Insegnaci a pregare

No, non è una semplice battuta il titolo.
Oggi molti uomini e donne e giovani non pregano più e quando ne avrebbero bisogno non ne sono consapevoli e non sanno come fare.
Allora Salvini con tutte le sue madonne e rosari così come Achille Lauro con il suo autobattesimo sanremese (vedi mio ultimo articolo) ci ricordano che l’uomo e la donna hanno anche una dimensione spirituale da cui non possono fuggire, con la quale devono confrontarsi.
Ho commentato su twitter l’uscita madonnara del sig. Salvini, chiedendo ai cristiani almeno di rifletterci sopra molto attentamente. Ho ricevuto circa 250 riscontri tra like e risposte. Molto pochi arrabbiati, molti di condivisione e approfondimento sia di credenti sia di non credenti, compresi TheManeskin!. Non so se i conservatori non usino twitter o si siano defilati perché questa volta si è superato il limite.
Però un fatto è certo il sig. Salvini sa dove parare, ma la gente non è del tutto stupida e i cristiani non del tutto ingenui.
Sa dove parare perché la gente, ognuno di noi, non può fare a meno della dimensione spirituale dell’esistenza (chiamiamola anche religiosa) e quindi perché non cavalcarla? Il problema è che molti dei credenti (mi fermo in casa mia) forse non sanno più come rispondere all’esigenza spirituale di ogni loro simile, esigenza sopita o no.
Pregare è un’arte che riguarda tutti, scriveva Massimo Recalcati qualche anno fa, anche chi non è credente.
Ma noi non chiediamo più a nessuno di insegnarci a pregare perché non abbiamo più bisogno di pregare e quand’anche ne avessimo bisogno ci rivolgiamo a questa o quella realtà non spirituale o di una dubbia o effimera spiritualità.
Nel vangelo i discepoli chiedono a Gesù di insegnare loro a pregare, ma noi uomini, donne,
giovani di oggi a chi chiediamo di insegnarci a pregare? Ovvero se qualcuno ci chiedesse di insegnare loro a pregare come e cosa gli risponderemmo?
Abbiamo perso l’abitudine di pregare veramente, di conseguenza siamo incapaci di trasmettere il pregare e quindi nessuno più ci chiede di pregare.
La preghiera è quello strumento con cui possiamo entrare nell’intimità della vita, nell’intimità di noi stessi, nell’intimità di Dio. Ci sono molti modi per entrare nelle intimità della vita e di se stessi. Potrebbe bastare così per essere persone equilibrate e serene verso la vita e verso se stessi. In questo modo però la preghiera resta un buon strumento ma chiuso in se stesso, semplice propria azione di buona volontà, incapace di riconoscersi come un dono ricevuto per diventare dono.
Se per ogni uomo buono ciò è rischioso, per un cristiano lo è ancora di più. Il cristiano che è tale perché ha ricevuto “in dono” la fede e il nocciolo della fede, l’Incarnazione di Dio e il dono dello Spirito santo, vivere piegato solo sulle proprie cose buone non è bene. Non pregare, non voler pregare, non sapere pregare conduce anche il cristiano a pensare solo a se stesso, non per cattiveria, ma per maleducazione.
Il fatto stesso che molti di noi adulti non siano stati capaci di trasmettere il bello e il dono della preghiera è un chiaro segno di questa maleducazione. Una maleducazione che ha portato molti nostri giovani anche a pregare, ma spesso a non essere consapevoli di come pregano e di chi pregano. Tra questi adulti maleducanti mi ci metto anche io.
Parlare di questa maleducazione non significa colpevolizzare questo o quello ma cercare di diventare consapevoli di una fatica, di una incapacità che sta creando molti danni. Se la preghiera è il modo proprio di essere cristiani, di essere uomini e donne, di amare, di vivere e morire (come tutta la Bibbia ci insegna) non essere più capaci di insegnare a pregare è un dramma, una colpa profondi.
Insegnare a pregare significa almeno due cose: scoprire ed edificare la propria vita interiore, scoprire ed edificare il proprio essere figli.
In troppi dialoghi con giovani credenti o no, vicini o lontani, troppo scopro l’incapacità di costruire una propria vita interiore e quindi l’incapacità di affrontare in profondità la bellezza del proprio esistere. La mancanza di una vita interiore è l’altra piaga della nostra umanità, connessa al non sapere pregare.
Certo ci sarebbero gli psicologi per aiutare a fare ciò, ma la psicologia, quando è seria, entra nelle dinamiche dell’esistenza per sbrogliarne la matassa però non può rispondere alla domanda di senso e specialmente alla consapevole scoperta dell’essere figli.
Infatti, la preghiera cristiana, conduce a scoprirsi figli non di un Dio sconosciuto ma di un Dio che in Cristo si è rivelato Padre a ognuno di noi e nel dono dello Spirito si fa riconoscere come tale in modo sempre rinnovato, originale e personale.
La preghiera cristiana è sempre rivolta a un Dio che è Padre, Padre e Madre disse papa Luciani, e proprio per questo, nonostante i limiti e gli abusi dell’umanità cristiana, permette al credente di sapere da dove viene, dove è e dove va, permette di trasgredire e proprio per questo di essere libero.
La mia preghiera personale percepisce quanto ho cercato di scrivere; ma non credo di essere molto bravo nell’insegnare a pregare, nel testimoniare una preghiera buona.
Un giorno un alunno mi disse: io non credo, però nel vedere come lei si è inginocchiato e ha fatto un segno della Croce, mi ha fatto percepire che l’uomo non può vivere di sole cose materiali.
Se ciascuno di noi con la propria preghiera riuscisse anche solo a lasciare qualche piccolo segno, a sollecitare qualche domanda nel proprio prossimo non avremmo più bisogno di mercanti della preghiera.
Solo un recupero di una preghiera in armonia con sé, con la vita e con Dio può rispondere a quel bisogno di maturità umana che tutti cercano ma pochi vogliono percorrere, come si dicevano l’un l’altro il credente cardinal Martini e l’ateo filosofo Norberto Bobbio.

“Rockeggiando con il Natale”

Certo il Natale è ormai passato, ma non può passare la voglia di ritornare su cose accadute e magari di cui siamo stati protagonisti di cui voglio scrivere. Questo è il bello del nostro essere uomini e donne.

Cosa vuol dire pregare? Quanti modi ci sono per pregare? Come possiamo noi giovani avvicinarci alla preghiera per comprendere più a fondo il vero significato del Natale?

Per rispondere a queste domande, noi Giovani della Parrocchia Beata Vergine Maria Madre della Divina Provvidenza di Firenze abbiamo organizzato una veglia di preghiera per il Natale decisamente particolare. In un’unione tra musica pop e rock, letture dal Vangelo e pensieri da noi scritti la ricetta per aiutarci a riflettere e a pregare da una prospettiva meno classica e in una forma che ai più potrebbe sembrare alternativa e inusuale.

Dopo averli ascoltati in qualche locale fiorentino, abbiamo invitato a suonare un gruppo di giovani musicisti emergenti, i Revevants, ai quali è stato chiesto, in un primo momento, di mandarci alcune loro canzoni e i testi, per poi scegliere quelle a nostro parere più adatte per una lettura e interpretazione in chiave cristiana: “Ci sembrava un bel progetto ed eravamo in buoni rapporti con Padre Giannicola, per questo abbiamo accettato volentieri l’invito. È stato interessante vedere come i nostri testi, di per sé lontani dalla religione, potessero essere riallacciati al Natale e in generale al cattolicesimo”, ci ha detto il cantante del gruppo, Niccolò.

Dopo aver analizzato e scelto testi e canzoni, abbiamo iniziato a lavorare allo “spettacolo” vero e proprio: abbiamo scelto alcuni passi dal Vangelo e scritto alcune riflessioni, prendendo spunto da frasi o temi emersi nei brani, cercando di chiederci soprattutto quale senso abbia oggi il Natale, e come poter vivere questo evento nella nostra realtà storica.

Ma la preghiera non è solo parole è anche corpo. Con l’aiuto del coreografo Gabriel Zoccola Iturraspe, abbiamo creato una coreografia adatta a essere messa in scena in un’ambiente particolare come una chiesa; con un curato impianto luci poi è stata creata un’atmosfera suggestiva e carica di significati perché gli “spettatori” potessero entrare un po’ di più nel mistero della fede.

Lo spettacolo si è tenuto infine la sera del 22 dicembre, alternando momenti di musica dal vivo, riflessione, danza e preghiera, e si è concluso con un gesto in ricordo dei migranti e dei profughi nell’Est Europa: abbiamo illuminato tante piccole luci verdi, come simbolo dell’impegno di solidarietà di molti polacchi che, al confine con la Bielorussia, accendono lanterne verdi nelle loro case per indicare che sono luoghi sicuri, in cui è possibile trovare conforto e riparo per i migranti mediorientali ammassati sul confine con l’Europa.

Sant’Ireneo (III secolo) scriveva che Dio si è fatto uomo per insegnare la sua lingua agli uomini, ma anche per imparare la lingua degli uomini, un obiettivo per avvicinare l’Uno agli altri e viceversa. Oggi il linguaggio di Dio è abbastanza lontano da quello degli uomini e specialmente dei giovani: questo nostro lavorare con i Revevants nel suo piccolo ha cercato di riavvicinare la lingua di Dio alla lingua dei giovani.

D’altra parte per i Revevants stessi, ci hanno detto, «ne é valsa la pena. Le persone presenti sembravano interessate e anche noi ci siamo sentiti in una posizione diversa dal solito (abituati a suonare in situazioni diverse come pub e bar a giro per la Toscana). Complessivamente è stata un’esperienza nuova ma speciale.

Come nuovo e speciale è sempre il Natale!

Giulia Centauro – Firenze

SAMZDAY2021

Ciao Amici di SAMZ,

forse un po’ in sordina (usate ancora questo termine?) ma anche quest’anno vogliamo celebrare il nostro SAMZ (antonio maria zaccaria) da lontani o da vicini, per darci la carica giusta nell’affrontare le sfide di ogni giorno. Conoscere un poco di più con la mente e con il cuore, con la preghiera e il ragionare la vita di quest’uomo sarà anche quest’anno una bella opportunità per crescere nella nostra umanità, nella nostra adesione alla vita, nella capacità di sapere affrontare con spirito critico le sfide dell’oggi e anche, non da ultimo, contribuire nella sempre necessaria riforma della Chiesa di cui vogliamo essere parte viva.

Mercoledì 30, Giovedì 1 e venerdì 2 riceverai o troverai sul nostro blog dei box sulla vita di SAMZ scelti tra quelli pubblicati in questi anni da Maura, dovrai avere la pazienza di trovarti nella giornata (ce la puoi fare non dire che sei assolutamente preso) 15 minuti per ragionarci e pregarci sopra; direbbe SAMZ che dovrai trovare anche solo il tempo di una Ave Maria o fare esercizio di elevare spesso la mente a Dio e la tua giornata correrà meglio.

Confidiamo l’uno negli altri per correre insieme come matti verso Dio e verso il prossimo.

Buon SAMZDAY2021!

Per chi suona la campana!

«Ogni morte di uomo mi diminuisce, perché io sono parte dell’umanità. E così non mandare mai a chiedere per chi suona la campana: essa suona per te» (E. Hemingway)

Non so quale idea abbiamo dell’umanità e del nostro essere parte dell’umanità non solo quando compie qualche impresa memorabile, ma specialmente nella quotidianità del morire e del morire più dimenticato.

Il vangelo di oggi (Mt 14,13-21) ci indica che ognuno di noi può avere una responsabilità grande e vivificante nell’affrontare il pericolo del morire di ogni uomo, prima che questo accada per una conseguenza naturale.

Parlo di morire perché il vangelo di oggi comincia con una morte e si conclude con il superamento del morire di una folla affamata.
Infatti, il vangelo comincia con il ricordo della morte di Giovanni e l’azione di Gesù che si ritira in luogo deserto per fermarsi a riflettere, per cercare di prendere la distanza da questo fatto drammatico che ha toccato il suo punto di riferimento, in un certo senso il suo alter ego: Giovanni Battista.

Il bisogno di preghiera di Gesù, che non è un episodio isolato ma una costante nei momenti cruciali della sua esistenza, è quel bisogno di prendere le distanze per capire come continuare a misurare la vita di tutti giorni. Non è un lavarsi le mani, ma un recuperare la propria responsabilità, capire se e come continuare l’opera di Giovanni.
Capire se e come continuare a prendersi cura di quelle folle senza pastore che dopo la morte di Giovanni andranno a cercare Gesù ovunque egli si trovi.
Il silenzio pieno di preghiera di Gesù è un silenzio per riconoscersi e per riconoscere, per capire qual è la propria vocazione e quali sono le persone di cui prendersi cura.
Di Gesù infatti non si dice che vuole guarire queste folle, ma che vuole prendersene “cura”, ha un atteggiamento … globale della loro persona.
La sua preghiera diventa un momento di riconoscimento della propria vocazione e della propria missione, sulla scia della testimonianza di Giovanni.
Non pensiamo però che questa preghiera sia un’istantanea, piuttosto è il frutto di un cammino che Matteo evidenzia più volte, un cammino che culminerà nel Getsemani.

Non sarà una preghiera che culmina nel benessere personale, in un ignoto nirvana individuale, ma in una rinnovata missione che culminerà nella condivisione del pane e dei pesci.
La vera preghiera cristiana sarà sempre una preghiera aperta, aperta alla … vita: veramente l’incontro con Dio si fa incontro con il prossimo, veramente il prossimo, il povero diventa segno (sacramento dirà Paolo VI) di Dio sulla terra, più del pane e del vino.

Ma dobbiamo ora sottolineare l’inadempienza dei discepoli, non per accanirci contro di loro, bensì per imparare dalla loro chiusura, dalla loro fatica ad aprirsi all’… incoscienza di Dio. I discepoli abituati come ogni uomo a fare i conti anche della carità qui vengono spiazzati dalla fiducia di Gesù nel Padre, da una fede senza misura. Il poco dell’uomo diventa il tanto di Dio.
Noi che siamo abituati a misurare la carità, dobbiamo invece oggi imparare a fare i conti con la carità di Dio; noi che abbiamo paura a dare qualche cosa di più di noi, qui siamo invitati a donarci e a donare quello che siamo e quello che abbiamo.
Non si può correre verso Dio se non si corre come matti anche verso il prossimo direbbe il nostro SAMZ.

La campana della vita, se non vuoi che resti una campana della morte, ricordati che suona sempre anche per te.
Questo significa sapere condividere 2 pani e 5 pesci.

Un campanile in tasca

C’è un fatto su cui molti fedeli e giovani fedeli non riflettono abbastanza: la fortuna di avere avuto un sacerdote che ha animato il proprio oratorio, la propria scuola o il proprio gruppo, non sarà la stessa fortuna dei loro figli e di molti giovani di oggi.
Questo accade perché è calato il numero dei sacerdoti e non pare possa aumentare in futuro.
Sono diverse le cause di questa crisi, ma c’è un’attenzione che si può fare nostra, che deve sollecitare i nostri giovani: pregare per le vocazioni.
Infatti, c’è un comando particolare, uno dei pochi comandi diretti che Gesù chiede: «pregate il padrone della messe perché mandi operai per la sua messe», perché la messe è molta ma gli operai sono pochi.
Alcuni giovani sollecitati da questa proposta hanno risposto che prima bisogna pensare alla propria vocazione umana, certo è vero. Ma è necessario pensare alla propria vocazione battesimale tenendo alto lo sguardo verso il comando del Signore, perché un gregge senza pastore è un gregge che si disperde.
Le strategie vocazionali sono anche altre e di diverso tipo, ma recuperare la preghiera credo sia la prima e più efficiente scelta. Questa e non altre particolari attività chiede Gesù.
Nei tempi correnti in cui tanti, forse tutti i nostri giovani corrono per non restare schiacciati dalla vita, una proposta di preghiera può essere rivoluzionaria e risolutiva.
Sulla nostra tradizione zaccariana la preghiera deve essere breve ed essenziale perché la mente spesso si deve elevare a Dio, quindi bastano poche parole incisive, capaci di far capire il perché, e un segno affinché la preghiera non sia campata per aria.
Il segno non può che essere la Croce e il ricordo del venerdì alle 15.00 quando la nostra tradizione faceva risuonare 33 colpi di campana a memoria della morte di Gesù. E perché non fare degli smartphone i nuovi campanili? Perché non far suonare il proprio smartphone campanile ogni venerdì alle 15.00?
È guardando alla Croce che possiamo rispondere al comando di Gesù, chiedendo che essa possa irrigare i cuori di tanti giovani con il dono della vocazione.
Questa la sfida che noi Barnabiti dobbiamo chiedere ai nostri giovani.
Sono molti i giovani che dal Chile, alla Nigeria a Honk Kong stanno rischiando la propria vita per la verità e la giustizia.
Riusciremo a sollecitare i nostri giovani a “protestare con Dio” per ottenere ciò che lui ci chiede? Riusciremo a creare una catena di giovani nel nostro mondo barnabitico alle 3 del venerdì?
Se non abbiamo paura di osare, sono certo che sì, ce la faremo!
Alcuni di loro sono già pronti! E noi?

Tai Chi

Nel Tai Chi che pratico da anni, c’è un saluto con cui apriamo sempre le nostre sedute: ci si inchina lentamente tre volte portando le mani al cuore, una chiusa a pugno nell’altra.
Il primo inchino è mentalmente rivolto “al maestro che è sopra di noi”; il secondo “al maestro che è davanti a noi”; il terzo “al maestro che è dentro di noi”.
Così ci ha spiegato chi ci guida.

Il saluto è lento, tranquillo, silenzioso e mi dà tutte le volte tempo e modo per una preghiera dolce e riconoscente alla Trinità.

Mi inchino al maestro che è Padre, creatore, misericordioso, luce da cui tutto proviene e in cui tutto si ricapitolerà.
Poi mi inchino al maestro che è Figlio, via, verità e vita per me che sono ancora e sempre in ricerca.
Infine mi inchino al maestro interiore che è in melo Spirito, luce nelle scelte di ogni giorno, consolatore perfetto, ospite dolce dell’anima, dolcissimo compagno nel cammino della vita. Prego così, tutte le volte. Ho imparato nel tempo, e non sempre in modo indolore, che non ci sono altri maestri in Terra e che anche in una palestra si può pregare. Chissà se il mio saggio e profondo insegnante di Tai Chi se n’è accorto!

Ho tratto questo testo da https://www.unattimodipace.it grazie

Da dove cominciare?

 

Da dove cominciare? Direi dall’inizio, la sera dell’arrivo quando ci siamo alzati uno per uno presentandoci e mostrando una facciata più che formale che si sarebbe sgretolata a breve grazie a un gomitolo che ci lanciavamo l’un l’altro per chiederci le generalità.

Sono stati solo tre giorni ma sufficienti per soffermarci un attimo, riflettere, riavvicinarci a Lui, e, con il Suo aiuto, a noi stessi. Si, perché per guardarsi dentro non serve sempre partire, ritirarsi: a volte, basta cercare lo spirito giusto e un po’ di coraggio.

In questi giorni di riflessione e condivisione abbiamo cercato il nostro specchio interiore. Per quanto tempo riesci a guardarti allo specchio? Dieci secondi? Venti? E no, non quando ti prepari la mattina o per uscire o per farti un selfie, quando ti guardi per guardarti, ma in ascensore, riflesso da solo a solo. Qui inevitabilmente il nostro “io” più profondo tenta di uscire fuori, di inviarci dei segnali che ci spiazzano in appena tre, quattro piani!

In fondo non abbiamo remore a vedere la nostra immagine riflessa dopo che non abbiamo agito al meglio? O, viceversa, non ci soffermiamo un po’ di più a guardarci quando siamo fieri di noi? A volte è così difficile guardarsi riflessi, perché diciamola tutta, ognuno di noi ha quella parte un po’ scomoda di sé che vorrebbe ignorare o mettere a tacere. Non parlo di un naso storto, di quei chili di troppo, dei capelli mai al loro posto. No, parlo dei pensieri mai al loro posto, delle emozioni scomode che scalpitano per uscire come piccole crepe dalla nostra anima.

Abbiamo uno strano modo di badare a noi stessi, l’apparire, fisico e sociale, spesso sorpassa le nostre più vere ragioni d’essere. A volte siamo talmente concentrati a condividere foto, momenti, sui vari social così da lasciarli impressi ovunque tranne che dentro di noi. Ormai sembra sempre più difficile trovare qualcosa che ci faccia dimenticare di condividerla perché siamo troppo impegnati a viverla. Forse potremmo distogliere lo sguardo da questi schermi, da questi like, da questi profili e cominciare a guardarci l’un l’altro: chi meglio di un vero amico può aiutare a guardarci dentro? Il confronto con gli altrici permette di crescere e rendere quelle crepe dei veri e propri panorami di luce. Quante volte non cerchiamo un contatto con una persona perché abbiamo paura di essere in torto, di non essere capiti o di essere di troppo. Nulla di più sbagliato. Con chi ci vuol bene abbiamo la possibilità di condividere silenzi senza “commentarli”, di ricordarci qualcosa per un odore o una canzone e non perché ce lo suggerisca facebook, di essere connessi con uno sguardo e un sorriso, senza spunte blu.

Prima ancora di guardarci dentro, potremmo provare a lasciare emergere la parte più vera di noi che, a nostra insaputa, si porta dietro tutto: sbagli, esperienze, vita, tutti i passi che ci hanno portato fino a qui.

I miei passi mi hanno portato ieri a un ritiro, oggi a scrivere, domani verso i miei sogni ma voglio che non vadano solo verso di me, ma anche verso gli altri. Come adesso, mentre vi racconto uno spicchio di vita che tanti ragazzi hanno condiviso (per davvero, senza internet!). Per trovare la nostra luce nei momenti bui, il nostro panorama oltre le crepe, sono i veri amici e chi ci ama a poterci guidare. Perché come fanno luce nei momenti bui e ci ricordano quanto siamo speciali, ci possono aiutare anche a vedere dove non vogliamo vedere, a essere i nostri occhi dove noi abbiamo posto delle bende. Così quella situazione difficile, quei cambiamenti ignorati, quei nostri modi di essere un po’ scomodi, piano piano prendono forma dentro di noi… prima sfocati e poi sempre più nitidi. Sarà allora che l’amico che ci ha aperto gli occhi, ci terrà per mano e ci aiuterà a trovare la strada. La stessa persona che ci ha aiutato a levare le nostre bende, ci aiuterà a tracciare la rotta.

Ad aspettare ognuno c’è il suo panorama, ogni mezzo dell’amicizia è consentito per raggiungerlo purché accompagnato da lealtà, fiducia, coraggio. Non ci resta allora che cominciare, partire e poi ripartire ancora, ogni volta portando dietro quel bagaglio che sono le nostre esperienze. Come quando, finito il ritiro, ci siamo salutati e abbiamo ripreso le nostre strade. Forse erano sempre le stesse che ci portavano a casa ma questa volta con un po’ più di luce dentro, sempre più vicini al nostro panorama con la certezza che ciò che è veramente condiviso non si “archivia” mai.

Valentina – Roma

Aspettare il tram con Gesù?

«I cristiani dicono di attendere il Signore, e lo aspettano come si aspetta il tram!» scriveva Ignazio Silone!.

C’è un modo distratto e un modo preoccupato per attendere il tram!.

È distratto quando si vive questo tempo come qualsiasi altro, come una delle tante pubblicità che colpiscono i nostri sensi; quante volte abbiamo una fede spot tra tanti spot?

È modo preoccupato, che si prende carico, quando vuole arrivare alla meta, considera i modi per raggiungerla, è già nella gioia per quanto accadrà.

+ Con quale atteggiamento vogliamo attendere il “Signore che viene”?

+ Ma vogliamo attenderlo o pensiamo che il tempo sia scaduto o questa storia riguardi il passato?

Essere consapevoli di ciò è già il primo passo per attendere “il Signore che viene”.

+ Ma il Signore viene?

Certo che viene, perché è venuto, perché verrà.

È venuto ogni volta che è accaduto il bene (non solo 2000 anni fa a Betlemme);

viene ogni volta che accade il bene;

verrà quando si rivelerà il bene nella sua totalità, nella pienezza della misericordia di Dio.

Qualcuno potrebbe voler sapere cos’è il bene, ma prima credo sia meglio chiedersi come attendiamo, vigiliamo “il Signore che viene”!.

+ Si attende “il Signore che viene” con la preghiera.

Pregare incessantemente dicendo : “Vieni Signore Gesù”, significa gridare al cielo invocando da lui ciò che non ci possiamo dare da noi quaggiù. Significa riconoscere che ogni essere umano è abitato da un desiderio così profondo che la terra non può saziare.

Pregare leggendo con sincerità di cuore il Vangelo, anche un versetto al giorno, che come la fiamma di una candela possa illuminare il nostro andare, cambiare i nostri modi di pensare per trovare le risposte giuste.

Pregare trovando spazio per il Silenzio: come un bimbo richiede 9 mesi di silenzio per nascere, così Gesù per nascere in noi ha bisogno di silenzio.

+ Una preghiera così vissuta e celebrata è un bene, è il bene!

È il bene di cui abbiamo bisogno per crescere, è il bene di cui ha bisogno il mondo per crescere. Una preghiera così celebrata crea un’energia positiva non solo per me, ma per tutti. Certo è una preghiera invisibile, agli occhi degli uomini, ma non di Dio che provvede a spargerla nell’universo.

Vieni Signore Gesù è la preghiera di chi ha l’umiltà di ammettere che non solo non ci si può dare tutto, ma che l’essenziale che ci fa vivere lo riceviamo, certi che l’unica salvezza è la vita di un altro, di un Altro. Sappiamo che il passato non ce l’ha data, comprendiamo che il presente ne è del tutto incapace, allora la attendiamo nel futuro e, invocandolo, la attraiamo a noi. “Il futuro entra in noi, per trasformarsi in noi molto prima che accada” (R. M. Rilke, Lettere a un giovane poeta, 12 agosto 1904).

Dipende da noi attendere il Signore come alla fermata del tram o stare alla fermata insieme a Gesù perché il futuro possa farsi storia in noi per il bene degli uomini che Dio ama.

Forse è poco per avere pace?

Costruire la pace non è semplice, ma si può anche da lontano per chi è lontano.
La condivisione della preghiera con i nostri amici di fede greco-melkiti colpiti continuamente da questa orribile guerra non è poco, credetemi, specialmente se anche noi preghiamo di più.

Chiedendo al Signore,
per intercessione di san Giacomo,
di cui oggi festeggiamo la memoria,
la pazienza e la saggezza
di saper aspettare
e riconoscere la grazia che vorrà concederci
nel corso della nostra vita;

accompagniamo con la preghiera
il lavoro delle forze militari irachene
e quante ad esse affiancate
nell’opera di liberazione delle zone occupate
da più di due anni dall’Isis,
e la pazienza che quanti ne sono stati cacciati,
devono avere prima di sapere
se le proprie case ancora esistono
e se esistono in che stato sono.

Preghiamo per i cittadini di Aleppo anche,
sempre in più penose situazioni.

E a gran voce diciamo senza stancarci
Salva, Signore, il tuo popolo
e benedici la tua eredità!

Comunità cristiana greco-melkita di S. Maria in Cosmedin – Roma

“Restare in piedi e non cadere” (1Co 10,12)

Terza domenica di Quaresima, occasione per fare il punto del nostro cammino di avvicinamento alla Pasqua e di conversione, anche perché proprio il vangelo di oggi ci chiama a prendere posizione, a non stare fermi di fronte alla possibilità di essere salvati.
Prima di tutto cosa proclama la parola di Dio?
Proclama la rivelazione di Dio a Mosé, attraverso san Paolo dice a chi sta parlando Dio, infine san Luca – dopo avere parlato di Gesù nelle due domeniche precedenti – racconta come “restare in piedi”, come “non cadere”; cosa significa avere fede.
Il primo dato è che Dio entra nella storia degli uomini, vive con gli uomini, con essi cresce, pazienta, spera, agisce.
L’uomo non è mai solo, anche nel momento del peccato, quando deliberatamente sceglie di allontanarsi da Dio, Dio non lo lascia.
La prima conversione da operare perciò è quella di domandarci quale idea, quale esperienza di Dio ho? Un Dio lontano? Un Dio cattivo? Un Dio che punisce? Un Dio macchinetta delle merendine? Un Dio che non ascolta il grido di chi soffre?
Quante volte anche noi parliamo e pensiamo di Dio come colui che punisce, che castiga: certo Dio corregge, pota, educa, ma non con il ricatto, la vendetta o con la violenza. Dio, che con l’incarnazione del suo Figlio ormai vive in mezzo alla vigna che gli è affidata – noi – non usa la violenza, ma la pazienza e la misericordia.
Con ciò non si afferma che Dio non giudicherà, questo accadrà alla fine dei tempi, nel frattempo egli ci cura, egli ci coltiva: certo noi dobbiamo stare attenti a non farci trovare impreparati.
Crediamo ancora che Dio ci giudicherà? Che idea abbiamo del giudizio di Dio? Quale sarà il metro di misura?
Nell’orazione all’inizio della messa abbiamo letto: Dio misericordioso… hai proposto… il digiuno, la preghiera e la carità…; a noi che riconosciamo le nostre colpe… ci sollevi la tua misericordia.
Dio è misericordioso e ci sollecita alla continua misericordia; perché impariamo a essere misericordiosi, a portare frutti di misericordia e di giustizia, egli ci invita al digiuno, alla preghiera, alla carità (questi sono gli attrezzi con i quali Dio cura il fico sterile).
Noi siamo troppo sazi ormai, dobbiamo imparare ad avere fame se vogliamo coltivare la giustizia e la verità; siamo troppo sazi e non vediamo più dov’è il male, quindi lo facciamo crescere! Questo accade verso i migranti, ma anche verso chi vive accanto a noi!
Poi siamo chiamati a pregare, per imparare a pensare come pensa Dio: una preghiera di dialogo, di domande, di fiducia, come quella di Mosé con Jhwh!
Quindi invitati a vivere la carità, non tanto una monetina, ma un cambiamento di atteggiamento verso il prossimo*, verso l’ambiente.
La preghiera termina com’è iniziata: la misericordia di Dio. Questo è il fondamento della vita del discepolo e della chiesa. Come dice un’altra colletta quaresimale: “Con la tua continua misericordia, Signore, purifica e rafforza la tua chiesa e poiché non ha alcuna consistenza senza di te, guidala sempre con il dono del tuo Spirito” (lunedì della terza settimana).

*
Per quanto riguarda il prossimo vi allego questa citazione dal Corriere della Sera di oggi:
Il fenomeno delle migrazioni sta diventando un processo mondiale che il nostro sistema di vita non è capace di ordinare. Quelle fiumane di gente sventurata che chiede solo di poter vivere potrebbero diventare così grandi da rendere oggettivamente difficili dar loro possibilità di vivere. Forse quelle migrazioni sono l’avanguardia oscura di un grande e non lontano cambiamento simile alla fine del mondo antico, un cambiamento che non riusciamo a immaginare. I nuovi, arroganti e beoti padroni della terra si illudono che il loro dominio, i loro bottoni che spostano a piacere uomini, cose, ricchezza e povertà, sia destinato a durare in eterno. Esso potrebbe crollare come è crollata Babilonia e i migranti di oggi o meglio i loro prossimi discendenti si aggireranno fra le rovine della ricchezza tracotante e volatilizzata come un tempo i barbari fra le colonne e i templi abbandonati.

Claudio Magris 27 febbraio 2016