Who’s that guy? 5

10. Tommaso, Milano

Papa Francesco continua a sottolineare l’importanza dei giovani (come accade anche nel vangelo) per la capacità e la naturale tendenza al rinnovamento culturale e che rappresentano le “nuove foglie” ma senza dimenticare l’importanza dei “vecchi”, forieri di tradizione e che rappresentano le radici della nostra cultura. In modo combinato, quindi, il suo discorso ai giovani (e anche il Sinodo, forse) vuole essere un passaggio di consegne, di testimone, fra coloro che fino a ora hanno mantenuto le radici della cultura (attraverso un “testimone” che a loro volta hanno ricevuto dalle loro generazioni precedenti) e coloro cui spetterebbe, ora, il compito di portare avanti detta cultura, con il rinnovamento che l’inarrestabile lancetta dell’orologio del tempo necessariamente impone: il progresso.

Credo che in questo periodo storico il passaggio di testimone sia più complesso e delicato rispetto a prima, perché noi giovani di oggi siamo più scostanti nei confronti della Chiesa e della nostra cultura; questo è un aspetto che ha evidentemente allertato tutti, anche i piani alti della Chiesa (ma non solo: anche i politici, gli assessori alla cultura o al patrimonio artistico), infatti in questi anni c’è una vera e propria corsa alla salvaguardia della cultura.

Il mondo sta cambiando, le popolazioni si mischiano sempre di più, le culture si incrociano. La Chiesa, ormai, è diventata internazionale, ma in Italia, luogo storico della Santa Sede, i giovani autoctoni che lottano per la tradizione e la spiritualità sono pochi, anche se (secondo me) sono in crescita, forse grazie proprio al lavoro “educativo” che negli ultimi anni è stato fatto.

Ciò premesso, credo che Papa Francesco abbia colto il problema delicato del passaggio di testimone e l’iniziativa del Sinodo è un momento storico, in cui la Chiesa si gira ad ascoltare la voce dei giovani: forse perché ne ha un disperato bisogno, forse perché, invece, ha davvero la genuina intenzione di dare ai giovani quell’importanza che la Chiesa stessa (e il Vangelo) attribuisce loro, forse entrambe le cose; la Chiesa è tradizione, ma è anche Fede. Non deve essere né tradizione della fede né fede per la tradizione: deve essere Fede e Tradizione.

Who’s that guy? 4

 

10. Giuseppe, Aversa

Molto bello e oggettivo l’articolo da lei scritto. [Lasciare la poltrona per un trampolino sul quale farsi guidare quanto basta per spiccare il tuffo. Ndr.]

Rimanere sulla poltrona credo sia una frase emblematica di due elementi che “travaricano” nella nostra società.

Uno è l’incapacità di guidare se stessi, l’altro è l’impossibilità di agire per raggiungere un obiettivo che possa sublimare la nostra esistenza. La pigrizia, il restare sulla poltrona o sul trampolino ad aspettare quello che potrebbe essere il giorno giusto, sono uno degli ostacoli più grandi del cammino evolutivo di ognuno di noi.

Io le colpe di questo disfacimento, di questa pigrizia, di questa incapacità le do parzialmente alla Chiesa, ma dal punto di vista antropologico, per il semplice fatto che (condivido tutte le cause della Chiesa, perché non chiede carte di identità o documenti) accoglie il dolore qualsiasi esso sia, dal più comprensibile al più impossibile da comprendere; su questo c’è tutta la benevolenza e tutta la condivisione che è propria della funzione della Chiesa.

Mi trovo in contrapposizione quando si vede che fondamentalmente la fede, i portatori di fede (laici o consacrati) si ostinano a proporre strategie per affrontare il dolore o con un solo modello, univoco. Nel mio caso una sorta di ossessione mi ha portato a mettere da parte la mia persona, con l’intento inconsapevole di volermi distruggere. La complessità del mondo, dell’individuo che è spappolabile all’infinito è così articolata che non possiamo ridurre il cammino evolutivo personale o interpersonale, solo dietro a una parola di conforto che può guarire momentaneamente ma non di più.

Io sogno un giorno, se dovessi uscire da questa mia dimensione attuale, di vivere e lavorare nelle “sedi” del dolore o meglio, dove si cerca di esorcizzarlo.

La massima espressione della realtà maledettamente complessa nel quale siamo, vuoi o non vuoi, incastrati la vedo in drogati, alcolisti, anoressici, bulimici, orfani ecc… Le crisi di astinenza dei tossici, la psicopatia di una donna, il delirio di uno schizofrenico sono elementi che rappresentano l’essenza stessa della vita.

La sofferenza è alla base dell’apprendimento e dell’adattamento. Fino a che non ci si convince dell’oggettività di questo cammino, il dolore non verrà mai ridotto, nemmeno di un centimetro. Si cerca, invano, di poter sostituire il dolore con protesi materialistiche, che in certi casi non fanno che alimentarlo. Se il mondo non è l’inferno, resta sicuramente una trascrizione del Purgatorio.

[Ma forse il trampolino per la vita si può trovare! Ndr]

Who’s that guy? 3

7. Martina, Roma

Non credo di essere una persona che ha paura di buttarsi, anzi molto spesso mi butto anche troppe volte perché quando decido di fare una cosa cerco di farla al 100%.

Alle volte ti capita di allontanarti da una realtà, da degli impegni, non per pigrizia o voglia di non fare nulla, ma perché spesso le persone con cui ci si trova non vogliono più crescere.

Crescere insieme significa fare passi gli uni verso gli altri, ma pochissimi realmente si impegnano veramente, ma solo e sempre “quando posso lo faccio”.

A me piace essere disturbata, salire su un trampolino non per restarci, bensì per buttarmi.

Ma voglio essere disturbata da gente della quale posso fidarmi con cui posso lavorare insieme con costanza e non in maniera sporadica.

Il papa dice che “la chiesa non è dei preti e delle suore”.

Perché molto spesso a noi sembra così? Ci sentiamo trattati sempre come quel “peso” in più che fa lavorare troppo i sacerdoti, quasi una presenza scomoda, forse perché noi giovani abbiamo domande, voglia di fare, di cercare di migliorare qualcosa?

Il papa ci chiede di collaborare, di buttarci e di rischiare, ma come? In che modo? Infatti molto spesso questo diventa quasi impossibile se ci sentiamo lasciati soli dalle figure di riferimento che abbiamo.

La Chiesa in che modo vuole stare accanto ai giovani? Come vorrebbe farli riavvicinare ed allontanare dalla loro realtà consumistica?

Ancora il papa ci chiede di essere profeti, purché sappiamo prendere i sogni dei vecchi.

Come si può far crescere il dialogo tra giovani-chiesa-adulti-anziani? Perché in molte realtà è quasi inesistente, non c’è un confronto costruttivo, un dialogo che porta tutti a crescere.

Per esempio, poiché viviamo in un mondo in cui tutto ormai viene dimostrato, tutto è basato sulle prove (o quasi), come un confronto tra generazioni potrebbe aiutare a conciliare queste due realtà?

Oppure. Viviamo un tempo in cui i molti giovani hanno perso la voglia di informarsi, di leggere libri o giornali, di sentire i tg per sapere che sta succedendo nel mondo; questo porta a disinformazione, a non farsi una vera idea propria sulle cose, ma solo a seguire la massa, per pigrizia.

Come potete aiutarci voi a combattere questa pigrizia?

Infine. È solo utopia pensare di poter rivivere l’esperienza di fiducia e collaborazione dei tre fondatori dei Barnabiti: Antonio M. Zaccaria, Bartolomeo Ferrari e Giacomo Morigia?

8. Stefano, Napoli

Il tratto più caratteristico dell’epoca che ci troviamo a vivere è fortemente nichilistico. Chi più dei giovani oggi può accorgersene?

L’uomo si è sempre mosso, o meglio lanciato dal trampolino, per cause finali e non per cause efficienti. Ciò significa che se non c’è un fine, un appiglio a cui aggrapparsi, uno spiraglio da dove guardare si attiva un processo inverso che porta all’autodistruzione di sé o si manifesta anche con il senso di disprezzo per la società e i suoi valori. Basta guardare il numero dei suicidi giovanili che aumentano sempre di più.

Il problema ancora più grande che vive l’epoca moderna è che non si sente più l’altro, come altro da me, diverso, ma unica strada per capire chi sono.

Poiché le generazioni attuali sono perse, l’unica strada per riuscire a riemergere da questa grave situazione sarebbe la rieducazione dei nuovi giovani a sentire l’altro; bisognerebbe però prima tirarli fuori dalle loro realtà virtuali chiuse, con esempi concreti e tangibili di vita. Al di là di ogni Dio o morale che si segua o si professi.

Bisogna iniziare di nuovo a farli amare.

Who’s that guy? 2

Continuano le risposte dei nostri giovani per il Sinodo

5. Samuele, Genova

“Rimanere” dà l’idea della staticità, della immutabilità, di una stabilità infeconda.

Noi giovani non siamo infecondi, noi giovani sprizziamo energia e voglia da tutti i pori se stimolati in modo giusto. Forse è questo che manca alla Chiesa: personaggi in grado di prenderci per mano di coinvolgere una generazione che si lascia attirare più da un pomeriggio di nulla facenza davanti a schermi di playstation che a far giocare i bambini in oratorio.

Siamo una generazione che rischia di crescere senza veri valori, che va dietro a mode e a falsi miti solo perché sono “in”. Abbiamo paura di distinguerci, rischiamo di diventare sempre più giovani da divano. Abbiamo bisogno di una scossa, un rinnovamento, un qualcosa o un qualcuno che ci proponga esperienze, esperienze vere.

Non manca la voglia di lottare per qualcosa, ma non sappiamo esattamente cosa, in un certo senso ci sentiamo smarriti in un mondo ancora troppo grande per noi. Abbiamo bisogno di una guida, di un nostro Virgilio, di un nostro capitano che ci risvegli dal nostro torpore e al quel punto questo mondo lo cambieremo, lo cambieremo per davvero.

Noi giovani ci siamo, abbiamo solo bisogno di qualcuno che da dietro ci spinga dal bordo del trampolino e a quel puntopotremo tutti ammirare il tuffo da 10/10 che faremo!

6. Luciano, Ostuni

Poltrona o trampolino.

Proprio come quando qualcuno abbia già lavorato per te: un’inclinazione delegatizia.

Questo atteggiamento trasuda in parte dei miei coetanei. Appunti, tesi, scelte musicali, gusti: il campo di gioco è vario. Il singolo si perde nella massa recettiva oramai soltanto a stimoli globalizzati, amorfi e di dubbia provenienza. Non c’è utilità nell’ascoltare il silenzio. Né nel farsi domande troppo serie o meglio nel farsi – in gergo – paranoie.

Il trampolino non viene più visto trampolino ma poltrona. Si spengono gli istinti di risposta agli stimoli esterni con la forza della “leggera” indifferenza.

Ma forse stanno cambiando solo i tempi? Forse la vita, oggi, è più comoda? Forse, oggi, papino mi garantisce di più e più a lungo così che io non debba poi fare di necessità virtù così in fretta?

Una fitta trama di cose futili che hanno la parvenza macroscopica di essere indispensabili. Un corteo di bisogni, dai quali, prima o poi, tutti ci scopriamo di essere stati ingannati.

Ecco il rimanere.

Lo faccio, lo penso, “mi piace” e lo followo perché sì. Pochi hanno il coraggio di mettersi in discussione. Parlo delle cose più pratiche e quotidiane. Mi fermo lì, non vado oltre.

Sul confronto con i più grandi o con i diversi da me, con una “guida”, penzola la spada di Damocle: è un rischio da pochi.

Who’s that guy?

Who’s that guy?
Non si arrabbierà Madonna, la cantante, se approfittiamo del titolo di una sua famosa canzone generalizzando in un più generico ragazzo per introdurre il nostro ragionare sui giovani e i giovani e la Chiesa oggi.
Questa domanda infatti è ben presente in questo anno di riflessione e preparazione del prossimo sinodo per i giovani, I giovani, la fede e il discernimento vocazionaleche interpella molte diocesi e, forse un po’ meno, la nostra Congregazione.
La risposta non chiede fare chissà che o di partecipare a eventi particolari, anche se le diverse diocesi non mancano di proposte, ma almeno di mantenere vive la preghiera e alcune piste di riflessione. Sarebbe questo già un bel contributo per crescere con le nuove generazioni e far si che non debbano essere “una parte di Chiesa che manca” nella compagine della nostra azione pastorale.
Preoccupati di “non far mancare questa parte di Chiesa” così necessaria noi di GiovaniBarnabiti abbiamo proposto ad alcuni giovani vicini e lontani il nostro recente articolo rimanere sulla poltrona http://giovanibarnabiti.it/2018/04/28/rimanere-sulla-poltrona/ ) chiedendone un commento. Ne sono nati spunti brevi o più articolati che volentieri pubblichiamo per voi lettori di seguito e nei prossimi post.

  1. Luigi, Roma

Cambiare, tentare e provare, anche rischiando, sono la base del cambiamento.
Ma da sempre l’uomo ha paura di lasciare le poche sicurezze che ha, preferendo rimanere nelle proprie piccole comodità.

2. Bianca, Firenze

La paura di tuffarsi dal trampolino perché si è soli esiste ed è meglio, a volte, rimanere fermi per evitare di tuffarsi e farsi male. Però dà speranza percepire una Chiesa che si è accorta di questa paura di molti giovani e sta cercando di salire sul nostro trampolino per aiutarci a tuffarci nella vita.

3. Erika, Roma

Stare fermi, immobili su una poltrona, non è una cosa per me: preferisco i trampolini. È un tema interessante che chiede tempo per scriverne, preferisco operare!

4. Riccardo, Monza

È facile travisare il concetto di rimanere, come dici tu, e cadere in una sorta di immobilismo, ma si rischia anche di buttarsi troppo.
Sento tutto ciò in prima persona perché sto ricevendo una serie di proposte molto interessanti in ambiti diversi (sia universitari che nel mio giro di musicisti) e sono tentato di accettare tutto e cercare di conciliarlo con gli impegni che ho già. Il risultato potrebbe essere ottimo, ma anche pessimo e non fare nulla bene.
Quello che servirebbe è forse una guida che aiuti a capire come comportarsi in queste situazioni, a scegliere, a capire a quanto equivalga il “quanto basta” riguardo il trampolino da cui tuffarsi.
Non solo nella Chiesa, anche in Uni[versità] è difficile trovare una guida che possa “crescere con te”. Quindi forse il rimanere sulla poltrona è anche un meccanismo di difesa, per evitare di buttarsi troppo, perché non si capisce effettivamente quando si raggiunga questo troppo.