La notte di Dio

È appena cominciata la notte.
Per qualcuno una notte di incontri o di relazioni o di fumi per non affrontare la vita, per altri di malavita.
Certo le nostre notti oggi sono illuminate a giorno eppure non mancano di portare con se i drammi della vita.
Le notti della tratta delle donne denunciate alla via Crucis di Roma.
Le notte in cui tante persone sono obbligate a vivere dai nostri sistemi di vita.
Penso alla notte di Giuda sospeso tra cielo e terra perché incapace di sciogliere i nodi della propria vita.
Eppure è appena cominciata la notte che avrà un epilogo insolito, inatteso seppure atteso!
Quante sono state le notti di Dio nella Bibbia, ma quest’ultima la più significativa e necessaria.
Una notte non sospesa tra cielo e terra come tante nostre parole incapaci di trovare soluzioni vere alle attese degli uomini.
Una notte, questa che comincia, ben ancorata al cielo grazie alla Croce e ben piantata a terra in quel sepolcro pieno e vuoto allo stesso tempo.
Forse non meditiamo abbastanza su questo fatto: un Dio che nella morte del figlio congiunge il cielo verso cui svetta la Croce e la terra in cui sprofonda il sepolcro.
Ecco il nostro centro: questa croce e questo sepolcro, questo sepolcro che prima di essere stato vuoto, come spesso lo pensiamo, è stato pieno!
Nella Bibbia la geografia non è un optional, ma sempre un luogo teologico: non tra cielo e terra ma con quel cielo e con quella terra!
Cosa faticano le donne a comprendere quella mattina dopo il sabato, alla fine di quella notte in cui ancora non si distingueva il cielo e la terra?
Perché Pietro corre al sepolcro?
Perché quel Sepolcro, dopo quella Croce ha contenuto e sostenuto il corpo di Cristo.
Perché quel corpo non poteva rimanere prigioniero della morte, perché la morte l’aveva vinta per noi!
Abbiamo letto in san Paolo: «Egli morì, e morì per il peccato una volta per tutte; ora invece vive, e vive per Dio. Così anche voi consideratevi morti al peccato, ma viventi per Dio, in Cristo Gesù.»
Da questo momento la Storia cambia: non mancheranno le guerre, il peccato, l’egoismo, ma queste non saranno l’ultima parola.
Qual è l’ultima parola? Cristo è risorto, è veramente risorto!
Ripetiamolo insieme a voce alta: Cristo è risorto, è veramente risorto!

Il centro dell’universo

Ogni realtà dell’universo, tanto più l’uomo e la donna, ha un centro; senza un centro si perde l’equilibrio, qualunque equilibrio: materiale, morale, spirituale, umano.
Qual è il nostro centro?
Oggi comincia una settimana centrale, anzi due, perché il tutto si compirà la domenica in albis, 8 giorni dopo la Pasqua (come sarebbe bello se tra due domeniche fossimo ancora in tanti come oggi, magari con la veste bianca ricevuta nel giorno del battesimo).

Oggi cominciano le settimane della passione, morte, sepoltura e risurrezione di Gesù.
Oggi comincia quel percorso divino e umano che culminerà nel centro della vita dell’universo giovedì, venerdì, sabato e domenica santi!
La Pasqua è veramente il centro dell’universo, anche per quanti non lo sanno, per quanti sono distratti o indifferenti o contrari: non è una violenza, una prevaricazione, è un dono per la vita dell’universo anche se rimane nascosto.
Senza questa settimana, anche fosse celebrata solo da 12 persone l’universo perderebbe senso.
Credo che la fotografia scelta, quella che ha vinto l’oscar delle fotografie, sia emblematica della perdita di senso.

E noi cristiani? Veramente questa passione, morte, sepoltura e risurrezione di Gesù sono il nostro centro oppure ci preoccupa solo avere qualche ramo di ulivo e / o goccia di acqua benedetta per mettere a posto il nostro bisogno di benessere?
Si può celebrare la settimana santa fermandoci alle porte di Gerusalemme oppure si può scegliere di seguire Gesù fino al sepolcro, secondo quanto ci trasmette il vangelo di oggi (Lc 22, 1- 23,56) o la preghiera di san Paolo ai filippesi.
Sicuramente rischieremmo di addormentarci nel Getsemani, di rinnegare Gesù, di non aiutarlo a portare la Croce, di giocarci ai dati i suoi vestiti o di aver paura di guardare il suo corpo trafitto sulla Croce; ma se facciamo nostri l’amicizia con Gesù dei primi discepoli, la cura delle donne per Gesù, la fatica dei primi cristiani che hanno scritto questo Vangelo, la nostra vita, la nostra fede, carità e speranza cresceranno!
In questa settimana dobbiamo avere la volontà e il coraggio di tenere bene davanti agli occhi l’immagine del corpo crocefisso di Gesù non per gusto del macabro, bensì perché solo morendo per Lui, con Lui in Lui possiamo continuare a vivere.

Voglio concludere questa breve riflessione citando un passaggio dell’intervento del papa emerito Benedetto XVI, un intervento che non è contro questo o l’altro papa, ma nel solco della riflessione anche sofferta della Chiesa:
«il Signore ha iniziato con noi una storia d’amore e vuole riassumere in essa l’intera creazione. L’antidoto al male che minaccia noi e il mondo intero ultimamente non può che consistere nel fatto che ci abbandoniamo a questo amore. Questo è il vero antidoto al male. La forza del male nasce dal nostro rifiuto dell’amore a Dio. È redento chi si affida all’amore di Dio. Il nostro non essere redenti poggia sull’incapacità di amare Dio. Imparare ad amare Dio è dunque la strada per la redenzione degli uomini».

Impariamo anche noi ad amare Dio sulla via della Croce, nel sepolcro pieno e poi vuoto, nelle strade della vita.

Santa settimana delle settimane a tutti voi.

La cicogna vista dall’alto

Da poco più di tre settimane sono iniziate le lezioni del secondo semestre del corso di Psicologia che frequento e per la prima volta mi sono imbattuto, io che esco da un Liceo Scientifico, nella studio della Sociologia. La mia docente ha esordito raccontandoci una storia di Karen Blixen una scrittrice danese che in un suo libro “La mia Africa” riporta una breve storia.
“Un uomo viveva in una casupola tonda con una finestra tonda e un giardinetto a triangolo. Non lontano da quella casupola c’era uno stagno pieno di pesci.
Una notte l’uomo fu svegliato da un rumore tremendo e uscì di casa per vedere cosa fosse accaduto. E nel buio si diresse subito verso lo stagno.
Prima l’uomo corse verso Sud, ma inciampò in un gran pietrone nel mezzo della strada; poi, dopo pochi passi, cadde in un fosso; si levò; cadde in un altro fosso, si levò, cadde in un terzo fosso e per la terza volta si rimise in piedi.
Allora capì di essersi sbagliato e rifece di corsa la strada verso Nord. Ma ecco che gli parve di nuovo di sentire il rumore a Sud e si buttò a correre in quella direzione. Prima inciampò in un gran pietrone nel bel mezzo della strada, poi dopo pochi passi, cadde in un fosso, si levò, cadde in un altro fosso, si levò, cadde in un terzo fosso e per la terza volta si rimise in piedi.
Il rumore, ora lo avvertiva distintamente, proveniva dall’argine dello stagno. Si precipitò e vide che avevano fatto un grande buco, da cui usciva tutta l’acqua insieme con i pesci. Si mise subito al lavoro per tappare la falla, e solo quando ebbe finito se ne tornò a letto.
La mattina dopo, affacciandosi alla finestrella tonda, che vide? Con le sue orme aveva disegnato una cicogna!”.
Esistono varie varianti della storia: chi racconta che l’uomo lasciò le tracce nella neve, chi nella sabbia, ma il messaggio di fondo è lo stesso: l’uomo cercando la provenienza del rumore lascia delle tracce che da sole hanno poco, se non alcun, significato ma se viste da un altra prospettiva, se viste dall’alto formavano un disegno perfetto, un disegno della cicogna.
Inizialmente non mi sono soffermato a riflettere sulla storia, troppo preso dal prendere appunti e cercare di stare concentrato sulla materia, ma la sera, dopo essermi coricato mi è venuta in mente e mi sono immaginato che io stesso dopo aver giocato con il mio cane in giardino, uscissi in terrazzo e vedessi un qualche tipo di figura perfetta disegnata nel prato.
Le azioni che facciamo ogni giorno, dunque non sono mere azioni, senza un significato anche se li per li lo sembrano. Le nostre scelte di ogni giorno, guidate dai nostri atteggiamenti, dalle nostre credenze, dai nostri valori non sono fini a se stesse ma sono rivolte a un disegno più grande, alla formazione di una nostra identità, di un nostro io, rivolte alla genesi di un progetto, del nostro progetto di vita.
Ciò che noi siamo, ciò che vorremmo essere un giorno dipende strettamente dalle nostre scelte, dalle nostre decisioni di tutti i giorni. Noi siamo i responsabili del nostro disegno, noi siamo il piede che lascia l’orma nel prato, noi siamo i pittori dell’opera d’arte che deve essere la nostra vita.
E non importa se l’opera d’arte abbia delle sbavature, se in certi punti il tratto sia insicuro o instabile, se in certi momenti si esca fuori dalle righe o si commettano errori.
L’importante è riuscire a vedere il disegno che noi stessi facciamo, il riuscire a trovare il senso in quello che facciamo e in quello che crediamo; l’importante è non essere trascinati dall’indifferenza, dalla sufficienza e dalla superficialità che dominano certi ambiti della nostra realtà ma di essere responsabili, partecipi alla creazione del nostro disegno di vita, della formazione della nostra identità e della nostra persona.
Un giorno quando guarderemo dall’alto della nostra finestra le nostre tracce in giardino dovremmo essere fieri, soddisfatti e felici del disegno che ci apparirà, perché noi stessi siamo i grandi protagonisti della storia della nostra vita.

Samuele Grosso, Genova

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Martedì 12 febbraio, nell’Aula Magna del nostro Istituto Alberghiero a Vieste, abbiamo incontrato padre Giannicola Simone con Sofia Rossi e Andrea Bianchini, due giovanissimi associati del gruppo GiovaniBarnabiti sul tema del volontariato.

L’incontro ha avuto inizio con un’affermazione forte e chiara “non è l’essere credenti che porta a fare volontariato”, infatti la maggior parte dei volontari comincia grazie alla sola curiosità. A questa affermazione ne è seguita un’altra altrettanto forte e cioè “fare volontariato significa mettersi a disposizione di chi ha bisogno di aiuto con gratuità”. Sofia poi ha parlato del Dynamo Camp a cui partecipa da qualche anno, definendolo “luogo magico”, infatti la sua caratteristica principale è quella di essere un campo di terapia ricreativa strutturato per assistere gratuitamente ragazzi malati e disabili. Il campo offre molteplici attività finalizzate allo svago di coloro che lo frequentano, come il teatro, laboratori creativi, scuola di circo, sport e giochi. Andrea ha preferito raccontarci delle sue estati albanesi con bambini e ragazzi “avidi” di gioco e compagnia.

Uno degli argomenti centrali dell’incontro, e non poteva essere diversamente, è stato quello dei rifugiati. Chi sono i rifugiati? Generalmente i rifugiati detti anche profughi sono tutti coloro i quali fuggono dal proprio Paese di origine per motivi politici o per la povertà, che trovano ospitalità in un paese straniero per condurre una vita migliore ed essere felici come tutti hanno diritto a essere. Senza rimanere ingarbugliati nelle polemiche che caratterizzano spesso la discussione riguardo a questo argomento, gli intervenuti hanno messo in evidenza la centralità delle personee l’importanza di venire incontro alle loro necessità.

Il volontariato in tutte le sue forme è indiscutibilmente utile in un duplice modo, utile per chi riceve aiuto, e utile per chi lo dà. Infatti se è evidente l’importanza che può avere per chiunque ricevere un supporto in caso di bisogno, sono altrettanto importanti, anche se meno visibili, le conseguenze positive che si ricevono nel dare aiuto.

Alessandra de Feo
Classe II A – IPSSAR “E. Mattei”

 

La Redazione ringrazia gli alunni per la buona partecipazione all’incontro, le loro riflessioni e specialmente per l’ottimo pranzo che ci hanno preparato!

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Lunedì 11 febbraio nell’aula magna del liceo E. Mattei di Vieste abbiamo incontrato gli studenti della scuola per parlare del nostro volontariato.
Insieme a Sofia e Andrea di Milano, Onofrio, Carlo, Francesco e Giuseppe di S. Felice (anche se ha parlato solo Francesco!) abbiamo cercato di raccontare il nostro modo di vivere il tempo libero non solo per noi stessi ma anche per gli altri. I campi con i bambini di Milot in Albania, con i bambini malati al Dynamo Camp di Pistoia; l’impegno per il territorio provato da illegalità, inquinamento e indifferenza della gente a S. Felice a Cancello (CE).
Anche se ciò che fai ti appassiona, non è facile parlarne davanti a 300 studenti, non è facile intrattenerli un’ora e mezza.
Il fatto che Andrea (3 liceo) abbia fatto delle domande, ci dice dopo, significa che l’incontro è stato interessante, che ha lasciato insegnamenti utili. L’importanza di dedicare del tempo con gratuità ai diversi tipi di bisogno nel territorio; la bellezza di scocciare le persone che non vogliono preoccuparsi di nulla; la preoccupazione di ascoltare le esigenze di persone e realtà che spesso nessuno ascolta. Poca teoria e molta concretezza, evidenzia Andrea, che piace!
Non sono mancate le lacune, specialmente il fatto che gli organizzatori dell’incontro, denunciano i giovani viestani di essere inetti, incapaci di riconoscere le esigenze dei ragazzi.
«Non si può pretendere – continua Andrea – che tutti i giovani vadano in Chiesa e quindi rispondano alle sue proposte; il mondo, anche quello di Vieste, è più grande della Chiesa. A noi piace organizzare momenti di sport o feste per raccogliere altri giovani, per creare incontro. Forse non è un vero e proprio volontariato, ma è del tempo che con passione io e miei amici spendiamo per togliere dall’indifferenza, dal non sapere cosa fare il sabato sera. Non mancano però attività sporadiche nelle mense pubbliche per i più bisognosi.»
Sicuramente il volontariato è un bel tempo da vivere per crescere come persona. Non si sa se lo si fa per Gesù, perché il rapporto con la Fede è ancora abbastanza contorto evidenziano più volte Sofia e Andrea: lo si fa perché fa crescere.
Il tempo scorre velocemente, qualche volta si perde la tensione, ma la sinergia tra di noi ci permette di recuperare subito il discorso e portarlo a termine con una certa abilità!
L’unico problema? Oltre l’audio aggiustato dal nostro Giuseppe, far parlare “timidi” liceali, ma qualcuno rompe il ghiaccio e le cose scivolano via con destrezza. Anche questo è … volontariato!

Grazie a GiovaniBarnabiti, grazie giovani di Vieste.

Giovani in politica!

«A tutti gli uomini liberi e forti, che in questa grave ora sentono alto il dovere di cooperare ai fini superiori della Patria, senza pregiudizi né preconcetti, facciamo appello perché uniti insieme propugnano nella loro interezza gli ideali di giustizia e libertà.»
Don Sturzo, nell’ormai lontano 1919 si rivolgeva così agli italiani martoriati dalle disgrazie della guerra invitandoli a rimboccarsi le maniche per ricostruire un futuro migliore per il Paese.
Ispirandosi a queste parole, dopo 100 anni esatti sta nascendo a Genova un’associazione di promozione sociale. “NOI X I GIOVANI” per riavvicinare i giovani alla politica.
Certo, qualcuno, soprattutto chi proclama la quarta repubblica, potrebbe contestarmi che le parole di Don Sturzo a cui mi ispiro sono addirittura riferibili a periodi anteriori alla prima di repubblica, ma rileggendo questa frase mi sono accorto di quanto siano attuali queste parole:
Ci sono ancora degli uomini liberi e forti che vogliono impegnarsi in qualcosa dedicandoci anima e corpo?
Quali sono oggi gli ideali di giustizia e di libertà per cui valga la pena lottare?
Dove sono i giovani in tutto questo?
“NOI X I GIOVANI” nasce non solo per provare a rispondere a questi interrogativi, tramite conferenze e occasioni di confronto tra i giovani ma si pone soprattutto come un contenitore di buone idee, di domande e risposte liberali per costruire, con tutti quelli che vorranno partecipare, qualcosa di più, di migliore.
La politica, anzi, la buona politica, come ho già detto in altre occasioni, si fa mettendoci la faccia, mettendoci il cuore e la mente, le parole, anche se buone e nobili, da sole non bastano.
Noi giovani, nel nostro piccolo, in un mondo in cui aumentano le disuguaglianze materiali e immateriali dobbiamo impegnarci, nell’Università, nei Municipi, nelle Associazioni, nel Volontariato, nello Sport, ovvero in tutte quelle realtà che, attraverso la loro struttura centrale e periferica, promuovono azioni politiche, economiche e culturali per riportare al centro la persona nel suo essere sociale, ripristinando un sistema valoriale fondato su principi liberali, di correttezza, lealtà e partecipazione.
Venerdì 22 febbraio p.v. presenteremo “Noi per i Giovani” ai giovani genovesi.
Personalmente come giovane che vuole fare politica ritengo fondamentale far passare il messaggio che nel delicato rapporto giovani e politica spetta alla politica fare il primo passo.
Per questo motivo inviteremo i presenti e molte altre persone attraverso i social a compilare uno speciale questionario online basato sui problemi reali dei giovani, sui problemi legati al mondo universitario, alla difficoltà di trovare un lavoro dignitoso, dando spazio anche a critiche e consigli in modo tale che il lavoro politico che Noi x i giovani realizzerà nei prossimi mesi non sia frutto di scelte calate dall’alto ma che sia espressione di una politica che “incontra i giovani” nelle loro esperienze di vita.
Con questa iniziativa speriamo di raccogliere, nel miglior modo possibile, quel invito di Papa Francesco a gettare il seme buono del vangelo attraverso il servizio dell’impegno politico, mettendoci in gioco anche attraverso la passione educativa e la partecipazione al confronto culturale.

Luca Marcato – Genova

The House That Jack Built

Che Lars von Trier sia una delle menti cinematografiche più geniale e sofisticate del panorama contemporaneo, non c’è dubbio.

Che in poco meno di vent’anni abbia sfornato alcune tra le più premiate, contestate e discusse pellicole dell’ultimo secolo, non c’è dubbio (anche perché sta nero su bianco).
A mo’ di sillogismo aristotelico si potrebbe affiancare Lars von Trier al cinema, come Albert Einstein alla fisica o Natalia Ginzburg alla letteratura italiana del secondo ‘900. E di accostamenti simili se ne potrebbero fare ancora molti: ma certamente sarebbero pochi quelli pronti a reggere il confronto.

Lars von Trier è una cometa, un bagliore di ghiaccio e metallo che vaga nel Sistema Solare rischiarando attorno a sé il buio artistico di cui è circondato. Tuttavia una cometa non è altro che una stella morente, che ha inizio nella sua fine, pronta a spegnersi a poco a poco, e ritornare buia nella vastità della materia di cui è prigioniera.
Paragonare von Trier a una cometa mi sembra adatto più che mai, specie in luce del suo ultimo lavoro cinematografico: La casa di Jack (The House That Jack Built per i cinefili esterofili).

Visto in un cinema della capitale danese insieme a un amico, ne sono uscito due ore dopo con lo stomaco in subbuglio, una grande quantità di domande in testa e parecchi ripensamenti tra le mani – sì, ripensamenti tangibili.
USA Anni ’70: la storia parte con-e-da Jack, un uomo sulla quarantina, che seguiamo nel corso di quelli che lui definisce cinque “incidenti”: cinque dei suoi omicidi. Eh sì, perché Jack è un serial killer.
La storia viene raccontata omodiegeticamente (in prima persona dal regista) a focalizzazione interna, dal punto di vista di Jack, frenetico e bipolare, e si dipana tra le teorie del perché e del per-come gli omicidi vadano ritenuti opere d’arte concluse in se stesse, e sgozzamenti vari. E qui spezzo una lancia in favore di von Trier che, anche se con qualche sbavatura qua e là, scrive un soggetto e una sceneggiatura in maniera ineccepibile.
Jack espone queste teorie a un acousmêtre, una figura fuori campo di nome Verge (che sia il verge = “limitare” tra la sanità mentale e la pazzia? Molto probabile), che non sentiamo né vediamo, ma che sappiamo essere una figura (im)portante nella mente di Jack. Quell’acousmêtre siamo essenzialmente noi, il pubblico; senza che però la quarta parete venga mai sfondata. E questo è il tocco di classe del regista: la sospensione del dubbio viene attuata laddove lo sguardo in camera non avviene mai, nemmeno una volta (guarda e impara, Bradley Cooper!, che con A Star is Born ti sei guadagnato il titolo di regista meno capace di Hollywood).

Per dare una lettura a questo film, però, è necessario fare un salto indietro di circa dieci anni, al 2007, quando a Von Trier e a una trentina di altri suoi colleghi venne chiesto di girare un cortometraggio in occasione del 60esimo del Festival di Cannes legato all’idea di cinema.
Il regista danese immaginò se stesso a una prima del Festival di un suo film con accanto uno spettatore americano che, dopo aver continuamente disturbato la visione con suoi commenti ad alta voce, gli chiedeva che lavoro facesse e Lars, imperturbabile, rispondeva: “Uccido!”. Estraeva un’ascia e gli spaccava la testa per poi riprendere a vedere il suo film.
E “Io uccido” è la stessa frase che pronuncia il nostro Jack a un certo punto del film, in un’esternazione che vorrebbe essere liberatoria ma che si dissolve nei gangli nervosi del suo cervello, contribuendo a definire l’immagine nevrotica di sé stesso, un ingegnere che avrebbe voluto essere architetto, fallito e apatico – e qui la lancia in favore del caro Lars non la spezzo, perché reitera uno dei cliché più gettonati della storia del cinema horror.

Von Trier, come Jack, qui si sdoppia, desideroso di essere architetto e ingegnere dell’esistenza al tempo stesso – così come in Melancholia finiva con il riconoscersi nelle due protagoniste (una razionale e l’altra umorale), qui si va a cercare in entrambi. Ahimè, però, fallendo.
Come il negativo della pellicola rappresenta per lui il lato oscuro della luce (chi ha visto il film capisce a cosa ci si sta riferendo), così da sempre con i suoi film ci si spinge a scandagliare quell’oscurità che si nasconde nell’animo umano, e che a volte si ammanta di quella razionalità perversa pròdroma dei crimini di massa più efferati dell’umanità – rimangono ovvi senza citarli.

L’arte può esprimersi nella sensibilità di un Glenn Gould come nell’estetica delle rovine di Albert Speer, ma quando si traduce in corpi in decomposizione non c’è paragone con la vanificazione che tenga; Von Trier, come sempre, non ha mezze misure: ci mette davanti all’orrore, al sangue, alla putrefazione della carne. Fa uccidere donne da un Jack-Matt Dillon spaventosamente bravo, per poter ironicamente rispondere ai commenti di chi lo legge come un misogino all’ennesima potenza; facendo propria la lettura sartriana dell’esistenza, implicitamente, citando il finale di A porte chiuse con quel “L’inferno sono gli altri” che viene esplicitato nella sequenza in cui Jack chiede esplicitamente a una sua vittima di gridare per ricevere aiuto.
C’è questo e molto altro (finale compreso) in un film che però fa risuonare un campanello d’allarme: Von Trier rischia di diventare il manierista di se stesso; le citazioni colte, il divertissement con i cartelli sorretti da Dillon e lo stesso uso della camera a mano ricalcano, senza davvero innovarlo, il già visto. Le pur sempre stimolanti ‘case’ che Lars costruisce sullo schermo abbisognano di materiali nuovi e vivi per poter sopravvivere e non spegnersi, come una cometa nel Sistema Solare.

Fabio Greg Cambielli, Coopenaghen

Influncer del proprio ego

Definire Maria “influencer di Dio” può sembrare un paragone azzardato per qualcuno, ma non per Papa Francesco, che con tali parole esorta i giovani a seguirne l’esempio per farsi messaggeri dei valori cristiani (GMG 2019, Panama).
Chi sono gli influencer? Sono personaggi divenuti così popolari da rivestire un ruolo primario nell’ambito della comunicazione pubblicitaria; utenti che vantano un profilo di migliaia (o milioni) di follower sui social network dove, attraverso foto e video, trasmettono messaggi e contenuti di vario genere.
Sono per lo più personalità del web o VIP, che non si prestano soltanto a promuovere i prodotti delle aziende per cui vengono ingaggiati (a differenza dei testimonial), ma si presentano come esperti nel proprio settore e per questo capaci di conquistare la fiducia dei follower. “Primi tra pari”, gli influencer non sembrano così diversi da noi, poiché lontani dall’alone di perfezione che riveste le star hollywoodiane…ed è proprio tale percezione (genuinità = credibilità) che ci spinge a seguirli.
Non è un caso che la rete dei social – nella quale si insedia la cultura dell’esteriorità e del superfluo – costituisca l’habitat naturale per il proliferarsi di una tale figura, spesso icona di bellezza… ma non è questo il punto della digressione sopraesposta, che mira piuttosto a contestualizzare le recenti parole di Papa Francesco.
Il fenomeno “influencer” è un trend, e Bergoglio, che ama esprimersi con il linguaggio dei giovani, non esita a farne menzione quando dice: «Senza alcun dubbio, la giovane di Nazaret non compariva nelle “reti sociali” dell’epoca, però senza volerlo né cercarlo è diventata la donna che ha avuto la maggiore influenza nella storia». “Esperta” di fede e amore, donna comune all’apparenza (certamente non una diva del suo tempo), Maria è la “prima fra gli umili” scelta Dio per la diffusione del Suo messaggio di pace e la realizzazione del Suo progetto di salvezza.
Considerato il fatto che le aziende reclutano un influencer sulla base del suo profilo – il più possibile compatibile con i rispettivi valori d’impresa – si potrebbe dire che la scelta di Dio abbia seguito con successo le dinamiche di questo fenomeno.
Ma cosa significa, per noi cristiani, essere «“influencer” nel secolo XXI»? Certamente non vuol dire ambire «a possedere l’ultimo modello di automobile o acquistare l’ultima tecnologia sul mercato. In questo consiste tutta la grandezza dell’uomo?».
Siamo strumenti nelle mani di Dio, partecipi di un progetto più grande di quella che è la fitta/finta “rete” dei social, dove i giovani che ostentano la ricchezza materiale sono sempre più influencer del proprio ego e prigionieri di uno schermo dove si combatte per la visibilità e non per un ideale.
«È la cultura dell’abbandono e della mancanza di considerazione» afferma Papa Francesco, «molti sentono di non avere tanto o nulla da dare perché non hanno spazi reali a partire dai quali sentirsi interpellati. Come penseranno che Dio esiste se loro da tempo hanno smesso di esistere per i loro fratelli?».
Solo aprendo il nostro cuore, come Maria aprì il suo accettando la volontà di Dio, diventeremo “influencer di pace” e, attraverso il concreto (non digitale) condividere, potremo finalmente sentirci parte attiva di una comunità che agisce per il bene comune.
Come J.K. Rowling scrive in uno dei suoi più celebri romanzi: «non serve a nulla rifugiarsi nei sogni e dimenticarsi di vivere», allo stesso modo non ha senso restare connessi tutto il giorno, per sentirsi apprezzati e amati da una comunità tutt’altro che vera, preferendo un contatto online al contatto diretto, un post a una buona azione.
Riscopriamo l’essenza delle relazioni e cancelliamo i filtri, quelli che ci trasformano in personaggi costruiti e poco credibili agli occhi di Dio e del prossimo, perché «solo l’amore ci rende più umani, più pieni… tutto il resto sono cose buone, ma vuoti placebo».

Pasqua Peragine – Altamura

Buon compleanno Barnabiti

486 anni fa il Nostro fondatore, Sant’Antonio Maria Zaccaria, si ritrovò davanti a una situazione difficile, quella di dover trovare un modo per rinnovare un oratorio, un modo di essere cristiani, ormai in crisi.
Decise pertanto di fondare un nuovo ordine religioso distinto in tre diversi collegi, uno di sacerdoti, uno di religiose e uno di laici. Diede vita a qualcosa di innovativo, qualcosa di nuovo per quei tempi.
Ritengo che oggi abbiamo bisogno di questo, di un rinnovamento, di un vento che spazzi via le difficoltà che oggi incontriamo nel nostro cammino. E quel vento dobbiamo essere noi giovani! Noi giovani che, come dice papa Francesco, non siamo il futuro ma siamo il presente!
Perché sempre più bambini dopo la comunione spariscono dall’ambiente parrocchiale? Perché i genitori non spingono i bambini a essere partecipi, perché sono restii a condividere i valori che la Chiesa trasmette? Perché sempre meno giovani sono disponibili a mettersi in gioco in un ambiente sano, capace di stimolarli e di trasmettere loro veri valori, di rendere loro veri uomini e donne?
Tocca a noi fare qualcosa per invertire la rotta, noi che ci sappiamo sempre lamentare di ciò che non va, ma che oggettivamente abbiamo paura di agire.
Adesso è il nostro momento, è il momento di avere il coraggio di cambiare, ciò che va rinnovato. Prendere le redini e dirigere la chiesa verso un nuovo mondo d’Accoglienza, di Partecipazione, di Felicità, di tanto Entusiasmo e Amore.
Tanti auguri a Noi!

Samuele Grosso – Genova

Politica sogno o realtà

I sogni sono parte di tutti noi, che si voglia o no comprenderli.
Ho recentemente sognato una persona cara: una volta mi accompagna su un aereo, controlla che tutto sia in ordine nella cabina e poi mi lascia partire; un’altra mi lascia un paio di scarpe nuove per proseguire i miei cammini. I sogni possono far percepire il futuro o aiutare a capire la realtà.
Fermiamoci alla realtà. Come camminare nella realtà odierna?
Stiamo vivendo una realtà affaticata, sempre più difficile e complicata che richiede un maggiore sforzo di discernimento al di là delle proprie idee, appartenenze politiche. È normale che si abbiamo delle idee, delle appartenenze, ma non è consueto non avere uno spirito critico. Coltivare uno spirito critico è il primo e necessario gradino da salire se non vogliamo essere travolti dalle situazioni, se desideriamo vivere da cittadini, altrimenti si rischia il caos quotidiano.
Coltivare uno spirito critico obiettivo, capace di riconoscere il bene o il male là dove effettivamente si trova, non solo nell’amico o nel nemico!
Sì, il problema odierno è questo dividersi assolutamente tra bravi e cattivi, migliori e peggiori, ma poiché si è chiamati a vivere insieme, su una stessa terra, bisogna trovare un altro modo di vivere.
Anche in questo la faticosa ricerca del bene comune dei padri costituenti è emblematica perché altrimenti si rischia un vizio tipicamente italiano: una continua e ripetuta divisione tra guelfi e ghibellini.
È il loro esempio da tenere in considerazione specialmente in una fase sociale e politica dove pare sia necessario distruggere tutto, tutto il tessuto sociale e relazionale e politico (nel senso alto del termine) fin qui costituito. Ciò non significa il mantenimento dello status quo che sarebbe la contraddizione del crescere un sano spirito critico.
Colui che si occupa di politica a qualsiasi livello deve tener presente l’impegno a costruire superando le fasi passate, ma non distruggendole a oltranza. Questa consapevolezza è importante se consideriamo che un paese, anche l’Italia, è specialmente composto da persone che vivono una vita e una visibilità media ma non per questo insignificante.
Forse per troppo tempo si è invece indotto (quindi educato) a preoccuparsi di questioni frivole, a cercare un nemico per forza per cui oggi si sta perdendo la cura della classe normale e maggioritaria della società, ma se ne sta assumendo il controllo!
Avere cura è ben diverso dal controllare, seppure l’uomo tende al controllare, ad avere potere sul proprio simile.
Avere cura significa capire che nonostante le promesse elettorali roboanti che ogni politico “deve” fare in campagna elettorale, le fatiche della realtà quotidiana sono altre, le strade da prendere sono differenti.
L’algoritmo principale che dovrebbe avere la politica di oggi è l’arte del tessere la trama delle relazioni tra le persone di una città, della città Italia, della metropoli Europa anche di quanti non mi hanno votato. Non è facile tessere relazioni ma è letale tagliarle tout court per mantenere una sorta di purezza che non è proprio la qualità principale di ogni essere umano!
L’algoritmo altro poi dovrebbe essere il rispetto delle Istituzioni, non un rispetto deferente con derive kafkiane, ma attento e costruttivo, altrimenti si rischia lo sfascio di queste con l’indubbia conseguenza di un disamoramento, di un misconoscimento del valore della Istituzione che dovrebbe travalicare il colore politico.
Infine, la politica, per un cristiano, è fatta di valori: il Bene Comune, la Charitas, la Solidarietà, i Poveri, tutti i Poveri, la Sussidiarietà, l’Educazione, la Vita in tutte le sue dimensioni.
Probabilmente la sempre maggiore età del nostro paese, il sempre minor numero di giovani e non parliamo di bambini ci porta alla conservazione piuttosto che al rischio, al presente piuttosto che al sogno.
Non basta connettersi a per comunicare, per dire di capire e fare: occorrono motivi per scambiare idee, progetti comuni e una cultura di fondo che aiuti a riconoscere nel diverso da me un valore applicabile anche al di fuori del mio pensare abituale e chiuso. Altrimenti si rischia con il rimpiangere il passato, non saper vedere un futuro e si perdono le opportunità.
Abbiamo bisogno di riprendere il volo, di mettere ai piedi nuove scarpe non per fuggire bensì per intraprendere nuovi viaggi di impegno e di Servizio Politico. È importante studiare la Costituzione, leggere i giornali che ci piacciono e no, liberarci dagli algoritmi della rete perché la nostra mente possa viaggiare libera e fiera non di essere prima degli altri, ma prima con gli altri in Italia e in Europa.

Giannicola M. Simone
10 febbraio 2019