CioccolatItaliani

 

Siamo a Milano in via de Amicis, la sede storica e principale di CioccolatItaliani; un brand internazionale che molti di voi già hanno iniziato a conoscere anche se non sono di Milano.
Siamo davanti a Vincenzo Ferrieri, ex alunno del nostro Istituto F. Denza di Napoli.
Classe?
’84

Classe ’84… vivi a Milano?
Ormai da 13 anni ma, nato a Napoli quindi napoletano nell’indole.
Beh è giusto mantenere le proprie radici… e poi Milano sembra essere abbastanza accogliente, forse non ha il cuore grande dei napoletani…
In realtà non è vero. Milano è una città che ti accoglie, che ti permette di conoscere tantissime persone, quindi è molto aperta a culture e tradizioni non locali.

Vincenzo è un imprenditore del cioccolato, perché il cioccolato?
Perché è un prodotto che piace un po’ a tutti, quindi ci permetteva di strutturare un negozio come appunto CioccolatItaliani che potesse abbracciare un target molto alto che va dai bambini fino agli adulti che magari vogliono dimostrare un buon cioccolato anche accompagnato da un rum o da un whisky: fondamentalmente un prodotto molto amato sia in Italia che nel mondo da diversi consumatori.

Cioccolato, golosità, capricci… qualche capriccio infantile?
Tanti… voglia di girare il mondo, ho costretto i miei genitori a farmi viaggiare tanto. Voglia di entrare nel mondo dell’alta finanza, mi sono interstardito, ho fatto anche errori e esperienze che poi però mi sono servite.

Qualche capriccio da adulto?
La voglia di crescere, di creare qualcosa di importante a livello professionale. Si ha sempre paura che a volte l’ambizione possa superare il talento… vedremo di gestire questo capriccio.

Invece dei “capricci seri”?
Vincenzo ci pensa su un po’ … Capricci seri, non sono capricci particolari.
Se mi guardo allo specchio penso al mio sogno giovanile.
Diventare un grande sportivo.
Sogno interrotto per poi intraprendere, ovviamente, la via dello studio, della cultura, Milano. Quello è un sogno che mi è rimasto, cui penso.

Quindi hai una certa versatilità! E… un sogno da adulto?
Realizzami non tanto professionalmente ma come persona.
Vengo da una famiglia molto unita, numerosa… il sogno è poter ripetere quello che hanno fatto i miei genitori, avere la stessa armonia che oggi c’è nella mia famiglia.

Non ti chiedo cosa significa la parola persona. Ti chiedo però, cosa significa per te la parola valori?
Innanzitutto coerenza. Perché parliamo sempre di valori e poi siamo i primi a dimenticarci che questi vanno rispettati a 360° in ogni momento e ambito della tua vita: professione, amicizie, intimità. Coerenza.
I giovani, anche quelli a cui tu dai lavoro nei tuoi negozi, hanno dei valori?
Sì, a volte si perdono un po’ sulla coerenza. Io credo che in fondo hanno dei valori, abbiamo tanti giovani che hanno buoni valori, tante idee. Il tema è sempre che non si è tanti!
Purtroppo di recente lessi: non è ciò che sei ma ciò che fai che ti qualifica, e purtroppo è la verità.
Non basta avere valori, è importante portarli avanti in ogni momento della giornata e della propria vita.

Vincenzo Ferrieri è un imprenditore del gusto… in poche parole come nasce la tua impresa?
Nasce perché la mia famiglia lavorava nel settore della ristorazione e della pasticceria.
Inizialmente avevo intrapreso il percorso della finanza.
Forse però l’unione della mia famiglia, l’esser cresciuto con dei genitori imprenditori e comunque commercianti del gusto e della pasticceria mi ha riportato a incrociare le strade con le origini della mia famiglia.
Da qui la voglia di non lavorare più nella finanza ma in qualcosa di più “reale”, più a contatto con le persone; qui è nato il progetto di una catena dedicata al gusto.

Perché a Milano e non a Napoli?
Vivevo a Milano e perché la considero una città piena di opportunità che ci ha dato e continuerà a darci moltissimo. L’azienda è nata a Milano, è cresciuta a Milano e da Milano si sta espandendo. Speriamo di arrivare lontano e di passare per Napoli.

La società, Milano anche, a volte propone dei modelli vincenti. Ma la vita è fatta di quotidianità, di operai, di camerieri…: non c’è il rischio di far sentire la normalità come qualcosa di limitato?
Sì, specialmente in città come Milano dove si è quasi sempre sopra le righe sia a livello professionale sia a livello intimo, personale. Bisogna stare attenti, ricordarsi le origini e che la normalità è quello che rende speciali le vite di ognuno di noi.

Tu dai lavoro a molti giovani, penso…
Sì abbastanza. Abbiamo un’azienda molto giovane, l’età media è di circa 32 anni.

Che cosa offri e che cosa chiedi?
Offro un’azienda la cui forza deriva dalle risorse che lavorano all’interno.
Chiedo tantissima curiosità e tantissimo senso di partecipazione.
Quello che chiedo ai ragazzi è di non limitarsi a compiere il proprio compito quotidiano ma ricordarsi che tutti quanti facciamo parte di qualcosa di più grande.

Riescono a lasciarsi invogliare? A rendersi partecipi?
La risorsa umana è ciò su cui lavoriamo.
Oggi abbiamo 540 dipendenti, tanti ragazzi capiscono che questo concetto di partecipazione e legame con l’azienda è un valore aggiunto sia per il loro percorso professionale sia per il futuro dell’azienda. È qualcosa che oggi “è tornato di moda tra i giovani” si comprende quanto una risorsa umana può fare la differenza.

Diciamo che non sei un imprenditore come quelli denunciati da Chaplin in Tempi moderni… è facile o difficile trovare lavoro oggi? 
Non è facilissimo trovare il lavoro che ti appassiona, però non è così difficile. Abitiamo in un paese difficile, dove è impossibile dire che non ci siano problemi di disoccupazione, specialmente giovanile o di precarietà professionale. È vero pure che secondo me ci sono tante piccole aziende che stanno crescendo in maniera sana, che han bisogno di risorse ma che fanno fatica a reperirle. È un momento difficile ma non credo sia impossibile trovare lavoro, anzi credi che bisogna avere lo spirito di sacrificio.

Alle volte però uno vuole raggiungere un obiettivo e deve fare dell’altro. Cosa dici a queste persone? Non saprei bene cosa dire. Dico solo che nella vita uno deve mirare a fare ciò che ciò che lo appassiona e lo rende felice. Se deve fare dell’altro ma questa situazione non lo rende felice, non so quale potrebbe essere la soluzione ma bisogna trovare il modo per avere degli obiettivi che oltre a portare una sicurezza finanziaria portino a una tua realizzazione personale.

Una impresa che fa sentire il proprio dipendente partecipe lo porta a essere non un numero ma parte di una comunità.
Assolutamente. Noi abbiamo aperto il primo punto vendita qui in via De Amicis in 18, ora siamo 540.
Il ragazzo che inizialmente lavava i vetri oggi è un area manager che gestisce 4 punti vendita.

Lavorate molto con i Paesi Arabi… come mai?
È stata soprattutto una questione di opportunità; aprendo il secondo punto vendita non avevamo molte risorse per strutturare un vero piano di sviluppo, abbiamo colto le opportunità di mercato. Tutte le persone che sono venute a richiederci affiliazioni in franchising, collaborazioni erano dal Medio Oriente. Forse perché sono abituati a comprare in altri paesi ciò che loro non hanno nel loro paese.

Pensi che ci sarà uno scontro tra queste culture? Occidentale e islamica? Con la quale noi lavoriamo tanto e che pure hanno comprato tanto anche a Milano.
Purtroppo lo scontro già c’è. È un dato di fatto. Quello che io è vedo è che lavorando in quei paesi (5 punti vendita in Arabia Saudita che visito spessissimo) c’è un movimento popolare che potrà fare qualcosa e cambiare la situazione… anche con l’utilizzo della rete, i giovani, la nuova generazione, i ragazzi della mia età e addirittura quelli prima, riescono ad essere culturalmente più evoluti e più aperti. Questo secondo me sarà il motore verso il cambiamento. È chiaro, non so quanti anni ci vorranno, quanto sarà difficile e se si potrà eliminare del tutto la frange più estrema di quella regione, però qualcosa sta cambiando. 5 anni fa quando noi siamo entrati in Arabia Saudita i locali erano o per uomini o per donne e ogni tavolo doveva avere le tende. Le persone arrivavano, si chiudevano attorno al proprio tavolo, si levavano il velo e si mangiavano il gelato. Oggi nell’ultimo locale che abbiamo aperto non esistono più le tende. Il primo anno che siamo andati c’era la polizia religiosa per strada, che ti obbligava a pregare per 5 volte, oggi non c’è più. Da un mese a questa parte la donna può iniziare a guidare. Insomma ci sono tanti cambiamenti in atto. È chiaro che lo scontro c’è ancora. La situazione attuale del Qatar è molto grave, molto critica. Purtroppo anche lì il sistema politico non è del tutto chiaro e trasparente quindi non è una situazione facile. Credo che la naturale evoluzione e anche l’apertura mentale che stanno avendo le nuove generazioni possa aiutare a trovare una mediazione tra le due culture.

Tu credi in Dio?
Non solo credo in Dio ma anche amo molto la nostra religione per i valori che professa.

La sensazione che ricordi quando hai messo la prima pietra qua in via de Amicis 25?
Eravamo molto spaventati, era un investimento importante.
Avevo coinvolto la mia famiglia perché da solo non avevo le risorse finanziarie. Mi sentivo molto spaventato per il fatto che i miei genitori abbiano sempre avuto fiducia e stima verso le mie idee, sempre puntato su di me. Questo ovviamente mi caricava e mi carica ancora oggi di responsabilità perché mi sento in dovere di mantenere le aspettative.

Il prodotto più buono che hai?
Negli ultimi due anni abbiamo selezionato una piantagione in Colombia io e mio padre che si chiama casa Lucher; un’azienda colombiana impegnata in moltissime attività anche sociali, sia nel recupero di piantagioni di cocaina sia per lo sviluppo di questi piccoli villaggi che nascono all’interno delle piantagioni del cacao e abbiamo selezionato una piantagione che produce una sola tipologia di cacao definito cacao fino d’aroma ovvero una certificazione internazionale per un cacao ricco di aromi, tra i più pregiati al mondo. Solo l’8% del cacao mondiale ha questa certificazione. Da due anni utilizziamo questo prodotto nei nostri store e credo che sia uno dei principali, qualitativamente superiore.

E questa vostra sensibilità sociale da cosa nasce?
Nasce dalla consapevolezza di essere fortunati nella vita e secondo me la fortuna spesso ti porta dei doveri nel senso che hai l’obbligo di ridare qualcosa indietro, “give back”. È un qualcosa che noi abbiamo sempre fatto nel nostro piccolo. Da tre mesi a questa parte andiamo negli ospedali a portare il gelato ai bambini malati, facendo un accordo con la onlus medicine buone per cui il 10% del nostro fatturato viene devoluto a questa associazione che va negli ospedali a regalare attimi di piacere, gioia e momenti di leggerezza ai bambini ricoverati. Ma è un qualcosa che credo sia quasi naturale nella mia famiglia nel senso che abbiamo sempre avuto un’attenzione verso chi è più in difficoltà. Quando abbiamo conosciuto questa azienda colombiana, già attiva in questi programmi, un’azienda familiare ma gigantesca, cresciuta tantissimo, ci siamo detti: questa è l’azienda perfetta per noi, c’è stato un match di valori e una collaborazione!

E quindi qual è il miglior gelato che posso mangiare?
Il gelato prodotto con questo cacao, Arauca 75% accompagnato eventualmente da lamponi o una crema di pistacchio.

Grazie mille Vincenzo per il tempo che ci ha dedicato e buona avventura!

Economia, lavoro e dottrina sociale della Chiesa

Dal momento in cui l’economia è stata definita scienza, sempre più aspetti della vita dell’uomo hanno iniziato a essere soggetti a valutazioni economico-numeriche e finanziarie; come se il fine ultimo fosse l’economia stessa, la moneta, cosa che ha comportato nel tempo fenomeni come la sproporzionata distribuzione della ricchezza e il collasso dei mercati. In altre parole, l’economia non viene più vista come strumento per migliorare la vita dell’uomo, bensì diventa il fine ultimo, ciò per cui ognuno di noi lotta durante la propria quotidianità.

Il mondo economico, inteso in senso più ampio, ossia come sistema economico moderno, dovrebbe esistere a servizio dell’uomo, non come padrone di esso; in effetti è molto sottile il confine tra le due cose e vale la pena analizzare la questione partendo da un aspetto fondamentale, forse il più importante, legato all’economia sin dai tempi più antichi: il lavoro. Il lavoro è stato oggetto di dibattito nel corso dell’intera storia dell’uomo, in particolar modo negli ultimi due secoli, teatro nell’industrializzazione che ha invaso e modificato in modo permanente il sistema economico e che ha poi portato, negli anni, ai meccanismi economico-finanziari moderni. Si pensi, ad esempio, a Karl Marx, che vedeva il lavoro svolto dagli operai (da lui definiti “proletari”), nel mondo capitalistico, come alienazione degli stessi; oppure Frederick Taylor, ingegnere e padre del c.s. Taylorismo, che esegue un’analisi scientifica sul lavoro operaio, tanto da far sembrare gli operai come macchine, strumenti e non più come uomini: tutto ciò per aumentarne l’efficienza e, in altre parole, la produttività.

Su tale aspetto si è soffermata anche la Chiesa la quale ha inteso elevare l’elemento “lavoro” a un concetto ben più nobile rispetto a un semplice atto quotidiano e strumentale alla produzione di valore per l’impresa. Il lavoro è: “la chiave essenziale di tutta la questione sociale, se cerchiamo di vederla veramente dal punto di vista del bene dell’uomo” (Giovanni Paolo II, Laborem exercens, 3, 1981) avente “due caratteri impressigli da natura, cioè di essere personale […] (e) di essere necessario, perché il frutto del lavoro è necessario all’uomo per il mantenimento della vita, mantenimento che è un dovere imprescindibile imposto dalla natura” (Leone XIII, Rerum novarum 34, 1891- concetto del “dualismo del lavoro”).

Proprio da tali spunti, peraltro presenti anche (e a maggior ragione) all’interno del libro della Genesi (lavoro come ordine Divino “riempite la terra e sottomettetela” e lavoro come mezzo di sostentamento “con il sudore della tua fronte tu mangerai il tuo pane”), la Dottrina Sociale della Chiesa ha definito in senso più moderno e pratico il valore e l’importanza del lavoro, riconoscendo, fra gli altri, il grave errore dell’economia moderna di anteporre il materialismo economico alla dimensione spirituale di essa, ossia l’operare dell’uomo, i valori morali e simili, errore tutt’altro che latente nella scienza economica.

Detto ciò, assistiamo a uno scenario mondiale in cui è l’uomo a essere al servizio dell’economia e non, invece, l’economia a essere al servizio dell’uomo, come dovrebbe essere. Tale paradosso, com’è comprensibile, ha numerosi effetti sull’umanità e il più lampante e immediato è quello della disoccupazione. Il motivo di ciò è facilmente comprensibile, in quanto l’esubero della forza lavoro è condizionato dalla necessità e dalla natura della produzione di beni e servizi, secondo leggi dettate dall’economia stessa, dalle sue esigenze e, non, da quelle dell’uomo.

Infatti, la legge economica che disciplina l’esubero di un macchinario o di qualsiasi strumento produttivo, disciplina anche l’esubero di forza lavoro, riducendo l’essere umano alla stessa stregua di un oggetto. Ciò riassume tutto il male cui vanno contro i principi della Dottrina Sociale della Chiesa, ossia i principi di personalità, di bene comune, di sussidiarietà e di solidarietà.

Il primo, forse il più importante ed emblematico, identifica l’uomo come soggetto, fondamento e fine della vita sociale, cui deve esserne strumento l’economia e non viceversa; il secondo, invece, ha finalità ben precise identificate, fra le molte altre, nell’occupazione, nell’evitare categorie sociali privilegiate e nella proporzione tra salari e prezzi; i terzo indica l’intervento compensativo e ausiliario degli organismi sociali più grandi a favore dei singoli e dei gruppi sociali più piccoli; il quarto, infine, definisce e promuove l’importanza della carità, volta a combattere l’egoismo e l’auto-centrismo sociale che si è ormai radicato come un cancro nelle società moderne.

Alla luce di quanto esposto, risulta con chiarezza solare come il problema di base sia da identificarsi nel sistema in sé, quel sistema su cui si basa l’intera società moderna, che mira all’efficienza produttiva piuttosto che al soddisfacimento delle necessità di tutti gli esseri umani; che predilige il guadagno di pochi rispetto ad un’equa distribuzione della ricchezza; che persino, in molti casi, riduce la religione ad un mero compito che si manifesta nell’”andare in chiesa” e “lasciare l’offerta” invece di seguire i principi della Dottrina Sociale della Chiesa ed interrogarsi su ciò che davvero è giusto, etico e qualificante per l’essere umano come vera dimensione da salvaguardare e da anteporre al resto. Quel sistema che, d’altra parte, è stato creato dall’uomo stesso. Infatti,

«Gli squilibri di cui soffre il mondo contemporaneo si collegano con quel più profondo squilibrio che è radicato nel cuore dell’uomo. […] Da una parte infatti, come creatura, esperimenta in mille modi i suoi limiti; d’altra parte sente di essere senza confini nelle sue aspirazioni e chiamato ad una vita superiore (Gaudium et spes 21)».

Tommaso Carretta