Ragazzi come?

Quest’estate mi sono accorto come non mai che i nuovi adolescenti sono molto differenti da me e dai miei coetanei. È come se la mia generazione avesse avuto un’altra educazione, forse più severa, più libera o forse una giovinezza senza filtri tecnologici.
Non so ancora di preciso a cosa sia dovuto questo fatto, ma sono certo che i ragazzi della mia generazione o di quelle precedenti portavano molto più rispetto sia ai loro coetanei sia alle persone più anziane. Non so se questo sia dato da una società più rispettosa, con ancora dei valori etici, morali e religiosi oppure da un fatto legato ad una fase di passaggio. Sta di fatto però che prima ai ragazzini difficilmente si ripetevano le cose. Ora vedo, ad esempio, che il barista riprende dei giovani al tavolo del suo locale perché appoggiano i piedi sulle sedie e questi anziché scusarsi, o comunque toglierli, lo deridono come se le sedie fossero di loro proprietà soltanto perché pagano la consumazione. Penso che gran parte della colpa sia di una società perbenista che fa sì che la persona si senta e cresca in una botte di ferro tale per cui niente e nessuno possa mettergli i piedi in testa. È la società di oggi che tende a far crescere un figlio così; si è diventati troppo buoni per paura di sbagliare o perché “non è corretto punire un bambino”. Ma siamo sicuri che la maniera con la quale si educavano i figli una volta erano scorretti? Se un bambino sbaglia, bisogna fargli capire l’errore e attraverso una punizione più o meno severa lui potrà apprenderlo meglio. È lo stesso metodo che vediamo negli sport, con lo Stato e nella dinamica: a ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria; quindi, a ogni errore corrisponde una punizione. A furia di far passare come normalità la mancanza di “no” o di punizioni, il bambino crescerà sicuro di sé e delle sue azioni, o meglio, sicuro di essere sempre più bravo degli altri mancandogli spesso di rispetto. Non è un caso se un mio carissimo amico, un uomo di una notevole stazza, mi ha confessato di vedere sempre più incivili nel suo locale che spingono la gente senza chiedere né “permesso” né “mi scusi”. Quante volte si sente di docenti aggredite verbalmente o peggio fisicamente per il solo fatto di aver messo una nota o un brutto voto dopo un’interrogazione? Pazzesco, roba che mette i brividi solo a sentirla. Purtroppo, anche i genitori stessi spesso intervengono in favore dei propri figli e questo li rende ancora più forti, consci del fatto di avere un ulteriore scudo.
Altro punto interessante che manifesta l’ignoranza delle nuove leve penso siano i Social. Essi hanno influito parecchio nelle loro vite; soprattutto il fatto di vivere con e dentro di essi, ha reso i giovani delle persone molto superficiali e disattente. Io stesso mi ci metto dentro. Nel senso che non abbiamo più la pazienza di aspettare che una cosa arrivi perché siamo abituati a un click per ottenere ogni tipo di informazione. Non è un caso che le App sono studiate per far sì che le persone stiano più a lungo con l’App aperta e quindi si cerca di creare contenuti sempre più brevi. Legato al discorso internet, se già con la mia generazione i giovani sognavano un successo come calciatore o velina, questa generazione pensa di poter avere successo senza bisogno di impegnarsi e gran parte di essa sogna di poter diventare un influencer senza però sapere che la percentuale di successo è minore rispetto al diventare uno sportivo di professione. Infine, ancora più grave, c’è il fatto che veramente si pensi di poter guadagnare bei soldi vendendo la propria immagine e il proprio corpo senza pudore. E in effetti, quanto costa farsi 1 foto da inviare ad uno sconosciuto? Forse 5 secondi. Ma qui è normale che un ragazzo lo pensi, bisogna prima educarlo e fargli capire cosa c’è dietro quello che lui vede. Non voglio giudicare e neanche fare confronti tra generazioni perché non ha letteralmente senso. Però, oggi dare un telefonino ad un bambino è un grosso azzardo. È un gesto che può portare a molti rischi, tra cui il fatto di dare la possibilità al giovane di entrare e conoscere in un mondo 2.0 dentro il quale tu genitore hai difficilmente accesso. Da qui, vediamo giovani che conoscono il sesso, la droga e l’alcol. Insomma, ragazzi che crescono in fretta e forse anche troppo. E sempre da qui che poi possiamo vedere ragazzi sempre più ignoranti che prediligono programmi trash a programmi di cultura. Sono abituati fin da subito a vedere queste cose, abituati a vedere video spazzatura e abituati al nulla. Ricordiamoci che tutto, se usato nella maniera corretta è di grande aiuto. Penso quindi che le cose debbano essere date a tempo debito, con una profonda ed attenta formazione. È infatti una critica anche e soprattutto alla generazione nata tra il ’70 e ’80, la generazione che in Italia ha vissuto nella ricchezza del boom economico e che quindi ha una visione della vita sicuramente positiva e rosea. Vivendo quindi lo splendore del nostro Paese, possono forse sottostimare o non comprendere a pieno i rischi che ci sono, soprattutto con le nuove tecnologie.
“Ma ai miei tempi la vita era migliore!”? So che ci sono adolescenti molto in gamba, con la testa sulle spalle e la voglia di spaccare il mondo. Come so che esistono adulti maleducati che vivono portando rispetto solo per sé stessi. La mia speranza rimane quella di una società più spensierata, ma al contempo stesso con principi etici e religiosi solidi e coerenti cosicché i giovani possano magari farsi un’idea della vita traendo vantaggio dai lati positivi dei loro predecessori.
Marco C. – Milano

Solo un pazzo non va mia in crisi

«Semmai è da pazzi pensare che un uomo non debba mai andare in crisi.» scrive Daniele Mencarelli nel suo romanzo Tutto chiede salvezza.

La parola “crisi” sembra andata in disuso nelle nuove generazioni, mentre nei miei 14/19 anni era un refrain continuo, era l’impulso per continuare a crescere. Forse che oggi gli adolescenti crescono senza crisi oppure vivono una crisi perenne per cui non si accorgono più di essere in crisi?
Di questo vogliamo ragionare prossimamente, intanto cominciate a leggere alcune prime sollecitazioni.

La crisi era un ritornello degli adolescenti di una volta? Il fatto che fosse un ritornello, che fosse presente fino a qualche anno fa, ma che tuttora non viene più nominata, o perché non viene più vissuta, o perché è sempre presente. Ma che non sia più vissuta è impensabile, chi è che non ha mai avuto una crisi durante la propria adolescenza? Allora forse dovremmo riscoprire questa parola, accorgerci quando viene una persona sta soffrendo e porgere loro una mano. (Giulia P., 17, Firenze)
Non capisco perché si dica che gli adolescenti di oggi non vivono una crisi, mi sembra che anzi i giovani di oggi specialmente in questo ultimo anno e mezzo siano stati messi parecchio alla prova.
Quindi non direi che i giovani non vivano un momento di crisi anzi, altrimenti non ci sarebbero tutti i casi di violenza e risse e pestaggi e gente che si ribella alla polizia. (Giulia C. 18, Firenze)
Conoscendo molti ragazzi, nessuno parla dei suoi problemi o di cose negative, tutti parlano solo di cose belle, di quello che possiedono, o di quello che vorrebbero, ma nessuno ti dirà mai, “ehi, oggi sto male per questo motivo”, anche perché tutti i ragazzi di oggi non se ne fregano proprio delle persone, e non vogliono prendersi i problemi degli altri, cercano sempre di evitare il peggio, perché vogliono vivere senza pensieri e vivere da egoisti soprattutto. La parola crisi, tra noi giovani non si usa, nonostante ognuno dentro di sé ne ha una, ma ripeto cercano sempre di non parlarne, perché si sentono giudicati o inferiori ad altre persone, perché purtroppo viviamo in un epoca oggi, che se dici una cosa, vieni criticato immediatamente se è bella o brutta, tutti hanno qualcosa da dire… e molte persone avendo crisi interne invece di sfogarsi con delle persone, si rifugiano in droghe e altro, dove si rinchiudono in casa sprecando la loro vita, senza avere una vita sociale all’esterno, e dove loro pensano di essere forti fuori, ma sono deboli dentro. I giovani di oggi la crisi la scansano perché non sanno affrontarla e hanno paura delle conseguenze, e si riversano sulle cose materiali pur di compensare il loro vuoto interno, che non colmeranno mai…
Fortunatamente al mio fianco ho degli amici di cui mi fido al 101% e ogni mio problema anche il più scemo lo racconto sempre e anche se qualcuno mi giudica, per come sono o per le cose che faccio, non mi interessa perché la vita è mia e faccio quello che voglio! (Luigi A. 20, Napoli).
La parola crisi porta con sé un altro termine che spesso emerge nelle nostre vite: dolore. Non è facile affrontare il dolore, è vero però che per non lasciarci schiacciare dal dolore è necessario sempre ricercare qualcosa di bello, qualcosa che possa “alzare l’asticella del vero” in modo da accorgersi che la bellezza risiede ovunque, anche nel più tenebroso periodo, e che prima o poi ci si rialzerà. (Giulia P. 17, Firenze).

Ragazzi falliti o persone in crescita?

Buon giorno Giuseppe,
ma precisamente con chi sto parlando?

Sono Giuseppe Fornari, della “fondazione aquilone” che lavora con e per ragazzi e adolescenti con meno fortune di altri. A Milano, quartiere Bovisa / Comasina.

Quindi svolgi un lavoro sociale. Come è percepito da tuoi coetanei? Nel senso che non è proprio un lavoro da … carriera.

La difficoltà più grossa e far capire che è un lavoro, non un tempo perso, ma anche le famiglie capiscono dopo il suo valore, quando vedono quello che frutta sui loro figli!

Come ci sei arrivato?

Attraverso percorsi di fede e di servizio civile e poi una formazione che non è solo improvvisazione.
Tu lavori con ragazzi, adolescenti e giovani che poi sono una invenzione della nostra società, perché una volta si passava da bambini ad adulti!

In breve chi sono questi ragazzi, adolescenti, giovani?

Vedi, una fase intermedia tra bambino e adulto è importante anche se oggi è troppo. Mio papà a 11 anni andò a lavorare!
Questi adolescenti sono persone in crescita, in cerca del proprio posto nel mondo. Si affacciano e cercano di capire la società di oggi, impresa non facile perché è una società confusa, senza modelli chiari.
Fino a qualche anno fa era più facile scegliere tra bianco e nero, oggi no; è importante
essere affiancati nelle scelte.

Perché esistono situazioni periferiche, dimenticate?

Forse perché uno dei modelli occidentali prevede solo il primo posto, non il secondo; talent show in cui si deve vincere perché chi arriva secondo non vale. Se non arrivo al massimo non valgo nulla. Non si capisce che ognuno ha un suo massimo!
Abbiamo percorsi con ragazzi normali e disabili, in cui i normali sono già esclusi dalla classe! Dai docenti stessi.
Se si è già esiliati alle medie come possono arrivare all’età adulta.
Se non si può avere il minimo, per esempio un pc per sé e non diviso tra uno o più fratelli, in un ambiente bello. Molti dei collegamenti erano solo audio per paura di far vedere la propria casa. A scuola almeno sei sullo stesso banco, c’è una maggiore uguaglianza.
Noi non possiamo aiutare in tutto, però almeno dare delle luci differenti, delle occasioni più umane.
La chiusura ha tenuto tutti sotto una pressione faticosa ingestibile anche senza volere.
Come hai trovato questi “tuoi” ragazzi dopo tanti mesi di lontananza?
Li abbiamo trovati desiderosi di riprendere a stare insieme. Non gli bastava più il cellulare per comunicare: ce ne siamo accorti sia durante la chiusura sia ora. Abbiamo bisogno di corpi.

Sai indicare alcuni valori, non dico irrinunciabili, ma quasi?

L’amicizia, persone cui poter confidarsi, coetanei o altri.
La famiglia.
Ma molti ragazzi di 3 media pensano solo ai soldi, a diventare ricco, per avere amici. Forse i più grandi ci pensano meno, ma in terza media…
Hanno una idea di Dio, di una fede in Gesù come possibile compagno di viaggio o le prospettive vanno altrove?
Quelli che seguiamo noi, come possono credere in Gesù se nessuno glielo annuncia? Nessuno parla più a loro di Dio. Io ci ho provato. Sono molto immanenti: chi se ne frega? Basta che me la cavo, perché Dio dovrebbe preoccuparsi di me e io di lui.
Forse gli abbiamo chiuso i cancelli come Chiesa, coltiviamo le pecore dentro ma quelle fuori…

Cosa condiziona, nel bene e nel male, maggiormente questi giovani?

Terribilmente il cellulare dal quale conoscono e pensano il mondo.
Il nostro lavoro è aiutarli a lasciarsi condizionare dalle persone che pensano a loro, non da degli estranei… Se trovano una persona che li ascolta si lasciano … condizionare. I giovani sono fantastici su questo capiscono la differenza…
L’orientamento scolastico poi li e ci massacra: prima c’era il gruppo adolescenti ora ci sono gli adolescenti uno per uno…
Un lavoro personale aiuta assai e fa vedere il meglio.

Questi ragazzi, adolescenti, giovani sanno di passare da una fase infantile a una adulta?

Sanno che devono passare, ma a quali condizioni? Cosa li aiuta? I genitori sono disponibili che i figli crescano?
Hanno il desiderio di autonomia e libertà di farsi una strada però oggi è più complesso, oggi fallire significa sentirsi un fallito, non uno che ha inciampato. Abbiamo bisogno far conoscere loro dei fallimenti.

Il loro idolo preferito

Sicuramente qualche rapper, ma è un modello da scardinare perché bisogna sbattersi in quello che si fa, non si può credere che tutto sia così semplice… il soldo facile, gli influencer.

Ti senti un poco loro idolo?

Si, ma non io, noi come educatori. Ti fanno capire che sei importante per loro. Che hanno bisogno di te, ma facciamo attenzione al rischio di sostituirsi a loro.
Se vuoi loro bene, loro lo capiscono. Sempre.
È una bella sensazione ma anche un grande peso!

Grazie Giuseppe, buon lavoro.

La trap favorisce il morire?

Come annunciato nell’articolo precedente, pubblichiamo una riflessione di Marco (20) a partire dalla tragedia dei due adolescenti di Terni. Pur non condividendo le conclusioni è giusto dare spazio anche a opinioni diverse perché è l’unico modo per poter ragionare e crescere verso valori secondo noi più coerenti con il valore della persona così come da Dio è voluta nelle proprie diverse e originali storie personali.

Sempre più spesso si sente ai telegiornali e si legge sui quotidiani che molti adolescenti subiscono gravi incidenti o, addirittura, muoiono e la causa di tutto ciò sono le sostanze stupefacenti e/o l’alcol. Oggi la percentuale di ragazzi e ragazze che si drogano è in netto aumento rispetto solamente all’ultimo decennio e molti di loro, ancora minorenni, per pagarsi la dose commettono criminalità oppure si prostituiscono. Tra questi ragazzi ci sono, però, anche giovani che provengono da famiglie benestanti e che vogliono provare l’ebbrezza del “farsi”, forse per dimostrare qualcosa a qualcuno o forse soltanto per sfida personale. Ci sono mille motivi che frullano dentro la testa di un ragazzino: dal “sentirsi figo” fino all’essere accettato dal gruppo.
Detto ciò, tutte le persone sulla faccia della Terra, da adolescenti, hanno fatto quasi sicuramente una o più bravate. Spesso si oltrepassa il limite della legalità, soprattutto quando si hanno dei dissidi interiori provenienti dal proprio subconscio. Qui si rischia di cadere in depressione e si è portati a provare nuove esperienze di ogni genere: alcol, cannetta, pasticche finendo poi con l’esserne dipendente.
Una mattina di inizio luglio è avvenuto uno dei tanti episodi tristi che purtroppo succedono sempre più spesso: sono stati trovati senza vita due amici provenienti da famiglie normali.
Adesso ci si sta chiedendo il perché avessero provato e se fossero consapevoli al momento della decisione, ma pochi si stanno realmente chiedendo come mai hanno fatto ciò e cosa li abbia spinti ad arrivare a questo. Scartiamo perciò il problema della situazione economica. Cosa avevano bisogno? Cosa stavano cercando? Cosa volevano ottenere da questa esperienza?
Si incomincia a puntare il dito contro tutti: “è colpa dei social che fanno girare video tutorial” oppure “è colpa dei trapper!”. La verità non si saprà mai, ma di certo non si può incolpare un cantante per aver istigato il ragazzino a drogarsi.
Innanzitutto c’è da dire che sui social decide l’utente cosa vedere e cosa non. Successivamente bisogna distinguere i cantanti trap da quelle persone che fanno delle canzonette senza significato e giusto perché va di moda. Quindi non bisogna fare di tutta l’erba un fascio come spesso succede tra ignoranti.
Infine, occorre capire il perché quel cantante, amato dai ragazzini, citi in modo così specifico le droghe e descriva accuratamente quel tipo di vita che faceva. Molti trapper scrivono strofe circa il loro passato movimentato e turbolento proprio per denunciare quello che hanno dovuto affrontare con la speranza che i giovani non ci caschino, soprattutto se la vita ha dato loro la fortuna di non doverle affrontare. Non tutte le persone hanno la fortuna di emergere e cambiare vita come sono riusciti loro. Molti artisti stanno aiutando amici ad uscire dai giri della tossicodipendenza sfruttando i soldi e la popolarità che si sono guadagnati. È questo che vogliono trasmettere con la loro musica: riuscire a dare la forza e il coraggio agli adolescenti come se dovessero dire loro “non fatelo, io ci sono passato prima e non sono situazioni piacevoli”.
Si può ipotizzare un modo per contrastare o, meglio, limitare i danni agli adolescenti. Legalizzando le droghe leggere, infatti, molti ragazzini comprerebbero un tipo di droga “pulita” e “sicura” proveniente dallo Stato stesso. Vi sarebbe un duplice effetto. Il primo è quello di creare una nuova entrata per lo Stato togliendola alla criminalità. Il secondo, invece, è che il fumarsi gli spinelli non sarebbe più visto come qualcosa di trasgressivo e magari molti non lo praticherebbero nemmeno. Certo, molti diranno che i giovani si sposterebbero sulle droghe pesanti, ma questo avviene già e quindi non è una novità. Anzi, se tu Stato controlli e sai quello che vendi al popolo, un domani sarà più semplice combattere eventuali problematiche fisiche e malattie. Non dimentichiamo che ora come ora un giovane che si fuma una canna non sa mai cosa sta assorbendo in corpo.

Marco C., Milano

I nostri figli, morti per inganno

Non si muore di overdose se non sei drogato, sono delle vittime dicono le mamme di Gianluca e Flavio.
E noi cosa diciamo?

Eraldo Affinati scrive che tutto dipende dalla virtualità della vita adolescenziale e dalla nostra incapacità di dare delle regole che aiutino a capire il limite della trasgressione.
Ho fatto leggere questo articolo di Avvenire a quattro giovani per capire cosa passa nella testa e come reagire, perché non si può non reagire specialmente se riconosciamo la grande crisi serpeggiante tra i giovani chiusi in casa nei mesi trascorsi (dati Caritas Italiana).

Scrive Francesco (17). I giovani e in particolare gli adolescenti per natura cercano nuove esperienze, e i limiti imposti dalla società rappresentano solo uno stimolo che alimenta la loro sete di conoscenza di cui l’uso degli stupefacenti ne è una conferma. Il senso di spericolatezza che si prova immergendosi in queste esperienze è impagabile per molti.
Non credo che gli adulti possano fare molto su questo punto di vista, ma questo attuale è uno scenario tipico di molte generazioni passate (anche future probabilmente).
Non penso che tutti gli adulti dei secoli scorsi abbiamo sbagliato a educare i propri figli, è proprio nella natura di noi giovani esagerare. È nella nostra natura scegliere pensando con la propria testa o meno, anche se comunque dipende da persona a persona.
L’adolescenza, replica Giulia (17), è da sempre lo stadio della vita in cui termina la fase esclusivamente ludica e spensierata che contraddistingue l’essere bambini e l’individuo inizia a formare il proprio carattere e la propria personalità grazie alle esperienze e alle scelte che compie. Per questo credo che sia la fase più importante della vita, in quanto in essa si formano quelli che saranno gli adulti in un prossimo futuro.
L’adolescenza inoltre è, quasi per antonomasia, quella fase in cui si sperimentano nuove esperienze e si è irresistibilmente attratti da tutto ciò che è proibito, per voler dimostrare agli altri ma soprattutto a se stessi che non si è più dei bambini, ma si e in grado di fare scelte, talvolta sbagliate, che partono però da un’iniziativa personale. Credo che il provare nuove cose, conoscere nuove persone sia una parte fondamentale della crescita, e anche il commettere errori rientri in questo processo.
Molto spesso sento criticare i “giovani d’oggi” perché troppo orientati verso un edonismo sfrenato che non è più una ricerca del benessere positivo ma è invece l’assidua ricerca di un piacere momentaneo e dannoso. Non sono d’accordo con questa affermazione, perché credo che ogni epoca abbia le sue problematiche riguardo all’adolescenza, e non credo che gli adolescenti di oggi siano peggiori di quelli dei decenni precedenti.
Credo invece che ci siano almeno due novità rispetto al passato: la prima è il cambiamento degli usi e dei costumi, che hanno portato alla creazione di una società basata dell’apparire, sul rendersi visibili e far vedere le proprie azioni per essere accettati, sul fare più esperienze e mostrare di averle fatte, sul conoscere nuove persone è far sapere a tutti di averle incontrate. In una società così poco attenta all’interiorità, spesso avviene che anche la ricerca del divertimento si sposti su qualcosa di diverso, talvolta eccessivo e pericoloso, qualcosa per cui farsi notare.
Un altro grande cambiamento infine è l’educazione che si dà ai giovani, perché spesso si tende a lasciare molte più libertà fin da bambini affinché il bambino impari da solo cosa sia giusto e cosa sia sbagliato, con il risultato che molto spesso i bambini nel momento in cui crescono si ritrovano a non aver compreso in realtà le differenze e a essere impreparati di fronte ad un mondo dove è necessario compiere delle scelte autonome e indipendenti.
Per questo, forse, prima di criticare i comportamenti dei giovani, dovremmo interrogarci sull’educazione che ricevono non solo dai genitori, ma dalla società intera.

Gianluigi (16) invece è molto più essenziale: i fatti accaduti a Flavio e Gianluca, sono un esempio lampante di quanto le generazioni di oggi possano essere condizionate dai loro idoli, in questo caso i cantanti, che talvolta sono un pessimo esempio per i loro seguaci a causa dei loro testi non sempre compresi dai più piccoli, ma emulati.

La riflessione di Marco la pubblichiamo a parte per diversità di contenuto oltre che di età.

Con ciò non abbiamo la pretesa di risolvere le angosce e le speranze, i dolori e le gioie dei nostri adolescenti, ma almeno di tenere desto lo sguardo su problematiche che comunque non si erano mai manifestate in maniera così virulenta e numerosa nel passato non troppo remoto della storia dell’umanità.

Ciò che può cambiarci

Cari amici, ritengo utili riportare questo breve scritto di Aldo Nove, pubblicato su Avvenire, domenica 7 giugno 2020, perché ci illumina un poco sul nostro rapporto con gli adolescenti.

La maggior parte delle persone che perdono la fede lo fanno in quel difficilissimo periodo detto “dell’età evolutiva” o, più semplicemente, “adolescenza”. Il Paradiso (o l’Inferno) dell’infanzia termina con un’estrema turbolenza in cui alla mutazione del corpo corrisponde, lo sappiamo tutti, una serie di esperimenti di orientamenti “autonomi” sanamente rispondenti all’affermazione di un “io” adulto ma ancora del tutto in formazione, davvero perfettamente ritratto da Collodi nelle avventure del suo burattino (che è un ragazzo, non un bambino) in virtù del suo libero arbitrio e ragionamenti e affezioni che gli siano proprie, il tutto di fronte al prospettarsi del fardello delle responsabilità a cui va incontro. Allora tutto viene messo in discussione. Messo in discussione non vuole dire essere negato, ma posto alla prova dei fatti. Un semplice fatto personale: da bambino, in qualità di capo-chierichetto del paese, andavo a messa tutti i giorni. Da solo. Poi, la domenica, con i miei genitori che, seppi dopo stanchi e malati, smisero di frequentare la messa domenicale. Chiesi loro perché avevano smesso. Non mi risposero e mi dissero “Vacci tu!”. Così smisi di andarci. Per anni. L’adolescenza è un periodo delicatissimo. Un gesto, una parola, possono cambiare le nostri sorti.
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“Le cose belle”, intervista a Giovanni Piperno

“Le cose belle”, adolescenti che sognano, uomini che crescono nel film/documentario di Giovanni Piperno intervistato per voi dal nostro staff! Buona visione.

Un film sulla gioventù bella di Napoli, un film che va a scovare con discrezione nel crescere durante gli anni dei protagonisti.

Un’intervista che ci permette non solo di sognare, ma anche di sperare e ragionare sulla bellezza della gioventù senza irenismi ed ipocrisie ovvero con la pretesa frequente degli adulti di sapere tutto sui giovani.

Ringraziamo Giovanni Piperno, Giacomo e Luigi per le riprese, il muratore della porta a fianco e il mio barbiere di c. Vittorio.

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