunciato le numerose violazioni dei diritti umani nei confronti dei lavoratori migranti da paesi africani e asiatici, i quali lavoravano in condizioni disumane cercando di rispettare le scadenze della road map che prevede, come già accennato precedentemente, la costruzione di un numero di strutture senza precedenti in un’area geografica che ne era completamente sprovvista.
Recentemente, in Germania, i tifosi del Bayern Monaco e del Borussia Dortmund hanno criticato all’unisono il Mondiale sottolineando come per la costruzione delle infrastrutture siano morte migliaia di persone. Lo striscione recitava proprio così “15000 morti per 5760 minuti” (15000 tote für 5760 minuten fussball scham buch). Oltre a questi decessi, purtroppo, ve ne sono altrettanti che non vengono contati per via di una poca trasparenza delle informazioni diffuse dalle autorità locali. Tutte le morti per infarto, eccesso di stress fisico, asfissia e patologie derivanti dal lavoro estenuante nei cantieri, ma non avvenute sul posto di lavoro, rientrano tra le morti naturali e di conseguenza non conteggiate. Oltre a ciò, in questa decade vi sono state anche diverse morti per suicidio o derivanti dalle condizioni igieniche e climatiche precarie; ricordiamo che la competizione viene giocata d’inverno proprio perché d’estate si raggiungono facilmente 50°.
Il disappunto non proviene soltanto dai tifosi, bensì anche la Danimarca, squadra partecipante al torneo, si è schierata al coro della gente comune attraverso l’ideazione e la presentazione di divise ad hoc per il torneo nelle quali lo stemma e lo sponsor tecnico non si vedono. Come se non bastasse, a pochi giorni dalla gara inaugurale, il Qatar è di nuovamente accusato per il mancato rispetto dei diritti civili. L’ambasciatore dei Mondiali 2022, l’ex calciatore qatariota Khalid Salman, nel corso di un’intervista all’emittente televisiva tedesca Zdf ha definito l’omosessualità “una malattia mentale”, suscitando lo sdegno del ministro degli Esteri tedesco. Il Qatar, infatti, non vuole che le persone omosessuali manifestino il proprio orientamento sessuale o il sostegno ai diritti LGBT. Salman ha continuato dicendo che le persone gay saranno accettate, ma dovranno rispettare le regole del Paese; quindi evitare di manifestare la propria omosessualità.
Da qualche giorno, infine, girano notizie riguardanti una possibile assunzione di lavoratori migranti da parte del Qatar per fingere di essere supporters delle nazionali che disputano la partita. Essa è una notizia uscita già qualche anno fa, quando si parlò anche del fatto che per la prima volta una nazione ospitante un evento pagava gruppi di tifosi per riempire gli stadi. L’obiettivo è infatti quello di simulare arene, negozi, aree urbane e sportive piene in modo tale da avere uno spettacolo televisivo migliore e da qui tutto l’indotto diretto e indiretto dei diritti tv ed eventuali nuove possibilità di ospitare futuri eventi sportivi come le Olimpiadi.
Insomma, che dire, questi Mondiali non sono ancora iniziati e già non si fa altro che parlarne. Sicuramente, sotto questo punto di vista, il Qatar ha già vinto in quanto ha creato un hype dietro a un evento mondiale che raramente si è in grado di riscuotere.
Marco C. – Milano
Tutto (mi) chiede salvezza
Eravamo figli delle stelle oramai siamo figli dello streaming…
Abituati come siamo a consumare ore di visione nelle compagnie di streaming, alle volte non ci fermiamo a riflettere sulla tematica di un film o di un serial, passiamo i titoli senza darne il tempo di farci fare un pensiero o trarne qualche insegnamento.
Sono molte le ore spese alla televisione o agli apparecchi tecnologici saltando i titoli e riempiendoci di immagini e realtà nostrane o di tanti altri mondi. È senz’altro una grande possibilità di aprirci a quei mondi lontani, a storie di vita e morte che dovrebbero spronarci a una riflessione, altrimenti saremo delle mine vaganti.
Vagando o navigando sul beato Netflix, ho trovato una serie italiana chiamata “Tutto chiede Salvezza”, alle prime ho pensato fosse una soap opera, ma col divenire dei minuti mi son trovato con una possibilità di pensare e riflettere sui problemi psichiatrici, la depressione e altre malattie odierne, infermità dell’anima moderna.
Rischiando di fare lo spoiler, la serie, sommariamente, tratta su Daniele, un ragazzo che si diverte e ammazza il tempo tra discoteca e droghe, e tutto ad un tratto si risveglia in una clinica dove è stato destinato a trascorrere sette giorni di punizione sociale.
La clinica è un servizio psichiatrico, dove le persone devono scontare il TSO (trattamento sanitario obbligatorio), Daniele deve farlo dopo avere provocato una violenta lite dove è coinvolta sua famiglia; famiglia che nei primi giorni di ricovero non gli parla.
Inizialmente Daniele non sa perché è ricoverato, ma pian piano, i ricordi affiorano come un dito accusatore. Lui ha soltanto vent’anni.
Al risveglio si trova con cinque compagni di stanza, pure loro condannati dai propri atti, di età diverse ma che sentono simili difficoltà nel rapporto con la società e il mondo. “Borderline” li chiamano (non conosco se c’è un termine addato all’Italiano)
È preciso notare che lo sceneggiato si basa su un romanzo di Daniele Mencarelli, dell’omonimo titolo: “Tutto chiede salvezza”. Non ho avuto opportunità di leggerlo, ma per le nostre finalità non cambia nulla por quanto mi riferisco alla serie televisiva.
Per me la pazzia è stata sempre un pressoché di attraente e sconosciuto. Quella pazzia – che non ha niente da vedere con la situazione di Daniele, o forse si- ma che per secoli, attingendo tanti uomini e donne, era rimasta nascosta, come un qualcosa di vergognoso. Figure considerate matte, tra artisti governanti e grandi personaggi, si sono susseguite nella storia; una delle figure che più amo nella storia è Giovanna la Pazza, regina di Castiglia, considerata tale non sappiamo se perché lo era veramente o per intrighi politici, ma comunque penso che sia stata veramente una pazza d’amore. Oppure quella Follia che Erasmo presenta così chiaramente nel suo “Elogio” come una realtà personificata di natura (quasi) divina. C’è un cantante del Guatemala che canta e si domanda “Si es más tonto el que piensa o el que mira la Luna” (se è più matto colui che pensa o chi guarda la luna), e se i matti fossimo noi e i pazzi sarebbero i normali?
In questo senso il film fa apparire delle realtà ben curate e spiegate in ognuno dei personaggi, in un trasfondo di complicità e solidarietà -non mi fermo a descrivere i singoli personaggi, roba da chi si sente di vederlo-‘ Ma comunque dopo il “risveglio”, Daniele si trova in mezzo a una realtà molto diversa da quella a cui era abituato e incominciano ad affiorare sentimenti e sensibilità, mai apparse prima, a partire di un certo staccarsi dalle situazioni degli altri degenti, in cerca di una negazione che la sua propria realtà abbia coincidenze con i compagni.
Siamo in un momento diverso della nostra cultura nella quale si parla più apertamente delle malattie mentali, delle depressioni e i panici, e tante altre realtà che rimanevamo nascoste fino a poco tempo fa: ancora ricordo quando, trent’anni fa, appena arrivato in Italia, mi son trovato con molti malati mentali per le strade. I manicomi erano stati chiusi, forse il primo approccio per una sorte di inclusione. Non voglio valutare se quella decisione fu o non una buona scelta. Ora mi trovo in Messico, a Yucatan, la grande area d’influenza Maya, dove l’indice dei suicidi è altissimo.
Le complicità e la solidarietà, con chiari spunti di inclusione, fanno parte centrale di questa serie, a partire della sentenza “Nessuno si salva da solo” ci si segnala il dolore e la sofferenza come un processo di redenzione, mentre esso sia condiviso, ma comunque si riferisce pure al fatto che seppur “Tutto chiede salvezza” soltanto potrà riuscire a salvarsi che ha intrapreso un sentiero di apertura alla cura e l’accettazione; lontano di qualsiasi considerazione escatologica religiosa, questo salvarsi ha che vedere con una redenzione umana, un rivolgersi all’umanità, alla società, a se stessi. Ma possiamo intravederci una chiara analogia. Una danza cupa e asimmetrica, come una delle scene del film in cui si balla, fanno concludere che ci si possa salvare soltanto grazie ad un piccolo gesto di solidarietà.
In questo senso ci offre un messaggio sulle responsabilità personali, sulle conseguenze dei propri atti, alle realtà di tanti giovani, adolescenti e famiglie con difficoltà di reagire ai problemi e alle crisi. Ma il trasfondo si trova in un atto di amore la riposta è l’amore. Tale e quale Daniele lo recita nella sua poesia al funerale di uno dei compagni di stanza, Mario:
“I miei fratelli li chiamano pazzi, squilibrati, piangono quando amano e ridono quando soffrono. Ma la vera pazzia secondo me è un’altra: la vera pazzia è non cedere mai, non inginocchiarsi mai.
Questa è la poesia…
Dall’alto, dalla punta estrema dell’universo, passando per il cranio e giù, fino ai talloni; alla velocità della luce e oltre, attraverso ogni atomo di materia, tutto mi chiede salvezza, ecco la parola che cercavo: Salvezza! per i vivi e i morti; salvezza! Per i pazzi di tutti i tempi ingoiati dai manicomi dalla storia: Salvezza!
Allora corriamo come matti fino alla salvezza!
p. Miguel Panes Vilalobos, Merida (Mex)
TODO (me) PIDE SALVACIÓN
Éramos hijos de las estrellas ahora somos hijos del streaming…
Acostumbrados como estamos a consumir horas de visión en las empresas de streaming, a veces no nos detenemos a reflexionar sobre la temática de una película o una serie, pasamos los títulos sin mucha atención y sin dar el tiempo para hacernos pensar o sacar algunas lecciones.
Son muchas las horas dedicadas a la televisión o a los dispositivos tecnológicos saltándose los titulares y llenándonos de imágenes y realidades locales o de muchos otros mundos. Sin duda es una gran oportunidad para abrirnos a esos mundos lejanos, a historias de vida y muerte que deberían impulsarnos a reflexionar, de lo contrario seremos como balas perdidas.
Deambulando o curioseando en el bendito Netflix, encontré una serie italiana llamada “Todos quieren salvarse”, al principio pensé que era una telenovela, pero a medida que pasaban los minutos me encontré con la oportunidad de pensar sobre problemas los psiquiátricos, depresión y otras enfermedades de hoy, enfermedades del alma moderna.
Arriesgándome a hacer spoiler, la serie, sumariamente, trata sobre Daniele, un chico que se divierte y mata el tiempo entre la discoteca y las drogas, y de repente se despierta en una clínica donde estaba destinado a pasar siete días de castigo social.
La clínica es un servicio psiquiátrico, donde las personas tienen que servir el TSO (tratamiento de salud obligatorio), Daniele debe hacerlo después de provocar una pelea violenta donde su familia está involucrada; Familia que en los primeros días de hospitalización no le habla.
Inicialmente Daniele no sabe por qué está hospitalizado, pero poco a poco, los recuerdos emergen como un dedo acusador. Sólo tiene veinte años.
Cuando se despierta se encuentra con cinco compañeros de cuarto, también condenados por sus propios actos, de diferentes edades pero que sienten dificultades similares en su relación con la sociedad y el mundo. “Borderline” los llaman…
Es preciso señalar que el drama está basado en una novela de Daniele Mencarelli, del título homónimo: “Todo pide salvación”. No he tenido la oportunidad de leerlo, pero para nuestros propósitos nada cambia en lo que respecta a la serie de televisión.
Para mí, la locura siempre ha sido una realidad atractiva y desconocida. Esta locura -que no tiene nada que ver con la situación de Daniel, o tal vez lo sea- pero que durante siglos, atrayendo a tantos hombres y mujeres, ha permanecido oculta, como algo vergonzoso. Figuras consideradas locas, entre artistas gobernantes y grandes personajes, se han sucedido en la historia; una de las figuras que más amo en la historia es Juana la Loca, reina de Castilla, considerada como tal no sabemos si porque realmente lo era o por intrigas políticas, pero de todos modos creo que estaba realmente loca por el amor. O incluso esa locura que Erasmo de Rotterdam presenta tan claramente en su “Elogio” como una realidad personificada de la naturaleza (casi) divina. Hay un cantante guatemalteco que canta y se pregunta “Si es más tonto el que piensa o el que mira la Luna”, y si los locos somos nosotros y los locos fuesen los normales.
En este sentido, la película hace aparecer realidades bien cuidadas y explicadas en cada uno de los personajes, en un trasfondo de complicidad y solidaridad -no me detengo a describir a los personajes individuales, dejo eso para quienes tienen ganas de verlo-‘ Pero de todos modos después del “despertar”, Daniel se halla en medio de una realidad muy diferente a la que estaba acostumbrado y los sentimientos y su sensibilidad comienzan a aflorar, Situaciones que nunca antes habían aparecido, partiendo de un cierto desapego de las situaciones de otros pacientes, en busca de una negación del hecho que que su propia realidad tenga coincidencias con sus compañeros.
Estamos en un momento diferente de nuestra cultura en el que hablamos más abiertamente sobre enfermedades mentales, depresión y pánicos, y muchas otras realidades que permanecían ocultas hasta hace poco. Todavía recuerdo cuando, hace treinta años, acababa de llegar a Italia y me encontré con muchas personas con enfermedades mentales en las calles. Los manicomios habían sido cerrados, quizás el primer enfoque para una especie de inclusión. No quiero evaluar si esa decisión fue una buena opción o no. Ahora estoy en México, en Yucatán, la gran área de influencia maya, donde la tasa de suicidios es muy alta, especialmente entre los más jóvenes.
La complicidad y la solidaridad, con ideas claras para la inclusión, son parte central de esta serie, a partir de la frase “Nadie se salva solo” denunciamos el dolor y el sufrimiento como un proceso de redención, mientras que se comparte, pero en cualquier caso también se refiere al hecho de que aunque “Todo pide salvación” sólo puede ser capaz de salvarse a sí mismo quien se ha embarcado en un camino de apertura al cuidado y la aceptación; lejos de cualquier consideración religiosa escatológica, esta salvación tiene que ver con una redención humana, un sí a la humanidad, a la sociedad, a uno mismo. Pero podemos ver una analogía clara. Una danza oscura y asimétrica, como uno de los escenarios de la película en la que se baila, concluye que sólo podemos salvarnos gracias a un pequeño gesto de solidaridad.
En este sentido, nos ofrece un mensaje sobre las responsabilidades personales, sobre las consecuencias de las propias acciones, sobre las realidades de tantos jóvenes, adolescentes y familias con dificultad para reaccionar ante los problemas y las crisis. Pero el trasfondo se encuentra en un acto de amor, la respuesta es el amor. Como Daniele lo recita en su poema en el funeral de uno de sus compañeros de cuarto, Mario:
“Mis hermanos los llaman locos, desequilibrados, lloran cuando aman y ríen cuando sufren. Pero la verdadera locura en mi opinión es otra: la verdadera locura es nunca ceder, nunca arrodillarse.
Esto es poesía…
p. Miguel Panes Vilalobos, Merida (Mex)
Più sensibili al Signore
Dal 22 al 23 Luglio una quarantina di giovani adulti parigini hanno soggiornato nei locali della parrocchia Divina Provvidenza di Firenze in occasione del loro pellegrinaggio.
Partiti da Parigi, in arrivo da Torino e diretti verso Roma attraversando Assisi sulle tracce di San Francesco, questi giovani raccontano quel che intravedono come lo sbocciare di una rinnovata forma di fede.
È cosa ardua raccontare con chiarezza l’esperienza che è stata il pellegrinaggio in Italia dell’estate 2022. Di certo la maggior parte di noi aveva già vissuto vari ritiri di due o tre giorni con i compagni della propria parrocchia (siamo i giovani di due parrocchie parigine, ove studiamo la parola del Signore per via del programma EVEN*), ma mai ci era capitato trascorrere undici giorni con sconosciuti nell’ambito della fede e della religione. Tutti aspettavamo il giorno, una volta tornati alle nostre quotidianità, in cui ci saremmo accorti di aver scordato il pellegrinaggio; come se quei pochi giorni trascorsi in comunione con i nostri padri e compagni in direzione di Dio non fossero mai esistiti. Tutti pensavamo di vivere quell’impressione caratteristica del ritorno a casa, quando le vacanze di tre giorni fa sembrano già distanti di parecchi mesi.
Sono trascorsi già più di un mese e mezzo e questo giorno non è ancora arrivato. Anche per questo abbiamo messo tanto tempo a scrivere questa testimonianza. Fosse quel giorno arrivato, sarebbe stato più semplice capire cosa abbiamo vissuto.
Alcuni di noi lo descrivono come se il nostro passaggio in Italia fosse stato solo ieri. Altri, come me, hanno l’impressione di non essere mai completamente tornati. Quel che ci mette tutti d’accordo è che siamo diventati molto più sensibili alla presenza del Signore ai nostri fianchi e che la preghiera fa ormai completamente parte delle nostre giornate. Da quando siamo tornati alcuni vanno “finalmente” a messa, altri ci vanno più volte a settimana o partecipano a tempi di adorazione. Tanti di noi desiderano trovare il tempo di pregare le lodi e/o i vespri ogni giorno.
Credo che questo significhi che la conversazione con il Signore è diventata più semplice e più diretta. Anche per coloro di noi che dicono non credere, o quelli che come Ornella Vanoni hanno appena avuto il coraggio di dire “proviamo anche con Dio, non si sa mai”. Perché i pensieri e le emozioni di ognuno di noi sono stati così forti in quei dieci giorni, che in un certo senso sono diventati dei nuovi punti di riferimento. Quindi anche per i nostri compagni che non credono o che addirittura si sono allontanati dalla chiesa, il nuovo punto di riferimento nella loro vita spirituale è un tempo segnato dalla persona di Cristo grazie al pellegrinaggio.
Sembra che per tanti, le parole di una suora alcantarina, incontrata ad Assisi, hanno avuto molto effetto. Le trascrivo qui affinché possano risuonare anche nel vostro cuore. Questa suora ci insegnò a pregare chiedendo: «Signore, chi sono io? E chi sei tu? Signore, cosa vuoi che faccia?».
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In undici giorni abbiamo potuto visitare parti di Torino, approfittare di Firenze, vivere l’atmosfera e l’energia del santuario di La Verna e dell’Eremo delle Carceri, pregare nelle chiese di San Damiano così come nella Porziuncola, fare il bagno in vari laghi (eravamo pur sempre in estate!), visitare San Clemente a Roma tra tante altre cose, e anche fare sosta a Milano e celebrare una messa presso Sant’Ambrogio.
Di certo i nostri due giovani sacerdoti non avrebbero potuto gestire tutta l’organizzazione necessaria a tale programma senza trascurare le anime dei giovani accompagnati. Così hanno chiesto ad alcuni di noi di assisterli in tutte le faccende materiali. Questo servizio dei nostri compagni è stato per loro fonte di tanta gioia (dico “loro” i nostri compagni, non i preti!), mentre per noi è stato anche un modo di accorgerci, tramite le loro assenze, la loro fatica ma soprattutto i loro sorrisi, che più si dà e più si riceve.
Così vorremmo ringraziare una volta ancora la vostra parrocchia della Divina Provvidenza, specialmente Giordana e il Padre Giannicola, che ci hanno accolti con grande gentilezza, in condizioni che erano tra le più confortevoli del nostro tragitto. Per di più ci sono stati regalati portachiavi con la vostra Madonna della Provvidenza che continuano ad accompagnarci. Anche se siamo rimasti poco tempo, anche se agli inizi del nostro percorso italiano, la vostra ospitalità continua ancora a guidarci verso Gesù.
Roberto Fecarotta – Paris
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*EVEN: Ecole du Verbe Eternel et Nouveau; si tratta di un percorso spirituale destinato a giovani adulti che hanno voglia di approfondire la loro fede, e di lasciare la Parola di Dio convertire il loro cuore. «EVEN», in ebraico, significa «pietra».
Il nuovo Parlamento italiano
Politica significa costruire la città dell’uomo ovvero l’arte della preoccupazione per la polis.
Abbiamo appena pubblicato una cronachetta semplice ma significativa scritta da un nostro collaboratore sulle recenti elezioni. Forse potrebbe sembrare superata, dopo 15 giorni, ma poiché quella data del 25 settembre c’entrerà con i nostri anni successivi, non è mai tardi ragionarci sopra. Forse non è l’analisi di un esperto di politica, ma sicuramente è il segno di una attenzione per la cosa pubblica che va tenuta in considerazione perché significa che non tutti sono indifferenti alla società in cui vivono.
Ecco il punto, non restare indifferenti.
Avrei voluto ragionare un po’ di più sui flussi elettorali da tutte le loro prospettive, ma oltre al tempo credo non averne le competenze. Eppure questi flussi ci dicono sì uno spostamento a destra dell’elettorato e uno sfaldamento della sinistra (posto che oggi siano ancora valide queste categorie di destra e sinistra) ovvero un aumento dell’astensionismo. Ma ci dicono, i flussi, anche che non ci sono stati grossi spostamenti verso destra, semmai verso un astensionismo dovuto a una incapacità della nostra politica di preoccuparsi delle nuove esigenze geografiche dei cittadini (non parlo di quelli che sono in giro per vacanza) e sicuramente alla scelta di non sacrificarsi troppo oggi per andare a votare. Della Sinistra i dati e la situazione attuale è sotto gli occhi di tutti, ci si domanda se saprà approfittare della crisi attuale per cambiare rotta. I risultati elettorali poi ci dicono delle contraddizioni (forse già accadute in passato) di questo ultimo volto rispetto alle scelte regionali e locali: forse il nazionale spaventa meno del regionale e del locale? O forse poiché quando non si sa più dove andare a sbarcare si prova anche l’ultima novità (non è successo così in molte tornate elettorali precedenti?)? O forse è giusto che sia così, perché questa è la libertà dei cittadini, nel pensare ai propri interessi?
È vero, la politica deve pensare ai propri interessi, io voto un partito e non un altro perché salvaguardi i miei interessi. Però la politica, quella con la P non può pensare solo agli interessi di una parte, perché quando è al governo, specialmente a quello nazionale deve preoccuparsi anche degli interessi degli altri, specialmente dei più deboli. Deve preoccuparsi anche della salvaguardia delle opposizioni, perché queste garantiscono la democrazia, che ci piaccia o no. A questo proposito pare che la nuova maggioranza del nuovo parlamento oggi non concederà la presidenza di una delle due camere alle opposizioni, perché è maggioranza schiacciante e gioca l’asso pigliatutto. Riguardo ai più deboli il concetto di debole, di indifeso è molto labile ovvero elastico, ma questo vale per tutte le parti se ci pensiamo bene: colui che è debole per me non è debole per l’avversario e viceversa; se volete capire meglio leggete dalla prospettiva dei cosiddetti diritti civili, argomento quasi tabù da una parte e esasperato dall’altra.
Non sappiamo come procederà questo parlamento, dovrebbe essere giusto, è giusto augurare un lavoro continuo e proficuo al di là del voto che abbiamo messo perché questo è il gioco della democrazia.
Questo “gioco” però va monitorato, va rielaborato con quel lavoro continuo e capillare di tante persone di buona volontà – per la verità meno che in passato pare – che lavorano nei più disparati ambiti della nostra società e che hanno la responsabilità di far funzionare e crescere la nostra società, lo stato italiano. Il Parlamento è certamente lo specchio della società; alla società il compito di mantenere sempre limpido questo specchio, altrimenti non si ha il diritto di lamentarsi.
Elezioni del 25 settembre 2022
Dopo diversi anni, un governo viene eletto e scelto dal popolo. Se ci pensiamo, la situazione italiana è paradossale perché per quasi un decennio “non si è più riusciti” a instaurare un Governo attraverso le elezioni e, per una Nazione come l’Italia, cioè una repubblica democratica, si è andati “contro” la propria Costituzione. Nelle passate elezioni del 25 settembre 2022, quelle con la più bassa percentuale di affluenza della storia italiana, Giorgia Meloni ha confermato di gran lunga i pronostici vincendo insieme al centrodestra sia alla Camera che al Senato. Complice di ciò è sicuramente una campagna elettorale di basso livello da parte dei rivali, a partire dal PD. La campagna elettorale della sinistra, a detta anche di moltissimi giornalisti politici, è stata incentrata prevalentemente sulla critica e sull’opposizione delle idee della destra senza però portare avanti spunti concreti per migliorare il Paese. Oltre a ciò, il PD ha dovuto affrontare diverse scissioni interne che si sono rivelate essere state più significative del previsto come quella di Calenda che, unendosi a Renzi, ha posto una base solida per il futuro creando il cosiddetto Terzo Polo.
Tutto ciò ha scoraggiato molti giovani studenti fuorisede, per lo più votanti di sinistra nel campione preso in analisi, che hanno preferito restare a casa anziché andare a votare. Se Letta ha avuto una debacle e si è dimesso, Salvini non può ritenersi del tutto soddisfatto di queste elezioni. La Lega è uscita decimata seppur vincente; i suoi elettori sono rimasti per lo più soltanto al Nord e neanche più in maniera rilevante. Il leader del Carroccio ha pagato (e non poco) la scelta di andare al Governo senza l’appoggio della coalizione. Il risultato è che ora rischia di essere la terza forza della destra alle spalle di Fratelli d’Italia e di Forza Italia che ha incredibilmente raggiunto l’8% grazie anche a un Berlusconi capace di captare e scegliere sempre le strategie migliori. Un risultato impensabile se si pensa che nel 2018 era il secondo partito d’Italia dopo il Movimento 5 Stelle. Quest’ultimo, senza più Di Maio (il suo partito è rimasto fuori dal Parlamento) ha ricevuto un altro, ennesimo, duro colpo post politiche 2018. In questa campagna elettorale, Conte ha attuato una politica molto rischiosa e sbagliata, ma che si è rivelata essere letalmente vincente, soprattutto al Centro-Sud. L’ex premier, incentrando i propri discorsi sul fatto che volesse mantenere il reddito di cittadinanza e ricordando agli italiani che è grazie a lui se attualmente possono beneficiarlo, è riuscito a superare le aspettative di tutti i sondaggi superando il 15%. Nonostante il loro leader sia rimasto molto soddisfatto (un ottimo risultato, gli exit poll lo davano intorno al 11%), la verità è che continua a perdere voti di elezione in elezione e attualmente può fare ben poco per mantenere le promesse elettorali.
Infine, arriviamo alla vera vincitrice di queste elezioni: Giorgia Meloni, la prima donna a capitanare il primo partito d’Italia e forse anche la prima Presidente del Consiglio donna! Un successo per lei, ma anche e soprattutto per tutte le donne che in Italia e nel mondo vengono discriminate in molti settori lavorativi e non solo. Sicuramente la leader di FdI ha avuto dalla sua il fatto di essere stata all’opposizione (ricordiamo che è più facile evidenziare i problemi quando non si governa), ma anche essere una brava nonché efficace comunicatrice sotto tutti i punti di vista. Il suo partito ha visto aumentare i voti a dismisura nel giro di qualche anno, ma mai nessuno avrebbe pensato che raggiungesse il 25% dei voti degli elettori. Di certo, c’è da dire che ha vinto in un periodo storico nel quale i governi continuavano a cadere e i rivali non hanno mai portato dei veri e propri programmi concreti. In più, numerose scissioni interne e litigi estivi hanno fatto sì che molti elettori di sinistra perdessero la fiducia nei loro vecchi partiti andando a fare il classico voto di protesta. Alla luce di ciò, mi auguro un Governo di Ministri che lavorino per il bene del nostro Paese e non per i propri interessi personali; mi auguro persone competenti e all’altezza del ruolo che ricoprono e non burattini messi lì per conoscenze. Mi auguro quindi un Governo che possa lavorare fino alla fine del suo mandato perché qualora dovesse nuovamente cadere significa che avremo perso tutti; mi auguro infine che il nuovo Governo possa far affluire il numero di persone ai seggi, magari attraverso una legge che conceda ai fuorisede il voto nella città di domicilio e non di residenza.
Marco C. – Milano
Cómo joven
Hola, mi nombre es Rodrigo Pacheco, tengo 19 años y resido en la ciudad de Mérida, Yucatán, México. Pertenezco a la pastoral de monaguillos desde hace ya más de 8 años, sirvo con gran amor y felicidad a Dios.
Dicho lo anterior, espero que lo que se presenta a continuación les sea de inspiración, motivación y de agrado, ya que a lo largo de este artículo les contaré sobre mi experiencia respecto a mi acompañamiento espiritual con los sacerdotes barnabitas y así mismo dar a conocer un poco de mi formación de vida y de quien soy. Brevemente les puedo mencionar que me considero una persona alegre, me gusta estudiar, y me gusta ayudar a los demás. Nací en un hogar formado en valores y principios que me han servido a lo largo de mi vida y que me van a ayudar cada día ha crecer como persona, ya que considero que más allá de los conocimientos esta la formación ética, moral y espiritual.
Cómo joven, es realmente bueno tomarse un tiempo para dejar a un lado el estrés al que muchas veces estamos sometidos por el trabajo, por la universidad, o por diversos asuntos en los que siempre estamos presentes, los jóvenes hoy en día tenemos que estar atentos para distinguir la voz de Dios, en medio del ruido que muchas veces, no nos permite reflexionar.
Es grato hacerlo en sinfonía con otros jóvenes del mundo y es que en lo largo de los años en los que he estado presente en mi parroquia, me he tomado el tiempo para reflexionar y darme cuenta del impacto que ha tenido para mi ser parte de una comunidad donde los sacerdotes barnanitas, varios de ellos jóvenes, tienen ese gran amor por su servicio: Lo cual me motiva a seguir los pasos que estos sacerdotes nos enseñan.
El convivir con gran parte de los sacerdotes barnabitas, en este tiempo, me ha servido para conocer, vivir y aprender a ser un instrumento de Dios, tal como lo fue San Antonio María Zaccaria, y aquí doy un punto realmente importante para la formación de mi vida, ya que San Antonio María Zaccaria era joven, pero el ser joven jamás fue un impedimento para amar y hacer todo para servir a Dios y a sus hermanos.
Como joven he aprendido a forjar ese amor por el servicio a Dios, y a mi prójimo; considero que es algo realmente hermoso servir, para mí, convivir con mis hermanos es una experiencia única, ver la felicidad de los niños, adolescentes y jóvenes sin duda alguna no tiene un valor comerciable. Los Padres Barnabitas han sido realmente claros, ya que durante todo este tiempo nos han enseñado a poner en práctica el servicio con amor a Dios y a nuestro prójimo, Es una gran bendición tener sacerdotes con ganas de trabajar, mejorar y formar una comunidad mejor, el estar presente en todos los grandes proyectos en los que se ha trabajado, me han servido para mejorar mi vida, ya que es realmente necesario tomarse el tiempo para ser mejor persona.
Tengo que ser sincero, y es que durante el tiempo que estuve redactando este artículo, realmente me di cuenta de todo lo que he logrado gracias a la espiritualidad y la acción de los barnabitas, y es que cada vez soy más feliz en compañía de Dios, comparto mi tiempo con personas increíbles, siento una inmensa paz, y sin duda alguna siento esa presencia tan cercana y hermosa con Dios.
Agradezco mucho la oportunidad de expresarme en este blog, estoy agradecido con los autores por darme esta oportunidad.
San Antonio María Zaccaria, ruega por nosotros.
Rodrigo
Salve!, mi chiamo Rodrigo Pacheco, ho 19 anni e vivo nella città di Merida, Yucatán, Messico. Appartengo al ministero dei chierichetti da più di 8 anni, servo Dio con grande amore e felicità.
Detto questo, spero che quanto presento di seguito serva di ispirazione, motivazione e piacere per altri giovani, poiché in questo articolo vi racconterò la mia esperienza in merito al mio accompagnamento spirituale con i sacerdoti barnabiti e farò conoscere anche un po’ della mia formazione di vita e di chi sono io.
Posso dire brevemente che mi considero una persona allegra, mi piace studiare e mi piace aiutare gli altri. Sono nato in una casa formata da valori e principi che mi hanno servito per tutta la vita fino ad ora e che, con certezza, mi aiuteranno a crescere ogni giorno come persona, poiché credo che la formazione etica, morale e spirituale sia al di là della conoscenza.
Da giovane è davvero bello prendersi del tempo per mettere da parte lo stress a cui spesso siamo sottoposti per motivi lavorativi, universitari o altri in cui siamo sempre immersi, i giovani di oggi dobbiamo essere attenti a distinguere la voce di Dio, in mezzo al frastuono che tante volte, non permette di riflettere.
È un piacere farlo in sintonia con altri giovani di tutto il mondo, perché negli anni in cui sono stato presente nella mia parrocchia di S. Giuseppe Operaio, mi sono preso il tempo per riflettere e realizzare l’impatto che significal’essere parte di una comunità dove i sacerdoti barnabiti, molti dei quali giovani, e vedere che hanno quel grande amore per il loro servizio: che mi spinge a seguire i passi che questi sacerdoti ci insegnano.
La convivenza con gran parte dei sacerdoti barnabiti, in questo momento, mi ha aiutato a conoscere, vivere e imparare ad essere strumento di Dio, proprio come lo fu sant’Antonio Maria Zaccaria, e qui ho un punto davvero importante per la formazione della mia vita, l´ha fatto sant’Antonio Maria Zaccaria fin da giovane, ciò vuol dire che l’essere giovane non è mai stato un impedimento per amare e fare di tutto per servire Iddio ei suoi fratelli.
Da giovane ho imparato a forgiare quest’amore servendo Dio e il mio prossimo; Ritengo che sia qualcosa di veramente bello – il servire –, per me vivere con i miei fratelli è un’esperienza unica, vedere la felicità di bambini, adolescenti e giovani, senza dubbio, non ha un valore commerciabile. I Padri Barnabiti sono stati molto chiari, poiché in tutto questo tempo ci hanno insegnato a mettere in pratica il servizio con amore a Dio e al prossimo, è una grande benedizione avere sacerdoti disposti a lavorare, migliorare e formare una comunità migliore, l’essere presente in tutti i grandi e piccoli progetti su cui si è lavorato, mi ha aiutato a migliorare la mia vita, poiché è davvero necessario prendersi il tempo per essere una persona migliore.
Devo essere onesto, ed è che durante il tempo in cui stavo scrivendo questo articolo, ho davvero realizzato tutto ciò che ho ottenuto grazie alla spiritualità e all’azione dei Barnabiti, ed è che sono più felice in compagnia di Dio, condivido il mio tempo con persone incredibili, sento una pace immensa e senza dubbio sento quella presenza così vicina e bella con Dio.
Apprezzo molto l’opportunità di esprimermi su questo blog, sono grato agli autori per avermi dato questa opportunità.
Rodrigo
Sant’Antonio Maria Zaccaria, prega per noi.
Svegli alle 8
Perché mai l’8 / 08 alle 8.00 del mattino essere svegli (per forza o per davvero non saprei) a Mil8 (Milot la missione dei Barnabiti in Albania)?
Amici e colleghi e … a quest’ora ancora dormono o sono in questo o quel luogo ameno dove il caldo c’è ma non insidia come qui, dove cornetti/brioches e cappuccini imperversano e, nonostante ciò, alcuni giovani italiani e albanesi sono svegli per… (udite, udite anzi leggete, leggete) per giocare.
Sì, per giocare. Termine e concetto forse desueto, ma questi giovani sono qui per giocare, perché il gioco, libero, senza smartphone (o quasi) con qualche regola da raggirare (altrimenti che gioco sarebbe?) è sempre importante per crescere e far crescere.
In questa società mondiale dove bambini e adolescenti sono sempre più fagocitati dal gioco virtuale e dalle relazioni virtuali post(?)Covid; scommettere su un giocare reale, sbucciarsi ancora le ginocchia, tradurre le regole dall’italiano all’albanese; affrontare ragazzini esuberanti (per usare un eufemismo) che vogliono boicottare i giochi solo per dirci: “Ci siamo anche noi!”; scoprire quali sono i giochi migliori da proporre e realizzare secondo le loro esigenze e non le nostre idee; in questa società mondiale fagocitata dal virtuale, il gioco è la carta più bella da giocare per costruire il futuro. (Permettetemi una digressione geopolitica: per costruire la pace, nonostante questa terza guerra mondiale a pezzi!)
Venire a Mil8 richiede di “consumare” i giorni delle proprie ferie, di far finta di non essere stanchi del lavoro a Roma o Milano o Cremona o Firenze o…; diciamolo con franchezza, richiede un po’ tanta incoscienza! Quella incoscienza che spesso i barnabiti predicano in nome di sant’Antonio Maria Zaccaria! Una incoscienza zaccariana che questi nostri giovani realizzano anche se non conoscono a memoria gli Scritti di SAMZ.
Svegli alle 8 dell’8/08 a Mil8 perché il buon giorno si vede dal mattino.
Svegli alle 8 per svegliare noi adulti, per dirci che nonostante tutto qui e in altre parti dell’Albania o del mondo ci sono ancora persone che credono nella possibilità di fare il bene perché prima di tutto raccolgono bene per se stessi. Perché tutti abbiamo bisogno di bene.
In questi due anni questi giovani hanno lavorato molto da remoto per tenere viva la propria passione per Mil8, per la nostra missione, per la propria amicizia nata con i primi KampiVeror 15 anni fa; per capitalizzare le esperienze, le sfide, gli errori, per ricordare che il bene va sempre coltivato; per essere credibili verso tutti coloro che hanno offerto soldi e strutture per far funzionare la “macchina”, non potendo essere qui concretamente (grazie davvero a tutti gli sponsor di questa estate).
Questi due anni da remoto non potevano restare “remoti”, avevano bisogno di concretezza, del campo da gioco di Mil8, nonostante tante difficoltà. Per questo ai nostri giovani italiani e di Milot e FusheMilot e Gallate non costa fatica essere svegli alle 8 anche questo 8/08 a Mil8!
Sicuramente o quasi questo sarà l’utlimo KampiVeror a Milot perché la missione tra qualche mese chiuderà: ognuno elabori le proprie riflessioni e conseguenze. Abbiate almeno il coraggio e la pietas di ringraziare questi giovani svegli alle 8 dell’8/08 a Mil8!
Sicuramente questi giovani già svegli alle 8 di questo 8/08 a Mil8 sapranno elaborare altre sorprese e sollecitare noi adulti e barnabiti a continuare a giocare nella vigna del Signore. Prendiamoci le nostre responsabilità!
Grazie giovani zaccariani già svegli alle 8 del 8/08 a Mil8!
Faleminderit, Zoti ju bekoftë
Giannicola Maria Simone prete
Insegnaci a pregare
No, non è una semplice battuta il titolo.
Oggi molti uomini e donne e giovani non pregano più e quando ne avrebbero bisogno non ne sono consapevoli e non sanno come fare.
Allora Salvini con tutte le sue madonne e rosari così come Achille Lauro con il suo autobattesimo sanremese (vedi mio ultimo articolo) ci ricordano che l’uomo e la donna hanno anche una dimensione spirituale da cui non possono fuggire, con la quale devono confrontarsi.
Ho commentato su twitter l’uscita madonnara del sig. Salvini, chiedendo ai cristiani almeno di rifletterci sopra molto attentamente. Ho ricevuto circa 250 riscontri tra like e risposte. Molto pochi arrabbiati, molti di condivisione e approfondimento sia di credenti sia di non credenti, compresi TheManeskin!. Non so se i conservatori non usino twitter o si siano defilati perché questa volta si è superato il limite.
Però un fatto è certo il sig. Salvini sa dove parare, ma la gente non è del tutto stupida e i cristiani non del tutto ingenui.
Sa dove parare perché la gente, ognuno di noi, non può fare a meno della dimensione spirituale dell’esistenza (chiamiamola anche religiosa) e quindi perché non cavalcarla? Il problema è che molti dei credenti (mi fermo in casa mia) forse non sanno più come rispondere all’esigenza spirituale di ogni loro simile, esigenza sopita o no.
Pregare è un’arte che riguarda tutti, scriveva Massimo Recalcati qualche anno fa, anche chi non è credente.
Ma noi non chiediamo più a nessuno di insegnarci a pregare perché non abbiamo più bisogno di pregare e quand’anche ne avessimo bisogno ci rivolgiamo a questa o quella realtà non spirituale o di una dubbia o effimera spiritualità.
Nel vangelo i discepoli chiedono a Gesù di insegnare loro a pregare, ma noi uomini, donne,
giovani di oggi a chi chiediamo di insegnarci a pregare? Ovvero se qualcuno ci chiedesse di insegnare loro a pregare come e cosa gli risponderemmo?
Abbiamo perso l’abitudine di pregare veramente, di conseguenza siamo incapaci di trasmettere il pregare e quindi nessuno più ci chiede di pregare.
La preghiera è quello strumento con cui possiamo entrare nell’intimità della vita, nell’intimità di noi stessi, nell’intimità di Dio. Ci sono molti modi per entrare nelle intimità della vita e di se stessi. Potrebbe bastare così per essere persone equilibrate e serene verso la vita e verso se stessi. In questo modo però la preghiera resta un buon strumento ma chiuso in se stesso, semplice propria azione di buona volontà, incapace di riconoscersi come un dono ricevuto per diventare dono.
Se per ogni uomo buono ciò è rischioso, per un cristiano lo è ancora di più. Il cristiano che è tale perché ha ricevuto “in dono” la fede e il nocciolo della fede, l’Incarnazione di Dio e il dono dello Spirito santo, vivere piegato solo sulle proprie cose buone non è bene. Non pregare, non voler pregare, non sapere pregare conduce anche il cristiano a pensare solo a se stesso, non per cattiveria, ma per maleducazione.
Il fatto stesso che molti di noi adulti non siano stati capaci di trasmettere il bello e il dono della preghiera è un chiaro segno di questa maleducazione. Una maleducazione che ha portato molti nostri giovani anche a pregare, ma spesso a non essere consapevoli di come pregano e di chi pregano. Tra questi adulti maleducanti mi ci metto anche io.
Parlare di questa maleducazione non significa colpevolizzare questo o quello ma cercare di diventare consapevoli di una fatica, di una incapacità che sta creando molti danni. Se la preghiera è il modo proprio di essere cristiani, di essere uomini e donne, di amare, di vivere e morire (come tutta la Bibbia ci insegna) non essere più capaci di insegnare a pregare è un dramma, una colpa profondi.
Insegnare a pregare significa almeno due cose: scoprire ed edificare la propria vita interiore, scoprire ed edificare il proprio essere figli.
In troppi dialoghi con giovani credenti o no, vicini o lontani, troppo scopro l’incapacità di costruire una propria vita interiore e quindi l’incapacità di affrontare in profondità la bellezza del proprio esistere. La mancanza di una vita interiore è l’altra piaga della nostra umanità, connessa al non sapere pregare.
Certo ci sarebbero gli psicologi per aiutare a fare ciò, ma la psicologia, quando è seria, entra nelle dinamiche dell’esistenza per sbrogliarne la matassa però non può rispondere alla domanda di senso e specialmente alla consapevole scoperta dell’essere figli.
Infatti, la preghiera cristiana, conduce a scoprirsi figli non di un Dio sconosciuto ma di un Dio che in Cristo si è rivelato Padre a ognuno di noi e nel dono dello Spirito si fa riconoscere come tale in modo sempre rinnovato, originale e personale.
La preghiera cristiana è sempre rivolta a un Dio che è Padre, Padre e Madre disse papa Luciani, e proprio per questo, nonostante i limiti e gli abusi dell’umanità cristiana, permette al credente di sapere da dove viene, dove è e dove va, permette di trasgredire e proprio per questo di essere libero.
La mia preghiera personale percepisce quanto ho cercato di scrivere; ma non credo di essere molto bravo nell’insegnare a pregare, nel testimoniare una preghiera buona.
Un giorno un alunno mi disse: io non credo, però nel vedere come lei si è inginocchiato e ha fatto un segno della Croce, mi ha fatto percepire che l’uomo non può vivere di sole cose materiali.
Se ciascuno di noi con la propria preghiera riuscisse anche solo a lasciare qualche piccolo segno, a sollecitare qualche domanda nel proprio prossimo non avremmo più bisogno di mercanti della preghiera.
Solo un recupero di una preghiera in armonia con sé, con la vita e con Dio può rispondere a quel bisogno di maturità umana che tutti cercano ma pochi vogliono percorrere, come si dicevano l’un l’altro il credente cardinal Martini e l’ateo filosofo Norberto Bobbio.