Attendere l’autobus della gioia

Attendere l’autobus della Gioia.

Che l’Avvento è tempo di attesa lo sappiamo; che alle volte attendiamo Gesù con la stessa indifferenza con cui attendiamo l’autobus lo sappiamo; che siamo chiamati ad attendere Gesù con gioia, forse non sempre lo sappiamo.
Oggi è la domenica della Gioia, ce lo dicono le letture della messa, ma quale gioia?

Stiamo vivendo dei tempi drammatici: stiamo uccidendo il futuro, 5 mamme che in pochi giorni hanno ucciso i nostri figli; la corruzione non ha smesso di dilagare e sembra più forte della solidarietà. Tutto ciò non riguarda solo gli altri! Riguarda anche me! Che fare? Parlare di gioia non è un fuggire?
Se attendo la venuta/ritorno di Gesù solo per me, per la mia famiglia, per il mio gruppo di amici, sono nel peccato.
Se attendo il Natale, il ritorno di Gesù come un autobus tra i tanti, sono nel peccato.
Se attendo il Natale 2014 nella gioia di sapere che ogni mia azione è testimonianza della nascita di Gesù tra noi, sono nel Regno dei cieli!
Il peccato rimane, certo, ma imbrigliato dalla nostra comunione con Cristo che testimonia gioia, carità, speranza, novità di vita: le parole chiave dell’Avvento, di questa domenica.

Il profeta Isaia, profetizza la gioia su invito di Jahweh; Paolo ci comanda la gioia perché ha incontrato Gesù, vera gioia. Colui che ha vinto la morte ci dona la gioia vera per affrontare il male.
Giovanni il Battista, non ci parla di gioia, ma il suo modo di vivere, il suo modo di testimoniare non se stesso, ma Gesù, sollecitano in noi quella forza, quel vigore necessario per combattere il male. L’uomo non sempre sa cosa attende, ma sempre attende e/o tende verso qualchecosa che gli dia gioia. Dio invece sempre attende l’uomo e tende verso l’uomo. Giovanni il testimone (così lo definisce il IV vangelo) è la chiave di interpretazione di questo reciproco attendere. Giovanni il testimone è l’educatore dell’attesa: non ha la pretesa di conoscere tutto di Dio e di questo suo farsi uomo; non si mette al posto di Gesù ma lo indica; non scappa di fronte alle domande delle autorità, verrà decapitato.
Giovanni il testimone ci chiede di diventare educatori dell’attesa di Gesù, educatori nella gioia dell’incontro con il Cristo.
Tu come rispondi?

Buona terza domenica di Avvento, domenica della gioia.

Due belle testimonianze dalla Bielorussia e dal Venezuela:

Il mondo secolarizzato non può riconoscere la gioia, perché vuole essere serio, “adulto”. Ma Gesù non ci chiama ad essere “serio” o severo; egli ci ha dato il comandamento di essere come bambini (Matteo 18,3). Solo i bambini sanno davvero cosa significa gioia. Solo loro possono ricevere ogni nuovo giorno come una nuova vita; possono rallegrarsi sinceramente del presente. E la nostra vocazione ad essere come bambini significa che noi dovremmo rallegrarci nonostante tutto. P. Alexander c’invita a non ricevere la salvezza solo come una gioia, ma a considerare la gioia come salvezza.

Come ben dice lo slogan di questo lavoro: “Preferiamo accendere una luce piuttosto che criticare l’oscurità”. Molti di noi abbiamo deciso, per vincere ciò che ci opprime, di sforzarci a servire il nostro prossimo, con la speranza che le differenze politiche e sociali che ci tengono in una costante incertezza possano un giorno essere superate.
Noi non possiamo cambiare tutto, non possiamo impedire che succedono cose negative, ma quel poco che possiamo sta nell’abbandonarci a Dio e servire i nostri fratelli.

Chiesa, libri, giovani

Chiesa, libri, giovani.

In che modo la Chiesa, nei suoli libri, parla ai giovani?
Con questa domanda p. Giannicola mi ha chiesto di collaborare al nostro blog.
Forse più che una domanda, una sfida, perché non ho saputo rispondere. Così mi ha invitato a cercare, a entrare in librerie specificamente cristiane, diverse da quelle che solitamente frequento e a soffermarmi su qualche testo.
Io amo leggere eppure, come immagino molti di voi, non ho alcuna consuetudine con i cosiddetti “libri cattolici” o con libreria cattoliche.
Per potervi parlare seriamente di quei libri che la Chiesa ci indirizza e per poterveli consigliare ho bisogno di tempo, di acquisire una certa familiarità con scritti che raramente mi sono capitati tra le mani.
Ho deciso quindi che inizierò a parlarvi delle mie letture, magari non cattoliche, ma altrettanto feconde, di quei testi meravigliosi che fanno parte della nostra letteratura e che, seppur in modo diverso, vogliono dire qualcosa sulla nostra fede.

Comincio subito con: “In nome della madre”.
Non vi fate ingannare, non è un noioso libro di catechesi. Si tratta di un romanzo breve (direi brevissimo) di Erri de Luca. Per chi non lo conoscesse è uno scrittore contemporaneo, napoletano ma vive da sempre a Roma (così accontentiamo un po’ tutti) autore di saggi, romanzi e poesie.
Nella Premessa si legge: “In nome del Padre” s’inaugura il segno della croce. In nome della madre s’inaugura la vita.
E di questo si tratta, di una vita; quella di Myriàm/Maria e, tramite la sua, della nascita più sacra e misteriosa che conosciamo. Con un coraggio che potrebbe facilmente esser scambiato per presunzione Erri de Luca lascia che sia la Madonna a raccontarci la sua storia.
Il risultato è racchiuso in un libro coinvolgente, semplice e pieno di tenerezza.
Leggiamo i pensieri e le emozioni che Myriàm ha provato durante quei nove mesi, dall’Annunciazione alla Nascita, che han segnato la fine della sua adolescenza, nove mesi di paure colmati dall’amore infinito per il figlio che portava in grembo e dall’amore, altrettanto profondo e gentile, che ha per lei Iosef, l’uomo che le sta sempre accanto, suo angelo custode.
Trovo che sia il libro adatto per questo tempo di Avvento. Per prepararsi al Natale e ricordare la prima venuta del Figlio di Dio attraverso una storia che ci è vicina, celebrando la forza e la fede con cui Maria e Giuseppe accettano il volere divino.
Anche lei, come noi, immersa in una società di pregiudizi; anche lei, come le nostre madri, sogna, desidera e allo stesso tempo teme per il bambino che custodisce gelosamente in sé.
È una lettura che vi consiglio perché ci parla della fede con la semplicità di cui spesso abbiamo bisogno, così che ognuno di noi possa sentirsi vicino a Myriàm e al suo monologo pervaso d’amore e delicatezza:

Con le mani intrecciate sul ventre piatto mi toccavo la pelle per sentire sulla punta delle dita la mia vita cambiata. Era per me il giorno uno della creazione.

Elena Chioda

Aspettando l’autobus o Gesù?

Aspettiamo l’autobus o Gesù?

Cari amici è la seconda domenica di Avvento: vi interessa?

Ho trovato alcune citazioni che voglio condividere con voi giovani di oggi.

Il nome del cristiano è: “Colui che attende il Signore” (J. H. Newman).

In realtà l’Avvento è il solo specifico cristiano, perché un tempo di digiuno e penitenza come la Quaresima lo condividiamo con l’islam, il tempo della Pasqua con l’ebraismo, ma l’attesa della venuta del Kyrios è solo cristiana, solo noi cristiani attendiamo il ritorno di Cristo da lui stesso promesso: “Sì, vengo presto! Amen! (Ap. 22,20).

Siete uomini che attendete il ritorno del Signore o vi accontentate di un presepe? Siete uomini che si interrogano su come incontrare e far incontrare Gesù ai vostri contemporanei o preferite l’indifferenza e il tran tran quotidiano?

Scriveva da qualche parte Ignazio Silone: “Mi sono stancato di cristiani che aspettano la venuta del loro Signore con la stessa indifferenza con cui si aspetta l’arrivo dell’autobus”.

È vero spesso attendiamo il Signore come se stessimo attendendo l’autobus, ma l’autobus fa sempre lo stesso tragitto, limitato: Gesù ti permette un viaggio infinito alla scoperta della tua esistenza, sotto la guida della speranza.

Domenica scorsa ragionavamo sul fatto di verificare se abbiamo un senso spirituale, un motivo per cui esistiamo, oggi ci domandiamo se abbiamo speranza, se abbiamo l’audacia di salire sulla pianta (come Zaccheo) per vedere Gesù e cominciare una vita rinnovata.

Non scrivo una vita nuova, perché credo che molti di voi hanno già il sentimento di Cristo, ma rinnovata perché forse questo sentimento richiede una “rinascita”, una riforma, un non avere paura di ricominciare come chiede il vangelo di oggi.

Oggi il Vangelo comincia con… l’“inizio”. Inizio del Vangelo di Gesù, comincia una nuova storia di Dio con noi e di noi con Dio; comincia la possibilità di essere rigenerati nello Spirito santo (è la differenza dal battesimo di Giovanni) per iniziare a portare speranza al mondo.

La situazione sociale e politica e valoriale di oggi è sempre più drammatica e ci sentiamo inetti, incapaci di reagire. È proprio in questi momenti che siamo chiamati a consolare (la prima lettura del profeta Isaia), cioè iniettare speranza. Siamo chiamati a rimboccarci le maniche per iniziare, dalle piccole scelte quotidiane, a ridare credibilità a questa nostra umanità, certo anche rinunciando a qualche comodità materiale e intellettuale.

I politici, a Roma e non solo, hanno usato la povertà, gli scarti umani per fare soldi: usiamo lo scarto d’Europa per ridare fiducia alla società malata in cui viviamo (papa Francesco a Strasburgo).

La speranza è esattamente questo: volere infinitamente il finito, è vivere eternamente il tempo. La speranza “rifà ciò che è l’abitudine disfa. È la sorgente di tutte le nascite spirituali, di ogni novità, di ogni libertà. Semina cominciamenti là dove l’abitudine immette morte” (E. Mounier): questo è attendere Gesù, non l’autobus!

Buona seconda domenica di Avvento.

Natale che va, Natale che viene!

Natale che va? Natale che viene?

Cari amici, oggi domenica 29, comincia il tempo dell’Avvento.
Avvento per il Natale di ieri, che è andato?
Avvento per il Natale del 2014, che viene?
Avvento per correre il rischio di far entrare nella mia vita un Dio uomo, non un Dio bambino!
Mi spiego.

Natale che va, significa Natale di un bel Gesù bambino, di un bel presepe purché non intacchi la mia vita comoda, la mia tiepidezza, il mio vuoto interiore, il mio dialogo con Lui.
Natale che viene, significa Natale di un Gesù bambino fatto uomo, di un presepe vivo, che disturba, di un uomo che mi interpella, che vuole dialogare con me, che mi chiede di vivere con Lui.

Il cristiano è l’uomo della speranza, sempre, perché Dio ha speranza in Lui, per questo ci ha mandato l’Emmanuele, il Dio-con-noi; per questo ci invia continuamente lo Spirito santo per comprendere come essere cristiani del Natale che viene.
Stiamo vivendo un tempo difficile, un tempo di 3 guerra mondiale, di crisi economica, un tempo di suicidi di giovani, di violenze dei giovani nelle scuole, di gioco d’azzardopatia, tempo in cui maggiore è il bisogno di cristiani veri, strumenti di speranza.

Decidete oggi se rimanere cristiani comodi, tiepidi, da presepe oppure cristiani scomodi, caldi, da presepe vivo. Tutti voi avete un minimo di fede, chiedete allo Spirito santo di accrescerla?
Imparate da Zaccheo, l’esattore delle tasse di cui tutti parlavano male: desiderate di crescere in Cristo, salite sulla pianta giusta per poter vedere Gesù, accoglietelo nella vostra casa e cambiate vita. Gli altri, i perbenisti, continueranno a parlare male di voi, ma voi avrete imparato a parlare bene di Gesù e avrete dato speranza ai poveri, ai dimenticati, agli sfiduciati.

Ognuno di noi è allora chiamato a chiedersi: «Io sono un cristiano delle apparenze? O sono vivo dentro, ho una vita spirituale? Sento lo Spirito Santo», lo ascolto? Al contrario occorre fare attenzione alla tentazione di ripetersi: «se tutto appare bene, non ho niente da rimproverarmi: ho una buona famiglia, la gente non sparla di me, ho tutto il necessario, sono sposato in chiesa… sono “in grazia di Dio”, sono tranquillo». Attenzione, perché «i cristiani di apparenza… sono morti». Occorre invece «cercare qualcosa di vivo dentro e, con la memoria e la vigilanza, rinvigorire questo perché vada avanti». Occorre «convertirsi: dalle apparenze alla realtà. Dal tepore al fervore». Così commentava la vocazione di Zaccheo papa Francesco.

Cari amici, di fronte a tanti giovani violenti e morti dentro, abbiate il desiderio e la voglia di incontrarvi in questo tempo di avvento a celebrare l’Eucaristia insieme; provate a commentare insieme queste parole che la preghiera mi ha suscitato per voi; trovate un modo per sentirvi in sintonia pur nei vostri impegni quotidiani (perché non leggere tutti, tutti i giorni un brano di vangelo? Quello della messa quotidiana? Che anche la rete vi può fornire sui vostri smartphone!).

Grazie, buon Avvento 2014, Giannicola M. prete

 

Solo Andata

Ecco una nuova rubrica, Letizia si occuperà di riportarci articoli o informazioni interessanti dal mondo della carità o del sociale: un modo per farci sentire partecipi del mondo intorno a noi. Iniziamo con un riferimento musicale significativo.

“Solo andata” è un brano che tratta il dramma dei migranti, composto da Erri De Luca, e musicato dal Canzoniere Grecanico Salentino, storico gruppo di musica popolare. A valorizzare il tutto, un video d’impatto realizzato da Alessandro Gassmann, finanziato da Apulia Film Commission e Oh!Pen Italia.

Ecco il testo:

Siamo gli innumerevoli
raddoppia ogni casella di scacchiera
lastrichiamo di corpi il vostro mare 

per camminarci sopra

Non potete contarci:
se contati aumentiamo,
figli dell’orizzonte
che ci rovescia a sacco.

Nessuna polizia può farci prepotenza
più di quanto già siamo stati offesi
faremo i servi, i figli che non fate
le nostre vite i vostri libri di avventura.

Portiamo Omero e Dante,
il cieco e il pellegrino
l’odore che perdeste
l’uguaglianza che avete sottomesso.

Da qualunque distanza
arriveremo a milioni di passi
noi siamo i piedi e vi reggiamo il peso
spaliamo neve, pettiniamo prati.

Battiamo tappeti
raccogliamo il pomodoro e l’insulto

noi siamo i piedi
e conosciamo il suolo passo a passo
Noi siamo il rosso e il nero della terra
un oltremare di sandali sfondati
il polline e la polvere
nel vento di stasera

Uno di noi, a nome di tutti, 

ha detto “non vi sbarazzerete di me

va bene, muoio, ma in tre giorni

risuscito e ritorno”.

In conclusione De Luca recita un riadattamento di una sua poesia, “Naufraghi”:

In braccio al Mediterraneo
migratori di Africa e di oriente
affondano nel cavo delle onde.
Il pacco dei semi portati da casa
si sparge tra le alghe e i capelli
La terraferma Italia è terrachiusa.
Li lasciamo annegare per negare.

La collaborazione tra Erri De Luca e il Canzoniere Grecanico Salentino rappresenta un fortunato incontro tra parole e musica. Infatti, le parole rimangono chiuse in un libro, in una pagina a disposizione dei pochi curiosi lettori, ma quando esse incontrano la musica (in questo caso di qualità, tra i violini e le pizziche pugliesi) vengono sollevate da un’energia nuova, in grado di raggiungere direttamente la gente.
Il suggestivo video è ambientato nel Salento: a poco a poco dal mare emergono le figure di alcuni migranti, che stremati raggiungono la riva. Il tutto si svolge sotto gli occhi di un pescatore, che vedendo quelle immagini rievoca il ricordo della madre, anch’essa migrante1.
Amnesty International Italia ha conferito al brano il premio “Arte e Diritti Umani 2014”.
Penso che il testo possa suggerire molti spunti sul tema dell’immigrazione e del razzismo, anche in relazione alle vicende di questi giorni a Tor Sapienza, e ricordarci che chi se ne va è perché non ha libertà di restare.

Letizia Carenzi – Lodi

 

Dopo Montserrat, la speranza

Quale speranza?
Questa è la domanda che molti si pongono in questi giorni tragici di 3^ guerra mondiale – come diceva papa Francesco – fatta di tragedie dell’IS (vedi l’intervista nella sezione “Cristiani perseguitati”); di carneficine di tanti giovani in Mexico; di un numero crescente di suicidi giovanili anche in Italia.
Quale speranza? Non chiedo per il domani, ma per l’oggi?
È la speranza che nasce dalla fede nell’amore provvidente di Dio che alcuni giovani delle nostre comunità barnabitiche d’Europa hanno vissuto e testimoniato lo scorso 14/15 novembre a Barcellona e Montserrat per celebrare la solennità della Provvidenza.
Giovani sconosciuti tra loro, ma legati dalla stessa spiritualità zaccariana, dalla medesima devozione alla “nostra” Madonna della Provvidenza, per dare speranza e sostegno alle nostre comunità spagnole, testimoni inermi di un’indifferenza religiosa, che non trova uguali in Europa.
Giovani stupiti dalla bellezza della Sagrada Familia, dove l’esplosione dell’arte, della fede e dell’ingegno umano ha trovato risposta nella preghiera umile e corale, così come Antonio Gaudy voleva suscitasse la sua opera.
Giovani contenti di pregare nelle proprie diverse lingue davanti alla Morenita, la statua della Madonna di Montserrat.
Piccoli semplici segni, come piccola è la nostra famiglia barnabitica, come piccolo è il seme di senape da cui nasce una grande pianta.
La speranza germina da questo saper essere insieme per pregare, così da fondare un saper fare nelle proprie comunità.
La speranza nasce dal voler rendere ragione della propria fede e dal voler ragionare e condividere i propri ragionamenti come si cerca di fare su questo Blog.
La speranza è questa conoscenza di Dio che vuole farsi stile di vita, arma efficace per combattere indifferenza e violenza.
Questo credo sia il grande risultato del pellegrinaggio della Provvidenza e di questo siamo chiamati a rendere gloria a Dio e volontà di continuare a camminare uniti al di là di ogni ostacolo che potrebbe abbattere la speranza.

Padre Giannicola M. Simone

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San Carlo Borromeo

Sapete che oggi la Chiesa ricorda san Carlo Borromeo (Arona, 2 ottobre 1538 – Milano, 3 novembre 1584), pastore della chiesa e della diocesi di Milano?

Sapete che san Carlo e patrono dei Barnabiti, proprio in forza della profonda stima, amicizia e collaborazione vicendevoli? Infatti grande fu l’influsso di san Carlo sulla crescita e le attività dei primi Barnabiti.

San Carlo cominciò a frequentare assiduamente i Barnabiti quando, a 34 anni, Alessandro Sauli divenne padre generale dell’Ordine. Da queste frequentazioni nacque una collaborazione pastorale e spirituale di cui ancora oggi sentiamo l’eredità e il profumo e non solo nelle chiese che ci affidò nel 1500 (S. Alessandro M., a Milano, S. Maria al Carrobiolo, Monza, S. Carlo ai Catinari, Roma), ma anche nello stile di vita dei Barnabiti.

Per quale motivo san Carlo amava tanto i Barnabiti? Perché li vedeva santi e sempre dediti alla causa del prossimo attraverso la predicazione e la carità. Basti pensare al suo rapporto amicale con Carlo Bascapé, poi vescovo di Novara, fino al punto che fu questi a chiudere gli occhi di san Carlo Borromeo alle tre del mattino del 4 novembre 1584.

Anche quando la peste (1576) infierì su Milano decimando i Barnabiti san Carlo non mancò di sostenerli e incoraggiarli nel riprendere le attività pastorali, che il Signore li avrebbe ricompensati.

Anche noi non smettiamo di chiedere la sua intercessione per continuare a operare nello spirito della riforma di noi stessi e del Vangelo.

Tutti i santi 2014

Solennità di tutti i santi, 2014

Cari amici, da un po’ non scrivo direttamente su qs nostro blog, anche perché scrivo altrove e comunque coordino il lavoro di tutti voi: una bella impresa, seppure non facile.
La solennità di Tutti i Santi è l’occasione, anche perché tutti voi battezzati siete santi e dobbiamo festeggiarci gli uni gli altri.
La festa di Tutti i Santi è festa della Speranza; è un’eco della Pentecoste.
Come nel cenacolo terreno di Gerusalemme Gesù donò lo Spirito santo per rendere salda la comunione tra Dio e l’umanità, così con questa festa di Tutti i santi Dio ci fa comprendere che quella comunione è salda e definitiva nel regno dei cieli.
La festa di Tutti i Santi non è una festa per scappare dalla realtà o per una consolazione passiva quando le cose vanno male: è la festa della Speranza che diventa realtà!
Speranza perché la comunione dei santi ci dice che la nostra vita non si perde nella limitatezza del calendario, ma ha un oltre! Perché il Battesimo ci ha inseriti nell’eternità di Dio: siamo per sempre!
Attenzione, però, non “per sempre” al modo di qualche replicante o alla Dorian Gray, bensì “per sempre” perché Cristo è per sempre: ieri, oggi e sempre.
Infatti questa festa è posta al termine della stagione agricola, quando la campagna si addormenta, “muore”, le giornate diventano più buie. Ma anche prima della commemorazione dei fedeli defunti: la vita cristiana non termina con la morte terrena.
Eppure questa festa è anche una festa terrena: non si può essere santi solo nell’al di là o solo per qualche miracolo. Si è santi perché si ama! Si ama qui e ora! Non domani o dopodomani o chissà dove. Per essere santi nel cielo, prima di tutto bisogna essere santi sulla terra.
Le beatitudini del vangelo di oggi (anche di domani 2 novembre) dicono della felicità celeste che si può raggiungere solo essendo santi, beati qui sulla terra.
Sorge spontanea la domanda: quanto siamo santi? Quanto la mia persona è santa? Nella Chiesa, nella società? Quale beatitudine cerco di incarnare a partire da questa festa di Tutti i santi? Faccio tutto ciò che è in mio potere per rendere la terra più santa?
Concludo con un pensiero di Alcide De Gasperi alla figlia poco prima di morire:
«Adesso ho fatto tutto ciò che era in mio potere, la mia coscienza è incapace. Vedi, Il Signore ti fa lavorare, ti permette di fare progetti, ti dà energia e vita. Poi, quando credi di essere necessario e indispensabile, ti toglie tutto improvvisamente, ti fa capire che sei soltanto utile, ti dice: ora basta, puoi andare. E tu non vuoi, vorresti presentarti al di là col tuo compito ben finito e preciso. La nostra piccola mente umana non si rassegna a lasciare ad altri l’oggetto della propria passione incompiuta».
Giannicola M. prete