#versolaPasqua2016

Per concludere la nostra due giorni di preghiera a San Felice (11/13 marzo), abbiamo voluto scrivere tre # con 140 caratteri (o poco più): tre piccoli tweet da condividere per riflettere un poco insieme!

#Etuchivuoiessere?
Tu chi vuoi essere?
Ognuno, dinanzi a questa domanda reagirebbe in maniera differente. La scelta più logica sarebbe essere come il Padre che ha avuto la forza di perdonare il figlio che, chiedendogli l’eredità, l’aveva simbolicamente ucciso. Ma chi avrebbe avuto la sua stessa forza? Probabilmente il nostro essere si avvicina di più alla figura del figlio minore.
Peccare deriva dalla parola latina “inciampare”.
Quante volte nella nostra vita siamo inciampati? E siamo sempre coscienti della nostra caduta?
Poiché tutti nasciamo peccatori il fine di ogni cristiano è salvarsi nel perdono. È questa la sfida che ognuno deve affrontare ogni giorno.
Noi cristiani come affrontiamo questa sfida, o meglio: l’affrontiamo o preferiamo scegliere il percorso meno rischioso e nasconderci dietro l’indifferenza? La risposta non è poi così banale.
Nonostante il cristiano dovrebbe perdonare incondizionatamente tutti, in realtà giustifichiamo la nostra reticenza alla misericordia con la convinzione di non essere tenuti a perdonare in quanto esseri terreni.
Possiamo rappresentare il nostro rapporto tra “Padre e figlio” con un filo che simboleggia l’alleanza tra Dio e l’uomo. A peccato commesso il filo si spezza. Quando chiediamo il perdono il filo si ricongiunge diventando più corto diminuendo la distanza tra il figlio e il Padre.

#Lasalvezzaquieora
È difficile “centrare” i veri obiettivi della vita perché troppo presi dagli impegni, dalla routine, dalla tecnologia.
Vivere in questo modo ci porta a non trovare il tempo per riconciliarci con Dio.
In questi momenti ci accorgiamo dell’immensa bontà di Dio che, nonostante il nostro disinteresse, fa sempre il primo passo verso di noi.
Per apprezzare l’importanza di ciò che diamo per scontato dovremmo imparare a digiunare dal superfluo.
È inutile ostentare la nostra vita, le nostre buone azioni. Così facendo svuotiamo di significato le nostre opere “misericordiose”. Come dice San Matteo: «State attenti a non praticare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere ammirati da loro, altrimenti non c’è ricompensa per voi presso il Padre vostro che è nei cieli».

#Chièambasciatore?
Chi è un ambasciatore? Colui che rappresenta un insieme di ideali e valori al di fuori del suo contesto.
Anche noi siamo ambasciatori/messaggeri: dobbiamo impegnarci a concretare quello che ci è trasmesso dalla Parola di Dio.
L’essere ambasciatore è una scelta vocazionale e richiede impegno, costanza e soprattutto tempo. Siamo ambasciatori non per un tempo finito ma per l’Eternità.
Un ambasciatore cristiano si differenzia da qualsiasi “collega” per la sua capacità di saper amare nel Cristo. Un esempio pratico di questo amore? la parabola del Padre prodigo.
Il figlio minore sbaglia e si ritrova a digiunare: solo così riacquisisce gradualmente la sua dignità e ritrova il desiderio di amare sé e il Padre; il Padre lo attende e accoglie a braccia aperte: questo è vero amore.
Il Padre in questo tempo di lontananza del figlio si è saziato di sofferenza e ha digiunato di orgoglio. Talvolta si deve raggiungere la sazietà per poter accedere a quel trampolino di lancio utile per sviluppare l’amore di noi nel Cristo.

Sazietà o digiuno?

Digiuno, preghiera e carità sono le parole chiave della Quaresima.
Oggi siamo troppo sazi, talmente sazi che non siamo più capaci di guardare oltre il nostro naso, oltre i nostri bisogni, oltre il nostro ragionare miope: il digiuno è lo strumento per recuperare la propria identità, la propria vocazione, la propria dignità.
Viviamo in una società dove vorremmo tutto e facciamo di tutto per ottenerlo, dove non vogliamo accettare i nostri limiti, dove non sappiamo più riconoscere i confini del lecito e dell’illecito per soddisfare il nostro egoismo.
(Penso che tutta la discussione e la preoccupazione riguardo adozioni forzate o figli voluti a forza possa bene inserirsi in questa dinamica di sazietà ed egoismo).

Nella liturgia di oggi san Paolo ci ordina: lasciatevi riconciliare con Dio! (2Co 5, 17-21)
Ma perché Dio possa riconciliarci con noi stessi e con Lui abbiamo bisogno di desiderare questa riconciliazione.
Ora se noi siamo troppo sazi, sazi di tutto (cibi, rumori, cose, immagini, odori) non riusciremo mai a riconciliarci con Dio e, di conseguenza, con noi stessi.
Se siamo troppo sazi della nostra idea di Dio, come i farisei e gli scribi, come il figlio maggiore della parabola: non riusciremo mai a lasciarci riconciliare con Dio e, con noi stessi!
La parabola dei due figli o del figlio ritrovato ovvero del Padre prodigo (Lc 15,1-3.11-32) ci viene raccontata da Gesù proprio per denunciare il pericolo della sazietà, del crederci autosufficienti in tutto (e sappiate che noi stiamo educando i nostri figli a questa autosufficienza negativa).
Sazi dell’idea di padre, di un padre che non parla, parlano solo i figli che avevano un’idea di padre tutta loro, di un padre – padrone a cui si deve solo obbedire, per il quale si deve solo lavorare. Questa infatti, l’idea che i figli si erano fatti del Padre: eppure questo Padre lascia libero il figlio più piccolo, non lo ostacola; eppure il Padre cerca il dialogo con il figlio maggiore; eppure il Padre attende continuamente il ritorno del figlio minore e vedendolo gli corre incontro e non lo lascia parlare e lo riveste dell’anello e dell’abito preziosi; eppure il Padre corre dal figlio maggiore non per giudicarlo ma per aiutarlo a riconciliarsi con la vita!

Nessuno dei due figli rispettava veramente il Padre, entrambi rispettavano solo se stessi la propria pancia, sino a quando non arriva la fame, il digiuno.
È il digiuno, seppure forzato, del figlio minore che gli permette di rientrare in se stesso. Nessuno gli dava delle carrube e tantomeno lui se le prendeva, capisce che non può arrivare a livello degli animali. Ma capisce anche che non si può vivere senza il bisogno dell’altro: nessuno glie ne dava!

La sazietà ci porta all’autosufficienza, il digiuno ci porta alla consapevolezza di sé, al riconoscimento dell’altro!
In questa nostra società quasi senza più padri, o con padri artificiali è necessario riprendere la pratica del digiuno per recuperare ciò che è essenziale.
Il Padre ha rinunciato al suo autoritarismo, ha lasciato libero il figlio minore, ha cercato il figlio maggiore e ha ottenuto il ritorno del figlio.
Il figlio minore ha digiunato cioè ha rinunciato al proprio egocentrismo e ha ottenuto un rinnovato rapporto con il Padre.
Il figlio maggiore non ha ancora imparato l’arte del digiuno, non sappiamo come andrà a finire.
Dio Padre ha rinunciato al proprio Figlio;
il Figlio ha rinunciato alla sua libertà e ha ottenuto una croce, per la nostra salvezza!

E tu chi vuoi essere?
Padre, figlio minore, figlio maggiore o semplicemente
un cristiano che si lascia riconciliare con Dio?

“Restare in piedi e non cadere” (1Co 10,12)

Terza domenica di Quaresima, occasione per fare il punto del nostro cammino di avvicinamento alla Pasqua e di conversione, anche perché proprio il vangelo di oggi ci chiama a prendere posizione, a non stare fermi di fronte alla possibilità di essere salvati.
Prima di tutto cosa proclama la parola di Dio?
Proclama la rivelazione di Dio a Mosé, attraverso san Paolo dice a chi sta parlando Dio, infine san Luca – dopo avere parlato di Gesù nelle due domeniche precedenti – racconta come “restare in piedi”, come “non cadere”; cosa significa avere fede.
Il primo dato è che Dio entra nella storia degli uomini, vive con gli uomini, con essi cresce, pazienta, spera, agisce.
L’uomo non è mai solo, anche nel momento del peccato, quando deliberatamente sceglie di allontanarsi da Dio, Dio non lo lascia.
La prima conversione da operare perciò è quella di domandarci quale idea, quale esperienza di Dio ho? Un Dio lontano? Un Dio cattivo? Un Dio che punisce? Un Dio macchinetta delle merendine? Un Dio che non ascolta il grido di chi soffre?
Quante volte anche noi parliamo e pensiamo di Dio come colui che punisce, che castiga: certo Dio corregge, pota, educa, ma non con il ricatto, la vendetta o con la violenza. Dio, che con l’incarnazione del suo Figlio ormai vive in mezzo alla vigna che gli è affidata – noi – non usa la violenza, ma la pazienza e la misericordia.
Con ciò non si afferma che Dio non giudicherà, questo accadrà alla fine dei tempi, nel frattempo egli ci cura, egli ci coltiva: certo noi dobbiamo stare attenti a non farci trovare impreparati.
Crediamo ancora che Dio ci giudicherà? Che idea abbiamo del giudizio di Dio? Quale sarà il metro di misura?
Nell’orazione all’inizio della messa abbiamo letto: Dio misericordioso… hai proposto… il digiuno, la preghiera e la carità…; a noi che riconosciamo le nostre colpe… ci sollevi la tua misericordia.
Dio è misericordioso e ci sollecita alla continua misericordia; perché impariamo a essere misericordiosi, a portare frutti di misericordia e di giustizia, egli ci invita al digiuno, alla preghiera, alla carità (questi sono gli attrezzi con i quali Dio cura il fico sterile).
Noi siamo troppo sazi ormai, dobbiamo imparare ad avere fame se vogliamo coltivare la giustizia e la verità; siamo troppo sazi e non vediamo più dov’è il male, quindi lo facciamo crescere! Questo accade verso i migranti, ma anche verso chi vive accanto a noi!
Poi siamo chiamati a pregare, per imparare a pensare come pensa Dio: una preghiera di dialogo, di domande, di fiducia, come quella di Mosé con Jhwh!
Quindi invitati a vivere la carità, non tanto una monetina, ma un cambiamento di atteggiamento verso il prossimo*, verso l’ambiente.
La preghiera termina com’è iniziata: la misericordia di Dio. Questo è il fondamento della vita del discepolo e della chiesa. Come dice un’altra colletta quaresimale: “Con la tua continua misericordia, Signore, purifica e rafforza la tua chiesa e poiché non ha alcuna consistenza senza di te, guidala sempre con il dono del tuo Spirito” (lunedì della terza settimana).

*
Per quanto riguarda il prossimo vi allego questa citazione dal Corriere della Sera di oggi:
Il fenomeno delle migrazioni sta diventando un processo mondiale che il nostro sistema di vita non è capace di ordinare. Quelle fiumane di gente sventurata che chiede solo di poter vivere potrebbero diventare così grandi da rendere oggettivamente difficili dar loro possibilità di vivere. Forse quelle migrazioni sono l’avanguardia oscura di un grande e non lontano cambiamento simile alla fine del mondo antico, un cambiamento che non riusciamo a immaginare. I nuovi, arroganti e beoti padroni della terra si illudono che il loro dominio, i loro bottoni che spostano a piacere uomini, cose, ricchezza e povertà, sia destinato a durare in eterno. Esso potrebbe crollare come è crollata Babilonia e i migranti di oggi o meglio i loro prossimi discendenti si aggireranno fra le rovine della ricchezza tracotante e volatilizzata come un tempo i barbari fra le colonne e i templi abbandonati.

Claudio Magris 27 febbraio 2016