Espiral de autodestruição

Folha 7

Algumas linhas de orientaç ão e acção. I

Após a análise da situação, mesmo dramática, o documento tenta “agora a delinear alguns grandes percursos de diálogo que nos ajuda a sair da espiral de autodestruição em que estamos afundando” (163).Mas esta perspectiva, que é parte da ampla discussão global deste século passado, pede a “nós os crentes de rezar a Deus pela evolução positiva das discussões atuais, para que as gerações futuras não sofram as consequências do atraso imprudente” (169). Esta oração já detém bons frutos: “Desde a metade do século passado, de fato, superarndo muitas dificuldades, se foi afirmando a tendência a conceber o planeta como pátria e a humanidade como um povo que habita em uma casa comum” (164). Como se pode ver, mesmo entre muitas dificuldades, o valor do bem comum, ou seja, “o conjunto daquelas condições da vida social que permitem seja aos grupos, como aos indivíduos singolarmente, de alcançar sua perfeição mais plena e facilmente” (GS 26 ), juntamente com uma maior atenção á pessoa, estão germinando.

Este capítulo aborda muitas questões, muito grandes, que não podemos, ter em mente: o acesso à água potável, a reorganização das fontes de energia, a governação dos oceanos, a utilização de fontes renováveis, a questão dos resíduos, a atenção ao peso sobre os países mais pobres, o peso das não-escolhas dos países mais ricos e poderosos. Mas a lógica que torna menos fáceis as decisões difíceis sobre o aquecimento global é a mesma que não permite de realizar a desenraizamento da pobreza (cf. 175). Na frente de tudo, é necessária “uma reação global mais responsável, que envolve lidar simultaneamente a redução da poluição e o desenvolvimento dos países mais pobres.” Perante esta necessidade, tem de ser revisto o papel das finanças e se entende como se torne a urgente uma nova política internacional, para evitar os problemas mais graves que acabam de bater todos (cf. 175. Vd. G XXIII, Pacem in Terris).

A este respeito, “a empresa, através de organizações não governamentais e associações intermediárias, deve exigir os governos a desenvolver regulamentos, procedimentos e controlos mais rigorosos. Se os cidadãos não controlam o poder político – nacional, regional, municipal – nem sequer é possivel um contraste dos danos ambientais. Por outro lado, as leis municipais podem ser mais eficazes se houver acordos entre populações vizinhas … “(179).

Esta meta requer uma jurisprudência renovada, mas também uma nova forma de fazer política. “Que um político assuma estas responsabilidades com os custos que implicam, não responde à lógica eficiêntistica e” imediatista “ da economia e da política atual, mas se tiver a coragem de fazê-lo, novamente vai reconhecer a dignidade que Deus lhe deu como pessoa e deixara’, depois da sua passagem nesta história, um testemunho de generosa responsabilidade … no entanto, é necessario reconhecer que os melhores dispositivos acabam sucumbindo quando faltam os grandes objetivos,os valores, uma compreensão humanística e significativa, capazes de dar a cada empresa uma abordagem nobre e generoso “(182) 1.

O problema da corrupção (182) e os “critérios para uma boa decisão de negócios: com que finalidade? Por quê? Onde? Quando? De que maneira? Quem é dirigido? Quais são os riscos? A que custo? Quem paga o custo? “(185) (vd. Rio dJ 1992) Convenção.

Claro, existem questões difíceis de resolver, “a Igreja não tem a pretensão de definir as questões científicas, nem de substituir-se à política, mas [eu] convido para fazer um debate honesto e transparente, porque as necessidades especiais ou as ideologias não afectem negativamente o bem comum “(188).

Depois de recuperar algumas questões financeiras que afetam o bem-estar dos mais pequenos, o Papa Francisco diz que “temos de nos convencer de que um certo abrandamento da produção e taxa de consumo pode resultar em um outro modo de progresso e desenvolvimento” (191). “É por isso que chegou a hora de uma certa diminuição em algumas partes do mundo” (193). “É simplesmente redefinir o progresso” (194)

 

Perguntas:

Acredita que o diálogo pode ajudar a encontrar boas soluções?

Alguma vez você já teve a experiência de diálogo com …?

Em sua atuação como um cidadão, assim como cristão, o bem comum é um valor inevitável? (E com esse o princípio da subsidiariedade?)

Como a oração ajuda-o a suportar as suas boas obras e uma boa vida?

Em seu plano de estudo há espaço para visões alternativas

Dio a modo mio

Pubblichiamo volentieri un intervento di Roberto Lagi, Laico di san Paolo, sui giovani con l’augurio possa suscitare qualche discussione.

GIOVANI A MODO MIO. La transizione difficile

In questi giorni ho letto un libro pubblicato da Vita e Pensiero che contiene i risultati di una ricerca dell’Università Cattolica di Milano: Dio a modo mio. Giovani e fede in Italia (P. Bignardi, R. Bichi e altri a.c., 2015). Vorrei sintetizzare alcuni argomenti emersi e riassunti dall’autrice nelle conclusioni (pp. 173).

  1. L’attuale generazione dei giovani di oggi dal punto di vista religioso, è al confine tra due generazioni: quella di un passato che non c’è più e di un futuro che non c’è ancora… Sono una “generazione di mezzo”, potremmo anche definirla “interstiziale”, collocati storicamente tra un modello culturale tipico del passato, tradizionale-istituzionale, a cui sono stati, dolenti o nolenti, socializzati nella maggioranza dei casi, e un modello culturale presente, emergente e de-istituzionalizzato, che si sta diffondendo proprio in questi anni. Quest’ultimo, concedendo maggiore libertà all’individuo e rifiutando di esercitare la normatività tipica del modello tradizionale, apre la strada tra i giovani a nuove modalità di vivere la fede, più personali, meno “convenzionali”, seppur “autentiche e consapevoli”. Il loro è il travaglio di chi soffre il venir meno di un modello percepito come inadeguato e insoddisfacente e per questo respinto, e vorrebbe trovare un modo nuovo di vivere il rapporto con Dio, la ricerca di un’autenticità di vita, la strada verso la speranza e la felicità. Conoscono le forme della religiosità del passato, istituzionali, tradizionali, definite: le hanno ricevute dal catechismo, dall’oratorio, in famiglia, dai nonni. Ma non sanno come quelle possano rispondere alle domande che essi portano dentro di sé, esigenti e inedite; le tracce di un modo diverso di vivere la fede si fanno strada dentro di loro a fatica. Percorso difficile e rischioso, anche perché spesso vissuto in solitudine, talvolta in compagnia di adulti che vorrebbero continuare ad essere i maestri per un tempo che non c’è più.
  2. Da queste premesse una serie di ulteriori considerazioni. Intanto la confusione fra la fede e l’etica: spesso essere cristiani coincide con un’etica identificata con i dieci comandamenti o, per alcuni, con il detto “ama il prossimo tuo come te stesso”.
  3. I giovani vedono la Chiesa cattolica come Istituzione, raramente hanno un ricordo gioioso della loro iniziazione cristiana: La formazione ricevuta da bambini ha generato in loro un’idea di vita cristiana piena di obblighi e divieti, di impegni che hanno poco a vedere con la voglia di vivere e con le domande tipiche della loro età.
  4. Inoltre: Questi giovani hanno acquisito un’idea piuttosto esteriore di vita cristiana, con poca anima e soprattutto priva della percezione che l’essere cristiani ha a che fare con Gesù Cristo e con il Vangelo.
  5. Da ciò deriva che i giovani hanno una visione della vita cristiana rigida, definitiva e senza tempo, dentro la quale non trovano posto le domande personali o la sensibilità che soggettivamente vorrebbe reinterpretare il senso della fede. Da questo modo di credere essi prendono le distanze, abitando lo spazio dell’esperienza cristiana in modo soggettivo e individualistico, quello che il titolo della ricerca definisce “Dio a modo mio”.
  6. Non che ai giovani manchi un anelito di infinito, un’apertura al divino, il problema è che: a un modello pastorale tutto orientato a comunicare una visione della vita o a proporre una serie di impegni andrebbe oggi sostituito un modello impostato sul dialogo: un dialogo vero, che è scambio, ascolto profondo, personalizzazione dell’annuncio e accompagnamento a collocare le ragioni della fede dentro percorsi personali, originali e irripetibili, cosa che purtroppo difficilmente si realizza.

Concluderei riportando ancora una frase della Bignardi: Educare i giovani alla fede significa consegnare loro la fede così come noi adulti l’abbiamo vissuta? O piuttosto mettere nel loro cuore l’essenziale, insieme ad una passione che dia il desiderio e la volontà di reinterpretarlo per il loro tempo, nel loro tempo? …. Vi è un intreccio molto stretto tra le generazioni: i più giovani imparano dalla testimonianza degli adulti che cosa significhi credere; ma il loro apprendimento non è passivo. Mai come oggi esso è critico, attento a discernere, ad accogliere ma anche a rifiutare. In questo i giovani, mostrandoci le inautenticità dei nostri percorsi, ci costringono ad aprirci alla novità e al futuro. Resistere a questa esigenza avrà come esito non solo lo smarrimento delle nuove generazioni, ma l’inaridimento della generazione adulta. Che resterà pateticamente superata, gente di altri tempi, testimoni di un cristianesimo che non sa cercare e intuire i segni del tempo e pertanto non riesce a stare dentro la vita.

In Atti 1,8 il Risorto invia i discepoli dicendo: avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra. Testimone non è, in questo contesto, colui che si limita a parlare di ciò che è accaduto, ma chi testimonia con la propria vita l’autenticità di ciò che dice e questo in ogni tempo e luogo.

Sapremo essere anche oggi dei veri testimoni del Risorto soprattutto per i giovani?

Roberto Lagi, Fiesole

Un perfetto sconosciuto non per i nostri giovani

Un perfetto sconosciuto se non addirittura «un prigioniero di lusso»: ecco cos’è lo Spirito Santo per i molti cristiani ignari che è lui a «muovere la Chiesa», portandoci a Gesù, e a renderci «reali» e «non virtuali». Queste le parole di papa Francesco in questi giorni che ci preparano alla festa di Pentecoste.

Non così però per i tanti Giovani Barnabiti sparsi per le nostre comunità in Italia. Infatti, proseguono gli incontri di preghiera e riflessione in preparazione alla festa di Pentecoste 2016. Dopo Milano, Roma, San Felice oggi tocca ai giovani volontari del Denza di Napoli.

Pur restando nelle proprie diverse città tutti i nostri giovani stanno meditando sull’ “impresa” che lo Spirito santo ha cominciato in loro grazie al carisma di S. Antonio M. Zaccaria (L VI). C’è un’impresa della vita che ogni uomo è chiamato a scoprire e vivere da solo o in compagnia dello Spirito santo.

Lo Spirito santo non ci lascia soli, evidenza il nostro SAMZ; lo Spirito santo stimola la nostra memoria perché possiamo continuare a costruire la storia in cui siamo stati posti; lo Spirito santo invita ognuno di noi a creare il domani con la nostra creatività e libertà.

Illuminati da queste indicazioni i nostri Giovani Barnabiti stanno “affocando” le proprie città anche con l’impegno di invocare ogni giorno «Vieni Spirito santo e soffia su di noi!», per una rinnovata effusione che sarà capace di riformare l’impresa cominciata dal nostro SAMZ.

Grazie cari giovani

Giannicola M.

Il cielo nella coscienza

Viviamo oggi una delle feste cristiane più particolari e delicate da comprendere perché riassume tutto il movimento della proposta di Dio per la nostra salvezza: la festa dell’Ascensione di Gesù.

Infatti, la crocefissione ha ancora un che di umano e comprensibile; la resurrezione ci costa un po’ più di fatica, ma in un certo senso ci fa anche “piacere” credere in un Dio che fa qualche cosa di differente. Ma l’Ascensione va completamente al di là del bisogno di concretezza che sempre abbiamo, che contrasta con la nostra idea dell’al di là, del dopo la morte. Dobbiamo invece convincerci che questo è il mistero riassuntivo di tutta la vita di Gesù.

Volere capire tutto è una pretesa di onnipotenza che toglie a Dio la possibilità di essere Dio: sapere che non possiamo comprendere tutto ci aiuta a voler camminare ancora, ci aiuta a voler cercare ancora, ci aiuta a scoprire che Dio ci vuole bene proprio è più grande di noi.

Ma come riconosciamo e verifichiamo questa grandezza?

Forse perché egli sale al cielo? Perché si allontana da noi in un luogo irraggiungibile? Perché state a guardare il cielo? Questo Gesù ritornerà come vi ha promesso (leggiamo nel Vangelo). Il cielo.

Il cielo non è tanto ciò che c’è sopra di noi; il cielo è il segno della grandezza di Dio, del suo amore. E dove è il luogo, lo spazio dell’amore di Dio se non la coscienza dell’uomo?

Contemplare che Gesù sale al cielo significa riconoscere che egli ama abitare nel vero tempio di Dio che è la coscienza di ogni uomo; il cristiano è colui che per rivelazione dello Spirito santo riconosce e comprende che Gesù abita in Dio nella sua coscienza e nella coscienza parla all’uomo come a un amico!

Perché Gesù ascende al Padre, nella coscienza dell’uomo? Per insegnarci ad andare verso il Padre, per portarci verso il Padre suo e Padre nostro.

Quel Dio che Mosè non poteva vedere nel volto, questo Dio ora si è fatto amico dell’uomo nel volto di Gesù che chiede di abitare in noi e così ci prepara al suo ritorno. Il mistero dell’Ascensione infatti non è il mistero di Gesù che scappa, ma l’opportunità per imparare a vivere con fervore nell’attesa del suo ritorno definitivo.

La domanda che emerge è perciò: come attendo questo ritorno di Gesù, della gloria di Dio?

Non guardando il cielo, ma vivendo una vita “affocata” dell’amicizia con Gesù, nella testimonianza tra gli uomini. Stavano nel tempio lodando Dio. Nell’attesa della potenza di Dio, lo Spirito santo.

Qui è un’attesa di preghiera, ma non una preghiera passiva, bensì una preghiera che introduce alla conoscenza e alla testimonianza.

La conoscenza.

Nell’Ascensione noi entriamo in contatto con tutti i misteri della vita di Gesù, riconosciamo la sua preesistenza. Dobbiamo ricordarci della sua eternità se vogliamo entrare nell’eternità. L’Ascensione è la porta da aprire per fare entrare Dio in noi: quanto apriamo questa porta?

La testimonianza.

Si è amici di Dio perché fissiamo Gesù nel volto di tutte le povertà del mondo, povertà che chiedono di essere redente, superate, eliminate.

Il mistero dell’Ascensione è necessario non solo per poter ricevere il dono dello Spirito santo, ma perché impariamo a essere portatori dello Spirito santo nel mondo.

Il mistero dell’Ascensione non è il mistero dei tiepidi, ma dei credenti infuocati dallo Spirito santo per annunciare a tutti che Gesù è vivo per noi, che Gesù agisce in noi, che Gesù tornerà per raccoglierci in un’unica famiglia.

Si crea una catena di comunione e di amore tra Dio e noi, tra noi e l’umanità.

Dobbiamo rinnovare la celebrazione di questa festa, è una festa per tutta la Chiesa, per tutti gli uomini; è la festa della consolazione per la Chiesa, per noi, per gli uomini tutti; è una festa non solo per oggi, ma per tutto l’anno.

Una ecologia integrale

Scheda 6,

Un’ecologia integrale

Tutto è in relazione, da qui la necessità di una cultura ecologica integrale.

L’ecologia richiama a prima vista l’ambiente, ma l’ambiente fa riferimento a una particolare relazione, quella tra la natura e la società che la abita e all’interno di ciò il tempo, lo spazio, la fisica, la chimica, la biologia sono ulteriori relazioni intrecciate tra loro. Ne consegue che l’inquinamento di una parte non può risolversi da una sola prospettiva; assistiamo oggi a una sola e complessa crisi socio-ambientale. Dobbiamo perciò tenere sempre più presente l’ecosistema naturale e l’ecosistema sociale.

«Oggi l’analisi dei problemi ambientali è inseparabile dall’analisi dei contesti umani, familiari, lavorartici, urbani, e dalla relazione di ciascuna persona con se stessa, che genera un determinato modo di relazionarsi con gli altri e con l’ambiente. C’è una interazione tra gli ecosistemi e tra i diversi mondi di riferimento sociale, e così si dimostra ancora una volta che “il tutto è superiore alla parte”» (141).

(Pensiamo al consumo delle droghe, 142).

Tutto ciò comporta anche una ecologia culturale, che porti al rispetto dei singoli contro un appiattimento globale. «È necessario assumere la prospettiva dei diritti dei popoli e delle culture, e in tal modo comprendere che lo sviluppo di un gruppo sociale suppone un processo storico all’interno di un contesto culturale e richiede il costante protagonismo degli attori sociali locali a partire dalla loro propria cultura» (144). «In questo senso, è indispensabile prestare particolare attenzione alle comunità aborigene con le loro tradizioni culturali. Non sono una semplice minoranza tra le altre…» (145).

La conseguenza di un’ecologia integrale si deve sperimentare in una ecologia della vita quotidiana, fatta di abitazioni, di trasporti, la bruttezza degli ambienti e relativi rapporti umani, il caos delle città.

Ma specialmente «l’ecologia umana implica anche qualcosa di molto profondo: la necessaria relazione della vita dell’essere umano con la legge morale inscritta nella sua propria natura, relazione indispensabile per poter creare un ambiente più dignitoso. Esiste una «ecologia dell’uomo» perché «anche l’uomo possiede una natura che deve rispettare e che non può manipolare a piacere» (B XVI) In questa linea, bisogna riconoscere che il nostro corpo ci pone in una relazione diretta con l’ambiente e con gli altri esseri viventi. L’accettazione del proprio corpo come dono di Dio è necessaria per accogliere e accettare il mondo intero come dono del Padre e casa comune; invece una logica di dominio sul proprio corpo si trasforma in una logica a volte sottile di dominio sul creato. Imparare ad accogliere il proprio corpo, ad averne cura e a rispettare i suoi significati è essenziale per una vera ecologia umana. Anche apprezzare il proprio corpo nella sua femminilità o mascolinità è necessario per poter riconoscere sé stessi nell’incontro con l’altro diverso da sé. In tal modo è possibile accettare con gioia il dono specifico dell’altro o dell’altra, opera di Dio creatore, e arricchirsi reciprocamente. Pertanto, non è sano un atteggiamento che pretenda di «cancellare la differenza sessuale perché non sa più confrontarsi con essa» (154).

Un ragionamento di questo genere – e qui sintetizzo i numeri successivi – si può comprendere solo se teniamo presente il punto di riferimento iniziale del bene comune e il suo ruolo centrale e unificante nell’etica sociale. In quest’ottica il problema della famiglia e della giustizia tra le generazioni.

«L’ambiente si situa nella logica del ricevere. È un prestito che ogni generazioni riceve e deve trasmettere alla generazione successiva» (159).

«L’uomo e la donna del mondo postmoderno corrono il rischio permanente di diventare profondamente individualisti, e molti problemi sociali attuali sono da porre in relazione con la ricerca egoistica della soddisfazione immediata, con le crisi dei legami familiari e sociali, con le difficoltà a riconoscere l’altro. Molte volte si è di fronte a un consumo eccessivo e miope dei genitori che danneggia i figli… perciò “oltre alla leale solidarietà intergenerazionale, occorre reiterare l’urgente necessità morale di una rinnovata solidarietà intragenerazionale” (B XVI) (162).

Veramente risorto?

Cristo è risorto, è veramente risorto!
Questo il grido che risuona in tutto il mondo oggi!
Ma prima di questo grido un grande silenzio, il grande silenzio di un venerdì e specialmente di un sabato in cui un Dio che si è fatto uomo si è lasciato crocifiggere come un malfattore qualsiasi!
Dal silenzio di quella croce, un grande silenzio della Parola, di Dio, del Sepolcro!
Non si può celebrare e capire la risurrezione se non si passa da questo grande silenzio.
Abbiamo fatto silenzio ieri? Quanto siamo entrati nel mistero di Dio?
La Pasqua non è un sms qualsiasi, un post qualsiasi senza prima e senza dopo: la Pasqua richiede un tempo di preparazione, di preghiera, di silenzio se vuole essere compresa.
La Pasqua porta con se il silenzio e lacrime delle donne, lacrime di disperazione per la perdita di una guida e di un amico, ma specialmente lacrime di purificazione per potere vedere ciò che occhi umani non avevamo mai visto.
Le donne, le lacrime, le corse: gli uomini non sanno piangere e arrivano sempre dopo.
Nessuno comprende: forse che la Scrittura, che Dio hanno fallito?
La Parola che ha parlato nella notte della Creazione, che ha parlato ad Abramo, a Mosè, ai profeti… ha fallito?
Certo in tutti i vangeli della risurrezione si racconta che i discepoli non avevamo capito le Scritture, quindi ciò significa che Dio ha fallito.
D’altra parte come comprendere un fatto inaudito? Che un uomo che si diceva Dio si poteva capire, che un uomo potesse morire in croce si poteva capire, ma che un Dio morisse e risorgesse questo come si poteva capire?
Ed ecco alla vigilia di un nuovo giorno, dopo il sabato, un grido, una domanda, una corsa rompono il silenzio dell’incomprensione.
Il silenzio non ha fallito, il silenzio non è l’ultima parola, la vita nuova è la parola che vince, “Cristo è risorto” è la parola che scalda i cuori; un pane spezzato è il segno della speranza e della rinnovata voglia di vivere.
Ma questa parola, questo annuncio, questa corsa possono ancora scaldare i nostri cuori e i cuori di tanti uomini e donne di oggi? Di fronte alla violenza inaudita di questi giorni; di fronte a tanti mali; ma specialmente di fronte all’indifferenza di tanti nostri amici e conoscenti, di tanti giovani: “Cristo è risorto, è veramente risorto!” è ancora un messaggio che può dire vita, speranza, gioia?
Tutto dipende da quanto noi ci lasciamo toccare e rinnovare da questo vangelo, da questa sempre nuova Pasqua. Noi siamo capaci di adeguarci e ammodernarci in tutto ma di fronte al Vangelo preferiamo le sane tradizioni che non sconvolgono le coscienze, che non chiedono cambiamenti e allora nulla cambierà!
Non abbiamo paura di alimentarci alla Parola di quanti ci annunciano “Cristo è risorto, è veramente risorto!”; non abbiamo paura di alimentarci a questo pane di salvezza e vivere in modo coerente e gioioso; non abbiamo paura di correre a disturbare quanti continuano a vivere nel proprio egoismo, anche a rischio della nostra pelle!
Solo così le lacrime del silenzio del sabato santo si trasformeranno in allegria e vita nuova per tutti: vicini e lontani.
“Cristo è risorto, è veramente risorto!”.
Santa Pasqua a tutti voi.

Le parole del silenzio di Dio

Venerdì santo 2016

C’è un fattore comune e necessario in questo tempo dalle 3 del pomeriggio alle prime luci del giorno dopo il sabato: il silenzio.
“Gesù chinato il capo emise lo spirito” e si fece silenzio su tutta la terra.
Forse non ragioniamo abbastanza su questo silenzio, sul silenzio che la Croce porta con sé, sul silenzio del Sabato santo.
Non ragioniamo e preghiamo abbastanza su questo silenzio anche perché troppo è il rumore che ci circonda, un rumore continuo che vuole zittire la voce del silenzio di Dio, perché ha paura di questo silenzio.
Il silenzio di Dio è importante perché dice quello che le parole non sanno spiegare, nemmeno – in un certo senso – la parola di Dio, forse perché parola comunque scritta da uomini; infatti, anche la parola di Dio tace e non dice nulla del silenzio della morte del Figlio di Dio.
Le parole non sanno spiegare perché questo Dio di Gesù Cristo invece di urlare la rabbia per la morte del Figlio, tace!
A noi invece piace parlare, parlare, parlare quando non serve tacere quando dovremmo parlare.
Ma il silenzio di Dio non è un silenzio sterile, è un silenzio fertile, perché esce dalla bocca di Dio: “chinato il capo consegnò lo spirito”.
Come quando Dio dal silenzio del cosmo spirò nelle narici di Adamo ed Eva dando vita all’umanità; come quando dal silenzio della Croce spirò per ridare vita all’umanità schiacciata dal peccato.
Il silenzio di Dio non è un silenzio sterile, ma un silenzio che dona lo Spirito.
Uno Spirito di vita che entra nelle profondità degli inferi (il Sabato santo) per recuperare alla vita i corpi mortali;
uno spirito di vita che entra nei nostri corpi mortali feriti dal peccato per recuperarli alla vita;
uno spirito di vita che entra nel segreto del sepolcro per risorgere il Figlio di Dio.

In questi drammatici giorni non solo per l’Europa ma per il mondo intero abbiamo bisogno più che di parole di silenzio, un silenzio di preghiera che possa dare luce a chi è morto e vive nella gloria di Dio; un silenzio che possa dare consolazione e speranza ai familiari; un silenzio che possa dare rinnovata coscienza a chi pensa di operare il male in nome di Dio; un silenzio che possa dare a questa Europa individualista e nazionalistica la voglia di abbattere i muri riprendere a camminare e costruire insieme.

La settimana della scommessa!

Oggi comincia la settimana santa, per molti una settimana come le altre, per i cristiani la settimana delle settimane! La settimana della scommessa!
Questa è la settimana nella quale si gioca tutta la nostra storia personale e di Chiesa, è la settimana in cui giochiamo le sorti del mondo, non perché spariamo fuochi d’artificio o compiamo atti spettacolari, bensì perché – se vogliamo essere veri – rimettiamo in gioco noi stessi.
Ci rimettiamo in gioco non perché siamo sballati, ma perché sappiamo che il mistero dell’iniquità, il male come leone ruggente sta in agguato e ci depista, perché invidioso di noi, della nostra fede, per quanto semplice e piccola.
Non so se i mali di oggi siano maggiori dei mali di ieri, so che i mali di oggi fanno male e sono insidiosi: non sembrano male!
L’egoismo di un Occidente che dopo avere depredato l’universo oggi chiude le sue frontiere;
l’egoismo di un Occidente senza più figli e senza più padri, specialmente senza più padri;
il rischio dell’individualismo e dell’indifferenza anche tra molti noi cristiani;
il pericolo del pessimismo anche per un cristiano.
La settimana santa si apre questa sera, nel giorno di san Giuseppe, padre di Gesù; in questo periodo di crisi della figura paterna, voglio proprio evidenziare il valore dell’azione tra il Padre e il Figlio suo Gesù.
C’è un’assoluta libertà di Gesù nel percorrere la via della croce proprio perché esiste una profonda relazione con il Padre.
C’è una capacità del Padre di offrire al Figlio una libertà tale per cui Gesù obbedisce non per obbligo, ma per totale fiducia nel Padre, una fiducia che risponde alla totale fiducia del Padre nel Figlio.
La fiducia del Padre verso il Figlio è così profonda da lasciarlo scegliere in piena libertà; certo il Padre vigila sul Figlio anche nel momento dell’abbandono, della solitudine, ma il Figlio può scegliere liberamente proprio in forza della fiducia che ha nel Padre.
Con ciò la storia della Passione non è maschilista, infatti ai piedi della Croce e davanti al sepolcro ci saranno delle donne, non degli uomini; ma il racconto della Passione di Gesù è il racconto della cura che il Padre di Gesù ha per tutta l’umanità; è il racconto di un Figlio che fa comprendere a tutti noi che non siamo soli, che Dio Padre è sempre con noi.
Oggi è il giorno in cui in Campania ricordiamo l’assassinio di don Peppe Diana, ucciso mentre si preparava a celebrare la messa nel giorno di san Giuseppe. Il male ha toccato lui, ma può toccare ognuno di noi.
Chiediamo la sua intercessione perché ci faccia meglio comprendere cosa significa testimoniare il Figlio obbediente fino alla morte al Padre suo e Padre nostri, cosa significa rispondere alla logica dell’amore del Padre, logica che ha esaltato Gesù al di sopra di ogni altro nome, affinché ogni ginocchio, in cielo, sulla terra e sotto terra si pieghi davanti a Lui.

Giuseppe padre per i giovani?

Mi permetto di condividere la riflessione che offrirò domani ai miei studenti del Denza!

Perché san Giuseppe?
Perché ha un ruolo importante nella storia della salvezza, perché richiama tutti i papà, perché oggi più di ieri abbiamo bisogno di papà, quando in una società cominciano a mancare i padri – vuoi perché sono andati via – vuoi perché non ci sono più figli – allora la società scricchiola! E la nostra società sta scricchiolando, non è morta, ma scricchiola!
(migrazioni, delitto di roma, droga, baby gang, guerre…)
La figura di san Giuseppe ci aiuta a dare delle risposte a capire quali porte varcare per essere felici e salvarci.
Siamo partiti, il mercoledì delle Ceneri, dall’esperienza della riconciliazione in cui Dio ci ha chiesto di pregare, digiunare e celebrare la carità per prepararci alla Pasqua.
La figura di san Giuseppe ci aiuta a capire se abbiamo pregato bene, se abbiamo digiunato, se abbiamo celebrato la carità!

Cosa vi colpisce di questo uomo – giusto?
I sogni
La castità
La misericordia
Giuseppe è un uomo che sogna, non sogna a occhi ad aperti, ma sogna con Dio.
Il sogno è sempre una risposta alle nostre domande più nascoste, alle nostre riflessioni più profonde.
Giuseppe era un uomo puro di mente, puro di cuore, puro di corpo,
aveva pensieri buoni, coltivava pensieri buoni – formato alla scuola del suo tempo, non amava gli eccessi, ma sapeva affrontare le emergenze, lascia Betlemme e va in Egitto, è un migrante;
aveva sentimenti buoni, verso Maria, non voleva approfittare di lei, tantomeno metterla alla berlina, farle fare brutte figure (forse pensava che tutti possono sbagliare e quindi non tutti si devono condannare);
era un uomo casto, non aveva avuto rapporti con Maria, non era facile ma sapeva coltivare la castità.

Proprio perché Giuseppe ha un cuore puro, un animo puro e un corpo puro, poteva meglio di altri riconoscere la parola di Dio e rispondere a questa parola collaborando con Lui.
Giuseppe era un indifferente? No, Giuseppe diventa responsabile della parola di Dio, non solo della parola ma del figlio stesso di Dio: Gesù.
Anche a noi è chiesto di diventare responsabili della parola di Dio, e del figlio di Dio Gesù.

La figura di san Giuseppe mi aiuta proprio a crescere in questi tre dimensioni della vita:
animo puro, cuore puro, corpo puro.
Il problema di molti uomini di oggi è coltivare buoni pensieri, pensieri che educano le proprie scelte, quindi dobbiamo chiederci se leggiamo cose buone, se frequentiamo persone buone, se permettiamo alla preghiera di ragionare con noi oppure se la nostra preghiera è solo una preghiera di abitudine. Una preghiera di abitudine è una preghiera che non ci mette in discussione, ma ci lascia sempre quelli di prima. I sogni di Giuseppe sono proprio il frutto del suo voler ragionare con Dio, di non vivere una fede passiva.

Giuseppe ha un corpo casto. La parola castità a molti di noi non piace più eppure è una parola importante. Il nostro corpo non è un oggetto qualsiasi, il corpo degli altri non è un oggetto qualsiasi, il corpo è lo strumento più bello che abbiamo, ma va trattato bene. Certo non è facile coltivare i propri stimoli, sensazioni, esigenze, ma siamo invitati a domandarci se tutto quello che ci passa per la testa dobbiamo farlo: rischiamo di arrivare all’ubriacatura.
Per educarmi alla castità devo imparare a fare delle scelte nelle piccole cose, a non mettere sempre me al centro di tutto. Imparare a parlare sempre bene delle ragazze (le donne sono quelle che soffrono sempre e ancora troppo nel mondo!); imparare a essere più sobrio, più attento a consumare (siamo tra le regioni al mondo più sprecone di cibo); imparare a dipendere meno da fumo, alcol, telefono…
La castità ti permette di amare di più! Giuseppe è capace di amare in totalità proprio perché si dona tutto a Dio.
Vi chiedo di pregare per noi religiosi, perché sappiamo bene coltivare la nostra castità.

Giuseppe ha un cuore puro. È molto difficile ma assai importante avere un cuore puro, un cuore che non odia, non invidia, non pensa male, un cuore benevolo, amorevole, pacifico, paziente, forte! Quante volte i nostri genitori dicono di voi: è un bravo ragazzo! Ma io non voglio che voi siate dei bravi ragazzi, ma dei ragazzi bravi! Il bravo ragazzo è colui che vive bene fino a che ne ha voglia! Il ragazzo bravo è colui che ha sempre il radar, il cuore, acceso e sa come navigare anche tra la nebbia. Un cuore puro è come un radar! Il cuore puro di Giuseppe gli ha permesso di riconoscere la parola di Dio e viverla anche in una situazione difficile come quella che gli era accaduta. Il cuore puro sa indicare la strada continuamente.

Giuseppe è un padre, un padre che ha aiutato Gesù a scoprire la propria vocazione di Figlio di Dio. Una società senza padri è una società che va alla deriva. Anche noi religiosi, ci chiamano “padri”. Ma in Europa questi “padri” sono diventati pochi, mancano: una società senza padri/sacerdoti rischia di essere come un gregge senza pastore. Vi chiedo di pregare con me san Giuseppe perché susciti vocazioni al sacerdozio perché i vostri figli non restino senza pastori, senza la parola di Dio.
Grazie