Come arrivare al 25 gennaio?

Cari confratelli e amici,

eccoci ancora alle “prese” con la festa della conversione del nostro Paolo santo.

Vi proponiamo di “incontrarci” via web lunedì 25 dalle ore 20.30 alle ore 21.30 per ragionare e pregare insieme sull’esperienza di misericordia che ha operato in Paolo. Come ben capite non è possibile trovare un orario uguale per tutti, quindi dobbiamo cercare di fare qualche piccolo sforzo o, se preferiamo, inviarci un piccolo video da trasmettere durante la diretta.

Per collegarci siete invitati ad avvisarmi per tempo via mail e, entro poche ore dalla diretta, clickare il link www.giovanibarnabiti.it/stpaulonair così da ricevere i codici di accesso alla diretta (senza codici potrete vederci ma non intervenire).

 

Per prepararci in modo adeguato alla discussione via web possiamo tenere come punto di riferimento la prima lettera di san Paolo a Timoteo:

[1Tim 1,12]Rendo grazie a colui che mi ha dato la forza, Cristo Gesù Signore nostro, perché mi ha giudicato degno di fiducia chiamandomi al mistero: 13io che per l’innanzi ero stato un bestemmiatore, un persecutore e un violento. Ma mi è stata usata misericordia, perché agivo senza saperlo, lontano dalla fede; 14così la grazia del Signore nostro ha sovrabbondato insieme alla fede e alla carità che è in Cristo Gesù.

15Questa parola è sicura e degna di essere da tutti accolta: Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori e di questi il primo sono io. 16Ma appunto per questo ho ottenuto misericordia, perché Gesù Cristo ha voluto dimostrare in me, per primo, tutta la sua magnanimità, a esempio di quanti avrebbero creduto in lui per avere la vita eterna.

17Al Re dei secoli incorruttibile, invisibile e unico Dio, onore e gloria nei secoli dei secoli. Amen.

Quindi quanto leggiamo in papa Francesco, messaggio per la pace 2016:

«La misericordia è il cuore di Dio. Perciò dev’essere anche il cuore di tutti coloro che si riconoscono membri dell’unica grande famiglia dei suoi figli; un cuore che batte forte dovunque la dignità umana – riflesso del volto di Dio nelle sue creature – sia in gioco. Gesù ci avverte: l’amore per gli altri – gli stranieri, i malati, i prigionieri, i senza fissa dimora, perfino i nemici – è l’unità di misura di Dio per giudicare le nostre azioni. Da ciò dipende il nostro destino eterno. Non c’è da stupirsi che l’apostolo Paolo inviti i cristiani di Roma a gioire con coloro che gioiscono e a piangere con coloro che piangono (cfr Rm 12,15), o che raccomandi a quelli di Corinto di organizzare collette in segno di solidarietà con i membri sofferenti della Chiesa (cfr 1 Cor 16,2-3). E san Giovanni scrive: «Se qualcuno possiede dei beni di questo mondo e vede suo fratello nel bisogno e non ha pietà di lui, come potrebbe l’amore di Dio essere in lui?» (1 Gv 3,17; cfr Gc 2,15-16)».

Invece in Misericordiae Vultus leggiamo:

«Il richiamo che Gesù fa al testo del profeta Osea – « voglio l’amore e non il sacrificio » (6,6) – è molto significativo in proposito. Gesù afferma che d’ora in avanti la regola di vita dei suoi discepoli dovrà essere quella che prevede il primato della misericordia, come Lui stesso testimonia, condividendo il pasto con i peccatori. La misericordia, ancora una volta, viene rivelata come dimensione fondamentale della missione di Gesù. Essa è una vera sfida dinanzi ai suoi interlocutori che si fermavano al rispetto formale della legge. Gesù, invece, va oltre la legge; la sua condivisione con quelli che la legge considerava peccatori fa comprendere fin dove arriva la sua misericordia.

«Anche l’apostolo Paolo ha fatto un percorso simile. Prima di incontrare Cristo sulla via di Damasco, la sua vita era dedicata a perseguire in maniera irreprensibile la giustizia della legge (cfr Fil 3,6). La conversione a Cristo lo portò a ribaltare la sua visione, a tal punto che nella Lettera ai Galati afferma: « Abbiamo creduto anche noi in Cristo Gesù per essere giustificati per la fede in Cristo e non per le opere della Legge » (2,16). La sua comprensione della giustizia cambia radicalmente. Paolo ora pone al primo posto la fede e non più la legge. Non è l’osservanza della legge che salva, ma la fede in Gesù Cristo, che con la sua morte e resurrezione porta la salvezza con la misericordia che giustifica. La giustizia di Dio diventa adesso la liberazione per quanti sono oppressi dalla schiavitù del peccato e di tutte le sue conseguenze. La giustizia di Dio è il suo perdono (cfr Sal 51,11-16).

«21. La misericordia non è contraria alla giustizia ma esprime il comportamento di Dio verso il peccatore, offrendogli un’ulteriore possibilità per ravvedersi, convertirsi e credere. L’esperienza del profeta Osea ci viene in aiuto per mostrarci il superamento della giustizia nella direzione della misericordia. L’epoca di questo profeta è tra le più drammatiche della storia del popolo ebraico. Il Regno è vicino alla distruzione; il popolo non è rimasto fedele all’alleanza, si è allontanato da Dio e ha perso la fede dei Padri. Secondo una logica umana, è giusto che Dio pensi di rifiutare il popolo infedele: non ha osservato il patto stipulato e quindi merita la dovuta pena, cioè l’esilio. Le parole del profeta lo attestano: « Non ritornerà al paese d’Egitto, ma Assur sarà il suo re, perché non hanno voluto convertirsi » (Os 11,5). Eppure, dopo questa reazione che si richiama alla giustizia, il profeta modifica radicalmente il suo linguaggio e rivela il vero volto di Dio: « Il mio cuore si commuove dentro di me, il mio intimo freme di compassione. Non darò sfogo all’ardore della mia ira, non tornerò a distruggere Èfraim, perché sono Dio e non uomo; sono il Santo in mezzo a te e non verrò da te nella mia ira » (11,8-9). Sant’Agostino, quasi a commentare le parole del profeta dice: « È più facile che Dio trattenga l’ira più che la misericordia ».[13] È proprio così. L’ira di Dio dura un istante, mentre la sua misericordia dura in eterno.

«Se Dio si fermasse alla giustizia cesserebbe di essere Dio, sarebbe come tutti gli uomini che invocano il rispetto della legge. La giustizia da sola non basta, e l’esperienza insegna che appellarsi solo ad essa rischia di distruggerla. Per questo Dio va oltre la giustizia con la misericordia e il perdono. Ciò non significa svalutare la giustizia o renderla superflua, al contrario. Chi sbaglia dovrà scontare la pena. Solo che questo non è il fine, ma l’inizio della conversione, perché si sperimenta la tenerezza del perdono. Dio non rifiuta la giustizia. Egli la ingloba e supera in un evento superiore dove si sperimenta l’amore che è a fondamento di una vera giustizia. Dobbiamo prestare molta attenzione a quanto scrive Paolo per non cadere nello stesso errore che l’Apostolo rimproverava ai Giudei suoi contemporanei: «Ignorando la giustizia di Dio e cercando di stabilire la propria, non si sono sottomessi alla giustizia di Dio. Ora, il termine della Legge è Cristo, perché la giustizia sia data a chiunque crede» (Rm 10,3-4). Questa giustizia di Dio è la misericordia concessa a tutti come grazia in forza della morte e risurrezione di Gesù Cristo. La Croce di Cristo, dunque, è il giudizio di Dio su tutti noi e sul mondo, perché ci offre la certezza dell’amore e della vita nuova».

Battesimo di Gesù

Domenica del Battesimo del Signore – 2016 / C 13 gennaio

Si chiude oggi il tempo di Natale, si chiude con la rivelazione di Gesù, non solo come salvatore delle genti, l’Epifania, bensì come Figlio di Dio, il Battesimo. A questa manifestazione si aggiungerà quella dell’operare di Gesù, a Cana di Galilea, dove comincerà il suo ministero con il miracolo dell’acqua trasformata in vino.

Da sempre la liturgia tiene insieme questi tre momenti per ricordarci l’umanità divina di Gesù, per evidenziare l’identità e la missione di Gesù.

Gesù è colui che non ha mancato di farsi uomo, per dire al mondo intero, all’universo intero che non è solo, che non è abbandonato alle proprie violenze, alle proprie guerre, alle proprie preoccupazioni, al proprio peccato, ma è chiamato a celebrare il banchetto celeste, ricolmo di vino nuovo.

Ma il mistero della festa di oggi ci spiega il modo in cui Dio opera in Gesù per noi.

C’è una domanda della gente sul chi sia il messia e Giovanni il Battista cerca una risposta, ma non si mette al posto del messia.

Arriva un uomo, tra gli uomini, in preghiera – silenziosa! – che condivide con gli altri uomini il bisogno di conversione.

Su quest’uomo, vissuto nel silenzio per trent’anni, in forma corporea scende lo Spirito santo; non in modo astratto, teorico, ma in forma corporea, concreta: Dio non disdegna di farsi vedere, conoscere, condividere.

Lo Spirito santo conferma quest’uomo in quanto Figlio di Dio e segna a lui la strada: quello che a noi dovrebbe succedere con la Cresima!

C’è in questo fatto che accade a Gesù la sintesi, il riassunto di tutto l’agire di Gesù.

Lo Spirito santo discese sulla terra, nel corpo di Maria per aprire la terra al cielo e generare il Figlio.

Lo Spirito santo ora ritorna con rinnovata potenza su Colui che è disceso in terra per dare alla terra, agli uomini, la sicurezza che Dio non è più lontano.

Gesù pregava, in silenzio, come sulla croce, Gesù prega in silenzio per donarci lo Spirito: chinato il capo spirò.

Siamo di fronte al primo atto di quella che sarà la Pentecoste per tutti noi. La festa del battesimo del Signore ci insegna come prepararci al dono dello Spirito.

Chi come Gesù accetta il limite umano, la fragilità della creazione, è riempito del suo Spirito e comincia a gustare la vita nuova del Figlio di Dio.

A questo punto, dalle azioni di Gesù alcune domande:

Gesù pregava;
Gesù cammina tra gli uomini;
Gesù accoglie il dono dello Spirito santo;
Gesù dona il dono dello Spirito santo:

come preghiamo?
Con parole a memoria o ascoltando in silenzio Dio e vivendo ciò che ascoltiamo?
Come camminiamo tra gli uomini?
Di fronte ai fatti di questi giorni diventiamo isterici ed estremisti o siamo capaci di      testimoniare una fede di discernimento, di ragionamento per trovare soluzioni?
Come accogliamo il dono dello Spirito santo?
Mettiamo a frutto la sapienza, l’intelligenza, la fortezza, la pace per affrontare i
drammi e le preoccupazioni di oggi?
Come condividiamo il dono dello Spirito santo?
Ci chiudiamo in una fede intimistica o facciamo la fatica di convivere con gli uomini per portare
loro la luce di Cristo?

La guerra del pensare, ragionare, scrivere

L’anno passato ci ha lasciato difficili e drammatiche situazioni che non sappiamo come affrontare. L’anno appena arrivato vede già due begli articoli di Fabio e Pasqua che ci insegnano una semplice ma ardua soluzione: pensare, ragionare, scrivere.

Non sono gli isterismi a cui ci aggrappiamo che risolvono le paure e la fatica di continuare a vivere, ma la voglia di pensare, ragionare, scrivere.

Un mio amico impresario scrive che oggi i giovani, ma anche noi adulti io credo, hanno bisogno di modelli, di punti di riferimento per affrontare la liquidità nella quale sono obbligati a vivere. Sapere che la lettura è al terzo posto tra gli interessi dei giovani, dopo musica e internet e che il volontariato trova molto spazio nel loro tempo libero è un modello che dobbiamo amplificare.

Leggere, pensare, ragionare, scrivere sono le migliori “armi” per combattere le armi della violenza, del sopruso, dell’ubriacatura ideologica o religiosa. Non gli isterismi o le reazioni di pancia, ma l’uso della sapienza, dell’intelligenza, della fortezza sono le migliori armi per affrontare Parigi, Colonia, Damasco, Teheran… Armi meno efficaci? A prima vista sicuramente, ma a lungo tempo no. La storia in questo ci è maestra, seppure talvolta ce ne dimentichiamo.

È questo il motivo per cui inizio questo nuovo anno 2016 ringraziando Pasqua e Fabio ma anche quant’altri hanno già pubblicato nel 2015 o avranno la voglia di raccontarci, di aiutarci a capire qualche cosa attraverso la propria capacità di leggere, pensare, ragionare e scrivere.

Papa Francesco ci invita a combattere la “globalizzazione dell’indifferenza” se vogliamo salvaguardare il mondo; voi, noi giovanibarnabiti possiamo con orgoglio dirci in prima linea in questa “guerra” e desiderosi di continuare a combatterla per costruire una “globalizzazione della responsabilità”.

Buon lavoro,

Giannicola M. Simone, prete.

Vinci l’indifferenza e conquista la pace

2016 gennaio 01

Sorelle e fratelli
al termine di un anno siamo chiamati da Dio a ringraziarlo per questo tempo che ci è stato donato, ma anche a verificare come lo abbiamo vissuto.
All’inizio di un anno siamo invitati a prenderci i giusti impegni per viverlo come Dio chiede a tutti noi credenti.
Le letture di oggi ci invitano a riflettere sulla pienezza del tempo che ci è stata donata, una pienezza ottenuta grazie alla responsabilità di Maria che non è rimasta indifferente alla chiamata di Dio. Maria ci insegna che per accogliere Dio non è sufficiente pregare un poco di più, stare un po’ di più in chiesa e poi restare indifferenti al mondo circostante. Maria ci insegna a prenderci le nostre responsabilità per costruire la giustizia e la pace. Maria, la benedetta fra le donne, ci insegna che la benedizione ricevuta da Dio non è un bene personale, bensì un bene da condividere. Abbiamo bisogno, anzi è un dovere di tutti noi chiedere a Maria di insegnarci a vivere il tempo in modo pieno, a pregare per testimoniare, a benedire come lei ha benedetto il suo tempo e il nostro, a condividere con gli altri il dono del Salvatore (questo è il significato del nome Gesù).
Come possiamo lasciarci interpellare da Maria? Leggendo insieme alcuni passaggi del messaggio per la pace che papa Francesco ha scritto per tutti gli uomini che Dio ama e cercando, ognuno di prendersi l’impegno che papa Francesco ci chiede.

Vinci l’indifferenza e conquista la pace (2016)
http://m.vatican.va/content/francescomobile/it/messages/peace/documents/papa-francesco_20151208_messaggio-xlix-giornata-mondiale-pace-2016.html

1. Dio non è indifferente! A Dio importa dell’umanità, Dio non l’abbandona! Non perdiamo, infatti, la speranza che il 2016 ci veda tutti fermamente e fiduciosamente impegnati, a diversi livelli, a realizzare la giustizia e operare per la pace. Sì, quest’ultima è dono di Dio e opera degli uomini. La pace è dono di Dio, ma affidato a tutti gli uomini e a tutte le donne, che sono chiamati a realizzarlo.
Dobbiamo vincere l’indifferenza e conquistare la pace.
La prima forma di indifferenza nella società umana è quella verso Dio, dalla quale scaturisce anche l’indifferenza verso il prossimo e verso il creato. È questo uno dei gravi effetti di un umanesimo falso e del materialismo pratico, combinati con un pensiero relativistico e nichilistico. L’uomo pensa di essere l’autore di sé stesso, della propria vita e della società; egli si sente autosufficiente e mira non solo a sostituirsi a Dio, ma a farne completamente a meno; di conseguenza, pensa di non dovere niente a nessuno, eccetto che a sé stesso, e pretende di avere solo diritti.
La seconda forma d’indifferenza è nei confronti del prossimo e assume diversi volti. C’è chi è ben informato, ascolta la radio, legge i giornali o assiste a programmi televisivi, ma lo fa in maniera tiepida, quasi in una condizione di assuefazione: queste persone conoscono vagamente i drammi che affliggono l’umanità ma non si sentono coinvolte, non vivono la compassione. Questo è l’atteggiamento di chi sa, ma tiene lo sguardo, il pensiero e l’azione rivolti a se stesso
La forma di indifferenza verso il prossimo si manifesta anche come mancanza di attenzione verso la realtà circostante, specialmente quella più lontana. Alcune persone preferiscono non cercare, non informarsi e vivono il loro benessere e la loro comodità sorde al grido di dolore dell’umanità sofferente.
Infine, viviamo in una casa comune, la terra, il creato intero. L’inquinamento delle acque e dell’aria, lo sfruttamento indiscriminato delle foreste, la distruzione dell’ambiente, sono sovente frutto dell’indifferenza dell’uomo verso gli altri, perché tutto è in relazione. Come anche il comportamento dell’uomo con gli animali influisce sulle sue relazioni con gli altri, per non parlare di chi si permette di fare altrove quello che non osa fare in casa propria.
In questi ed in altri casi, l’indifferenza provoca soprattutto chiusura e disimpegno, e così finisce per contribuire all’assenza di pace con Dio, con il prossimo e con il creato.
Per vincere l’indifferenza siamo chiamati a coltivare la misericordia o, detto con un termine più moderno, la solidarietà.
Così, anche noi siamo chiamati a fare dell’amore, della compassione, della misericordia e della solidarietà un vero programma di vita, uno stile di comportamento nelle nostre relazioni gli uni con gli altri. Ciò richiede la conversione del cuore: che cioè la grazia di Dio trasformi il nostro cuore di pietra in un cuore di carne (cfr Ez 36,26), capace di aprirsi agli altri con autentica solidarietà. Questa, infatti, è molto più che un «sentimento di vaga compassione o di superficiale intenerimento per i mali di tante persone, vicine o lontane». La solidarietà «è la determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune: ossia per il bene di tutti e di ciascuno perché tutti siamo veramente responsabili di tutti», perché la compassione scaturisce dalla fraternità.
8. Nello spirito del Giubileo della Misericordia, ciascuno è chiamato a riconoscere come l’indifferenza si manifesta nella propria vita e ad adottare un impegno concreto per contribuire a migliorare la realtà in cui vive, a partire dalla propria famiglia, dal vicinato o dall’ambiente di lavoro.
Affido queste riflessioni, insieme con i migliori auspici per il nuovo anno, all’intercessione di Maria Santissima, Madre premurosa per i bisogni dell’umanità, affinché ci ottenga dal suo Figlio Gesù, Principe della Pace, l’esaudimento delle nostre suppliche e la benedizione del nostro impegno quotidiano per un mondo fraterno e solidale.

E tu quale impegno contro l’indifferenza per questo anno 2016?
Puoi condividerlo con noi?

Santo Natale 2015

È notte, anche se è giorno il momento in cui celebriamo questa messa, è comunque notte, perché il Natale rimanda alla notte, al buio, alle stelle, al silenzio.
La notte richiama il tempo che scorre, l’ignoto e il bisogno di senso;
le stelle il cosmo, l’universo intero con i suoi misteri, la sua scienza, le sue misure;
gli angeli, i messaggeri straordinari di Dio che appaiono quando c’è qualche cosa di veramente importante ed eccezionale;
poi ci sono i pastori, sporchi, ignoranti, non adatti ad ascoltare la parola di Dio;
e il silenzio, come nella notte dei tempi, quando Dio creò Adamo ed Eva.
Ma non mancano i potenti, la città con le sue frenesie – un poco come le code di macchine e ai supermercati di questi giorni –, per una volta di giorno, alla luce del sole, quasi che la bibbia volesse dire che l’iniquità, le ingiustizie non possono più essere nascoste.
In tutto questo quadro così essenziale, ma così preciso, un uomo e una donna obbediscono alla sete di potere di Augusto che voleva contare il suo popolo, ma non l’imperatore e i suoi ministri, bensì Dio prende per mano Maria e Giuseppe e li conduce nel luogo dove nascerà il loro primogenito che sarà chiamato Gesù, il Salvatore; Emmanuele, Dio-con-noi!
Non l’imperatore, ma Gesù è il Salvatore; non un tempo vuoto, ma un tempo pieno, Dio-con-noi!
(Quando penso a molte di voi, donne e nonne di questa terra, a molte di voi affaticate, schiacciate da situazioni difficili, da lavori pesanti, da potenti che vi rendono schiavi; quando vedo la vostra fede, capisco cosa significhi Gesù è il Salvatore, Emmanuele Dio-con-noi!).
Certo oggi l’uomo è più maturo, più autonomo, più libero, non ha bisogno di Dio e anche molti cristiani vivono con un Dio che non si chiama più Emmanuele, Dio-con-noi; quanti cristiani atei ci sono.
Eppure Dio sceglie oggi di nascere con questo uomo non per togliergli l’autonomia, bensì per dire che da Natale non è più solo; non per togliergli la libertà, ma per insegnargli la libertà; non per renderlo schiavo, bisognoso, ma per fargli capire che Dio ha “bisogno” dell’uomo per annunciare a tutto l’universo la giustizia, la pace, la misericordia e la verità.
E non ha bisogno dei potenti, dell’imperatore, Dio ha bisogno di due sconosciuti, Giuseppe e Maria per farsi uomo, Dio-con-noi; Dio ha bisogno dei pastori, sì di questi uomini ignoranti, sporchi, che non avevano il diritto di ascoltare la parola di Dio; Dio ha bisogno di questi pastori per annunciare la gioia della salvezza: la pace, la giustizia, la misericordia, la verità.
E qui vorrei pregare per tutte quelle persone, quelle donne – anche qui a San Felice – che lottano per la pace, per la giustizia, per la misericordia, per la verità.
Dio non ha avuto paura a farsi uomo per noi, noi non abbiamo paura a celebrare la giustizia, la pace, la misericordia, la verità!
Dio non si è chiuso nel suo cielo, ma è sceso tra noi, tra la nostra povertà, o tra le nostre ricchezze.
Vorrei chiedervi un regalo per questo Natale: aprite un poco le porte delle vostre case all’altro; preoccupatevi un poco di più e meglio di quanto accade intorno a voi; fate anche solo un piccolo gesto per qualcuno che forse non se lo merita, ma chi di noi si merita la misericordia di Dio?; fate sì che le vostre preghiere, le vostre messe non siano solo delle belle parole – come quelle dei potenti – ma diventino lievito di pace e di giustizia.
A Natale Dio si è fatto Dio-con-noi perché anche noi, a nostra volta, diventiamo di più portatori di gioia e di salvezza tra gli uomini tutti che Dio ama. Ma non portatori per finta, perché Dio non si è fatto uomo per finta, si è fatto uomo davvero sino alla morte! Alla morte per noi!
Santo Natale a tutti voi.

Le donne

Evviva le donne, verrebbe da scrivere commentando le letture di oggi, 4 domenica di Avvento.
Si perché anche se la Chiesa non sempre è stata “femminista” il vangelo, e non solo quello di oggi, è assolutamente femminile!
Dio non ha scelto di rivelarsi in modo extranaturale, ha scelto il semplice corpo di una donna qualunque di un paese qualunque.
Ma la assoluta normalità di Maria non le ha vietato di ragionare e scegliere come rispondere alla proposta di Dio. Le paure e le preoccupazioni di Zaccaria, marito dell’altra donna del Vangelo, Elisabetta e di Giuseppe non fanno parte del vigore e della determinazione di Maria.
Maria, in questo racconto, è forse la vera icona del vero cristiano; nel vangelo di oggi leggiamo infatti il modello del cristiano.
Maria p colei che per prima riceve il dono dello Spirito santo in modo definitivo da qui ne consegue il suo “alzarsi” e “correre” verso la cugina Elisabetta.
Il verbo alzare è lo stesso verbo usato per indicare la risurrezione di Cristo: colei e colui che ricevono lo Spirito santo sono rialzati dalla sua forza a una vita nuova! E, come i discepoli all’incontro con il risorto, si comincia a correre ad annunciare a tutti la bella notizia. Il nostro caro SAMZ direbbe di “correre come matti verso Dio e verso il prossimo!”.
Dove trova Maria la forza per tale corsa? Nell’azione dello Spirito santo che non solo dona vita addirittura “contamina” Elisabetta, ignara di tutto, facendole sussultare il grembo.
L’azione dello Spirito santo dona vita, dona forza per correre, e contagia quanti incontra.
La comunità cristiana di Luca che aveva fatto esperienza di Pentecoste, pone Maria come prototipo, come modello dell’azione dello Spirito santo; lei che si ritroverà nel Cenacolo a pregare con i discepoli aveva già fatto esperienza dell’azione dello Spirito nel suo corpo, vero e primo cenacolo.
Attendere Gesù che viene significa perciò attendere, voler sperimentare la dolce potente azione dello Spirito santo perché, nonostante il nostro peccato, fecondi i nostri corpi per renderli portatori di Cristo, per insegnare loro a correre verso Dio e verso il prossimo, per farli capaci di contagiare tutti coloro che il Signore pone sulle nostre strade.
Solo così saremo degni di poter recitare la preghiera dell’Ave Maria e cantare con lei: Magnifica il Signore l’anima mia…

La corsa della gioia

La domenica del cristiano non è semplicemente un giorno di pausa necessaria per ricomporre la propria storia, la propria umanità.
La domenica del cristiano è il giorno in cui la parola di Dio, di quel Dio al quale egli dice di credere, bussa con maggiore forza alla porta della sua vita.
Il pane di vita al quale ci accostiamo ogni domenica, trova il suo senso, la sua forza, la terra in cui adagiarsi per porre radice e portare frutto, nella parola di Dio.
La parola di Dio oggi ci parla di gioia (oggi è la cosiddetta domenica gaudete) perché il Signore è ormai vicino a noi, con la nostra storia facile e difficile.
Il profeta Sofonia (1^ lettura) in un momento drammatico della vita del suo popolo, (quando la monarchia ormai è alla fine e) il dramma dell’esilio si profila all’orizzonte, dopo aver richiamato alla conversione e dopo aver proclamato minacce per le nazioni e per Israele, alla fine in nome di Dio pronuncia parole meravigliose di speranza: “Non temere, Sion, non lasciarti cadere le braccia! Il Signore tuo Dio è in mezzo a te: è un salvatore potente. Gioirà per te. Ti rinnoverà con il suo amore. Esulterà per te con grida di gioia”.
La lettera di Paolo ai Filippesi (2^ lettura), pur non nascondendo le difficoltà che l’apostolo sperimenta nel suo cammino, è un continuo richiamo alla gioia, dall’inizio (Fil.1,18.25) alla fine, con il piccolo brano che oggi leggiamo: “Siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti. La vostra amabilità sia nota a tutti. Il Signore è vicino! Non angustiatevi per nulla, ma in ogni circostanza fate presenti a Dio le vostre richieste con preghiere, suppliche e ringraziamenti. E la pace di Dio, che supera ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e le vostre menti in Cristo Gesù” (Fil.4,4-7).
Sono parole stupende quelle di Sofonia e di Paolo: è l’esperienza personale di Dio, una relazione d’amore che ringiovanisce la vita, l’esperienza di un Dio vicino, dello sposo che con la sposa esulta con grida di gioia. È l’esperienza della fede, che Sofonia preannuncia e che Paolo annuncia come realizzata in Gesù, il figlio che dona la vita per noi: la fede è l’esperienza dell’amore di Dio per noi. Se Dio ci ama, noi siamo liberi da tutte le paure, nei momenti difficili possiamo rivolgere a lui le nostre invocazioni, siamo nella pace, la nostra vita spoglia di ipocrisie, rivendicazioni, desiderio di potere, è bella, gioiosa, felice.
Queste parole sono già una risposta alle richieste etiche, di cambiamento, di azione concreta che Giovanni Battista (vangelo) chiede a quanti si rivolgono a lui, nel vangelo di oggi. Già meditare quanto il profeta Sofonia e san Paolo raccontano è una risposta concreta al bisogno di conversione che la fede, che l’incontro con Cristo chiedono: “Se Dio ci ama ci sentiamo veramente liberi?”; “liberi di essere sereni, cioè nella gioia sempre?”.
 
È cominciato l’anno di giubileo, cioè di gioia, della misericordia. Siamo capaci di credere e celebrare la misericordia di Dio? Di aprire le porte della nostra coscienza non solo alle parole di Dio, ma specialmente alle domande di senso degli uomini di oggi? Di testimoniare la gioia della misericordia?
“La misericordia esercitata non è buonismo, non è timidezza di fronte al male, ma è esercizio di responsabilità”. “La misericordia è necessaria, prima ancora dei trattati politici internazionali, per poter spianare i terreni di pace e le tante vie degli esodi forzati che stanno mutando il mondo”, perché anche a livello economico, politico e giuridico la misericordia e il perdono devono trovare realizzazioni che aprano a una convivenza buona tra i popoli e le genti. “Non si può capire un cristiano che non sia misericordioso, come non si può capire Dio senza misericordia”. È la misericordia di un Dio che ci “rincorre” sempre e proprio per questo sperimentiamo la gioia.

La parola cadde su un uomo nel deserto

Tempo di Avvento, II domenica

L’Avvento è già cominciato e ci vuole vedere in azione; il giubileo troverà la sua ufficiale iniziazione martedì; la storia di Giovanni B. si staglia in questa liturgia; noi vogliamo entrare un poco di più ancora nel mistero di Cristo e farci penetrare di più dalla forza dello Spirito che ci vuole legare, abbracciare, … di più a Gesù.
Domenica scorsa papa Francesco ha aperto a Bangui in Centroafrica la porta santa dell’anno della Misericordia, forse nessuno se n’è accorto; nessuno sapeva dell’esistenza di questa città, di questo Stato; tutti pensano all’Africa come una immensa foresta ovvero un grande deserto, un luogo comunque indietro rispetto all’Occidente.
Un deserto, come quello di Giovanni Battista, non il luogo de potenti: Tiberio Prisco, Pilato, Erode, Anna e Caifa, un deserto è il luogo dove «la parola di Dio cadde su un uomo»!
Non è la città, l’Occidente – potremmo dire – il luogo scelto da Dio, ma la periferia. Quella periferia del mondo dal quale vediamo sorgere il male che stiamo cercando di combattere, che mette a repentaglio le nostre esistenze, questa periferia è il luogo scelto da Dio per rivelarsi per farsi conoscere, per costruire il nuovo.
IL Vangelo non ci chiede di rinnegare le nostre radici, la nostra storia, ma di riguardarla, di non pensare di essere sempre i migliori, ma di essere parte di un mondo più grande, di avere bisogno degli altri. Questa è conversione!
Giovanni non ha paura di stare nel deserto, di allontanarsi dai grandi poteri, di gridare nel deserto, di vivere secondo i criteri del deserto piuttosto che i criteri dell’opulenza della città. Giovanni Battista di fronte al rumore dell’impero romano, preferisce fare silenzio e stare nel silenzio – anche Gesù, nei primi trent’anni della propria esistenza preferisce stare nel silenzio, nel silenzio della periferia di Nazaret! «E la parola di Dio scese su Giovanni nel deserto». Dopo circa 5 secoli di silenzio la parola di Dio tornò a farsi sentire attraverso Giovanni, chiamato a annunciare non solo l’amore rinnovato di Dio; chiamato a preparare non solo le strade per la conversione dell’uomo; ma destinato a farci conoscere con mano il progetto di Dio: Gesù!
Ecco lo spiraglio della salvezza.
Tutti noi abbiamo bisogno di salvezza, tutti cerchiamo il bene, Giovanni ci fa conoscere il bene: Gesù. E ci dice che per conoscere Gesù dobbiamo lasciarci lavare dalle acque del battesimo così da poter cambiare vita, non da ricco a povero o viceversa. Cambiare vita dentro di sé
In linea con gli antichi profeti Giovanni Battista comincia a gridare al mondo che nulla è impossibile a Dio, che è Padre, grazia, amore: occorre alzare la testa, aprire gli occhi per vedere e il cuore per lasciarsi amare da lui. Questo è cambiare vita.
Giovanni battista non sa come Dio salverà l’uomo, ma sa che l’uomo deve cambiare, deve lasciare irrigare e lavare la propria coscienza dall’acqua viva che è Gesù!
Non voglio darvi ricette, voglio solo invitarvi a chiedere cosa macina il vostro cuore, la vostra coscienza: pensieri cristiani o pensieri umani?
Voglio solo invitarvi a fare un po’ di silenzio in questa settimana per entrare nel mistero di Dio che agisce in Cristo nello Spirito santo.
Per fare ciò la settimana scorsa vi invitavo a ricordare, nella vostra preghiera, il mistero della fede: annunciamo, proclamiamo, attendiamo; oggi, per questa nuova settimana, vi invito a ricordare il Segno della Croce.
La chiave per aprire la porta dell’incontro con Dio e con noi stessi è proprio il segno più elementare del cristiano, questo segno che molti non conoscono più; il segno della croce non è solo una scaramanzia prima di tirare un calcio di rigore; il segno della croce è il segno della presenza di Dio nella mia vita, nel mio modo di pensare, di amare, di agire. Il segno della croce è il segno di un Dio che delicatamente bussa alla porta della mia vita per darmi pace e forza. Il Segno della Croce è il segno che ci protegge dalla paura, dal peccato. Il Segno della Croce è il segno della misericordia di Dio che ci aiuta ad annunciare la sua misericordia!

Pellegrini per il clima

cop21-label_reduit_transparentPARIGI, 2015 novembre 28.

Si sono dati appuntamento ieri sera nella chiesa di Saint-Merry i trecento “pellegrini climatici” giunti a Parigi dopo aver percorso le strade di mezzo mondo. Alcuni hanno fatto migliaia di chilometri a piedi o in bicicletta, altri solo qualche tappa in automobile o in treno, ma l’importante era arrivare in tempo per la ventunesima Conferenza delle parti (Cop21) della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, in programma dal 30 novembre all’11 dicembre nella capitale francese. Ci sono gruppi provenienti dall’Italia, dalla Germania, da Scozia e Inghilterra, da Paesi Bassi e Scandinavia, dalle Filippine, dal Perú, dal Kenya. Fra essi c’è anche la delegazione della Federazione organismi cristiani di servizio internazionale volontario (Focsiv), partita da piazza San Pietro con il motto «Una terra. Una famiglia umana. In cammino verso Parigi».

Oggi a Saint-Denis — riferisce il Sir — insieme ai leader di diverse religioni i “marciatori per il clima” (come sono stati anche chiamati) consegneranno una petizione a rappresentanti dell’Onu e del Governo francese.

Ad accoglierli, ieri, a nome delle Chiese cristiane di Francia, Elena Lasida, docente all’Institut catholique de Paris e chargée de mission presso la Conferenza episcopale francese: «Siete venuti pellegrini climatici a Parigi per dire ai grandi della terra che l’umanità deve fare il possibile per salvare la terra. Noi vi accogliamo e uniamo la nostra voce alla vostra. Arrivate nel giorno in cui la Francia rende omaggio alle vittime degli attentati del 13 novembre. La vostra presenza qui è il segno della solidarietà con chi ha scelto la vita contro le forze della morte e della distruzione». Erano presenti all’incontro il vescovo di Le Havre, Jean-Luc Brunin, presidente del Consiglio famiglia e società, il vescovo di Troyes, Marc Stenger, presidente di Pax Christi France, e François Clavairoly, presidente della Federazione protestante di Francia. Al termine della cerimonia, si è pregato per le gravi conseguenze dei cambiamenti climatici e per le vittime del terrorismo in Mali e in Tunisia, a Beirut e a Parigi. I diversi rappresentanti dei gruppi hanno poi portato al centro della chiesa delle candele accese e si è data lettura del Cantico delle creature di san Francesco d’Assisi.

«L’incontro organizzato questa sera è per accogliere qui a Parigi i pellegrini provenienti da tutto il mondo. È la parabola dell’umanità in cammino che vuole prendere in mano il futuro», ha detto monsignor Brunin, sottolineando che «la loro presenza vuole essere un segno forte per chi sarà impegnato in questi giorni nelle negoziazioni per la Cop21, per dire loro che c’è un popolo che si è messo in marcia ed è preoccupato per l’avvenire del clima». Si spera che le negoziazioni facciano emergere l’impegno degli Stati per una reale inversione di tendenza. Il vescovo francese ha poi ricordato che da Nairobi «Papa Francesco ha lanciato un appello per dire che bisogna prendere con urgenza delle decisioni perché sono le popolazioni più povere a essere le prime vittime del cambiamento climatico. Una situazione — ha continuato il presule — di cui sono responsabili i Paesi ad alto sviluppo e inquinamento. C’è dunque un’ingiustizia sulla terra. È per questo che i pellegrini che sono qui chiamano alla giustizia climatica. È urgente che i leader politici ascoltino la loro voce e prendano decisioni vincolanti prima che sia troppo tardi».

In vista della riunione di Parigi la Commissione degli episcopati della Comunità europea (Comece) ha pubblicato un rapporto sulla protezione del clima, redatto da cinque esperti. Alla vigilia della Cop15 di Copenaghen, nel 2009, «tutti speravano in un accordo vincolante, che sostituisse il Protocollo di Kyoto», ma «quella speranza non si è concretizzata» e «poco o di fatto nulla è cambiato da allora», si legge nel dossier. Oggi però c’è una «speranza prudente» per il possibile raggiungimento di un «accordo vincolante che permetta di limitare l’aumento delle temperature medie mondiali a un massimo di 2 gradi rispetto al periodo pre-industriale». L’ostacolo più grande è «l’enorme divario tra Paesi ricchi e poveri e il ruolo particolare delle nazioni emergenti», elementi che richiedono l’adozione di misure specifiche. Riprendendo l’enciclica di Papa Francesco Laudato si, la Comece rilancia l’appello per una «conversione individuale» e una «conversione strutturale, a livello politico, economico e sociale».

Da domani, domenica, si pregherà per il clima in molte chiese nel mondo. Anche in Argentina, dove la Commissione giustizia e pace dell’episcopato ha invitato i fedeli a speciali momenti di raccoglimento durante la messa.

(Osservatore Romano)

Avvento di preoccupazione o di speranza?

Cari amici zaccariani,
in questo tempo di Avvento e di Natale voglio raggiungervi con piccole riflessioni domenicali senza grosse pretese, semplicemente con il desiderio di condividere il tempo dell’Avvento per non restare soli in questo cammino di speranza.

Il sole, la luna, le stelle che cadono, il mare che si rivolta invadendo l’universo; sono immagini apocalittiche che comunque ci turbano e ancora di più in questi giorni drammatici e terribili.
Sole, luna, stelle sono gli idoli del tempo dei vangeli, gli idoli che cadranno per lasciare spazio all’Eterno. Pur con i segni della morte violenta subita l’Eterno torna tra noi nella sua gloria, per redimere i nostri corpi, per dare compimento alla nostra storia.
Con il cristianesimo la storia non torna più su stessa, o perde un fine indefinito, la storia trova un senso, il senso della comunione con un Dio che ha voluto fare comunione con noi nel Figlio suo Gesù!
Il tempo dell’Avvento è proprio questo riflettere sulla nascita umana di Gesù a Betlemme per tendere, per comprendere alla “rinascita” definitiva nella storia.
Questo tempo dell’Avvento è il tempo in cui “ripassare” il modo in cui vivo e viviamo l’attesa di Gesù. Però per ripassare bisogna fare i compiti!
Quale compito ci offre oggi la liturgia, in questa 1^ domenica di Avvento 2015? Vegliate e pregate!
State svegli, come le sentinelle, state all’erta, entrate di più nel mistero di Gesù!
Ecco, siamo invitati a pregare, bella scoperta, dirà qualcuno!
Come posso pregare con tutto quello che ho da fare?
Come si prega oggi, nel terzo millennio?
C’è la grande preghiera della domenica, nella quale tutto trova il suo senso e da questa preghiera che è l’Eucaristia dobbiamo raccogliere i semi per la nostra preghiera quotidiana; durante i giorni della settimana riprendere la parola di Dio; ricordare alcune parti della messa perché mettano radice nella nostra vita di ogni giorno, p.e. il “mistero della fede”. Come annuncio la morte, proclamo la risurrezione, e attendo la tua venuta Signore?
Questa memoria quotidiana è un grande strumento per entrare nel mistero di Gesù, perché l’Avvento prima che cose da fare, è una persona da incontrare e conoscere!
Ma il pregare è unito al vigilare, vigilare sulla storia, su questa aggrovigliata storia.
Per vigilare dobbiamo compiere uno sforzo culturale, prendere in mano un giornale e leggerlo, oppure un libro, scegliere un tema e affrontarlo.
Cosa significa annunciare la morte, proclamare la risurrezione, attendere la venuta di Gesù se non ci preoccupiamo della storia in cui viviamo?
Viviamo in un mondo globalizzato, ma dobbiamo scegliere se vivere nella globalizzazione dell’indifferenza o nella globalizzazione della responsabilità.
Domanda:
quale responsabilità cristiana
e quale responsabilità civile (posto che le due si possano dividere?) in questo Avvento?