Lasciarsi mettere in discussione

Lasciarsi mettere in discussione

Riprendiamo alcune idee che il segretario generale del Sinodo dei vescovi ha rilasciato a Piacenza in vista dell’incontro dei giovani in preparazione dell’assemblea che si terrà in ottobre.
Dall’Osservatore Romano 14 marzo 2018
Accompagnare i giovani nel percorso di vita è «un’esperienza affascinante», ma per farlo occorre lasciarsi mettere in discussione da loro e dalle varie sfide quotidiane che essi affrontano. Lo ha sottolineato il cardinale Lorenzo Baldisseri intervenendo alla giornata di incontro e ascolto per educatori e giovani sul tema «Il vento favorevole. Da un incontro simpatico con Cristo verso il Sinodo dei giovani 2018», promossa sabato 10 marzo a Piacenza dall’associazione comunità Papa Giovanni XXIII.
I giovani, ha spiegato il segretario generale del Sinodo dei vescovi, non «chiedono solo di avere qualcuno vicino che li aiuti a superare i loro momenti difficili o il loro senso di vuoto». In base all’esperienza comune, «molti di loro esprimono il bisogno e il desiderio di essere accompagnati in un processo di discernimento che li aiuti a trovare la loro “strada nella vita”». Il cardinale ha poi riproposto i tre verbi che nella Evangelii gaudium «caratterizzano il percorso di discernimento: riconoscere, interpretare e scegliere». Essi forniscono delle valide indicazioni per delineare un itinerario adatto di accompagnamento dei giovani.
Un itinerario che può essere sintetizzato in tre compiti fondamentali. In primo luogo, «illuminare il percorso personale di riconoscimento di ciò che avviene nel loro mondo interiore». Illuminare vuol dire «accendere la luce perché il giovane veda come il Signore opera nel profondo del suo cuore». Non significa, quindi, «pretendere di vedere al suo posto né di avere la soluzione pronta per ogni circostanza». Anzi, è addirittura controproducente pensare «di aver capito tutto e di doverlo solo spiegare chiaramente». È illusorio, infatti, pensare «di avere la risposta pronta per ogni cosa», quasi che si trattasse «di applicare alla vita concreta di un’altra persona una lezione imparata a memoria o uno spartito che si ripete sempre uguale nonostante la sonata sia diversa».
Il secondo compito è fornire gli elementi fondamentali affinché i giovani «sappiano interpretare in maniera esatta ciò che imparano a riconoscere dentro di sé». Il porpora- to ha fatto notare come all’interno dell’uomo sono presenti «desideri diversificati e prospettive affascinanti, ma spesso incompatibili tra loro». Occorre allora «interpretare bene ciò che si affaccia alla coscienza, in maniera da individuarne l’origine e comprenderne le conseguenze». Questo passo, ha aggiunto, prepara quello successivo, che è anche quello decisivo: lo scegliere.
Il terzo compito, quindi, è quello di «sostenere i giovani nella scelta che scoprono essere la volontà di Dio sulla loro vita», quella che «incarna la realizzazione autentica di se stessi». Con la consapevolezza che sostenere non vuole dire «decidere al loro posto». Tenendo presente questa prospettiva, diviene chiaro a tutti l’importanza che assume la persona dell’accompagnatore. «Il suo — ha sottolineato il cardinale — è un ruolo strategico, delicato e impegnativo», che richiede «un’attenzione e una preparazione particolari» basate «sulla necessità di seri percorsi di formazione». Questo perché è in gioco la «crescita dei ragazzi, degli adolescenti e dei giovani che ci vengono affidati e con i quali siamo in contatto». Perciò l’accompagnatore deve essere ben consapevole che «uno dei suoi obiettivi principali è quello di favorire una sana autonomia decisionale nel giovane che accompagna».

La Chiesa che vorrei

Talvolta quando mi capita di vivere in un ambiente di Chiesa mi rendo conto che ascoltare la Parola di Dio e viverla ogni giorno è difficile sia per le situazioni di vita nelle quali siamo coinvolti, sia per le reazioni che spesso abbiamo nei confronti di essa e degli altri.
Ognuno di noi, penso, dovrebbe vivere nella consapevolezza che abbiamo una vita troppo breve per pensare a dare problemi a quella degli altri. Bisognerebbe invece cercare di dare del valore aggiunto alla nostra vita regalando amore gratuito perché, seminando amore lentamente (non subito), l’amore crescerà. Nota bene che sto parlando appositamente in primo luogo di Chiesa dal punto di vista dei laici, perché i preti solamente non fanno la Chiesa.
Vorrei una Chiesa che vivesse di amore sincero e che in qualche modo fosse in grado di correggere coloro che le portano discordia e non la vivono in modo sereno. Vorrei che la fede diventasse qualcosa di concreto e modello di vita non solo per i laici, ma soprattutto per i sacerdoti, specialmente per quelli che approfittando del potere loro dato conducono una vita non del tutto consona alla loro vocazione.
I giovani, come gli adulti, hanno bisogno non di un predicatore che dà istruzioni di vita come fosse un manuale, ma un esempio da seguire esattamente come Gesù lo era per i suoi discepoli. Inoltre i giovani hanno bisogno di una Chiesa che accolga tutti senza giudicare perché il comandamento “Ama il tuo prossimo come te stesso” invita a non puntare il dito contro chi non condivide le tue idee. L’amore è anche e soprattutto rispetto: rispetto delle idee, del credo, delle situazioni, delle posizioni degli altri. Anche la più piccola delle comunità è l’esempio di ciò che dico. La Chiesa: giovani, adulti, sacerdoti, deve impegnarsi a mettere in pratica tutti i giorni ciò che il Vangelo ogni domenica ci dice.
Abbiamo la fortuna di poterci dissetare e nutrire con la Parola di Dio e quindi anche il dovere di testimoniarla con amore non solo con le parole ma con i fatti: l’amore è gratis: seminiamolo! Cosi anche gli altri ci seguiranno perché l’esempio è come l’amore: cresce lentamente dopo essere stato seminato.

Stefano Fr. – Torino

Giovani a Roma per i giovani

Sinodo dei Giovani in movimento.
In occasione del prossimo incontro dei delegati giovani dal mondo a Roma in preparazione al Sinodo sui Giovani nell’ottobre 2018, i nostri JuZacc Beatrice, Tommaso e Maura, hanno intervistato Mons. Bruno Forte, Arcivescovo di Chieti-Vasto, membro del Consiglio del Sinodo dei Vescovi per l’Italia.

  1. La Chiesa sta preparando un Sinodo per i giovani: ci dice in poche parole quali le sue percezioni a proposito?

La scelta di Papa Francesco di dedicare un’assemblea sinodale di Vescovi rappresentanti di tutto il mondo al tema “i giovani, la fede e il discernimento vocazionale” da una parte è in continuità con le due assemblee sinodali dedicate alla famiglia, grembo vitale in cui i giovani crescono e maturano le scelte della loro vita, dall’altra mette in evidenza come i giovani debbano essere al centro della nostra attenzione e delle nostre cure perché sono il futuro del mondo. Anche per questo, il Papa desidera che i giovani siano protagonisti attivi del prossimo Sinodo, attraverso tappe e forme di partecipazione articolate, di cui una prima è stata il questionario on line rivolto ai giovani di tutto il mondo, anche non cristiani, e un’altra importante sarà l’incontro imminente a Roma di giovani provenienti da tutto il mondo, promosso dalla Segreteria Generale del Sinodo, per approfondire i temi dell’assemblea di ottobre.

  1. Forse la Chiesa potrebbe organizzare iniziative che siano più vicine ai giovani per conquistare, dapprima, la loro fiducia e simpatia e, solo poi, alzare l’asticella per penetrare maggiormente in loro e correggere i punti ritenuti critici. È d’accordo? Quali sono, secondo lei, le strade migliori per arrivare ai giovani più efficacemente?

La strada fondamentale è amare i giovani in maniera disinteressata per comunicare loro la bellezza di Dio e la gioia del Vangelo di Gesù. A tal fine è necessario che i giovani si sentano presi sul serio, ascoltati e resi protagonisti dei cammini di riflessione che li riguardano. Dalla mia esperienza di pastore risulta chiaro che i giovani sono portatori di domende vere e di ricchezze interiori molto più di quello che a volte si fa apparire nei “media” o si ritiene da parte di osservatori troppo poco vicini al loro desiderio di vita piena e vera.

 

  1. Come mai la Chiesa non ha optato per l’utilizzo di canali comunicativi che siano il più possibile efficienti ai fini di una pubblicizzazione più incisiva riguardo al sinodo, a ciò che questo rappresenta e quali sono le ragioni che hanno fatto si che venga posto in essere?

Mi sembra che l’uso ampio della rete, col questionario on line, e il coinvolgimento delle comunità cristiane di tutto il mondo smentiscano quanto asserito nella domanda. Naturalmente, l’impegno e l’attenzione verso i giovani e l’ascolto delle loro proposte potrà variare da contesto e contesto, ma certamente non ci sarà senza una convinta adesione al progetto di attenzione e amore ai giovani che ha spinto Papa Francesco a volere il prossimo Sinodo.

  1. Lei identifica la “memoria” nelle radici della propria cultura, sostenendo che il principale fattore che affligge i giovani sia la perdita della “memoria”. Quali sono i possibili rimedi e quali le possibili soluzioni per ricucire tale “strappo”?

Togliere a una persona o a un popolo la sua memoria significa togliere ad essi le radici su cui solo l’albero della vita può crescere e dare frutto. Perciò è importante ascoltare, discernere, accompagnare e integrare i giovani senza mai sradicarli dal loro contesto vitale, ed anzi aiutandoli a scoprire tutta la bellezza della tradizione vivente in cui la loro avventura umana viene a inserirsi. Questo vale in particolare per la trasmissione della fede, che deve far tesoro della ricchezza della comunione dei credenti nel tempo e nello spazio, coniugando memoria storica e senso della mondialità, fedeltà al passato e audacia nell’aprirsi al futuro.

  1. Secondo lei gli adulti cosa stanno facendo per ricucire questo strappo?

Non è facile rispondere a questa domanda perché le situazioni sono tante e diverse e gli adulti si relazionano ai giovani secondo un campionario di modalità pressocché inesauribile. Quello che conta è che la Chiesa faccia presente il più possibile agli adulti l’importanza di ascoltare e amare le giovani generazioni, costruendo con esse un dialogo reciprocamente arricchente e una collaborazione il più possibile creativa e capace di coniugare fedeltà alla realtà e fedeltà al sogno di Dio su ognuna delle Sue creature.

  1. Oggi, soprattutto tra i giovani, spesso vengono a mancare la speranza e la fiducia nel futuro, cosa direbbe a tutti coloro che non credono si possa cambiare il mondo?

Che il mondo cambia lo stesso, anche se loro non credono nella possibilità di cambiarlo. E che un contributo a rendere migliore il futuro per tutti ognuno deve darlo secondo le sue capacità e possibilità. Chi crede non può non avere speranza, una speranza riposta nel Dio della vita e della storia, tale da saper tirare il futuro della Sua promessa nel presente degli uomini, per quanto complesso e ricco di sfide esso possa essere o apparire.

Tai Chi

Nel Tai Chi che pratico da anni, c’è un saluto con cui apriamo sempre le nostre sedute: ci si inchina lentamente tre volte portando le mani al cuore, una chiusa a pugno nell’altra.
Il primo inchino è mentalmente rivolto “al maestro che è sopra di noi”; il secondo “al maestro che è davanti a noi”; il terzo “al maestro che è dentro di noi”.
Così ci ha spiegato chi ci guida.

Il saluto è lento, tranquillo, silenzioso e mi dà tutte le volte tempo e modo per una preghiera dolce e riconoscente alla Trinità.

Mi inchino al maestro che è Padre, creatore, misericordioso, luce da cui tutto proviene e in cui tutto si ricapitolerà.
Poi mi inchino al maestro che è Figlio, via, verità e vita per me che sono ancora e sempre in ricerca.
Infine mi inchino al maestro interiore che è in melo Spirito, luce nelle scelte di ogni giorno, consolatore perfetto, ospite dolce dell’anima, dolcissimo compagno nel cammino della vita. Prego così, tutte le volte. Ho imparato nel tempo, e non sempre in modo indolore, che non ci sono altri maestri in Terra e che anche in una palestra si può pregare. Chissà se il mio saggio e profondo insegnante di Tai Chi se n’è accorto!

Ho tratto questo testo da https://www.unattimodipace.it grazie

Le ceneri della giustizia

Praticare la giustizia.
Con questa affermazione comincia il vangelo del mercoledì delle ceneri 2018.
La giustizia sono le “opere buone” per ristabilire il bene tra le persone, in se stessi, per essere graditi a Dio.
Il tempo della quaresima è il tempo per ristabilire la giustizia di Dio, la giustizia tra Lui e l’uomo, tra l’uomo e l’uomo, tra l’uomo e gli uomini e le donne.
Questa giustizia passa attraverso l’austero segno delle ceneri imposte sul nostro capo, non solo per dirci che siamo cenere, ma specialmente per dirci che il nostro peccato in forza della giustizia di Dio diverrà come cenere e come cenere andrà disperso.
La giustizia di Dio, perché possa operare, richiede che noi “ascoltiamo il Vangelo e cambiamo vita”: che diventiamo giusti.
Per ascoltare il Vangelo bisogna fare silenzio, pregare!
Fare silenzio richiede il digiuno, digiuno del mangiare prima di tutto, ma anche della nostra mentalità, del nostro esclusivo proprio modo di pensare, di non saper rinunciare a nulla.
Si prega, si fa digiuno per cambiare vita, per meglio operare il bene, cioè l’elemosina, la carità.
Avremo tempo per riflettere su quale preghiera, su quale digiuno, su quale carità… per ora il mercoledì delle ceneri ci chiama a impegnarci in questo cammino di Quaresima: Dio si impegna con noi attraverso il segno delle Ceneri, noi ci impegniamo con Lui?
Impegnarci a essere ambasciatori di Cristo… suoi collaboratori! Questo chiede Dio nella seconda lettura (2Cor 5,20-6,2).
Preghiera, elemosina, digiuno sono gli strumenti per verificare, per crescere in questa identità di ambasciatore per rendere credibile la vocazione cui siamo chiamati: noi siamo chiamati ad affrontare il peccato, a renderlo come cenere, ma anche a collaborare con Dio in questa impresa.
Ambasciatori per chi? In particolare per i più giovani, per le nuove generazioni. I giovani hanno bisogno di testimoni credibili, di persone coerenti. Hanno ancora sete di Dio, ma più ancora di testimoni di Dio che sappiano ri-raccontare loro la proposta di Dio.
Chiediamo che questo austero rito delle Ceneri ci permetta di rinnovare la nostra esperienza di Dio perché possa meglio diventare anche la verità per le nuove generazioni.
Questa è la giustizia che ci è chiesto di praticare.

Cos’è la vita?

Cos’è la vita?
Siamo capaci di prenderla per mano, la vita che ci scorre attorno, la vita nella quale siamo chiamati a scorrere?

In un episodio della sua vita Gesù entra nella casa di Pietro e, vedendo la suocera malata, la prende per mano e la rialza alla vita quotidiana. Sembra una stupidaggine, un fatto senza grande importanza questo “prendere per mano” eppure vale più di quanto pensiamo.

In troppi ci accorgiamo che molta, forse tutta la vita scorre in solitudine, ecco perché prendere per mano non è un gesto di poco conto.
Credo che questa vita di oggi più che in altre epoche, sia da prendere per mano, la vita dal suo concepimento alla sua sepoltura. La vita da prima che fosse conosciuta a noi uomini, sino a quando sarà sconosciuta a noi uomini. Perché la vita che specialmente scorre tra questi due punti, comunque c’è anche oltre questi due punti.
Ma cos’è la vita per noi?

Lo Stato ci ha dato delle leggi per “difendere” la vita delle donne in cinta, la vita delle persone gravemente ammalate, ma forse non ci ha dato leggi per accompagnare la vita. Non siamo chiamati a fare battaglie apocalittiche o estremiste per far comprendere che la vita comunque è vita, ma a riflettere, a far ragionare sì.
L’aborto è veramente una salvezza? Per chi?
Il dimenticarsi dei poveri, dei bambini, degli anziani, degli ammalati è veramente segno di maturazione civica?
Far morire chi è gravemente malato piuttosto che accompagnare a una buona morte è un diritto del malato o una liberazione dei “sani”?
In tutte queste leggi si parla della vita delle persone o degli individui? Perché c’è differenza tra considerare un uomo, una donna, persona o individuo.

La recente “Dichiarazione anticipata di trattamento” è un tentativo di risposta a una questione spinosa, ma va usata con attenzione, né in senso largo, né in un senso stretto. Bisogna fare attenzione a che questa legge non permetta tutto ovvero limiti tutto. Prendere “per mano” questa legge sarà importante, è un dovere di noi cristiani, un dovere da assumere seriamente se non vogliamo cadere nel peccato di omissione, molto più grave di altri peccatucci che più normalmente confessiamo.
L’uomo di oggi ha paura di “prendere in mano” la malattia, di “prendere per mano” le persone che scorrono intorno alla propria vita.

Qualche giorno fa un sacerdote campano ricordava il testamento di una donna che pur avendo sempre vissuto di immagine, di mettere in mostra il proprio corpo, la propria storia di fronte alla possibilità di andare a morire in Svizzera causa un tumore devastante, una amica fidata le dice che invece dell’eutanasia poteva percorre la via italiana delle cure palliative con la sedazione profonda. Una possibilità che non conoscevo, afferma Marina Ripa di Meana, per questo farà un appello: «Voglio lanciare questo messaggio, in questo mio ultimo tratto: per dire che anche a casa propria, o in un ospedale, con un tumore, una persona deve sapere che può scegliere di tornare alla terra senza ulteriori e inutili sofferenze. Fallo sapere, fatelo sapere».

Chiediamo allo Spirito santo di insegnarci il gesto di Gesù che prese per mano la suocera di Pietro: forse non rialzeremo la persona malata, ma avremo dato dignità a lei e all’umanità.

Momenti strani della vita

Momenti strani nella vita di molti uomini possono accadere.
2000 anni fa un tizio percorreva una strada verso Damasco (si quella città dimenticata da molti oggi ma non dalla guerra!) pieno di violenza e brama di vendetta e restauro dell’ordine in nome di Dio, quando fu abbagliato e colpito da una grande luce e da una forte e decisa voce!
Voce della coscienza che parla (perché la coscienza comunque e dovunque non sa stare zitta)?
Voce di Dio (forse illusione di Dio)?
Ma la voce della coscienza e la voce di Dio, ci piaccia o no, normalmente sono una sola cosa perché Dio parla nella coscienza di ogni uomo, semmai c’è da chiedersi se le orecchie della coscienza ascoltano!
Comunque questo uomo di nome Saulo si ritrova tramortito e bisognoso dei suoi compagni per arrivare a un giaciglio, per capire quanto accaduto! Sensi sconnessi, occhi accecati, amici inermi, incapacità di mangiare, solo silenzio, e il coraggio del silenzio perché per fare silenzio ci vuole coraggio. E certe cose si capiscono solo con il coraggio del silenzio.
Trascorrono tre giorni e il silenzio continua pesante e atterrito dall’incomprensione.
Questo Saulo, tanto colto, tanto forte, tanto stimato e temuto, da solo non basta a capire se stesso.
È necessario l’intervento di uno sconosciuto di cui non si sapeva e non si saprà nulla prima e dopo questa comparsa. Hanania, questo giovane cristiano che Saulo era venuto a deportare ascoltando la stessa Voce che parlò a Saulo eccolo muoversi verso Saulo. Sicuramente con ancora un po’ di paura questo giovane si fa strumento di Dio per aiutare Saulo a colmare il suo silenzio, la sua incomprensione.
L’uomo da solo a solo non può arrivare a grandi mete, tanto meno a capire Dio, ancora di più un Dio che si è fatto uomo, come Saulo, come Hanania, come … tu che leggi.
La conversione di Saulo è la sua capacità di riconoscere al Dio in cui credeva la possibilità di rivelarsi come uomo: morto e risorto!
La conversione di Saulo è la disponibilità a lasciarsi accompagnare da Hanania nel suo cammino di comprensione.
Mi piace evidenziare l’umiltà di Saulo, ormai Paolo, nel farsi accompagnare: il Dio di Gesù Cristo, ecco la sua astuzia, non si lascia relegare in questa o quella mente, ama farsi riconoscere dal concorso di più persone. La conversione di Paolo è questa capacità di riconoscere il valore della relazione tra gli uomini, una relazione capace di accompagnare nella ricerca della verità.
E noi da chi siamo accompagnati nella ricerca della Verità e, non dimentichiamolo, chi e come accompagniamo nella ricerca della Verità?

Buona festa della Conversione di Paolo.

 

Dagli Atti degli Apostoli

9,10C’era a Damasco un discepolo di nome Anania. Il Signore in una visione gli disse: «Anania!». Rispose: «Eccomi, Signore!». 11E il Signore a lui: «Su, va’ nella strada chiamata Diritta e cerca nella casa di Giuda un tale che ha nome Saulo, di Tarso; ecco, sta pregando 12e ha visto in visione un uomo, di nome Anania, venire a imporgli le mani perché recuperasse la vista». 13Rispose Anania: «Signore, riguardo a quest’uomo ho udito da molti quanto male ha fatto ai tuoi fedeli a Gerusalemme. 14Inoltre, qui egli ha l’autorizzazione dei capi dei sacerdoti di arrestare tutti quelli che invocano il tuo nome». 15Ma il Signore gli disse: «Va’, perché egli è lo strumento che ho scelto per me, affinché porti il mio nome dinanzi alle nazioni, ai re e ai figli d’Israele; 16e io gli mostrerò quanto dovrà soffrire per il mio nome». 17Allora Anania andò, entrò nella casa, gli impose le mani e disse: «Saulo, fratello, mi ha mandato a te il Signore, quel Gesù che ti è apparso sulla strada che percorrevi, perché tu riacquisti la vista e sia colmato di Spirito Santo». 18E subito gli caddero dagli occhi come delle squame e recuperò la vista. Si alzò e venne battezzato, 19apoi prese cibo e le forze gli ritornarono.

 

Droghe e bravi ragazzi

Cari amici di Giovani Barnabiti,

Siamo a Roma con un mio amico Gianmichele Lagravinese, medico e docente universitario, marito e padre di due splendide fanciulle. Insegna presso la Facoltà di Farmacia e Medicina, patologia clinica, e nello specifico tossicologia clinica e forense, e farmacologia.

Partiamo proprio dalla cattedra: cos’è l’università oggi?

È un luogo in cui si cerca di formare, con molta fatica, dei giovani, coltivando una mentalità professionale e scientifica; lavoro arduo specialmente per la fatica di trovare poi una professione degna di tanto studio. Dico questo con rammarico perché ci sono veramente delle menti notevoli che si sono perse in lavoretti “da quattro soldi”.

Cosa vedi nei giovani di fronte alla tua cattedra?

Nella maggior parte dei casi sono molto interessati, vogliosi di imparare e percepire ciò che gli viene detto, devo dire, ho sempre trovato un approccio gratificante dal punto di vista professionale perché imparano ciò che gli viene insegnato e ti ascoltano, per cui c’è sicuramente una voglia di imparare e muovere i primi passi, purtroppo poi si scontrano con una realtà che non è consona alla loro formazione, nonostante abbia anche creato dei gruppi di ricerche scientifiche, ottenendo ottimi risultati, a livello internazionale.

C’è molta differenza tra i giovani di ieri e quelli di oggi?

Sicuramente oggi l’ambiente università è più raccolto, i numeri limitati e minore la fatica per capire chi è portato o meno per questo studio; certo oggi il problema è trovare un lavoro all’altezza della professionalità degli studi, almeno in Italia.

Come mai tossicologia?

Le esperienze devastanti di miei amici del liceo mi hanno portato, dopo l’università, a lavorare presso centri di recupero per tossicodipendenti. Entrato poi in ospedale mi sono ancora di più dedicato a questo ramo particolare.

Cosa pensi della legalizzazione della marijuana?

Vorrei far vedere alcuni danni celebrali che provoca la marijuana, con delle aree con focolai di necrosi, spaventosamente dirompenti per i danni a lungo termine che possono provocare sulle funzionalità del nostro cervello. Non voglio entrare nel merito della liberalizzazione, posso dire che la cannabis che si acquista su internet o dal pusher di quartiere ha un principio attivo dalle 7 alle 10 volte superiore rispetto a una cannabis normale, il tetraidrocannabinolo è stato aumentato nella pianta stesso, quindi chi assume questa sostanza, assume una concentrazione di principio attivo fino a 10 volte superiore rispetto a quella presente nella cannabis, gli effetti della sostanza non dipendono solo dalla tossicità di essa, ma dalla concentrazione di tale sostanza.

Perché una persona cerca e vuole assumere queste sostanze per stare bene?

Oggi il mondo delle sostanze stupefacenti è difficile da riconoscere, è completamente differente da quello che siamo abituati a pensare per noi che siamo entrati negli “-anta”, perché l’approccio con le sostanze è cambiato, indipendentemente che siano stupefacenti, anabolizzanti, performanti sessuali… si vuole delegare a una sostanza uno stato di benessere. C’è piena coscienza di quello che la sostanza può offrire e la si utilizza per un determinato scopo che si vuole raggiungere, indipendente dal tipo di sostanza. Che sia una sostanza stupefacente o un performante sessuale, c’è un abuso di Viagra e Chalis, ne fanno utilizzo anche i ragazzi che acquistano su internet per avere una “super-prestazione” sessuale e questo provoca dei danni fisici inimmaginabili, come gli anabolizzanti, e tutte le migliaia di sostanze che si trovano anche su internet, ognuna con uno specifico risultato, sul quale, il consumatore si informa mediante forum, come lo sballo o le allucinazioni dissociative. Questo vale anche per gli anabolizzanti e tutte le altre sostanze che sono migliaia e che sono facilmente acquistabili grazie a internet, ognuna delle quali ha degli effetti che l’abusatore conosce grazie al web (sballo, allucinazione dissociativa, droghe da stupro…).

Tu hai parlato di adolescenti, però anche tra i 40enni e 50enni si usano droghe, specialmente cocaina.

Senz’altro, ma anche sessantenni e settantenni. Difatti abbiamo avuto casi di intossicazione da chetamina di persone che avevano più di sessant’anni e la chetamina è un anestetico dissociativo che può essere anche usata per scopi di violenza sessuale. Ha degli effetti estremamente pericolosi, basti pensare che somministrata una dose in un paziente predisposto può provocare una situazione di schizofrenia che può durare tutta la vita. Queste sostanze purtroppo sono in giro su internet e il mercato è cambiato perché essendo tanta la domanda chi vende non ha alcun interesse a “fidelizzare” il cliente per cui, per guadagno, mischia queste sostanze ad altre più tossiche come veleni di cui il compratore non è a conoscenza. Il rischio è di avere un’intossicazione da più sostanze. Questo succede spesso con tutti i canabioti sintetici che vengono acquistati su internet e nella maggior parte dei casi sono un miscuglio di sostanze che tentano di riprodurre l’effetto del cannabinoide ma in realtà non sai quello che assumi.

Quindi è finita l’era dei pusher…

È finita, o almeno è passata un po’ di moda. È molto più semplice ordinare la sostanza su internet, arriva il pacchetto anonimo a casa nel giro di 24-48h e nessuno saprà mai niente.

A me pare che oggi si parli molto poco di droga e dei suoi effetti: cosa ne pensi?

Se ne parla molto poco e il motivo comincio a pensare che non sia del tutto lecito. Inoltre quando se ne parla se ne parla se ne parla male.

Io ho fatto fare a dei ragazzi, che mi seguono per questi lavori, una ricerca sui siti dove si possa comprare o dove si possano ricavare informazioni su queste sostanze. Sono siti graficamente accattivanti (bei colori, belle immagini…) che attraggono, in particolar modo l’adolescente. Se uno va sui siti ministeriali che trattano di questi temi sono di una pesantezza allucinante che io stesso (che svolgo questo mestiere) dopo 10 minuti mi addormento.

Questi siti accattivanti offrono informazioni fuorvianti che inducono all’abuso di queste sostanze senza controinformazione alcuna. Anzi, il dipartimento delle politiche antidroga che fino a poco tempo fa faceva questo lavoro e aveva creato dei siti adatti, capendo quale fosse il problema, ha avuto delle
vicissitudini per cui è stato prima chiuso poi riaperto ma non con la stessa funzionalità di prima. Ci vorrebbe un ente che si occupi di contrastare una cattiva informazione che viene da questi siti.

Con la tua esperienza in ospedale e università, ritieni che ci siano ancora bravi ragazzi?

Senz’altro sì.

Il bravo ragazzo di oggi ha una mentalità diversa da quella che potremmo pensare noi. Rimane un ragazzo che tende ad avere certi comportamenti che alcune volte possono sembrare un po’ sopra le righe però ha dei valori morali a cui si attiene scrupolosamente indipendente dal fatto che faccia delle cose che oggi fanno tutti i ragazzi (come ubriacarsi il sabato sera) che ai tempi nostri non si facevano in maniera così eccessiva. Però ne ho incontrati tanti, ho un gruppo che mi aiuta in queste ricerche è estremamente motivato, lavora praticamente gratis ma continua solo per passione. E questo è molto bello.

La parola speranza ha un senso oggi?

Sì. Ci sono ragazzi con delle capacità enormi che sono contento di aver conosciuto. Meriterebbero loro di essere nostri successori all’Università ma purtroppo queste strade al momento gli sono precluse. Abbiamo ragazzi che meriterebbero di più di quello che il nostro paese riesce a offrire. Una ragazza che ha lavorato con me è poi andata in Brasile ed è diventata un personaggio importante. Adesso vorrebbe ritornare in Italia, perché quando era lì è stata aggredita da una banda di brasiliani che le hanno provocato una frattura della spalla e dell’omero. Sicuramente con l’esperienza brasiliana è riuscita a mettersi in mostra ma ora vorrebbe tornare.

E tu dove vorresti tornare?

Ora? A fare la mia parte nella nuova commedia che stiamo mettendo in scena con il nostro gruppo teatrale.

Grazie Gianmichele per queste riflessioni. Cercheremo di farne tesoro e condividerle.

Ciao 2017, ciao 2018

Scrivere fa bene alla salute, anche leggere ciò che si scrive, molto più che bere o altro!

La fine di un anno comunque un poco ci tocca, non tanto per sapere se abbiamo avuto fortuna o no o … ma se abbiamo fatto il bene che potevamo fare, anche se forse non sempre abbiamo ricevuto il bene che avremmo voluto ricevere.
Possiamo guardare le cose solo dal punto di vista del nostro ombelico, ma se vogliamo cambiare qualche cosa dobbiamo guardarle dal punto di vista dell’ombelico del mondo: non è semplice ma è molto più intrigante e affascinante.

Lo scorso anno ho potuto girare in pochi mesi, quasi tutto il mondo, attraversare tre volte l’Atlantico, e l’oceano Indiano e un po’ di Europa e molto di Italia: guardare le cose con gli occhi di tutte le persone che ho incontrato non è stato facile (credo nemmeno per loro guardare con i miei occhi e brontolamenti) ma mi ha insegnato tante cose e credo di averle un poco imparate.
Un anno di dolori e angosce, ma anche di gioie e speranze, di piccole e grandi lotte, di invisibili (le migliori) e chiare vittorie. Per tutto ciò voglio salutare chi parte e chi arriva con questa citazione di Teillard de Chardin, non troppo ostica per esprimere il passo giusto per crescere con sapore.

«Noi ci immaginiamo a volte che le cose si ripetano, indefinite e monotone, nella storia della Creazione. Certo, la stagione è troppo lunga rispetto alla breve durata delle nostre vite individuali – e la trasformazione è troppo ampia e troppo interiore nei confronti delle nostre vedute superficiali e limitate –, perché possiamo percepire i progressi di ciò che si sta compiendo, instancabilmente, grazie e attraverso ogni Materia e ogni Spirito. Accettiamo allora la Rivelazione, fedele appoggio (qui ancora) ai nostri presentimenti più umani. Sotto l’involucro banale delle cose, da tutti i nostri sforzi epurati e salvati, si genera gradualmente la Terra Nuova. Un giorno, ci annuncia il Vangelo, la tensione accumulata lentamente tra l’Umanità e Dio raggiungerà i limiti fissati dalle stesse possibilità del Mondo. Allora sarà la fine» perché possa cominciare l’Inizio definitivo.

Ciao 2017 e felice 2018!

pJgiannic

Favola, sogno, gioco o realtà?

Favola, sogno, gioco o realtà?
Questa la domanda del Natale 2017.

Potrebbe essere una favola tra le tante, ben confezionata; abbiamo sempre bisogno di favole che ci portino per un poco fuori dalla realtà per riprendere a vivere bene l’ogni giorno.
Potrebbe essere un sogno che il nostro inconscio produce per denunciare qualche lontano e nascosto bisogno di umanità che la vita di ogni persona porta con sé.
Potrebbe essere un gioco, a basso costo per distrarci un poco, anche se non si vince nulla.

E se invece fosse realtà?

La realtà di un uomo e una donna costretti a cercare un rifugio per ripararsi; piegati dal freddo di una grotta per partorire il proprio figlio; condannati poi a fuggire in Egitto a causa dell’egoismo dei potenti e degli uomini. Ieri come … oggi!
È la realtà di un Dio che sceglie ciò che è fragile e debole per rivelarsi.
È la realtà di un Dio che sceglie il corpo di una donna e la cura di un uomo per rivelarsi nel corpo di un bambino.
È la realtà di un Dio che sceglie un corpo come il mio, come il vostro, come quello di tanti poveri per rivelarsi.

Forse non ci pensiamo abbastanza, perché è più bello evidenziare la favola: le stelle, il freddo, i pastori, il bue e l’asinello; ma Dio sceglie un corpo: «caro cardis salutis»!
La carne è il cardine della salvezza!

Abbiamo ancora un concetto di salvezza troppo spiritualistico. Mentre Dio ha un modo di pensare «più terreno» di quanto noi vorremmo permettergli. Forse perché una carne, un corpo ci interpella troppo su quanto poco apprezziamo noi stessi e la nostra terra.
Certo noi oggi amiamo molto il nostro corpo, ma solo il nostro; il nostro pezzetto di terra, ma solo il nostro; chiusi in noi stessi, nei nostri sogni e nelle nostre favole e proprio per questo ci sentiamo più che mai dolorosamente separati da tutto ciò che è grande e definitivo, dall’esperienza salvifica?

Eppure Dio ha scelto un corpo e un pezzo di terra per rivelarsi proprio per affermare la dignità di ogni corpo, con i suoi piaceri, con i suoi dolori, con le sue angosce e le sue speranze.
Eppure Dio ha scelto un pezzo di terra per rivelarsi, con la sua bellezza, con i suoi drammi, con i suoi deserti e relativi muri, con le sue discariche e i suoi giardini proprio per affermare il valore della terra intera, per dire che è proprietà Sua quindi di tutti e non di questo o di quel potente.

Per me il Natale è realtà che chiede a tutti noi credenti di portarla a quanti soffrono nel corpo e nello spirito, vicini e lontani.
Per me il Natale è realtà perché – diceva papa Francesco alla Curia – «ricorda che una fede che non ci mette in crisi è una fede in crisi; una fede che non ci fa crescere è una fede che deve crescere; una fede che non ci interroga è una fede sulla quale dobbiamo interrogarci». Anche perché «una fede soltanto intellettuale o tiepida è solo una proposta di fede», che si può realizzare pienamente solo «quando si permette a Dio di nascere e rinascere nella mangiatoia del cuore».

Per me il Natale è realtà perché Dio ha scelto di incarnarsi in un corpo e in un pezzo di terra 2000 anni fa e oggi sceglie la mangiatoia del cuore di ognuno di noi riscaldandola col soffio del suo Spirito perché ognuno di noi possa scaldare il cuore di ogni uomo e donna che Dio ama.
Per me il Natale è realtà perché Dio condivide la sua carne divina con la nostra carne umana affinché condividiamo la nostra carne divinizzata con tutta la terra e tutti gli uomini che Dio ama.

Santo Natale a tutti voi!
pJgiannic