Vide e sentì compassione

Tra i tanti modi di presentare la vita del nostro Padre Fondatore Sant’Antonio M. Zaccaria ho scelto quello sollecitato dallo slogan della “campagna di fraternità 2020” della Chiesa brasiliana per risaltare l’importanza del nostro Santo e la sua attualità.

La Campagna di fraternità

La Campagna di Fraternità è promossa annualmente anche dalla chiesa brasiliana, durante il tempo di quaresima per sensibilizzare ogni fedele a volgere lo sguardo critico a qualche specifico tema, con l’obiettivo generale di risvegliare, cioè, aprire gli occhi su problemi che colpiscono la società brasiliana e il mondo intero. Cerca soluzioni per i problemi proposti attraverso il dibattito, le conversazioni, le lotte e la preghiera.
Il tema della Campagna di Fraternità (CF) 2020 è “FRATERNITÀ E VITA: DONO E IMPEGNO” con lo slogan: “LO VIDE, EBBE COMPASSIONE E SE NE PRESE CURA”. È un tema che ci spinge ad avere cura dell’altro. Tutti siamo convocati a riflettere sul senso più profondo della vita, in ognuna delle sue dimensioni, personale, sociale, comunitaria ed ecologica. Tutte queste dimensioni contengono il concetto di “relazione”, dialogo. La vita della persona umana è composta fondamentalmente di relazioni; siamo sempre legati a qualcosa o a qualcuno. Siamo in relazione con noi stessi lungo la nostra esistenza, con la natura, con il pianeta, animali, ecc. Necessariamente siamo esseri di relazioni.
Il tema della CF 2020 mi ha permesso stabilire vincoli con la stessa vita di Cristo e gli insegnamenti del Vangelo, e con gli antichi temi pensati e trattati nelle precedenti CFs., e anche con la vita di Sant’Antonio Maria Zaccaria, un santo poco conosciuto, ma importante per la Chiesa e principalmente per la nostra famiglia religiosa (Ordine dei Chierici Regolari di San Paolo, Barnabiti).
Ricordiamo, per esempio, nel 1966 lo slogan era “Fraternità, siamo responsabili gli uni degli altri”. L’anno seguente 1967: “Corresponsabilità, siamo tutti uguali, siamo tutti fratelli”. Fino all’anno 1979, i temi proposti si riferivano ai problemi legati con il Popolo, con le realtà sociali, politiche e anche ecologiche. Dopo più di 40 anni è di nuovo al centro della CF un tema che sorge dagli stessi problemi. Perché? Cosa succede nel mondo? nella Chiesa? nel Popolo di Dio? nel clero? I problemi ritornano perché noi come società, popolo di Dio, non stiamo ascoltando la voce di Dio che si manifesta attraverso la Chiesa e i nostri Pastori.
Dio parla e noi non vogliamo ascoltarlo, molte volte sentiamo ma solo superficialmente anche perché ci manca una relazione stretta e sincera con la santa Madre Chiesa e con i nostri Pastori. Dobbiamo saper “ASCOLTARE LA VOCE DI DIO” perché Dio parla e si manifesta.
Tu hai ascoltato già la voce di Dio? Credi nella voce di Cristo? Dio parla nelle persone, nella creazione, nei disastri, nelle tristezze e nelle allegrie. Dio parla anche per mezzo tuo, con i nostri atteggiamenti, sì, Dio parla! Allora, sarà che non ci ascolta? o noi non ascoltiamo la sua voce che grida? Molte volte il grido di Dio si manifesta nel silenzio, nel dolore e nella sofferenza dei nostri fratelli e che noi non vogliamo sentire.
Ci hai pensato? La CF è qualcosa di forte e serio, su cui c’è da fare uno sforzo di riflessione, non solo nel tempo di Quaresima, ma lungo tutto il cammino cristiano, nel nostro pellegrinaggio per questo mondo, nella nostra missione sognata da Dio, che realizziamo con ogni passo che percorriamo. Come ci insegna SAMZ (2010) siamo esseri rivolti a Dio, dobbiamo cercare la perfezione (propria di Dio) passo dopo passo, gradino per gradino: non possiamo saltare dal primo al terzo, perché sentiremo che ci manca il secondo; le nostre gambe sono corte, nella nostra vita ogni cosa ha un tempo, un momento, la nostra vita deve esser vissuta in modo graduale.

Breve introduzione alla vita S. Antonio M. Zaccaria

Sant’Antonio M. Zaccaria nacque in Cremona (Italia) a fine dell’anno 1502. Suo Padre, Lazzaro Zaccaria, morì un anno dopo la sua nascita, lasciando un buon patrimonio alla sua giovane sposa e al figlio. La madre, Antonietta Pescaroli, era una santa donna, sempre educò e catechizzò il figlio nelle cose di Dio.
A 18 anni Antonio Maria si dirige a Padova, dove realizza gli studi di medicina. Prima di viaggiare fece testamento, rinunciando a tutti i suoi beni in favore della Madre, riservandosi una modica quantità per pagare gli studi. Antonio Maria, al rientro, trova Cremona contesa da spagnoli e francesi, che la occupavano e saccheggiavano, riducendola in miseria. Per questo motivo, prende l’iniziativa di riunire nella Chiesa di San Vitale, vicino a casa sua, il più variegato tipo di persone (coniugati, professionisti, madri, giovani) per svolgere corsi biblici, soprattutto sulla dottrina di San Paolo, con l’intenzione di migliorare i costumi e diffondere la dottrina cristiana. In questo periodo sceglie come direttore spirituale a Fra Marcello e, posteriormente Fra Battista da Crema, entrambi domenicani.
La relazione con Fra Battista, che chiamava “Padre”, fece maturare la sua vocazione sacerdotale. Per questo si dedica allo studio di teologia e Sacra Scrittura, specializzandosi negli scritti di San Paolo. È ordinato Sacerdote nel 1528, senza legami con una diocesi o congregazione, per avere la libertà di esercitare il suo apostolato dovunque. Contrariamente all’uso del suo tempo, celebra la sua prima messa senza solennità esteriori. La celebra nella Chiesa di San Vitale, con la partecipazione solo di sua Madre e alcuni parenti. Lo stesso anno erige una cappella dedicata a San Paolo, ponendo il suo sacerdozio sotto la protezione dell’Apostolo.
Da sacerdote, esercita il suo apostolato come animatore del “Gruppo spirituale dell’Amicizia”. Ai membri di questo gruppo offre varie conferenze sulla perfezione cristiana, basate sempre nella Sacra Scrittura, soprattutto in San Paolo. Imbevuto totalmente dell’idea della rinnovazione, dominato da un impegno ascetico personale, offre un esempio di vita integra e una azione incisiva nell’ambito della fede e della carità. Completando la fede con le opere, apre le porte della sua casa a tutti i poveri di Cremona, per poterli curare nel corpo e nello spirito. In questo periodo, la Contessa di Guastalla, Ludovica Torelli, su consiglio di Fra Battista da Crema, sceglie Sant’Antonio Maria come suo cappellano e direttore spirituale. Con questo nuovo incarico, dovette dividere il suo tempo tra Cremona e Guastalla. A fine del 1530, Antonio Maria, dopo una breve permanenza a Guastalla, con il suo direttore spirituale, Fra Battista, decide dedicare le sue energie a un campo pastorale più aperto e ampio, dirigendosi a Milano. A Milano, entra in contatto con la “Confraternita dell’Eterna Sapienza” alla quale aderisce con entusiasmo. Questo movimento di spiritualità era stato fondato nei primi anni del secolo XVI da Antonio Bellotti, sacerdote di Ravenna. Nello stesso anno 1530 troviamo tra i suoi membri ai futuri fondatori dei Barnabiti e delle Angeliche: Sant’Antonio M. Zaccaria, Bartolomeo Ferrari, Giacomo Antonio Morigia, Fra Battista da Crema, Ludovica Torelli e Virginia Negri. Possiamo vedere lì l’inizio della Famiglia Paolina: maschile, femminile e laicale.
Antonio Maria trova Bartolomeo Ferrari e Giacomo Antonio Morigia già orientati in programmi di riforma e esperienze nell’assistenza ai sofferenti, in opere di carità e nello studio di San Paolo. Fa con loro un patto di amicizia che a futuro si concretizzerà nella fondazione delle tre famiglie religiose, inizialmente sotto il titolo di “Figli di Paolo Apostolo”. Nella sua mente son presenti gruppi apostolici di volontari ben preparati e disponibili con lo scopo di lavorare per la riforma dei costumi e la rinnovazione della vita, sia personale che sociale. La autentica vivezza dell’amore al prossimo spinge i membri di questi gruppi alla pratica organizzata della pastorale, senza legarsi a una diocesi e senza optare per la vita di clausura.
Alle 5 del pomeriggio del 5 luglio 1539, a 36 anni, i Cremona, si addormenta nelle braccia di sua madre in terra per svegliarsi in quelle della sua Madre celeste. Il 27 maggio 1897 è proclamato santo da Papa Leone XIII (la sua festa è il 5 luglio). Il suo corpo riposa nella Chiesa di San Barnaba a Milano (Italia). Sant’Antonio visse pochi anni, ma ha lasciato un impulso forte e la sua opera rimane viva fino ad oggi attraverso i suoi figli e figlie.

(una bibliografia in portoghese è disponibile in http://csprio.com.br/wp-content/uploads/2019/07/AVida-de-Santo-Antonio-Maria-Zaccaria.pdf.
Una bibliografia sommaria la trovi su www.barnabiti.net).

Un episodio nella vita del Santo.

Antonio Maria era un giovane di famiglia ricca. In un momento della sua esistenza sente compassione di un uomo che viveva in strada, al freddo e gli offre il suo mantello, che era senz’altro di un panno di qualità considerato il suo censo.
Il vedere e avere compassione ci riporta a quello che la CF da anni ci propone, cioè, pensare e avere uno sguardo critico e solidale sulle problematiche sociali che abbiamo indicato in questo testo. Dopo l’evento, il giovane Antonio Maria rientra a casa per racconta l’accaduto, con il naturale timore a essere rimproverato. Tuttavia la reazione della sua amata Madre fu differente: lodò il gesto di suo figlio, riconoscendolo come frutto della formazione cristiana.
Aver compassione è diverso da sentire pietà. Avere compassione è “essere con… soffrire assieme a …”. Senza dubbio il giovane Antonio Maria soffrì con il “fratello bisognoso”, pregò e intercedette per lui. Non abbiamo molti registri scritti su questo gesto; ma, al contemplare la vita del Santo sappiamo che quel giorno accaddero cose molto profonde.
Così siamo anche noi, o meglio, dovremmo essere e stare accanto alla sofferenza dell’altro, soffrire assieme ai fratelli, ma come già lo aveva scritto in altre occasioni, la sofferenza si da nel silenzio dell’altro. Molte persone gridano in silenzio, chiedono aiuto, anche con lo sguardo, e noi non ascoltiamo, non vediamo; non riconosciamo l’importanza dell’altro nelle nostre vite, nella nostra formazione umana, sociale e cristiana. L’altro è il “sigillo” della nostra esistenza, perché necessariamente siamo esseri dipendenti da altri. La vita è fatta di relazione. Questa stessa relazione si da nell’ambito della natura dove Dio si manifesta. Dio attua e parla. “la Casa Comune è di tutti, non solo mia” o della nostra generazione; “il tempo passa” – come dice la canzone – e camminiamo tutti insieme. Resteranno le tracce del nostro percorso, dei sogni che avremo … quella è la nostra missione coltivare e custodire le cose che Dio ci ha dato in forma gratuita per tutti, senza eccezione.

CONCLUSIONE

Fratelli, con questa riflessione vorrei condividere con voi che siamo una Chiesa in uscita, non dimenticando che ognuno di noi è parte di questa Chiesa. Andiamo all’incontro dell’altro dove Dio si manifesta. Come ci insegna Sant’Antonio M. Zaccaria “Il prossimo è l’unica strada che ci porta a Dio”. Questa è la nostra meta e la nostra missione: essere ogni giorno più persone di bene che possono portare le persone verso la strada di Dio, ricordando che il Regno di Dio non è una chimera, irraggiungibile; il Regno di Dio è già in mezzo a noi e noi siamo parte di questo Regno.
«Vuoi tu amare Dio ed essergli caro e suo buon figliuolo? AMA IL PROSSIMO» insegna SAMZ.
Dio ci benedica tutti e ci guidi in questa santa Quaresima.
Sant’Antonio Maria, prega per noi e aiutaci ad amare la Santissima Eucaristia specialmente in questo tempo in cui non possiamo accostarci a te per la grave infezione che sta devastando dopo la China, l’Italia e il pianeta.

Robert Barbosa Cardoso. Novizio Barnabita. Chile 2020

CAMPAÑA DE FRATERNIDAD 2020 / 3

Como podemos apreciar, Antonio María era un joven de familia rica. En este episodio el Santo siente compasión de un hombre que vivía en la calle y le da su manto para el frío, que sin duda era de un tejido de calidad visto que su familia se dedicaba a ello.

1.2.2 Lema de la CF 2020: LO VIO, SINTIO COMPASION Y CUIDO DE EL” y el episodio en la vida del Santo.

El ver y tener compasión nos remonta a lo que la CF desde hace años nos propone, es decir, pensar y tener una mirada critica y solidaria sobre las problemáticas sociales que ya hemos indicado en este texto. Después del evento, el joven Antonio María regresa a su casa para decir a su Madre lo que había sucedido, con el natural miedo a ser regañado. Sin embargo, la reacción de su querida Madre fue diferente; ella celebró la actitud de su hijo, y percibe que dicho acto es fruto de la formación cristiana. Tener compasión es diverso de sentir lástima. Tener compasión es “estar con… padecer junto a…” Sin duda que el joven Antonio María sufrió con el “hermano necesitado”, rezó e intercedió por él. No tenemos muchos registros escritos sobre este acto; sin embargo, al contemplar la vida del Santo sabemos que cosas muy profundas sucedieron ese día. Así también somos nosotros, o mejor, deberíamos ser y estar junto al sufrimiento del otro, sufrir junto a los hermanos, pero como ya lo había escrito en otras ocasiones, el sufrimiento se da en el silencio del otro. Muchas personas gritan en silencio, piden ayuda, auxilio con la mirada, y nosotros no escuchamos, no vemos; no reconocemos la importancia del otro en nuestras vidas, en nuestra formación humana, social y cristiana. El otro es la “marca” de nuestra existencia, pues necesariamente somos seres dependientes de otros. La vida está hecha de relación. Esta misma relación se da en el ámbito de la naturaleza donde Dios se manifiesta. Dios actúa y habla. “la Casa Común es de todos, no solamente mía” o de nuestra generación; “el tiempo pasa” -como dice la canción- y caminamos todos juntos; nuestras huellas van a quedar de nuestro andar, de los sueños que vamos a tener… esa es nuestra misión cuidar y custodiar las cosas que Dios nos entregó de forma gratuita para todos, sin ninguna excepción.

1.3 CONCLUSION.

Hermanos, con la ayuda de esta reflexión, seamos una Iglesia en salida, no olvidando que cada uno de nosotros somos parte de esta Iglesia. Vamos al encuentro del otro donde Dios se manifiesta. Como nos enseña San Antonio M. Zaccaria “El prójimo es el único camino que nos lleva a Dios”. Esta es nuestra meta y nuestra misión; seremos cada día mas personas de bien y que podamos llevar las personas hacia el camino de Dios, recordando que el Reino de Dios no es algo metafísico, es decir, inalcanzable; el Reino de Dios ya está instaurado en medio de nosotros y somos parte de este Reino.
Termino con otra enseñanza de Antonio M. Zaccaria: “Ud. quiere amar a Dios? ¿Y ser amado por El? AME AL PROJIMO. Dios nos bendiga a todos nosotros, un gran abrazo en sus corazones. ¡San Antonio María, ruega por nosotros! y ayúdanos a amar la Santísima Eucaristía.

Robert Barbosa Cardoso. Novicio Barnabita. Chile 2020

CAMPAÑA DE FRATERNIDAD 2020 / 2

“LO VIO, SINTIO COMPASION Y CUIDO DE EL” y un episodio de la vida de San Antonio María Zaccaria
(Fundador de la Orden de los Clérigos Regulares de S. Pablo- Religiosos Barnabitas)

 

 1.2.1 Breve introducción a la vida del Santo.

San Antonio M. Zaccaria nació en Cremona (Italia) a fines del año 1502. Su Padre, Lázaro Zaccaria, murió un año después del nacimiento de San Antonio María, dejando un buen patrimonio a su joven esposa e hijo. La madre, Antonieta Pescaroli, era una santa mujer, siempre educó y catequizó a su hijo en las cosas de Dios.

Antonio María, con 18 años se dirige a la ciudad de Padua, donde realizó sus estudios de medicina. Antes de viajar, hizo su testamento, renunciando a todos sus bienes en favor de su Madre, reservándose una pequeña cantidad para el pago de sus estudios. Antonio María, al regresar, encuentra Cremona siendo disputada por españoles y franceses, que la ocupaban y saqueaban, reduciéndola a una situación de miseria. Por este motivo, tomó la iniciativa de reunir en la Iglesia de San Vital, cerca de su casa, al más variado tipo de personas (casados, profesionales, madres, jóvenes) para realizarles talleres bíblicos, sobretodo de la doctrina de San Pablo, con el fin de mejorar las costumbres y propagar la doctrina cristiana. En este tiempo escogió como director espiritual a Fray Marcelo y, posteriormente a Fray Bautista de Crema, ambos dominicanos. La relación con Fray Bautista, a quien llamaba “Padre”, hizo madurara en él su vocación sacerdotal. Se dedico, por tanto, a los estudios en Teología y Sagrada Escritura, en especializándose en los escritos de San Pablo. En 1528 es ordenado Sacerdote, sin vinculo con una diócesis o congregación, para tener la libertad de ejercer su apostolado en el mundo interior, sin quedar ligado a una Iglesia particular. Contrariamente a las tradiciones de su tiempo, pide celebrar su primera misa sin solemnidades exteriores. De hecho, la celebra en la Iglesia de San Vital, solamente con la participación de su Madre y algunos parientes. Este mismo año funda una capilla dedicada a San Pablo, poniendo su sacerdocio bajo la protección del Apóstol. Como sacerdote, ejerce su apostolado como animador del “Grupo espiritual de la Amistad”. A los participantes de este grupo impartió muchas conferencias sobre la perfección cristiana, basadas siempre en la Sagrada Escritura, sobretodo en San Pablo. Imbuido totalmente de la idea de renovación, dominado por un compromiso ascético-personal, ofrece un ejemplo de vida integra y una acción incisiva en el ámbito de la fe y de la caridad. Completando su fe con las obras, abre las puertas de su casa a todos los pobres de Cremona, para poder cuidarles sea el cuerpo como el espíritu. En este periodo, la Condesa de la ciudad de Guastalla, Ludovica Torelli, por consejo de Fray Bautista de Crema, escogió San Antonio María como su capellán y director espiritual. Con este nuevo encargo, tuvo que dividir su tiempo entre Cremona y Guastalla. A fines del 1530, Antonio María, después de una breve permanencia en Guastalla, con su director espiritual, Fray Bautista, decide dedicar sus energías a un campo de pastoral mas abierto y amplio, dirigiéndose a Milán.   En Milán, entra en contacto con la “Cofradía de la Eterna Sabiduría” a la cual adhirió con entusiasmo. Este movimiento de espiritualidad había sido fundado en los primeros años del siglo XVI por Antonio Bellotti, sacerdote de Ravena. En el mismo año de 1530 encontramos entre sus miembros a los futuros fundadores de los Barnabitas y de las Angélicas: San Antonio M. Zaccaria, Bartolomé Ferrari, Santiago Antonio Morigia, Fray Bautista de Crema, Ludovica Torelli e Virginia Negri. Podemos considerar allí el inicio de las dos Congregaciones.

Antonio María encuentra a Bartolomé Ferrari y a Santiago Antonio Morigia ya orientados en programas de reforma y experiencias en la asistencia a los que sufren, en obras de caridad y en el estudio de San Pablo. Hace con ellos un pacto de amistad que en el futuro se concretizará en la fundación de las tres familias religiosas, inicialmente bajo el título de “Los Hijos de Pablo Apóstol”. En su mente están presentes equipos apostólicos de voluntarios bien preparados e disponibles con la finalidad de trabajar por la reforma de las costumbres y la renovación de la vida, se personal, como social. La auténtica vivencia de amor al prójimo lleva a los miembros de estos equipos a la práctica organizada de la pastoral, sin vincularse a una diócesis y sin optar por la vida de clausura. A las 17 hrs. del 5 de julio de 1539, con 36 años se durmió en los brazos de su madre en la tierra y despertar en los de su Madre celeste. El 27 de mayo de 1897 es proclamado santo por el Papa León XIII (su fiesta es el 5 de julio) Su cuerpo reposa en la Iglesia de San Bernabé en Milán (Italia). San Antonio vivió pocos años, pero dejó un aliciente fuerte donde su obra permanece viva hasta hoy a través de sus hijos e hijas.

(Biografía disponible: http://csprio.com.br/wp-content/uploads/2019/07/AVida-de-Santo-Antonio-Maria-Zaccaria.pdf.)

CAMPAÑA DE FRATERNIDAD 2020 / 1

Pretendo con este trabajo presentar la vida de nuestro Padre Fundador San Antonio M. Zaccaria,  junto con el lema de la actual campaña de fraternidad 2020 y hacer conocida la importancia de nuestro Santo.
Destacando en el presente escrito sus pensamientos que mucho dicen a nuestra actualidad.

1.1 La Campaña de fraternidad.
Sabemos que la Campaña de Fraternidad es algo que la Iglesia promueve anualmente, durante el tiempo de cuaresma para concientizar todo cristiano con el fin que dirija su mirada critica hacia algún determinado tema, donde su objetivo general es el despertar, es decir, abrir los ojos ante los problemas que están afectando la sociedad brasileña y el mundo entero. Busca entonces soluciones para las discusiones propuestas, por medio de debates, conversaciones, luchas y oración.
El tema de la Campaña de Fraternidad (CF) del año 2020 es “FRATERNIDAD Y VIDA: DON Y COMPROMISO” con el siguiente lema: “LO VIO, SINTIÓ COMPASIÓN Y CUIDÓ DE ÉL”. Es un tema que nos llama bastante la atención para con el cuidado con el otro. Somos todos llamados a reflexionar sobre el sentido mas profundo de la vida, en cualquiera de sus dimensiones, sea personal, social, comunitaria y ecológica. todas estas dimensiones abarcan el concepto de “relación”, diálogo. La vida del ser humano esta compuesta fundamentalmente de relaciones; estamos siempre relacionados con algo o alguien. Estamos en relación con nosotros mismos a lo largo de nuestra existencia, con la naturaleza, con el planeta, animales, etc. Es decir, necesariamente somos seres de relaciones.
El tema de la CF 2020 me dio la posibilidad de establecer distintas vinculaciones, sea con la misma vida de Cristo, sea con las enseñanzas del Evangelio, como con los antiguos temas ya pensados y tratados en las diversas CFs., como también con la vida de San Antonio María Zaccaria, un santo poco conocido, pero importante para la Iglesia y principalmente para nuestra familia religiosa (Orden de los Clérigos Regulares de San Pablo, Barnabitas).
Recordemos, por ejemplo, en el año 1966, cuando el lema fue “Fraternidad, somos responsables unos por otros”. El año siguiente 1967: “Corresponsabilidad, somos todos iguales, somos todos hermanos”. Hasta mas o menos el año 1979, los temas propuestos se referían a los problemas relacionados con el Pueblo, con la realidades sociales, políticas y también ecológicas. Después, de mas de 40 años vuelve a ser trabajo para la CF un tema dirigido sobre los mismos problemas, ¿por qué será? lo que esta aconteciendo con el mundo? ¿con la Iglesia? con el Pueblo de Dios? ¿Con el clero? Los problemas regresan por que nosotros como sociedad, pueblo de Dios, no estamos escuchando la voz de Dios que se manifiesta a través de la Iglesia y de nuestros Pastores.
Dios habla y nosotros no queremos escucharlo, muchas veces oímos, es decir, solo superficialmente. Debemos tener esa relación intrínseca y sincera con la Santa Madre Iglesia y con nuestros Pastores. Tenemos que saber “ESCUCHAR LA VOZ DE DIOS” Dios habla y se manifiesta. ¿Tu ya escuchaste la voz de Dios? ¿Crees en la voz de Cristo? Dios habla en las personas, en la creación, en los desastres, en las tristezas y en las alegrías. ¡Dios habla! también por medio tuyo, por medio de nuestras actitudes, si, ¡Dios habla! ¿Entonces, será que no nos escucha? o nosotros no escuchamos su voz que nos grita? Muchas veces el grito de Dios se manifiesta en el silencio, en el dolor y en el sufrimiento de nuestros hermanos y nosotros no queremos entender.
¿Se detuvo a pensar eso? La CF es algo fuerte y serio, donde tenemos que hacer el esfuerzo de reflexionar, no solamente en el tiempo de Cuaresma, sino a lo largo de todo el camino cristiano, en nuestra peregrinación por este mundo, en nuestra misión soñada por Dios, donde realizamos en cada paso que damos, como nos enseña SAMZ (2010) somos seres dirigidos hacia Dios, tenemos que ir en busca de la perfección (propio Dios) peldaño por peldaño, no podemos ir del primero al tercero, pues vamos a sentir que nos falta el segundo; nuestras piernas son cortas, para decir que en nuestra vida todo tiene un tiempo, un momento, nuestra vida debe ser vivida en modo gradual. (continua)

La perfección

Dentro de las facultades de las cuales goza el ser humano, gracias a su condición de animal racional, está la de discernir cualidades y el estado de las cosas. Sin embargo, estas habilidades por sí solas no le diferencian en gran medida de las otras criaturas, cuyos sentidos les permiten también discernir y percibir en incluso mayor detalle estas cualidades. Y es así que, mediante la atribución de un valor a estas características es que el ser humano se diferencia principalmente de los otros seres vivos, en tanto el valor atribuido a estas cosas es prácticamente subjetivo en su totalidad.

Ahora bien ¿Es posible que, dentro de estos valores atribuibles a lo perceptible y a lo conjeturable, haya forma alguna de establecer un absoluto por sobre todos los demás? Perfección” es la palabra que responde a esto, y aquello que presenta dicha cualidad se dice que es perfecto”. Pero ¿Qué es perfecto?

Perfecto es aquello en lo que se puede reconocer la perfección, pero aun así esta definición no satisface la duda de ¿Quées perfecto? La perfección de por sí es más fácil de dimensionar como un absoluto, como el punto culminante de alguna cosa. Ahora, hallar ese punto culminante es otro problema por sí solo, pues con absoluta certeza no se ha establecido prácticamente nada, reduciéndose a leyes que en el fondo siguen estando sujetas a la duda y a la obsolescencia ante posibles descubrimientos futuros que reformulen los límites previamente estimables por el ser humano.

Entonces, lo perfecto”, desde un punto de vista más científico, vendría siendo un absoluto del cual no se tiene certeza y del cual no se conocen métodos para alcanzarlo. Más bien, se presenta inalcanzable por cualquier medio concebible.

Ahora, metafísicamente hablando, se puede pensar en lo perfecto” como aquello cuyo valor es el máximo. A cualquier cualidad o cosa se le puede adjuntar el prefijo perfectoante él y así se conseguirá crear un nuevo concepto inalcanzable y culminante dentro de su significado, sin la necesidad de alterar en forma alguna su significante más que con una palabra ahora antepuesta. De este modo podemos encontrarnos con, por ejemplo, un perfecto mentiroso, un perfecto salto, un perfecto caballero, una perfecta conjetura, entre otros ejemplos fácilmente elaborables.

Si bien podemos pensar en lo perfecto con una aparente facilidad ¿es posible imaginarlo? Al tratar de pensar en cualquiera de los ejemplos utilizados con anterioridad nos hallaremos con que una vez pensado en nuestro modelo de perfecto”, eventualmente se nos hará venir alguna manera de mejorarlo en relación a su estado anterior, por lo que, lo que en un principio consideramos perfecto, no lo era en realidad, en tanto cupo la posibilidad de mejorarlo, y lo perfecto es inmejorable, por ende se podría asumir que nuestro concepto de perfecto” estaba errado. He ahí otro problema más: nuestro” concepto. Lo perfecto es algo que no puede estar sujeto a las subjetividades de cada individuo que lo piense, sino que es un máximo, el epítome desde la perspectiva que se le mire, donde cada factor concebible para su constitución converge para no dar lugar a otro que se le equipare, puesto que al momento que se halla algo que se sitúa como par de aquello perfecto”, este mismo dejó de serlo.

De esta manera se desprende que la misma existencia de un perfecto” sería una contradicción de este su concepto, pues el poder concebir un perfecto significaría la posibilidad del surgir de otro, símil del primero, lo que induce al primero a su   pérdida de carácter perfecto, ya que desde su raíz debiese ser inigualable e insuperable. Así, lo perfecto”, dentro de la misma existencia, no puede darse, es decir que lo perfecto no existe en tanto su existencia es inconcebible por las razones previamente presentadas.

Siendo este el caso ¿Cómo es que se puede idear respecto a algo que no existe? Que algo no exista no le hace vacío. Es decir, si bien lo perfecto” no existe, no deja de ser.

Lo que es” posee un valor y significado intrínsecos de los cuales lo perfecto evidentemente no carece, ya que se puede idear respecto a él como valor con un significado, desentrañado previamente, pero cuya naturaleza no se conoce con claridad debido a que comparte su rasgo de cosa o idea que es” con otros conceptos controversiales como dios, las ideas o las mismas cosas en cuanto cosas.

Si buscamos el significado de perfecto”, se nos arroja que corresponde a ello que posee el grado máximo de alguna cualidad o defecto determinado. En base a esto se puede saber que aquello que es perfecto no está sujeto a la moral, porque independientemente de si se le considera bueno o malo, solo responde al mayor grado adquirible por alguna cosa que presente dicha cualidad o defecto, o mejor dicho característica, puesto que el que aquel carácter se relacione con una cualidad o defecto responde solo a una predeterminación por el contexto cultural en el que se piense dicho carácter reconocible. De esta manera, lo que se pueda reconocer como perfecto debiese de serlo de tal manera que los diversos factores que alteren la percepción subjetiva de los sujetos no se constituyan como impedimentos para que sea reconocido como el absoluto, puesto que nada le trasciende y, siendo éste un máximo, no puede ser diezmado ni perturbado de manera alguna.

Lo perfectoo la perfección, de esta manera, se conjeturan como conceptos ideados con tal de dar a entender el ideal o el óptimo de lo que sea objeto de evaluación, es decir, es un concepto ideado con el fin de dar a entender la posibilidad de una mejora respecto al estado actual de algo, siendo esto a su vez una contradicción, puesto que cumple su fin como palabra o adjetivo mientras que como concepto mismo es solo una utopía inalcanzable que expresa aquello que no se puede lograr más que como idea.

Con esto en mente es posible concluir que lo perfecto es aquello indefinido que se define como el potencial máximo que teóricamente da lugar a su estado definitivo, el cual no da cabida a ninguna clase de mejoramiento. Es insuperable en su naturaleza, sin embargo no pasa más allá de un ideal que en la práctica no se puede conseguir, dado que esto va en contra de su propia definición. Así, este mismo es un concepto que representa lo irrealizable y funciona como arquetipo, aunque en una forma que le priva de su verdadero valor intrínseco, siendo aquel típico sueño trágico que nunca se podrá alcanzar.

                                                                       Marcelo A. Carrasco D.

Febrero de 2020, S. Vicente Tagua Tagua – Chile

La perfezione

Tra le facoltà di cui gode l’essere umano, grazie alla sua condizione di animale razionale, vi è quella di discernere le qualità e lo stato delle cose. Tuttavia, queste abilità da sole non lo differenziano molto dalle altre creature, i cui sensi permettono anche a loro di discernere e percepire queste qualità in modo ancora più dettagliato. E così che, attribuendo un valore a queste qualità, l’essere umano si differenzia principalmente dagli altri esseri viventi, mentre il valore attribuito a queste cose è praticamente soggettivo nella sua interezza.
Ora, è possibile che, all’interno di questi valori attribuibili al percepibile e congetturabile, ci sia un modo per stabilire un assoluto al di sopra di tutti gli altri? “Perfezione” è la parola che risponde a questo, e ciò che presenta questa qualità si dice che sia “perfetto”. Ma cos’è perfetto?
Perfetto è ciò in cui si può riconoscere la perfezione, ma anche questa definizione non soddisfa il dubbio su ciò che è “perfetto”. La perfezione in sé è più facile da misurare come un assoluto, come il climax di qualcosa. Ora, trovare quel punto culminante è un altro problema di per sé, perché praticamente nulla è stato stabilito con assoluta certezza, riducendosi a leggi che sono ancora soggette a dubbi e obsolescenza di fronte a possibili scoperte future che riformulano continuamente i limiti precedentemente stimati per l’essere umano.
Quindi, il “perfetto”, da un punto di vista più scientifico, sarebbe un assoluto di cui non c’è certezza e del quale non si conoscono metodi noti per raggiungerlo. Piuttosto, è irraggiungibile con qualsiasi mezzo immaginabile.
Ora, metafisicamente parlando, si può pensare al “perfetto” come ciò che corrisponde al valore massimo. A qualsiasi qualità o cosa può essere associato il prefisso “perfetto” e quindi sarà possibile creare un nuovo concetto irraggiungibile e culminante nel suo significato, senza la necessità di alterare in alcun modo il suo significante se non con una parola ad esso posposta. In questo modo possiamo trovare, ad esempio, un bugiardo perfetto, un salto perfetto, un gentiluomo perfetto, un’ipotesi perfetta, tra gli altri esempi facilmente elaborabili.
Se possiamo pensare al perfetto con un’apparente facilità, è altrettanto possibile immaginarlo? Quando proviamo a pensare a uno degli esempi usati in precedenza, scopriremo che una volta che abbiamo pensato al nostro modello “perfetto”, alla fine avremo un modo per migliorarlo in relazione al suo stato precedente, per cui ciò che abbiamo considerato inizialmente perfetto, non lo era davvero, fintanto che è stato possibile migliorarlo, mentre il perfetto è insuperabile, quindi si potrebbe concludere che il nostro concetto di “perfetto” fosse sbagliato. Ecco un altro problema: il “nostro” concetto. Il perfetto è qualcosa che non può essere subordinato alle soggettività di ogni individuo che lo pensa, ma è un massimo, l’epitome dal punto di vista da cui si guarda, nel quale ogni fattore concepibile per la sua costituzione converge per non dare origine a qualcos’altro a cui equipararlo, poiché nel momento in cui si trova qualcosa che si pone alla stregua di quel “perfetto”, quest’ultimo ha smesso di esserlo.
In questo modo ne consegue che l’esistenza stessa di un “perfetto” sarebbe una contraddizione di questo concetto, dal momento che essere in grado di concepire un perfetto significherebbe la possibilità che qualcosa d’altro, simile al primo, possa emergere, il che indurrebbe il primo alla perdita del suo carattere perfetto, poiché dalla sua radice dovrebbe essere ineguagliato e insuperabile. Pertanto il “perfetto”, all’interno della stessa esistenza, non può verificarsi, vale a dire che il perfetto non esiste in quanto la sua esistenza rimane inconcepibile per le ragioni precedentemente esposte.
Stando così le cose, come si può pensare a qualcosa che non esiste? Che qualcosa non esista non la rende tuttavia priva di senso. Ossia, mentre il “perfetto” non esiste, non smette per questo di essere.
Ciò che “è” ha un valore e un significato intrinseco di cui ovviamente il perfetto non difetta, dal momento che può essere concepito rispetto ad esso come un valore con un significato precedentemente svelato ma la cui natura non è conosciuta chiaramente, poiché condivide la sua caratteristica di cosa o idea che “è” con altri concetti controversi come Dio, le idee o le cose in quanto cose.
Se cerchiamo il significato di “perfetto”, ci viene risposto che corrisponde a esso il grado massimo di qualunque qualità o difetto determinato. Sulla base di questo, si può desumere che ciò che è perfetto non è soggetto alla moralità, perché indipendentemente dal fatto che sia considerato buono o cattivo, risponde solo al massimo grado che può essere acquisito da qualunque cosa che presenti tale qualità o difetto, o meglio caratteristica, dal momento che ciò il cui carattere è legato a una qualità o un difetto risponde solo a una predeterminazione dal contesto culturale in cui questo carattere è considerato riconoscibile. In questo modo, ciò che può essere riconosciuto come perfetto dovrebbe essere tale per cui i vari fattori che alterano la percezione individuale dei soggetti non costituiscano impedimenti affinché sia riconosciuto come assoluto, poiché nulla lo trascende e, essendo questo un massimo, non può essere decimato o ostacolato in alcun modo.
Il “perfetto” o la perfezione, di conseguenza, si configurano come concetti elaborati al fine di far comprendere l’ideale o l’ottimale di ciò che costituisce oggetto di valutazione, cioè è un concetto ideato per far capire la possibilità di un miglioramento rispetto allo stato attuale di qualcosa, il che a sua volta è una contraddizione, poiché soddisfa il suo scopo come parola o aggettivo mentre come concetto stesso è solo un’utopia irraggiungibile che esprime ciò che non può essere raggiunto se non come idea.
Con questo in mente è possibile concludere che il perfetto è quell’indeterminato che si definisce come il potenziale massimo che teoricamente dà origine al suo stato definitivo, che non fa spazio ad alcun tipo di miglioramento. È insuperabile per sua natura, tuttavia non va al di là di un ideale che non può essere realizzato nella pratica, poiché ciò va contro la sua stessa definizione. Questo è quindi un concetto che rappresenta ciò che è irrealizzabile e funziona come archetipo, sebbene in un modo che lo priva del suo vero valore intrinseco, rappresentando quel tipico sogno tragico che non potrà mai essere realizzato.

Marcelo A. Carrasco D.

Febrero de 2020,
S. Vicente Tagua Tagua – Chile