Alessandro Sauli, santo. 11 ottobre

I Barnabiti in tutto il mondo, con la Chiesa intera, ricordano oggi, 11 ottobre, Alessandro Sauli, santo.

Milanese di nascita, ma genovese di cittadinanza e formazione, è il primo santo dei Barnabiti, ma specialmente il primo giovane che chiese di entrare nel nostro Ordine nel 1554.

Alessandro, infatti, di nobile famiglia italiana, imparentato con gli Sforza e altre famiglie nobili di Milano, terminati gli studi e aperto a una brillante carriera decise, a 17 anni, di entrare nel gruppo dei primi Barnabiti a Milano.

Più volte bussò alla porta della nuova comunità religiosa, più volte gli venne rifiutato l’ingresso, perché si pensava la sua vocazione fosse il capriccio di un giovane nobile e viziato.

Ma la fede e la volontà di Alessandro Sauli costrinsero i primi Barnabiti a metterlo alla prova. Se Alessandro fosse stato capace di portare una grande croce in processione nelle vie centrali di Milano (l’attuale piazza dei Mercanti) e tenere una buona predica sulla virtù della Croce all’ingresso del Duomo sarebbe stato accolto nell’Ordine.

Alessandro non si fece intimorire, prese una croce che si caricò sulle proprie spalle e cominciò a camminare e predicare nel centro di Milano, incurante delle battute e degli sfottò di molti nobili amici, era una persona molto conosciuta (è come se uno di voi andasse in giro a predicare la Croce, in c. Buenos Aires a Milano o in via dei Condotti a Roma o…).

Il suo ingresso nella neonata Congregazione dei Padri Barnabiti fu una benedizione che ancora oggi fiorisce tra i Padri Barnabiti.

Di sant’Alessandro Sauli ricordiamo la sua dedizione allo studio e al lavoro tra i poveri, specialmente in Corsica e in Piemonte.

Docente di filosofia, padre generale dei Barnabiti e vescovo di Aleria prima e di Pavia poi, morirà giovane ma sazio di saggezza, santità e capacità di annunciare il Vangelo. Era l’11 ottobre 1592.

Molti sono i modi per vivere bene, per essere felici, di vivere il vangelo in pienezza. Sant’Alessandro da principe dell’Italia del 1500 divenne principe del Vangelo, portatore di gioia, carità, fede e speranza.

Anche voi, cari giovani, potete diventare principi di gioia, di quella allegria che nasce dall’incontro con Gesù, quella gioia e allegria che molti di voi e dei vostri amici hanno bisogno anche oggi; quella gioia e quell’allegria che Gesù continua a donarci in abbondanza.

Preghiamo

O Dio, che nel servizio del vescovo sant’Alessandro Sauli hai dato alla tua Chiesa un’immagine viva del Cristo, buon pastore, per la sua preghiera concedi a tutti i Barnabiti e ai giovani che a lui si affidano di vivere ogni giorno la gioia del Vangelo nello studio e nella vita dei poveri. Per Cristo nostro Signore.

Presentazione del programma pastorale 2014-2015 della Caritas di Roma

Venerdì 24 ottobre 2014, alle ore 17.30, presso la Sala “Tiberiade” del Seminario Romano Maggiore, il cardinale Agostino Vallini presenterà il programma pastorale della Caritas diocesana di Roma. All’incontro sono invitati i parroci, i sacerdoti, i diaconi, i religiosi, gli animatori pastorali, gli operatori della carità e i volontari dei centri Caritas, sia diocesani che parrocchiali. Ai partecipanti verrà distribuito l’opuscolo del programma che contiene anche il nuovo Annuario dei servizi Caritas. L’incontro si aprirà con un momento di preghiera a cui seguiranno la relazione del cardinale Agostino Vallini, la riflessione di don Luciano Meddi e l’intervento del direttore Caritas, monsignor Enrico Feroci. Alcuni animatori Caritas, infine, illustreranno i singoli aspetti del nuovo programma.

Informazioni
Domenica 12 ottobre la Caritas ricorda don Luigi Di Liegro insieme ai vescovi ausiliari di Roma
Domenica 12 ottobre, nel diciassettesimo anniversario della scomparsa, la Caritas di Roma ricorda don Luigi Di Liegro, suo primo direttore. Gli operatori Caritas, i volontari e gli ospiti dei centri di accoglienza, si ritroveranno alle 10.30 presso la Chiesa di Santa Giacinta alla Cittadella della Carità, insieme al direttore monsignor Enrico Feroci e ai vescovi ausiliari di Roma, per la celebrazione eucaristica a suffragio. Al termine, coloro che lo desiderano, potranno pranzare insieme agli ospiti della Mensa Caritas intitolata a Don Luigi.

Formazione giuridico-legale per i Centri di Ascolto: il 14 ottobre “Il minore migrante”
“Il minore migrante” è il tema dell’approfondimento giuridico-legale promosso dall’Area Minori della Caritas di Roma che si terrà il 14 ottobre alle ore 16.30 presso la sede di Via Venafro, 26 (Metro “Santa Maria del Soccorso”). L’incontro, aperto a tutti gli operatori dei centri di ascolto parrocchiali e diocesani, sarà tenuto dall’avvocato Caterina Boca, operatrice dello Sportello legale del Centro Ascolto Stranieri della Caritas di Roma.

Raccolta Alimentare: 46 tonnellate di merci, più di 600 volontari impegnati
Più di 600 volontari coinvolti, 3.601 scatoloni di merci raccolte per un peso superiore alle 46 tonnellate. È questo lo straordinario risultato della Grande Raccolta Alimentare che la Caritas di Roma ha promosso sabato 4 ottobre in collaborazione con il Gruppo Simply. In 52 supermercati di Roma sono stati donanti soprattutto pasta, riso, latte, alimenti per bambini, olio e passata di pomodoro. Un ringraziamento particolare ai gruppi di volontari, la maggior parte provenienti dalle parrocchie, che hanno garantito la sensibilizzazione e l’organizzazione dell’iniziativa

Spesa solidale

Per la terza volta in pochi mesi, il gruppo giovani dell’Oratorio Sacro Cuore di Roma dei Padri Barnabiti, in collaborazione con Caritas Roma ha prestato servizio per la spesa solidale in favore dell’emporio Caritas di Roma che serve molte famiglie bisognose.
i giovani hanno prestato servizio dalle 14.00 alle 20.30 e hanno raccolto 28 scatoloni (80x40x70) di alimenti vari.
grazie e . . . alla prossima.

La Sapienza che porta alla perfezione

La sapienza che porta alla perfezione
Uno dei testi che certamente SAMZ ha meditato sono i capitoli iniziali della 1 lettera ai corinzi. Anche in questo caso gli spunti sono tanti, ma partiamo da un solo versetto: «Tra coloro che sono perfetti parliamo sì di sapienza, ma di una sapienza che non è di questo mondo […]» (1Cor 2,6).
Paolo lega la sapienza con l’essere perfetti, che, come già visto con il giovane ricco, indica l’essere discepoli maturi, capaci di progettare la propria vita in un rapporto autentico con Cristo. La sapienza è, dunque, ciò che permette al discepolo di entrare in questa buona relazione, vedere il mondo con gli occhi di Dio e compiere le giuste scelte.
Nel capitolo precedente l’apostolo parla di due sapienze: una si rivela in realtà vana, ed è la sapienza intesa esclusivamente come dotto ragionamento (1Cor 1,20); l’altra, sebbene si manifesti agli occhi del mondo come stoltezza della croce, è sapienza di Dio (1Cor 1,18-30).
Conoscendo Paolo e SAMZ, certo non si può pensare che qui si voglia denigrare il sapere a favore dell’ignoranza, ma si sta dicendo che il solo ragionamento non garantisce la conoscenza dei piani di Dio, che sono invece svelati dallo Spirito (1Cor 2,10).
Per capire meglio cosa intende Paolo, occorre fare un viaggio nell’Antico Testamento per risalire alle radici del concetto di “sapienza” biblica, chiaro al tempo di Paolo, ma forse oggi tutto da riscoprire.
… ma questo sarà l’oggetto delle prossime puntate.
SR

Preghiera per la famiglia – Sinodo dei vescovi 2014

PREGHIERA ALLA SANTA FAMIGLIA
di Papa Francesco

Gesù, Maria e Giuseppe
in voi contempliamo
lo splendore dell’amore vero,
a voi con fiducia ci rivolgiamo.

Santa Famiglia di Nazareth,
rendi anche le nostre famiglie
luoghi di comunione
e cenacoli di preghiera,
autentiche scuole di Vangelo
e piccole Chiese domestiche.

Santa Famiglia di Nazareth,
mai più nelle famiglie si faccia esperienza
di violenza, chiusura e divisione:
chiunque è stato ferito o scandalizzato
conosca presto consolazione e guarigione.

Santa Famiglia di Nazareth,
il prossimo Sinodo dei Vescovi
possa ridestare in tutti la consapevolezza
del carattere sacro e inviolabile della famiglia,
la sua bellezza nel progetto di Dio.

Gesù, Maria e Giuseppe
Ascoltate, esaudite la nostra supplica.

Economia e “genio femminile”: strano binomio o soluzione alla crisi?

È ormai noto che l’attuale crisi economico-finanziaria si sta rivelando innanzitutto una profonda crisi etica, culturale e antropologica, figlia di un consumismo sfrenato che ha alimentato l’illusione della felicità esclusivamente legata alla ricchezza materiale: una quantità di tempo sconsiderata è destinata al conseguimento di obiettivi cui è fissato un prezzo, a scapito – e qui non parlo in termini monetari – delle relazioni sociali, propriamente dette in economia beni relazionali. Non a caso, uno dei grandi problemi che gli economisti stanno affrontando negli ultimi anni, è il cosiddetto “paradosso della felicità”: al contrario di quanto la società dei consumi esorti a credere, risulta che ad un aumento del reddito pro-capite corrisponde un calo della felicità soggettiva delle persone, la cui maniacale inclinazione all’uso dei beni di comfort, spedisce nel dimenticatoio la sfera affettivo-relazionale. In un momento storico come questo, in cui la domanda di beni relazionali stenta a crescere, il mondo ha bisogno di proposte nuove per tentare un via di fuga dal baratro della crisi… La mia? La donna. “Sono profondamente convinta che il ‘nuovo’ da molti invocato abbia molto a che fare con il ruolo della donna nella dimensione economica” sostiene Suor Alessandra Smerilli, docente di Economia all’Università Cattolica; bisogna ripartire dalle origini, ovvero dall’oikos nomos (che nelle società antiche rappresentava la gestione della casa, quindi un’esclusiva femminile) “inteso come ambiente, come sviluppo sostenibile”. Nell’economia moderna la figura della donna si è eclissata a causa del potere maschile che ha confinato il suo “genio” nel livello morale della società. Tuttavia, “le esperienze in atto, come il microcredito, ci fanno intravedere quali potenzialità si nascondono dietro l’empowerment delle donne, proprio nelle culture dove esse sono meno libere di esprimersi” sottolinea la Smerilli; il “sistema Yunus” (premio Nobel per la pace 2006) si occupa, o meglio, preoccupa di concedere piccoli prestiti a imprenditori troppo poveri per riuscire a ottenere credito dalle banche e più del 90% dei prestiti viene destinato alle donne. È emerso che i profitti realizzati dalle donne sono più frequentemente indirizzati al sostentamento delle famiglie e delle comunità, e non al soddisfacimento di interessi personali; la logica del successo non appartiene alla donna: “nell’azione femminile il mondo è concepito come un intreccio di rapporti”, “la realtà come ragnatela e non come gerarchia” – sono le parole di Giuliana Martirani, docente universitaria nonché promotrice di numerose attività pacifiste, ecologiste, nonviolente. L’economia attuale ha un disperato bisogno di guardare ai mezzi, non solo ai fini, al processo non solo al risultato, alle motivazioni intrinseche, non solo al profitto; profitto che andrebbe senz’altro diviso tra sviluppo dell’impresa, sostegno ai poveri e formazione di persone nuove, secondo il modello dell’“economia di comunione” ideato da Chiara Lubich, frutto di una prospettiva altruista e caritatevole, tipica della natura femminile. Evidenze internazionali mostrano i possibili benefici di una maggiore partecipazione delle donne al mercato del lavoro, nelle amministrazioni pubbliche e private: si denotano livelli di corruzione più bassi e un’attenzione mirata a quei beni e servizi, bersaglio principale dei tagli dei governi quando i conti nel bilancio non tornano: sanità e istruzione. Ma da quanti anni sentiamo parlare di riduzione dei costi in questi settori dell’economia? Possiamo ancora credere alla buona fede, e alla competenza, di chi li propone? Il sistema ha bisogno di un motore nuovo che possa alimentare questa economia “miope”, e la donna, in quanto bandiera di creatività e carisma, sembra essere l’arma vincente per abbattere la logica strumentale, causa della crisi e malattia della nostra epoca, per una società più a misura di persona.
“Normalmente il progresso è valutato secondo categorie scientifiche e tecniche, e anche da questo punto di vista non manca il contributo della donna. Tuttavia, non è questa l’unica dimensione del progresso, anzi non ne è neppure la principale. Più importante appare la dimensione socio-etica, che investe le relazioni umane e i valori dello spirito: in tale dimensione, spesso sviluppata senza clamore, a partire dai rapporti quotidiani tra le persone, specie dentro la famiglia, è proprio al « genio della donna » che la società è in larga parte debitrice” (“Lettera alle donne”, Papa Giovanni Paolo II).
Pasqua Peragine, Altamura

A me che me ne importa

Omelia di papa Francesco al sacrario militare di Redipuglia,

per quanti glie ne importa di vivere!

Dopo aver contemplato la bellezza del paesaggio di tutta questa zona, dove uomini e donne lavorano portando avanti la loro famiglia, dove i bambini giocano e gli anziani sognano… trovandomi qui, in questo luogo, vicino a questo cimitero, trovo da dire soltanto: la guerra è una follia.
Mentre Dio porta avanti la sua creazione, e noi uomini siamo chiamati a collaborare alla sua opera, la guerra distrugge. Distrugge anche ciò che Dio ha creato di più bello: l’essere umano. La guerra stravolge tutto, anche il legame tra i fratelli. La guerra è folle, il suo piano di sviluppo è la distruzione: volersi sviluppare mediante la distruzione!
La cupidigia, l’intolleranza, l’ambizione al potere… sono motivi che spingono avanti la decisione bellica, e questi motivi sono spesso giustificati da un’ideologia; ma prima c’è la passione, c’è l’impulso distorto. L’ideologia è una giustificazione, e quando non c’è un’ideologia, c’è la risposta di Caino: “A me che importa?”. «Sono forse io il custode di mio fratello?» (Gen 4,9). La guerra non guarda in faccia a nessuno: vecchi, bambini, mamme, papà… “A me che importa?”.
Sopra l’ingresso di questo cimitero, aleggia il motto beffardo della guerra: “A me che importa?”. Tutte queste persone, che riposano qui, avevano i loro progetti, avevano i loro sogni…, ma le loro vite sono state spezzate. Perché? Perché l’umanità ha detto: “A me che importa?”.
Anche oggi, dopo il secondo fallimento di un’altra guerra mondiale, forse si può parlare di una terza guerra combattuta “a pezzi”, con crimini, massacri, distruzioni…
Ad essere onesti, la prima pagina dei giornali dovrebbe avere come titolo: “A me che importa?”. Caino direbbe: «Sono forse io il custode di mio fratello?».
Questo atteggiamento è esattamente l’opposto di quello che ci chiede Gesù nel Vangelo. Abbiamo ascoltato: Lui è nel più piccolo dei fratelli: Lui, il Re, il Giudice del mondo, Lui è l’affamato, l’assetato, il forestiero, l’ammalato, il carcerato… Chi si prende cura del fratello, entra nella gioia del Signore; chi invece non lo fa, chi con le sue omissioni dice: “A me che importa?”, rimane fuori.
Qui e nell’altro cimitero ci sono tante vittime. Oggi noi le ricordiamo. C’è il pianto, c’è il lutto, c’è il dolore. E da qui ricordiamo le vittime di tutte le guerre.
Anche oggi le vittime sono tante… Come è possibile questo? È possibile perché anche oggi dietro le quinte ci sono interessi, piani geopolitici, avidità di denaro e di potere, c’è l’industria delle armi, che sembra essere tanto importante!
E questi pianificatori del terrore, questi organizzatori dello scontro, come pure gli imprenditori delle armi, hanno scritto nel cuore: “A me che importa?”.
È proprio dei saggi riconoscere gli errori, provarne dolore, pentirsi, chiedere perdono e piangere.
Con quel “A me che importa?” che hanno nel cuore gli affaristi della guerra, forse guadagnano tanto, ma il loro cuore corrotto ha perso la capacità di piangere. Caino non ha pianto. Non ha potuto piangere. L’ombra di Caino ci ricopre oggi qui, in questo cimitero. Si vede qui. Si vede nella storia che va dal 1914 fino ai nostri giorni. E si vede anche nei nostri giorni.
Con cuore di figlio, di fratello, di padre, chiedo a tutti voi e per tutti noi la conversione del cuore: passare da “A me che importa?”, al pianto. Per tutti i caduti della “inutile strage”, per tutte le vittime della follia della guerra, in ogni tempo. Il pianto. Fratelli, l’umanità ha bisogno di piangere, e questa è l’ora del pianto.
13 settembre 2014, papa Francesco

Papa Francesco ai giovani albanesi

Cari fratelli e sorelle,

prima di concludere questa Celebrazione, desidero salutare tutti voi, venuti dall’Albania e dai Paesi vicini. Vi ringrazio per la vostra presenza e per la testimonianza della vostra fede.

In modo particolare mi rivolgo a voi giovani! Dicono che l’Albania è il Paese più giovane dell’Europa e mi rivolgo a voi. Vi invito a costruire la vostra esistenza su Gesù Cristo, su Dio: chi costruisce su Dio costruisce sulla roccia, perché Lui è sempre fedele, anche se noi manchiamo di fedeltà (cfr 2 Tm 2,13). Gesù ci conosce meglio di chiunque altro; quando sbagliamo, non ci condanna ma ci dice: «Va’ e d’ora in poi non peccare più» (Gv 8,11). Cari giovani, voi siete la nuova generazione, la nuova generazione dell’Albania, il futuro della Patria. Con la forza del Vangelo e l’esempio dei vostri antenati e l’esempio dei vostri martiri, sappiate dire no all’idolatria del denaro – no all’idolatria del denaro! – no alla falsa libertà individualista, no alle dipendenze e alla violenza; e dire invece sì alla cultura dell’incontro e della solidarietà, sì alla bellezza inseparabile dal bene e dal vero; sì alla vita spesa con animo grande ma fedele nelle piccole cose. Così costruirete un’Albania migliore e un mondo migliore, sulle tracce dei vostri antenati.

Ci rivolgiamo ora alla Vergine Madre, che venerate soprattutto col titolo di «Nostra Signora del Buon Consiglio». Mi reco spiritualmente al suo Santuario di Scutari, a voi tanto caro, e le affido tutta la Chiesa in Albania e l’intero popolo albanese, in particolare le famiglie, i bambini e gli anziani, che sono la memoria viva del popolo. La Madonna vi guidi a camminare “insieme con Dio, verso la speranza che non delude mai”.

Papa Francesco, Angelus, domenica 21 settembre 2014, Tirana

Moter File Geshtengja amica di molti di noi

Approfittando dello straordinario viaggio che oggi papa Francesco compie in Albania volentieri pubblichiamo l’intervista alla nostra cara moter File, in occasione della sua professione solenne. Ci scusiamo per la lunghezza del testo, ma credo ne valga la pena.

Salve a tutti!

Un Grazie di cuore a padre Giannicola che mi ha chiesto di condividere la mia esperienza di vita religiosa con voi in occasione della mia professione solenne tra le Suore Angeliche di san Paolo.

Perché ho scelto questa vita? 

Come ogni altro giovane anch’io ho voluto dare un senso alla mia vita. Avevo i miei desideri e i miei sogni per i quali vivevo e lavoravo aspettando che prima o poi si realizzassero. Invece poco e niente sapevo che esisteva un altro modo di vita e di vivere: “La vita religiosa”, anche perché in Albania fine agli anni 90-91 non si poteva parlare di Dio se non di nascosto i genitori tra loro. Sono stata battezzata nel 1993 quando avevo 13 anni da un sacerdote appena uscito dalla prigione, ma senza nessuna preparazione perché molta era la paura che tornasse la persecuzione e la Chiesa in Albania non era ancora riorganizzata.

Piano piano la situazione in Albania ha iniziato a cambiare sia quella politico-sociale sia quella religiosa grazie a quelli che hanno resistito alle ingiustizie, alle torture (sacerdoti, suore, cristiani, laici di buona volontà) ma anche grazie a tutti e tanti quelli missionari-e che sono arrivati da tutto il mondo, i quali continuano tutt’ora ad essere tra noi aiutandoci in tanti modi.

Ho voluto raccontare tutto questo perché grazie a queste persone ho incontrato Gesù e il suo grande amore il quale mi ha fatto innamorare di Lui finché non ho potuto fare diversamente che vivere-dedicare la mia vita totalmente a Lui e agli altri. Mi sono sentita coinvolta, posso dire come dovere che quella gioia e pace interiore che avevo ricevuto dalla sua Grazia non potevo tenerlo più solo per me stessa ma dare agli altri.

Ma la storia della tua chiamata non ha un certo sapore evangelico?

Infatti, la storia della mia chiamata e quella della mia sorella Agata, potremmo paragonarla a quella dei primi discepoli di Gesù, Pietro e Andrea che, dopo aver sperimentato la gioia di questo incontro, convinse il fratello Simone a fare altrettanto. Nel nostro caso, il dono di essere chiamata per vocazione da Gesù è stato offerto a me che sono più giovane, poi ad Agata. Mia sorella dopo un cammino di fede nel gruppo dei giovani chiamato “Angelico” presso le suore Angeliche di San Paolo a Scutari, afferrata da Cristo, fatta la sua scelta è entrata per prima nella comunità dalle Angeliche. Dopo due anni sono entrata io.

Ma per arrivare fino a dire “SI” per tutta la nostra vita il Signore ci ha messo accanto guide, consorelle, ammirevoli che con tanta pazienza e amore ci hanno aiutato a realizzare il piano di Dio su di noi.

Grazie alla gioia di appartenere a Cristo il giorno 10 agosto 2014 io e mia sorella Agata abbiamo professato il nostri Sì per sempre nella cattedrale di Scutari circondati dal affetto dei nostri famigliari, Consorelle amici albanesi e il gruppo dei volontari e animatori italiani presso i padri Barnabiti nella missione di Milot.

Che senso ha essere suora in Albania?

È una testimonianza della presenza di Cristo, un punto di riferimento per la gente con cui viviamo.

Cosa ti attendi o come costruisci il tuo futuro?

Sapendo a chi ho dato la mia fiducia, cerco di vivere ogni giorno con gioia il momento presente. La mia vita appartiene a Dio e alla mia Congregazione. Ogni giorno cerco di fare qualcosa per gli altri e con gli altri; persone che incontro ogni giorno specialmente nella missione dove vivo a Fush-Milot.

Come vedi tu i giovani, albanesi e italiani che conosci?

Tutti i giovani in se hanno una grande ricchezza, purtroppo non tutti riescono a scoprire, i doni che hanno.

Il diverso è sempre una ricchezza. Collaborando con sincerità e apertura i frutti si vedranno di più. I giovani italiani che conosco io certamente hanno una maggiore preparazione e un cuore grande. Sanno donarsi agli altri e sono sinceri. E tutto ciò si vede proprio dalla disponibilità di venire ogni anno in Albania.

Invece i giovani albanesi sono stati soffocati dalla storia del passato. Però, grazie al contatto con i giovani italiani, i valori veri stanno crescendo. Certo hanno bisogno ancora di essere più aperti. Ma il loro grande spirito di ospitalità e le varie esperienze comuni li aiuta sempre di più a crescere umanamente e spiritualmente.

Personalmente ringrazio il Signore per la possibilità di aver conosciuto i giovani italiani i quali mi hanno trasmesso tanto affetto, simpatia, semplicità e prontezza. Non di meno ringrazio i giovani albanesi di Milot e Fush-Milot con i quali vivo e sperimentiamo insieme la fede da cinque anni.

Con loro e tra loro mi sento come una Sorella maggiore molto amata.