COP 30 una lettura critica di Laudato sì

In vista della partenza (oramai avvenuta) dei nostri giovani volontari per la missione dei Barnabiti a Belem, in Brasile, e in preparazione alla COP 30, uno dei principali forum di incontro a livello internazionale per discutere di clima e cambiamento climatico, che si terrà nel 2025 proprio a Belem, come Blog dei Giovani Barnabiti abbiamo deciso di dare il nostro contributo scrivendo alcuni articoli su questo tema.
In particolare, mi occuperò di redigere una breve sintesi e analisi di uno dei testi di riferimento principali per noi cristiani riguardo l’ecologia e la questione ambientale: l’enciclica di Papa Francesco “Laudato Sì”, pubblicata nel 2015, che affronta il tema dei rapporti dei cristiani con il creato, con un particolare focus sul dramma del cambiamento climatico e della necessità di pendersi cura dell’ambiente e delle persone che lo abitano.
Il nome “Laudato Sì” deriva dal celebre Cantico delle Creature di San Francesco d’Assisi, datato attorno al 1224, opera di fondamentale importanza non solo per la sua valenza artistica e per il profondo contenuto religioso, ma anche perché considerato il testo poetico più antico della letteratura italiana di cui si conosca con certezza l’autore.
«(…) San Francesco d’Assisi (…) ci ricordava che la nostra casa comune è anche come una sorella con la quale condividiamo l’esistenza e come una madre bella che ci accoglie tra le sue braccia», scrive Papa Francesco nelle righe introduttive dell’enciclica. Tuttavia, nonostante la Terra sia per tutti noi come una madre benevola e accogliente e una sorella premurosa, con la nostra noncuranza e cattiveria la stiamo rovinando, consumando, abusando dei beni che Dio ha posto in lei. La brutalità e la violenza del cuore umano trovano manifestazione nei sintomi di malattia che quotidianamente vediamo nella Terra che abitiamo.
L’obiettivo dell’enciclica di Papa Francesco, quindi, è porre l’attenzione su una tematica che, come esseri umani e come cristiani, dovrebbe essere di primaria importanza, unendoci con forza nella ricerca di uno sviluppo sostenibile e integrale, che passi attraverso un nuovo modo di leggere il problema, una nuova consapevolezza diffusa nuove forme di educazione e presa di coscienza, ma anche forme di azione attiva da parte dei potenti della terra, nella ricerca non solo di nuovi soluzioni tecniche ma di una nuova solidarietà universale.
L’opera è divisa in diverse parti, in modo tale da fornire uno sguardo molteplice sulla questione: il primo capitolo offre un’analisi di “Quello che sta accadendo alla nostra casa”, descrivendo una serie di effetti, da un punto di vista scientifico seppur dal taglio estremamente divulgativo, grazie all’esposizione di risultati di studi e ricerche a testimonianza non solo dei danni materiali e ambientali che il comportamento umano sta causando alla Terra, ma anche sociali, con l’aumento di povertà e diseguaglianze a livello globale e la degradazione della qualità della vita di ampie fasce di popolazione. La seconda parte offre un’analisi dei testi biblici e religiosi, filosofici e letterari, nei quali sia affrontato il tema del rapporto con il creato. La terza parte dell’opera affronta il tema delle cause antropologiche della crisi climatica, identificando direttamente i colpevoli e le modalità di azione umana che portano al deterioramento dell’ambiente e degli ecosistemi. Nella quarta e quinta parte vengono proposte soluzioni per frenare il collasso ambientale a verso cui stiamo andando incontro, che partano da un radicale ripensamento della nostra condizione di abitanti della Terra, passando da forme di ecologia ambientale economica e sociale fino ad arrivare a quella che viene definita ecologia culturale. Viene sottolineata la necessità di portare avanti con forza il dialogo sull’ambiente nei forum e nei dibattiti internazionali, di cui la Cop 30 che si svolgerà a Belem rappresenta una delle tappe fondamentali, ma anche l’importanza di azioni locali e nazionali, ed infine riflettendo sull’importanza del dialogo fra religione e scienza. L’ultimo pensiero di Papa Francesco, infine, è rivolto all’importanza dell’educazione, spirituale e non solo, dei giovani e delle future generazioni, tesa al raggiungimento di una conversione ecologica come preludio di gioia e pace per l’umanità.

Giulia C. – Firenze / Amsterdam

Agosto 2023

Agosto, tempo di riposo o di ritmi più tranquilli.
Non proprio: tutte le energie recuperate in una settimana al mare a luglio, sono già esaurite alla vigilia di questo 15 agosto.
Avrei voluto leggere un libro in più, approfondire qualche tema lasciato in sospeso, ma il vortice delle questioni burocratiche o delle emergenze ha avuto il sopravvento.
Anche il pensare a tutti i fatti di cronaca di questo ultimo mese o poco più ha avuto la meglio.
Quante violenze su questa donna o quella ragazza, nelle carceri; quante violenze tra giovani; quanta droga ancora in circolazione di cui non si parla; poi le guerre, e poi … tanto altro.
Sembra un mondo che non vuole uscire dal vortice del male, un mondo sul quale non vogliamo ragionare per sconfiggere il male e tirar fuori il bello e il vero. Talvolta lo sconforto sembra prevalere; altre si sceglie l’indifferenza e si riesce anche a procedere senza grossi problemi.
Però non possiamo non vedere tanta violenza gratuita di tanti giovani, tanta violenza che ci infetta se non facciamo attenzione. Perché l’essere umano è violento, ma può domare la violenza e coltivare il bene.
Il Papa ha detto qualche cosa di interessante a proposito parlando ai giovani a Lisbona qualche giorno fa. Certo non erano tanti questi giovani di fronte ai milioni di giovani sparsi nel mondo. Probabile che molti di quei giovani abbiano già dimenticato le parole ascoltate e la mission sollecitata dal Papa: «Voi siete la generazione che potete vincere la sfida del clima… non abbiate paura, andate avanti!».
Ma il lievito è sempre poco rispetto alla farina da impastare e al pane da cuocere. E se anche pochi, quei giovani, di cui nessuno tra i giornali del mondo ha parlato tranne qualche pagina italiana, hanno ascoltato e vissuto la spiritualità della GMG e sicuramente ne sentono la responsabilità.
Commentava un mio giovane amico, Giorgio Brizio, su Instagram l’altro ieri: «Non sono credente, ma penso davvero che la Chiesa e le comunità religiose possano avere un ruolo decisivo tanto nella lotta climatica quanto nel supporto alle realtà che salvano vite nel Mediterraneo».
E non sono pochi i giovani che amano vivere la vita. Non sono pochi quelli che hanno rallegrato queste mie serate con lunghe chiacchierate non su come si veste Harry Styles ma come la fisica possa aiutare a migliorare la vita, come possa incontrarsi o ancora scontrarsi con la fede e cose del genere… Fortunatamente la birra ha mantenuto fresche e agili le corde vocali! Potrei sintetizzare le tante parole che ci siamo scambiati con quanto scritto l’8 agosto scorso da Michele Serra (Ok Boomer, Ilpost.it): «Siamo animali, la realtà fisica è ciò che ci dà vita e senso, ci rimette in quadro. La tecnologia, anche se silicio e terre rare ne garantiscono l’hardware, è metafisica, ci fa sembrare di essere ovunque ma, nel farlo, ci leva la terra sotto i piedi, espropria il nostro metro quadrato e ci fa galleggiare come anime nel paradiso – e siccome il paradiso non esiste, la sensazione di spaesamento, e di truffa, è anche peggiore».
Certo, per me il Paradiso esiste e proprio perché esiste so che la speranza non è una chimera ma ciò che rende bello e vero il presente, anche con le sue fatiche. Il Paradiso sono quei due giovani che hanno dato del tempo a dei ragazzetti albanesi nella missione che purtroppo il 15 agosto chiuderemo per mancanza di pastori/sacerdoti che possano guidarla. Il Paradiso sono quei 9 giovani con cui, senza troppe pretese ma voglia di esserci, condivideremo dal 15 agosto del tempo con bambini e bambine della periferia di Mérida (Messico) per imparare un po’ di senso e magari darne un poco anche noi.
Siamo ad agosto e il silenzio e le città deserte ti fanno meglio ragionare su quanta buona speranza si riesca comunque a coltivare. E il tempo un po’ più rallentato ti fa capire la pazienza che si deve avere con le nuove generazioni, i loro ritmi, i loro aneliti, i loro dilemmi, anche quando l’età che avanza rischia l’impazienza.
Il 15 agosto è anche la festa dell’Assunzione di Maria alla casa del Padre e del Figlio (l’abitudine della Chiesa di immettere in feste “pagane” il proprio zampino!) che ci insegna come la paziente perseveranza di questa giovane donna le abbia donato il Cielo sulla Terra, perché non si può andare in Cielo se prima non si vive sulla Terra.
Non abbiate paura, andate avanti! Questo è il mio 15 agosto 2023.

Giannicola M. Simone

Favola, sogno, gioco o realtà?

Favola, sogno, gioco o realtà?
Questa la domanda del Natale 2017.

Potrebbe essere una favola tra le tante, ben confezionata; abbiamo sempre bisogno di favole che ci portino per un poco fuori dalla realtà per riprendere a vivere bene l’ogni giorno.
Potrebbe essere un sogno che il nostro inconscio produce per denunciare qualche lontano e nascosto bisogno di umanità che la vita di ogni persona porta con sé.
Potrebbe essere un gioco, a basso costo per distrarci un poco, anche se non si vince nulla.

E se invece fosse realtà?

La realtà di un uomo e una donna costretti a cercare un rifugio per ripararsi; piegati dal freddo di una grotta per partorire il proprio figlio; condannati poi a fuggire in Egitto a causa dell’egoismo dei potenti e degli uomini. Ieri come … oggi!
È la realtà di un Dio che sceglie ciò che è fragile e debole per rivelarsi.
È la realtà di un Dio che sceglie il corpo di una donna e la cura di un uomo per rivelarsi nel corpo di un bambino.
È la realtà di un Dio che sceglie un corpo come il mio, come il vostro, come quello di tanti poveri per rivelarsi.

Forse non ci pensiamo abbastanza, perché è più bello evidenziare la favola: le stelle, il freddo, i pastori, il bue e l’asinello; ma Dio sceglie un corpo: «caro cardis salutis»!
La carne è il cardine della salvezza!

Abbiamo ancora un concetto di salvezza troppo spiritualistico. Mentre Dio ha un modo di pensare «più terreno» di quanto noi vorremmo permettergli. Forse perché una carne, un corpo ci interpella troppo su quanto poco apprezziamo noi stessi e la nostra terra.
Certo noi oggi amiamo molto il nostro corpo, ma solo il nostro; il nostro pezzetto di terra, ma solo il nostro; chiusi in noi stessi, nei nostri sogni e nelle nostre favole e proprio per questo ci sentiamo più che mai dolorosamente separati da tutto ciò che è grande e definitivo, dall’esperienza salvifica?

Eppure Dio ha scelto un corpo e un pezzo di terra per rivelarsi proprio per affermare la dignità di ogni corpo, con i suoi piaceri, con i suoi dolori, con le sue angosce e le sue speranze.
Eppure Dio ha scelto un pezzo di terra per rivelarsi, con la sua bellezza, con i suoi drammi, con i suoi deserti e relativi muri, con le sue discariche e i suoi giardini proprio per affermare il valore della terra intera, per dire che è proprietà Sua quindi di tutti e non di questo o di quel potente.

Per me il Natale è realtà che chiede a tutti noi credenti di portarla a quanti soffrono nel corpo e nello spirito, vicini e lontani.
Per me il Natale è realtà perché – diceva papa Francesco alla Curia – «ricorda che una fede che non ci mette in crisi è una fede in crisi; una fede che non ci fa crescere è una fede che deve crescere; una fede che non ci interroga è una fede sulla quale dobbiamo interrogarci». Anche perché «una fede soltanto intellettuale o tiepida è solo una proposta di fede», che si può realizzare pienamente solo «quando si permette a Dio di nascere e rinascere nella mangiatoia del cuore».

Per me il Natale è realtà perché Dio ha scelto di incarnarsi in un corpo e in un pezzo di terra 2000 anni fa e oggi sceglie la mangiatoia del cuore di ognuno di noi riscaldandola col soffio del suo Spirito perché ognuno di noi possa scaldare il cuore di ogni uomo e donna che Dio ama.
Per me il Natale è realtà perché Dio condivide la sua carne divina con la nostra carne umana affinché condividiamo la nostra carne divinizzata con tutta la terra e tutti gli uomini che Dio ama.

Santo Natale a tutti voi!
pJgiannic

Un nuovo paradigma per la prosperità

da Il Sole24Ore del 3 maggio 2015 vi rimando questo articolo di Johan Rockstrom*

Il futuro dell’umanità dipenderà da come riusciremo a mantenere un delicato equilibrio: soddisfare più di dieci miliardi di persone salvaguardando i sistemi da cui dipende la vita sul Pianeta. Mai come adesso la recente ricerca scientifica ci fornisce tutti gli strumenti per raggiungere quell’equilibrio. L’arduo compito spetterà alla nostra generazione.
Per la prima volta nella storia dell’Umanità la fine della povertà è diventato un obiettivo realistico. Siamo in grado di garantire a ogni abitante del Pianeta cibo e acqua, una casa, un’istruzione, l’assistenza sanitaria e l’energia necessarie a condurre una vita dignitosa, che offra delle opportunità. Ma potremo farlo solo se al tempo stesso proteggeremo i sistemi fondamentali del Pianeta: il clima, lo strato di ozono, il suolo, la biodiversità, l’acqua dolce, gli oceani, le foreste e l’aria, sistemi che stanno subendo pressioni senza precedenti. Negli ultimi 10mila anni, il clima della Terra si è mantenuto straordinariamente stabile, le temperature globali non hanno oscillato più di un grado Celsius e i resilienti ecosistemi rispondono ai bisogni dell’uomo. Questo periodo, noto come Olocene, ha portato una stabilità che ha permesso alla civiltà umana di fiorire e prosperare. È l’unico stato del Pianeta in grado di garantire una vita prospera a dieci miliardi di persone.
Ma oggi gli esseri umani sono diventati il principale fattore di cambiamento dell’ecosistema terrestre, segnando l’inizio di una nuova era geologica che alcuni chiamano Antropocene. L’attività umana ha attraversato ora quella che è stata definita come la Grande Accelerazione: una rapida intensificazione del consumo delle risorse e del degrado ecologico. Rischiamo di distruggere i sistemi su cui si regge la Terra e con essi tutta la civiltà moderna. La risposta del Pianeta a quelle pressioni potrebbe essere imprevedibile. Le sorprese sono già cominciate. A furia di risucchiare troppo risorse alla Terra, la Terra ci presenta il conto sotto forma di catastrofi naturali, di un’accelerazione dello scioglimento dei ghiacciai, di un rapido depauperamento della biodiversità. Dobbiamo correre ai ripari e definire una soglia di sicurezza che ci impedisca di far uscire il Pianeta dal benevolo periodo dell’Olocene. Lo ha fatto il Planetary Boundaries Framework, un quadro programmatico sui limiti del Pianeta, pubblicato nel 2009 da un gruppo di 28 scienziati tra cui il sottoscritto. Il rapporto individua i processi fondamentali della Terra che regolano la sua capacità di sostenere condizioni come quelle dell’Olocene. Per ciascuno di quei processi, propone dei limiti oltre i quali rischiamo di indurre dei cambiamenti repentini che potrebbero spingere il Pianeta verso uno stato più ostile per l’Umanità.
Fra questi nove limiti vi sono il cambiamento climatico, l’assottigliamento dello strato di ozono, l’acidificazione degli oceani, l’alterazione dei cicli globali dell’azoto e del fosforo, il cambiamento nell’uso del suolo o dell’acqua dolce globale, l’integrità della biosfera, l’inquinamento dell’acqua e nuove entità. L’ultimo aggiornamento di gennaio confermava in modo preoccupante i nove limiti e ne affinava la quantificazione dimostrando che ne abbiamo già superati quattro: il cambiamento climatico, l’uso eccessivo di azoto e fosforo, la perdita della biodiversità e i cambiamenti nell’uso del suolo. La nostra sfida è riportare i sistemi della Terra entro la soglia di sicurezza, assicurandoci che ogni abitante del Pianeta abbia le risorse necessarie per condurre una vita felice e soddisfacente. Fra questi vincoli planetari e sociali c’è un margine di manovra equo e sicuro per la popolazione della Terra: i limiti che dobbiamo rispettare se vogliamo un mondo ecologicamente resiliente e libero dalla povertà.
Soddisfare questi obiettivi richiederà una distribuzione più equa e un utilizzo più efficiente delle risorse del Pianeta. Se vogliamo che il nostro Pianeta garantisca la prosperità a tutti i suoi abitanti, dobbiamo perseguire un nuovo paradigma di prosperità.

* Insegna Sostenibilità globale e dirige lo Stockholm Resilience Center all’Università di Stoccolma