Il Figlio e il Diavolo

Gesù è il figlio di Dio e lo sa!
Il Diavolo, l’invidioso, colui che divide, sa che Gesù è il Figlio di Dio.

Gesù non è un figlio abbandonato, è condotto dallo Spirito santo, nel battesimo, nel deserto, nella vita, sulla Croce, nel Sepolcro.
Il diavolo è guidato dal suo ego, dalla sua brama di potere, da uno spirito di morte.

Gesù va nel deserto per riflettere, per comprendere a quale missione è chiamato, per stare con il Padre e lo Spirito santo.
Il Diavolo va nel deserto per disturbare, per imbrogliare, non per comprendere e aumentare la propria consapevolezza.

Gesù non abusa del suo potere di Figlio: si accontenta di quel poco che ha (non di solo pane), non abusa di potere (ti darò tutti questi regni…), non tenta, non mette alla prova il Padre, si fida di Lui.
Il Diavolo abusa della libertà che gli è concessa, stuzzica la fame, abbaglia di potere, insidia il timore di Dio.

Mangiare, potere, religione, ecco i tre punti vitali di ogni uomo, perché Gesù non approfitta del suo essere Dio, non vive sulla terra in modo distaccato, ma condivide la nostra umanità.
Pensando a Gesù, alla sua vita, alle sue scelte, alla sua passione, ci viene spontaneo da obbiettare: “Ma Gesù era il Figlio di Dio”. Tutto il Vangelo e in modo particolare questo racconto delle tentazioni ci mostra che proprio perché pienamente uomo egli permette al Padre di generarlo come Figlio suo.
Tutto questo significa che Gesù vive pienamente l’esperienza umana come relazione filiale con il Padre, ma questa non annulla la percezione della debolezza umana: la fede accompagna tutta la vita di Gesù, la fede fa percepire all’uomo la “sua fame”, la sua radicale non autosufficienza.

Il deserto è proprio il luogo dove ci si ferma per stare con se stessi e capire dove si è, da dove si viene, dove si va. Ed è proprio a questo punto che si inserisce la “tentazione”: quanto più l’uomo ha la chiara coscienza di sé, sente la fame di qualcosa che lo sazi. Ma può da solo rispondere a questo suo bisogno?
Il deserto è il luogo dove si mette ordine, non un ordine maniacale, ma l’armonia; il diavolo invece vuole il disordine, lo sporco perché così il male (in tutte le sue forme) può agire indisturbato.

“Se tu sei il figlio di Dio…”: il diavolo non mette in dubbio l’identità di Gesù, gli suggerisce di usarla come un potere. “Se tu sei potente, usa la tua potenza: trasforma tu queste pietre in pane che sazi la tua fame”.
“Il diavolo lo condusse in alto…”: che cos’è la grandezza che l’uomo percepisce dentro di sé, la enorme “potenza e gloria” di cui ogni uomo si sente partecipe? Gesù è “disceso” e lo Spirito di Dio è sceso su di lui. Il diavolo invece porta “in alto” Gesù e gli dà una visione falsificata di tutto.
“Se tu sei il figlio di Dio…”: “Se tu sei il figlio di Dio, perché il male, perché la morte: affidati a chi ti promette prodigi per sfuggire alla morte”.

A chi ci affidiamo noi?
A chi ci imbroglia con promesse vane, a chi vuole mantenere il disordine, dicendoci che nulla mai cambierà?
Affidati, ecco la parola “chiave” di questa I domenica di Quaresima per affrontare le fatiche di una vita vera, di una vita in Cristo. Affidarsi a Gesù e vivere di conseguenza.

MERCOLEDì DELLE CENERI 2016,

Inizio del cammino di Quaresima
Oggi comincia la Quaresima, i 40 gg verso la Pasqua, la festa più importante dei cristiani, alla quale seguiranno i 50 giorni di Pasqua sino alla Pentecoste.

Partiamo subito dalla parola di Dio perché ci faccia capire il motivo per cui siamo qui oggi.

Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi (5,20-6,2)
Fratelli, noi, in nome di Cristo, siamo ambasciatori: per mezzo nostro è Dio stesso che esorta. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio. Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio.
Poiché siamo suoi collaboratori, vi esortiamo a non accogliere invano la grazia di Dio. Egli dice infatti:
«Al momento favorevole ti ho esaudito
e nel giorno della salvezza ti ho soccorso».
Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza!
Parola di Dio

Dal Vangelo secondo Matteo (6,1-6.16-18)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 
«State attenti a non praticare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere ammirati da loro, altrimenti non c’è ricompensa per voi presso il Padre vostro che è nei cieli. 
Dunque, quando fai l’elemosina, non suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipocriti nelle sinagoghe e nelle strade, per essere lodati dalla gente. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, mentre tu fai l’elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra, perché la tua elemosina resti nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.
E quando pregate, non siate simili agli ipocriti che, nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze, amano pregare stando ritti, per essere visti dalla gente. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, quando tu preghi, entra nella tua camera, chiudi la porta e prega il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.
E quando digiunate, non diventate malinconici come gli ipocriti, che assumono un’aria disfatta per far vedere agli altri che digiunano. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, quando tu digiuni, profùmati la testa e làvati il volto, perché la gente non veda che tu digiuni, ma solo il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà».
Parola del Signore

Riflessione

Noi cerchiamo di essere amici di Dio, ma non sempre ci riusciamo; anzi molti nostri amici che credono di meno o non credono ci osservano e subito ci fanno notare quando siamo nell’errore!
Tutti gli uomini fanno degli errori, ma i cristiani devono essere più attenti, anche perché per loro l’errore si chiama peccato. Un errore è un errore e basta, un peccato è un errore che fa male anche a Dio che cammina con noi, che è nostro amico, che ci ha creati per il bene! Un peccato rompe l’alleanza tra noi e Dio.
La quaresima è un tempo speciale per riflettere sui propri peccati e cercare di cambiare, di diventare più santi!
Lasciamoci riconciliare da Dio… ecco il momento favorevole, il momento della salvezza!

San Paolo ci ricorda che Dio ha mandato il suo Figlio per annientare il nostro peccato. Quindi il peccato c’è! Ma spesso noi ci dimentichiamo che siamo peccatori, che pecchiamo. La società di oggi allontana il peccato, perché dà fastidio. Ma il cristiano non si lascia imbrogliare e resta all’erta, in guardia. Resta un poco in pensiero, davanti alle tante porte del peccato e della salvezza, ma poi sceglie. Il vangelo di oggi ci aiuta a scegliere come superare il peccato, attraverso la porta dell’elemosina, la porta del digiuno, la porta della preghiera. Sono queste le porte che ci permettono di riconoscere e superare il peccato: il peccato dell’egoismo, dell’avarizia; il peccato dell’ingordigia, dell’avidità; il peccato dell’autosufficienza, del narcisismo. Ma il Signore è ricco di misericordia e ci invita a varcare la porta della sua misericordia per crescere, per diventare più santi.

Siamo nell’anno della misericordia, quello della porta che vogliamo attraversare per camminare verso la santità! Avete visto il nuovo poster che abbiamo affisso sulla scala, che abbiamo messo su questo foglio: un uomo davanti a tante porte. Possiamo decidere se sono le porte del peccato o della misericordia.

Per vivere bene la Quaresima, per entrare nella ruota della misericordia di Dio siamo chiamati a passare tre porte: preghiera, digiuno, carità/elemosina, come dice il vangelo. Oggi, in questo mercoledì delle Ceneri, vogliamo impegnarci a vivere bene la preghiera, il digiuno, la carità/elemosina.
La preghiera è lo strumento che ci mette in armonia con noi e con Dio, con i fratelli e con l’universo.
Il digiuno è lo strumento che ci fa capire quali sono le cose essenziali per una vita felice.
La carità è lo strumento che ci fa superare l’egoismo, l’individualismo, l’indefferenza.

Preghiera, digiuno, carità/elemosina sono gli strumenti che ci permettono di superare la globalizzazione dell’indifferenza per raggiungere la globalizzazione della responsabilità! L’indifferenza si annida nelle piccole cose e raggiunge le situazioni più grandi;
la responsabilità parte dai piccoli semi per diventare una grande pianta.

La preghiera, perché non sia solo una formula, deve partire dalla parola di Dio: avete un vangelo a casa? Perché tutti hanno sicuramente un cell sempre in mano ma non il vangelo? Perché quando entriamo nelle case dei nostri amici cristiani vediamo la tv, i telefoni, il superfrigor… e mai vediamo un vangelo: abbiamo paura di testimoniare che siamo cristiani?

Per favore tirate fuori il vostro vangelo/bibbia e ponetelo in un luogo visibile.

Il digiuno, non è solo una dieta, ma capire che non tutto è necessario, che si può vivere in modo più sobrio, ci ricorda che molti vivono nella povertà, nell’indigenza e noi non possiamo approfittare delle nostre ricchezze solo per noi stessi. Il digiuno ci ricorda che le ricchezze forse ci sono date per fare del bene agli altri. Il digiuno ci insegna a vedere i tanti poveri che spesso non vogliamo vedere. Il digiuno ci aiuta a vincere quella distrazione che non ci fa vedere le cose importanti per il nostro fratello, per l’ambiente, per Dio. quando uno è troppo sazio non può vedere, preoccuparsi dell’altro.

La carità / elemosina, non è solo una moneta che do a chi tende una mano e poi io resto la persona indifferente che sono: la carità è la condivisione del mio tempo, delle mie cose, delle mie responsabilità con l’altro, con l’ambiente, con Dio.

La carità significa che la mia coscienza si è lasciata toccare dall’esperienza di Dio (preghiera e digiuno) e diventa azione viva e vivificante.

Concretamente, alcune indicazioni:
Preghiera: il vangelo nella mia casa.
Digiuno: sigarette, telefono, alcol, sporcizia (non sporcare l’ambiente).
Carità: volontariato, bottiglie, cura dell’ambiente.

IMPOSIZIONE DELLE CENERI

Famiglie in piazza

Protestare, far sentire la propria voce su un tema o sull’altro è un diritto di tutti, così come è un dovere farlo in modo pacifico e rispettoso.
Mi sembra che così sia successo, anche se le reazioni – e ora non posso usare un termine diverso – “contro” i cattolici siano state più virulente e in certe situazioni non rispettose che nella situazione precedente, forse perché il cattolico comunque dà fastidio.
Come spesso accade il senso critico che ognuno chiede all’altro, sovente in questi frangenti non viene usato. Mi spiace quando questo senso critico non è usato da tanti studenti con i quali ho avuto il piacere e l’onore di condividere ore di lavoro e di crescita.
Non sono andato al Circo Massimo sabato perché non amo molto queste manifestazioni, perché ho altri spazi sui quali far sentire la mia voce, perché non volevo incrociarmi con politici che hanno in mente il valore della vita solo in certe occasioni! Però quando in una classe c’è uno studente “balordo”, non significa che tutta la classe sia “balorda”!
Il valore della vita.
La maggior parte delle persone che hanno manifestato al Circo Massimo hanno una idea precisa del valore della vita; sono peccatori come tanti altri, sicuramente, ma hanno non solo in mente, anche in pratica una coscienza della vita che per molti versi la nostra società – specialmente occidentale – sta perdendo. Una coscienza della vita come dono che non ti appartiene, proprio perché dono, dono che va rispettato e non commercializzato.
L’idea di fondo del cristiano è che la vita vada sempre rispettata dal suo “prima” di nascere al suo dopo morire, quindi anche durante il suo vivere.
Mi pare che il problema non verta sul rispetto dei diritti altrui, ma sul modo in cui far valere questi diritti. L’equiparazione dei termini per definire delle situazioni reali non è mai un’azione corretta, per nessuno. E nonostante i propri peccati, i cristiani sanno che proprio perché si rispettano gli altri, tutti, non si può omologare il tutto. Purtroppo questo non è molto chiaro a tutti; una certa mentalità liquida e commerciale in cui tutti noi viviamo ci porta a non porre più confini (tranne che per i migranti!) creando così una situazione di confusione di cui forse oggi non ci rendiamo conto.
Le convivenze eterosessuali hanno già il rito civile del matrimonio; le relazioni omosessuali hanno diritto ad avere una regolamentazione giuridica per tutti i motivi che sappiamo, queste relazioni però non si possono chiamare matrimoni per i motivi che ho già scritto precedentemente; poi ci sono alcuni che non desiderano riconoscimento alcuno, ma questa è un altro argomento.
Diversa è la questione delle adozioni, ma qui entrano in gioco – a detta di alcuni – le paure, l’ignoranza, l’antimodernismo dei cattolici. Forse.
O forse qui entra in gioco la riflessione sulla libertà e sulla verità.
La libertà non è il potere fare quello che si vuole, anche con tutte le buone intenzioni, ma la possibilità di agire per il massimo bene per tutti. La libertà è la capacità di sapersi incontrare con libertà dell’altro, specialmente quando l’altro è un nascituro o un bambino.
Un nascituro o un bambino non sono degli oggetti commerciabili! Certo molti hanno in mente il bene dei nascituri o dei bambini, ma la ricerca del bene non può misurarsi solo con il bisogno di un piacere del momento; essa deve misurarsi anche con la possibilità del limite. Il limite di non poter avere un figlio proprio, quando la biologia non lo rende possibile (e la scienza per tutti noi è un dogma!).
C’è un diritto naturale – anche di questo ho già scritto – che non si può invocare solo per se stessi o quando fa comodo, ma anche per un bambino, per le nuove generazioni. C’è un diritto naturale che implica la capacità di saper vedere oltre il proprio naso; una lungimiranza che chiediamo alla programmazione economica, ma non vogliamo utilizzare nella riflessione antropologica.
Mi auguro che il governo possa trovare una accettabile soluzione per il bene del paese e concludo citando quando il vescovo di Chieti, Bruno Forte scrive su Il Sole 24 ore di oggi:
«Qual è la posta in gioco nell’attuale dibattito parlamentare sulle unioni civili riguardo al bene comune? La risposta a questa domanda richiede che si rifletta sui valori di fondo implicati nelle decisioni da prendere. Mi sembra che essi siano fondamentalmente tre: i diritti del cittadino, i suoi doveri verso la “res publica” e i doveri della stessa nel promuovere il bene di tutti, per tutti…
Scommettere sulla famiglia fondata sul matrimonio fra un uomo e una donna non è contro nessuno, ma a favore di tutti perché l’unione matrimoniale di un uomo e di una donna, vissuta nella fedeltà e aperta alla procreazione, è garanzia della crescita autentica dell’umanità e della socialità di ciascuno. Nel sostenere la famiglia «società naturale fondata sul matrimonio» sarà, insomma, la “res publica” tutta intera a trarne vantaggio per il suo presente e il suo futuro».

Giannicola M. Simone

O envangelho da criação

Se na verdade se quer construie uma ecologia que permita de arranjar tudo aquilo que destruimos, portanto, nenhum ramo da ciência e nenhuma forma de sabedoria podem ser negligenciado, nem aquela religiosa com sua própria línguagem… é um bem para a criação que nós crentes reconhecemos melhor os compromissos ecologicos resultantes de nossas crenças.

As narrações do Gênesis indicam as três relações fundamentais ligadas entre elas: com Deus, com o próximo e com a terra; mas também romperam-se: o pecado.

A harmonia entre o Criador, a humanidade e toda a criação foi destruída por termos pretendido ocupar o lugar de Deus, recusando reconhecer-nos como criaturas limitadas. Este facto distorceu também a natureza do mandato de «dominar» a terra e de a cultivar e guardar transformou-se num conflito. Por isso, é significativo que a harmonia vivida por São Francisco de Assis com todas as criaturas tenha sido interpretada como uma sanação daquela ruptura. (66)

O cristão não tem o mandato para subjugar, dominar a criação, mas para “cultivar e guardar” o jardim do mundo, de viver em uma relação de reciprocidade. Por isso, é negado pela Bíblia uma propriadade absluta da terra: o repouso do sétimo dia não é apenas para o homem. Todas as criaturas, queridas em seu próprio ser, refletem, em sua própria maneira, um raio de infinita sabedoria e bondade de Deus (70-74).

Esquecer Deus como Pai, Omnipotente e Criador leva o homem à autodeterminação, à tirania, à destruição (cf. 75).

Para a tradição judaico-cristã, dizer “criação” é mais do que dizer “natureza”, é dizer ato de amor, sentido, relacionamento; é desmitificar a natureza. De volta à natureza significa cuidar com a nossa inteligência, sabedoria e humildade (cf. 78). “Os governantes das nações dominam sobre elas, e seus líderes oprimem. Entre vós não seja assim; mas quem quiser tornar-se grande entre vós, será vosso servo “(20,25s Mt) (82).

Em virtude desta tudo se torna um sinal da presença de Deus, tudo se torna respeitável, mesmo o espaço geográfico onde experimentamos Deus: “Eu me expresso expressando o mundo; eu exploro minha sacralidade decifrando aquela do mundo “(Paul Ricoeur) (85); Laudato sie, mi’ Signore, cum tucte le tue creature, spetialmente messor lo frate sole…

Mas dizendo isto não esquecemos que existe uma distância infinita, que as coisas deste mundo não contêm a plenitude de Deus (88).

As diferentes partes da natureza, incluindo o homem, estão em intimo relacionamento entre elas. «Deus uniu-nos tão estreitamente ao mundo que nos rodeia, que a desertificação do solo é como uma doença para cada um, e podemos lamentar a extinção de uma espécie como se fosse uma mutilação» (89)

Mas não pode ser autêntico um sentimento de união íntima com os outros seres da natureza, se ao mesmo tempo não houver no coração ternura, compaixão e preocupação pelos seres humanos…Por isso, exige-se uma preocupação pelo meio ambiente, unida ao amor sincero pelos seres humanos e a um compromisso constante com os problemas da sociedade (91).

Isto significa que não se pode falar de ecologia, se não nos importamos dos mais desfavorecidos.

O princípio da subordinação da propriedade privada ao destino universal dos bens e, consequentemente, o direito universal ao seu uso é uma «regra de ouro» do comportamento social e o «primeiro princípio de toda a ordem ético-social».A tradição cristã nunca reconheceu como absoluto ou intocável o direito à propriedade privada, e salientou a função social de qualquer forma de propriedade privada (93). Por isso, os bispos da Nova Zelândia perguntavam-se que significado possa ter o mandamento «não matarás», quando «uns vinte por cento da população mundial consomem recursos numa medida tal que roubam às nações pobres, e às gerações futuras, aquilo de que necessitam para sobreviver» (95).

A relação com a natureza e sua propriedade foi interrompida pelo pecado, mas Cristo em sua morte e ressurreição restabeleceu o equilíbrio certo e nos deu o Espírito de vida para reconstruí-la com Ele (100).

 

Perguntas:

Ciência e fé em diálogo: o que os seus estudos podem ajudar a recriar a harmonia com a criação?
O sétimo dia, quanto fazemos descansar as coisas, a natureza, as pessoas?
A incapacidade de repouso leva à auto-destruição, à tirania?
Você alguma vez raciocinou sobre o valor, sobre a inferência social de cada sua escolha (carteira de apólices)?
Quantas vezes você “mata” alguém com os seus consumos?
Você benefícia, tira vantagem do Espírito Santo que lhe foi dado para reconstruir?

Come arrivare al 25 gennaio?

Cari confratelli e amici,

eccoci ancora alle “prese” con la festa della conversione del nostro Paolo santo.

Vi proponiamo di “incontrarci” via web lunedì 25 dalle ore 20.30 alle ore 21.30 per ragionare e pregare insieme sull’esperienza di misericordia che ha operato in Paolo. Come ben capite non è possibile trovare un orario uguale per tutti, quindi dobbiamo cercare di fare qualche piccolo sforzo o, se preferiamo, inviarci un piccolo video da trasmettere durante la diretta.

Per collegarci siete invitati ad avvisarmi per tempo via mail e, entro poche ore dalla diretta, clickare il link www.giovanibarnabiti.it/stpaulonair così da ricevere i codici di accesso alla diretta (senza codici potrete vederci ma non intervenire).

 

Per prepararci in modo adeguato alla discussione via web possiamo tenere come punto di riferimento la prima lettera di san Paolo a Timoteo:

[1Tim 1,12]Rendo grazie a colui che mi ha dato la forza, Cristo Gesù Signore nostro, perché mi ha giudicato degno di fiducia chiamandomi al mistero: 13io che per l’innanzi ero stato un bestemmiatore, un persecutore e un violento. Ma mi è stata usata misericordia, perché agivo senza saperlo, lontano dalla fede; 14così la grazia del Signore nostro ha sovrabbondato insieme alla fede e alla carità che è in Cristo Gesù.

15Questa parola è sicura e degna di essere da tutti accolta: Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori e di questi il primo sono io. 16Ma appunto per questo ho ottenuto misericordia, perché Gesù Cristo ha voluto dimostrare in me, per primo, tutta la sua magnanimità, a esempio di quanti avrebbero creduto in lui per avere la vita eterna.

17Al Re dei secoli incorruttibile, invisibile e unico Dio, onore e gloria nei secoli dei secoli. Amen.

Quindi quanto leggiamo in papa Francesco, messaggio per la pace 2016:

«La misericordia è il cuore di Dio. Perciò dev’essere anche il cuore di tutti coloro che si riconoscono membri dell’unica grande famiglia dei suoi figli; un cuore che batte forte dovunque la dignità umana – riflesso del volto di Dio nelle sue creature – sia in gioco. Gesù ci avverte: l’amore per gli altri – gli stranieri, i malati, i prigionieri, i senza fissa dimora, perfino i nemici – è l’unità di misura di Dio per giudicare le nostre azioni. Da ciò dipende il nostro destino eterno. Non c’è da stupirsi che l’apostolo Paolo inviti i cristiani di Roma a gioire con coloro che gioiscono e a piangere con coloro che piangono (cfr Rm 12,15), o che raccomandi a quelli di Corinto di organizzare collette in segno di solidarietà con i membri sofferenti della Chiesa (cfr 1 Cor 16,2-3). E san Giovanni scrive: «Se qualcuno possiede dei beni di questo mondo e vede suo fratello nel bisogno e non ha pietà di lui, come potrebbe l’amore di Dio essere in lui?» (1 Gv 3,17; cfr Gc 2,15-16)».

Invece in Misericordiae Vultus leggiamo:

«Il richiamo che Gesù fa al testo del profeta Osea – « voglio l’amore e non il sacrificio » (6,6) – è molto significativo in proposito. Gesù afferma che d’ora in avanti la regola di vita dei suoi discepoli dovrà essere quella che prevede il primato della misericordia, come Lui stesso testimonia, condividendo il pasto con i peccatori. La misericordia, ancora una volta, viene rivelata come dimensione fondamentale della missione di Gesù. Essa è una vera sfida dinanzi ai suoi interlocutori che si fermavano al rispetto formale della legge. Gesù, invece, va oltre la legge; la sua condivisione con quelli che la legge considerava peccatori fa comprendere fin dove arriva la sua misericordia.

«Anche l’apostolo Paolo ha fatto un percorso simile. Prima di incontrare Cristo sulla via di Damasco, la sua vita era dedicata a perseguire in maniera irreprensibile la giustizia della legge (cfr Fil 3,6). La conversione a Cristo lo portò a ribaltare la sua visione, a tal punto che nella Lettera ai Galati afferma: « Abbiamo creduto anche noi in Cristo Gesù per essere giustificati per la fede in Cristo e non per le opere della Legge » (2,16). La sua comprensione della giustizia cambia radicalmente. Paolo ora pone al primo posto la fede e non più la legge. Non è l’osservanza della legge che salva, ma la fede in Gesù Cristo, che con la sua morte e resurrezione porta la salvezza con la misericordia che giustifica. La giustizia di Dio diventa adesso la liberazione per quanti sono oppressi dalla schiavitù del peccato e di tutte le sue conseguenze. La giustizia di Dio è il suo perdono (cfr Sal 51,11-16).

«21. La misericordia non è contraria alla giustizia ma esprime il comportamento di Dio verso il peccatore, offrendogli un’ulteriore possibilità per ravvedersi, convertirsi e credere. L’esperienza del profeta Osea ci viene in aiuto per mostrarci il superamento della giustizia nella direzione della misericordia. L’epoca di questo profeta è tra le più drammatiche della storia del popolo ebraico. Il Regno è vicino alla distruzione; il popolo non è rimasto fedele all’alleanza, si è allontanato da Dio e ha perso la fede dei Padri. Secondo una logica umana, è giusto che Dio pensi di rifiutare il popolo infedele: non ha osservato il patto stipulato e quindi merita la dovuta pena, cioè l’esilio. Le parole del profeta lo attestano: « Non ritornerà al paese d’Egitto, ma Assur sarà il suo re, perché non hanno voluto convertirsi » (Os 11,5). Eppure, dopo questa reazione che si richiama alla giustizia, il profeta modifica radicalmente il suo linguaggio e rivela il vero volto di Dio: « Il mio cuore si commuove dentro di me, il mio intimo freme di compassione. Non darò sfogo all’ardore della mia ira, non tornerò a distruggere Èfraim, perché sono Dio e non uomo; sono il Santo in mezzo a te e non verrò da te nella mia ira » (11,8-9). Sant’Agostino, quasi a commentare le parole del profeta dice: « È più facile che Dio trattenga l’ira più che la misericordia ».[13] È proprio così. L’ira di Dio dura un istante, mentre la sua misericordia dura in eterno.

«Se Dio si fermasse alla giustizia cesserebbe di essere Dio, sarebbe come tutti gli uomini che invocano il rispetto della legge. La giustizia da sola non basta, e l’esperienza insegna che appellarsi solo ad essa rischia di distruggerla. Per questo Dio va oltre la giustizia con la misericordia e il perdono. Ciò non significa svalutare la giustizia o renderla superflua, al contrario. Chi sbaglia dovrà scontare la pena. Solo che questo non è il fine, ma l’inizio della conversione, perché si sperimenta la tenerezza del perdono. Dio non rifiuta la giustizia. Egli la ingloba e supera in un evento superiore dove si sperimenta l’amore che è a fondamento di una vera giustizia. Dobbiamo prestare molta attenzione a quanto scrive Paolo per non cadere nello stesso errore che l’Apostolo rimproverava ai Giudei suoi contemporanei: «Ignorando la giustizia di Dio e cercando di stabilire la propria, non si sono sottomessi alla giustizia di Dio. Ora, il termine della Legge è Cristo, perché la giustizia sia data a chiunque crede» (Rm 10,3-4). Questa giustizia di Dio è la misericordia concessa a tutti come grazia in forza della morte e risurrezione di Gesù Cristo. La Croce di Cristo, dunque, è il giudizio di Dio su tutti noi e sul mondo, perché ci offre la certezza dell’amore e della vita nuova».

Battesimo di Gesù

Domenica del Battesimo del Signore – 2016 / C 13 gennaio

Si chiude oggi il tempo di Natale, si chiude con la rivelazione di Gesù, non solo come salvatore delle genti, l’Epifania, bensì come Figlio di Dio, il Battesimo. A questa manifestazione si aggiungerà quella dell’operare di Gesù, a Cana di Galilea, dove comincerà il suo ministero con il miracolo dell’acqua trasformata in vino.

Da sempre la liturgia tiene insieme questi tre momenti per ricordarci l’umanità divina di Gesù, per evidenziare l’identità e la missione di Gesù.

Gesù è colui che non ha mancato di farsi uomo, per dire al mondo intero, all’universo intero che non è solo, che non è abbandonato alle proprie violenze, alle proprie guerre, alle proprie preoccupazioni, al proprio peccato, ma è chiamato a celebrare il banchetto celeste, ricolmo di vino nuovo.

Ma il mistero della festa di oggi ci spiega il modo in cui Dio opera in Gesù per noi.

C’è una domanda della gente sul chi sia il messia e Giovanni il Battista cerca una risposta, ma non si mette al posto del messia.

Arriva un uomo, tra gli uomini, in preghiera – silenziosa! – che condivide con gli altri uomini il bisogno di conversione.

Su quest’uomo, vissuto nel silenzio per trent’anni, in forma corporea scende lo Spirito santo; non in modo astratto, teorico, ma in forma corporea, concreta: Dio non disdegna di farsi vedere, conoscere, condividere.

Lo Spirito santo conferma quest’uomo in quanto Figlio di Dio e segna a lui la strada: quello che a noi dovrebbe succedere con la Cresima!

C’è in questo fatto che accade a Gesù la sintesi, il riassunto di tutto l’agire di Gesù.

Lo Spirito santo discese sulla terra, nel corpo di Maria per aprire la terra al cielo e generare il Figlio.

Lo Spirito santo ora ritorna con rinnovata potenza su Colui che è disceso in terra per dare alla terra, agli uomini, la sicurezza che Dio non è più lontano.

Gesù pregava, in silenzio, come sulla croce, Gesù prega in silenzio per donarci lo Spirito: chinato il capo spirò.

Siamo di fronte al primo atto di quella che sarà la Pentecoste per tutti noi. La festa del battesimo del Signore ci insegna come prepararci al dono dello Spirito.

Chi come Gesù accetta il limite umano, la fragilità della creazione, è riempito del suo Spirito e comincia a gustare la vita nuova del Figlio di Dio.

A questo punto, dalle azioni di Gesù alcune domande:

Gesù pregava;
Gesù cammina tra gli uomini;
Gesù accoglie il dono dello Spirito santo;
Gesù dona il dono dello Spirito santo:

come preghiamo?
Con parole a memoria o ascoltando in silenzio Dio e vivendo ciò che ascoltiamo?
Come camminiamo tra gli uomini?
Di fronte ai fatti di questi giorni diventiamo isterici ed estremisti o siamo capaci di      testimoniare una fede di discernimento, di ragionamento per trovare soluzioni?
Come accogliamo il dono dello Spirito santo?
Mettiamo a frutto la sapienza, l’intelligenza, la fortezza, la pace per affrontare i
drammi e le preoccupazioni di oggi?
Come condividiamo il dono dello Spirito santo?
Ci chiudiamo in una fede intimistica o facciamo la fatica di convivere con gli uomini per portare
loro la luce di Cristo?

La guerra del pensare, ragionare, scrivere

L’anno passato ci ha lasciato difficili e drammatiche situazioni che non sappiamo come affrontare. L’anno appena arrivato vede già due begli articoli di Fabio e Pasqua che ci insegnano una semplice ma ardua soluzione: pensare, ragionare, scrivere.

Non sono gli isterismi a cui ci aggrappiamo che risolvono le paure e la fatica di continuare a vivere, ma la voglia di pensare, ragionare, scrivere.

Un mio amico impresario scrive che oggi i giovani, ma anche noi adulti io credo, hanno bisogno di modelli, di punti di riferimento per affrontare la liquidità nella quale sono obbligati a vivere. Sapere che la lettura è al terzo posto tra gli interessi dei giovani, dopo musica e internet e che il volontariato trova molto spazio nel loro tempo libero è un modello che dobbiamo amplificare.

Leggere, pensare, ragionare, scrivere sono le migliori “armi” per combattere le armi della violenza, del sopruso, dell’ubriacatura ideologica o religiosa. Non gli isterismi o le reazioni di pancia, ma l’uso della sapienza, dell’intelligenza, della fortezza sono le migliori armi per affrontare Parigi, Colonia, Damasco, Teheran… Armi meno efficaci? A prima vista sicuramente, ma a lungo tempo no. La storia in questo ci è maestra, seppure talvolta ce ne dimentichiamo.

È questo il motivo per cui inizio questo nuovo anno 2016 ringraziando Pasqua e Fabio ma anche quant’altri hanno già pubblicato nel 2015 o avranno la voglia di raccontarci, di aiutarci a capire qualche cosa attraverso la propria capacità di leggere, pensare, ragionare e scrivere.

Papa Francesco ci invita a combattere la “globalizzazione dell’indifferenza” se vogliamo salvaguardare il mondo; voi, noi giovanibarnabiti possiamo con orgoglio dirci in prima linea in questa “guerra” e desiderosi di continuare a combatterla per costruire una “globalizzazione della responsabilità”.

Buon lavoro,

Giannicola M. Simone, prete.

Vinci l’indifferenza e conquista la pace

2016 gennaio 01

Sorelle e fratelli
al termine di un anno siamo chiamati da Dio a ringraziarlo per questo tempo che ci è stato donato, ma anche a verificare come lo abbiamo vissuto.
All’inizio di un anno siamo invitati a prenderci i giusti impegni per viverlo come Dio chiede a tutti noi credenti.
Le letture di oggi ci invitano a riflettere sulla pienezza del tempo che ci è stata donata, una pienezza ottenuta grazie alla responsabilità di Maria che non è rimasta indifferente alla chiamata di Dio. Maria ci insegna che per accogliere Dio non è sufficiente pregare un poco di più, stare un po’ di più in chiesa e poi restare indifferenti al mondo circostante. Maria ci insegna a prenderci le nostre responsabilità per costruire la giustizia e la pace. Maria, la benedetta fra le donne, ci insegna che la benedizione ricevuta da Dio non è un bene personale, bensì un bene da condividere. Abbiamo bisogno, anzi è un dovere di tutti noi chiedere a Maria di insegnarci a vivere il tempo in modo pieno, a pregare per testimoniare, a benedire come lei ha benedetto il suo tempo e il nostro, a condividere con gli altri il dono del Salvatore (questo è il significato del nome Gesù).
Come possiamo lasciarci interpellare da Maria? Leggendo insieme alcuni passaggi del messaggio per la pace che papa Francesco ha scritto per tutti gli uomini che Dio ama e cercando, ognuno di prendersi l’impegno che papa Francesco ci chiede.

Vinci l’indifferenza e conquista la pace (2016)
http://m.vatican.va/content/francescomobile/it/messages/peace/documents/papa-francesco_20151208_messaggio-xlix-giornata-mondiale-pace-2016.html

1. Dio non è indifferente! A Dio importa dell’umanità, Dio non l’abbandona! Non perdiamo, infatti, la speranza che il 2016 ci veda tutti fermamente e fiduciosamente impegnati, a diversi livelli, a realizzare la giustizia e operare per la pace. Sì, quest’ultima è dono di Dio e opera degli uomini. La pace è dono di Dio, ma affidato a tutti gli uomini e a tutte le donne, che sono chiamati a realizzarlo.
Dobbiamo vincere l’indifferenza e conquistare la pace.
La prima forma di indifferenza nella società umana è quella verso Dio, dalla quale scaturisce anche l’indifferenza verso il prossimo e verso il creato. È questo uno dei gravi effetti di un umanesimo falso e del materialismo pratico, combinati con un pensiero relativistico e nichilistico. L’uomo pensa di essere l’autore di sé stesso, della propria vita e della società; egli si sente autosufficiente e mira non solo a sostituirsi a Dio, ma a farne completamente a meno; di conseguenza, pensa di non dovere niente a nessuno, eccetto che a sé stesso, e pretende di avere solo diritti.
La seconda forma d’indifferenza è nei confronti del prossimo e assume diversi volti. C’è chi è ben informato, ascolta la radio, legge i giornali o assiste a programmi televisivi, ma lo fa in maniera tiepida, quasi in una condizione di assuefazione: queste persone conoscono vagamente i drammi che affliggono l’umanità ma non si sentono coinvolte, non vivono la compassione. Questo è l’atteggiamento di chi sa, ma tiene lo sguardo, il pensiero e l’azione rivolti a se stesso
La forma di indifferenza verso il prossimo si manifesta anche come mancanza di attenzione verso la realtà circostante, specialmente quella più lontana. Alcune persone preferiscono non cercare, non informarsi e vivono il loro benessere e la loro comodità sorde al grido di dolore dell’umanità sofferente.
Infine, viviamo in una casa comune, la terra, il creato intero. L’inquinamento delle acque e dell’aria, lo sfruttamento indiscriminato delle foreste, la distruzione dell’ambiente, sono sovente frutto dell’indifferenza dell’uomo verso gli altri, perché tutto è in relazione. Come anche il comportamento dell’uomo con gli animali influisce sulle sue relazioni con gli altri, per non parlare di chi si permette di fare altrove quello che non osa fare in casa propria.
In questi ed in altri casi, l’indifferenza provoca soprattutto chiusura e disimpegno, e così finisce per contribuire all’assenza di pace con Dio, con il prossimo e con il creato.
Per vincere l’indifferenza siamo chiamati a coltivare la misericordia o, detto con un termine più moderno, la solidarietà.
Così, anche noi siamo chiamati a fare dell’amore, della compassione, della misericordia e della solidarietà un vero programma di vita, uno stile di comportamento nelle nostre relazioni gli uni con gli altri. Ciò richiede la conversione del cuore: che cioè la grazia di Dio trasformi il nostro cuore di pietra in un cuore di carne (cfr Ez 36,26), capace di aprirsi agli altri con autentica solidarietà. Questa, infatti, è molto più che un «sentimento di vaga compassione o di superficiale intenerimento per i mali di tante persone, vicine o lontane». La solidarietà «è la determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune: ossia per il bene di tutti e di ciascuno perché tutti siamo veramente responsabili di tutti», perché la compassione scaturisce dalla fraternità.
8. Nello spirito del Giubileo della Misericordia, ciascuno è chiamato a riconoscere come l’indifferenza si manifesta nella propria vita e ad adottare un impegno concreto per contribuire a migliorare la realtà in cui vive, a partire dalla propria famiglia, dal vicinato o dall’ambiente di lavoro.
Affido queste riflessioni, insieme con i migliori auspici per il nuovo anno, all’intercessione di Maria Santissima, Madre premurosa per i bisogni dell’umanità, affinché ci ottenga dal suo Figlio Gesù, Principe della Pace, l’esaudimento delle nostre suppliche e la benedizione del nostro impegno quotidiano per un mondo fraterno e solidale.

E tu quale impegno contro l’indifferenza per questo anno 2016?
Puoi condividerlo con noi?

Santo Natale 2015

È notte, anche se è giorno il momento in cui celebriamo questa messa, è comunque notte, perché il Natale rimanda alla notte, al buio, alle stelle, al silenzio.
La notte richiama il tempo che scorre, l’ignoto e il bisogno di senso;
le stelle il cosmo, l’universo intero con i suoi misteri, la sua scienza, le sue misure;
gli angeli, i messaggeri straordinari di Dio che appaiono quando c’è qualche cosa di veramente importante ed eccezionale;
poi ci sono i pastori, sporchi, ignoranti, non adatti ad ascoltare la parola di Dio;
e il silenzio, come nella notte dei tempi, quando Dio creò Adamo ed Eva.
Ma non mancano i potenti, la città con le sue frenesie – un poco come le code di macchine e ai supermercati di questi giorni –, per una volta di giorno, alla luce del sole, quasi che la bibbia volesse dire che l’iniquità, le ingiustizie non possono più essere nascoste.
In tutto questo quadro così essenziale, ma così preciso, un uomo e una donna obbediscono alla sete di potere di Augusto che voleva contare il suo popolo, ma non l’imperatore e i suoi ministri, bensì Dio prende per mano Maria e Giuseppe e li conduce nel luogo dove nascerà il loro primogenito che sarà chiamato Gesù, il Salvatore; Emmanuele, Dio-con-noi!
Non l’imperatore, ma Gesù è il Salvatore; non un tempo vuoto, ma un tempo pieno, Dio-con-noi!
(Quando penso a molte di voi, donne e nonne di questa terra, a molte di voi affaticate, schiacciate da situazioni difficili, da lavori pesanti, da potenti che vi rendono schiavi; quando vedo la vostra fede, capisco cosa significhi Gesù è il Salvatore, Emmanuele Dio-con-noi!).
Certo oggi l’uomo è più maturo, più autonomo, più libero, non ha bisogno di Dio e anche molti cristiani vivono con un Dio che non si chiama più Emmanuele, Dio-con-noi; quanti cristiani atei ci sono.
Eppure Dio sceglie oggi di nascere con questo uomo non per togliergli l’autonomia, bensì per dire che da Natale non è più solo; non per togliergli la libertà, ma per insegnargli la libertà; non per renderlo schiavo, bisognoso, ma per fargli capire che Dio ha “bisogno” dell’uomo per annunciare a tutto l’universo la giustizia, la pace, la misericordia e la verità.
E non ha bisogno dei potenti, dell’imperatore, Dio ha bisogno di due sconosciuti, Giuseppe e Maria per farsi uomo, Dio-con-noi; Dio ha bisogno dei pastori, sì di questi uomini ignoranti, sporchi, che non avevano il diritto di ascoltare la parola di Dio; Dio ha bisogno di questi pastori per annunciare la gioia della salvezza: la pace, la giustizia, la misericordia, la verità.
E qui vorrei pregare per tutte quelle persone, quelle donne – anche qui a San Felice – che lottano per la pace, per la giustizia, per la misericordia, per la verità.
Dio non ha avuto paura a farsi uomo per noi, noi non abbiamo paura a celebrare la giustizia, la pace, la misericordia, la verità!
Dio non si è chiuso nel suo cielo, ma è sceso tra noi, tra la nostra povertà, o tra le nostre ricchezze.
Vorrei chiedervi un regalo per questo Natale: aprite un poco le porte delle vostre case all’altro; preoccupatevi un poco di più e meglio di quanto accade intorno a voi; fate anche solo un piccolo gesto per qualcuno che forse non se lo merita, ma chi di noi si merita la misericordia di Dio?; fate sì che le vostre preghiere, le vostre messe non siano solo delle belle parole – come quelle dei potenti – ma diventino lievito di pace e di giustizia.
A Natale Dio si è fatto Dio-con-noi perché anche noi, a nostra volta, diventiamo di più portatori di gioia e di salvezza tra gli uomini tutti che Dio ama. Ma non portatori per finta, perché Dio non si è fatto uomo per finta, si è fatto uomo davvero sino alla morte! Alla morte per noi!
Santo Natale a tutti voi.

Le donne

Evviva le donne, verrebbe da scrivere commentando le letture di oggi, 4 domenica di Avvento.
Si perché anche se la Chiesa non sempre è stata “femminista” il vangelo, e non solo quello di oggi, è assolutamente femminile!
Dio non ha scelto di rivelarsi in modo extranaturale, ha scelto il semplice corpo di una donna qualunque di un paese qualunque.
Ma la assoluta normalità di Maria non le ha vietato di ragionare e scegliere come rispondere alla proposta di Dio. Le paure e le preoccupazioni di Zaccaria, marito dell’altra donna del Vangelo, Elisabetta e di Giuseppe non fanno parte del vigore e della determinazione di Maria.
Maria, in questo racconto, è forse la vera icona del vero cristiano; nel vangelo di oggi leggiamo infatti il modello del cristiano.
Maria p colei che per prima riceve il dono dello Spirito santo in modo definitivo da qui ne consegue il suo “alzarsi” e “correre” verso la cugina Elisabetta.
Il verbo alzare è lo stesso verbo usato per indicare la risurrezione di Cristo: colei e colui che ricevono lo Spirito santo sono rialzati dalla sua forza a una vita nuova! E, come i discepoli all’incontro con il risorto, si comincia a correre ad annunciare a tutti la bella notizia. Il nostro caro SAMZ direbbe di “correre come matti verso Dio e verso il prossimo!”.
Dove trova Maria la forza per tale corsa? Nell’azione dello Spirito santo che non solo dona vita addirittura “contamina” Elisabetta, ignara di tutto, facendole sussultare il grembo.
L’azione dello Spirito santo dona vita, dona forza per correre, e contagia quanti incontra.
La comunità cristiana di Luca che aveva fatto esperienza di Pentecoste, pone Maria come prototipo, come modello dell’azione dello Spirito santo; lei che si ritroverà nel Cenacolo a pregare con i discepoli aveva già fatto esperienza dell’azione dello Spirito nel suo corpo, vero e primo cenacolo.
Attendere Gesù che viene significa perciò attendere, voler sperimentare la dolce potente azione dello Spirito santo perché, nonostante il nostro peccato, fecondi i nostri corpi per renderli portatori di Cristo, per insegnare loro a correre verso Dio e verso il prossimo, per farli capaci di contagiare tutti coloro che il Signore pone sulle nostre strade.
Solo così saremo degni di poter recitare la preghiera dell’Ave Maria e cantare con lei: Magnifica il Signore l’anima mia…