Un dialogo aperto con l’islam

Osservatore Romano, 2015-06-01

 La nuova «Oasis»

Un dialogo aperto con l’islam

di MARIA LAURA CONTE

Venezia, giugno 2004: al primo incontro del comitato scientifico internazionale di «Oasis» sono presenti il vescovo di Tunisi, Maroun Elias Nmeh Lahham, l’arcivescovo grecomelchita di Aleppo, Jean-Clément Jeanbart, il vescovo di Islamabad, Anthony Lobo, per citare solo alcuni dei numerosi ospiti giunti da Oriente e Occidente per rispondere a un invito. Lavoriamo insieme per produrre una rivista plurilingue che possa essere strumento di supporto culturale per le comunità dei cristiani che vivono in Paesi a maggioranza musulmana. Un invito a rispondere a una domanda concreta, espressa dai patriarchi e vescovi delle Chiese orientali, non esercizio intellettuale astratto. «Quale soggetto e strumento espressivo — rilevò il cardinale Angelo Scola in quella circostanza — “Oasis” può in qualche modo favorire la nascita di un soggetto comunionale (…) e aiutarci ad affrontare il fenomeno “musulmano”. Nello stesso tempo, tale strumento potrà educare i battezzati che vivono in Paesi tradizionalmente cristiani a incontrare i musulmani e gli uomini delle altre religioni che, ormai numerosi, vivono in Europa e nelle Americhe».

Giugno 2015: «Oasis» ha sede a Venezia e Milano, la rete del comitato scientifico si è ampliata e può contare sulla presenza di alcuni intellettuali musulmani accanto a personalità ecclesiastiche e del mondo accademico. Alla rivista si è affiancata una newsletter, una serie di libri e gli account sui social network; l’orizzonte della ricerca si è allargato fino a scegliere come sottotitolo «cristiani e musulmani nel mondo globale», a rimarcare la loro rilevanza culturale reciproca.

Ma ancora non basta: le circostanze storiche attuali, incalzanti, se da un lato confermano l’intuizione originaria, dall’altro chiedono un passo in più. Lo spiegano drammaticamente le vicende che hanno segnato alcuni dei presenti a Venezia in quell’estate di oltre dieci anni fa e dei loro Paesi: il Pakistan non riesce a uscire dalla spirale di odio che colpisce le minoranze non musulmane, la Tunisia di oggi ha poco in comune con quella di allora, essendosi aperta alla democrazia, mentre in Siria e Iraq i confini sono saltati per l’azione di Is. L’Aleppo di Jeanbart è oggi un campo di macerie di una guerra senza tregua. E sull’altro versante, quello occidentale, è evidente come le nostre società, sempre più plurali e “meticce”, sono attraversate da tensioni che chiedono di essere sciolte.

Sollecitata da tutti questi dati, «Oasis» ha deciso di rinnovare forma e contenuto, che sempre si intrecciano: la rivista punta con più decisione su un tema monografico per offrire una maggiore unitarietà nella lettura dei processi storici in atto; indirizza la ricerca comune verso l’elaborazione di un giudizio culturale più esplicito, osando una lettura sintetica; infine accentua il metodo scelto all’origine di parlare “con” i musulmani e non solo “di” loro, che si è dimostrato negli anni molto fecondo.

Le nuove scelte si documentano nel primo numero della nuova edizione (n. 21) che prende in esame la crisi che investe l’islam e tutte le realtà che ne sono a contatto. Europa e Occidente compresi. Il titolo, Islam al crocevia. Tradizione, riforma, jihad, viene ben illuminato dall’espressione emblematica di uno degli autori di questo numero, Hamadi Redissi, che osserva: «Tutti parlano in nome dell’islam, ma non dello stesso islam; ognuno lo reinventa nel presente».

Da semestrale la rivista può permettersi di accogliere le domande sollevate dalla cronaca, di non schiacciarsi sul presentismo e guardare indietro, alla storia degli ultimi secoli: come l’islam ha avviato una riforma che, rileggendo la tradizione, l’ha ammodernata ma anche ideologizzata, ponendo i germi del jihadismo che oggi si manifesta in uno spaventoso nichilismo. E come ora, nello sforzo obbligato di rispondere all’incontro con la modernità, questo molteplice islam sia arrivato a un bivio decisivo, al centro del quale sta la questione “violenza”.

Nella prima parte della rivista, “Temi”, una sequenza di articoli sviluppa da angolature diverse il titolo di copertina, con una più spiccata unitarietà rispetto al passato, tracciata da un breve editoriale in apertura di Martino Diez. Tra gli autori di questo numero di «Oasis» gli egiziani Sherif Younis e Wael Farouq, l’indiana Aminah Mohammad-Arif, l’iraniana Forough Jahanbakhsh, il marocchino Hassan Rachik, l’americano David Cook e il curdo Hamit Bozarslan. Segue la sezione “Classici”, del pensiero islamico e cristiano: estratti di al-Jâhiz e al-Ghazâlî, sul tema del dubbio come metodo utile, anche se non sufficiente, per raggiungere la certezza, e del grande islamologo Louis Gardet, che riflette sull’atto di fede nell’islam. Il foto-reportage da Erbil, racconto di viaggio e di incontri personali, offre un’ulteriore prospettiva sul tema guida del numero, mettendo a fuoco il volto delle vittime della deriva violenta dell’islam jihadista, in particolare i cristiani dell’Iraq. Infine chiude la rivista una rassegna di recensioni di libri e film offerte ai lettori che desiderano approfondire ulteriormente i temi offerti con nuove analisi e argomentazioni.

La scelta del nuovo formato, più amico del digitale, ha ricevuto ulteriore impulso da un altro fattore: la volontà di favorire una diffusione più capillare nei Paesi del mondo musulmano, in Medio Oriente, Africa e in Asia, dove la versione su carta arriva con maggior fatica, e allargare così la rete di persone con cui attuare uno scambio effettivo.

Giovani musulmani e mentalità di Provincia

La mentalità di Provincia (ottusa, ignorante, ristretta ed infantile) e quella dei cristiani bigotti, che “predicano bene, ma razzolano male”, sono motivo di grande imbarazzo, disgusto e paura, a mio avviso.
Io, nonostante sia cristiana come tante persone che hanno creato questa ridicola “bufera”, sono per il dialogo, lo scambio costruttivo e l’apertura alla cultura: essere disponibile e aperti alla conoscenza di altre culture dà un’enorme ricchezza, da più punti di vista.
Sono tutte accuse sciocche e infondate: il gazebo non è stato aperto per fare indottrinamento islamico estremista, come in molti temono; il gazebo non si trova a ridosso o dentro una chiesa, si trova in piazza, nel centro della città.
Le frasi da dibattito a riguardo, in assoluto più ignoranti e più irritanti sono quelle basate sul confronto tra “nostro Paese – loro Paese”: “ci fanno provare il velo qui, ma se fai provare la minigonna là, ti uccidono”, “se lo fai al loro paese, ti lapidano” e altre infelici e squallide uscite. Riprendetevi, perché se noi siamo così patriottici e innamorati del nostro paese, è anche perché noi siamo nella condizione di poter concedere libertà, che sia di espressione (tutti i JeSuisCharlie con cui avete tappezzato i social che cosa significavano, dunque?) che sia di pensiero. Non è colpa di nessuna di queste persone se “al loro paese” ci sono regimi basati su dittature e terrorismo, che non concedono NESSUN tipo di libertà. Ma soprattutto.. il nesso con il paragone tra i due paesi?! Questo metodo del “ripagarli allo stesso modo” mi sembra un gesto così infantile e sciocco.. Dimostrate che l’Italia è il paese buono che dite di amare, partendo dalle piccole realtà, come Lodi. Dimostrate la vostra cristianità non dietro a frasi patriarcali, apocalittiche e di discriminazione: Papa Francesco ha detto: “Il dialogo islamico-cristiano esige pazienza e umiltà. Dobbiamo formare i nostri giovani a pensare e parlare in modo rispettoso delle altre religioni e dei loro seguaci. È fondamentale che i cittadini musulmani, ebrei e cristiani – tanto nelle disposizioni di legge, quanto nella loro effettiva attuazione – godano dei medesimi diritti e rispettino i medesimi doveri”.

Io, pertanto, condanno l’ignoranza, quella consapevole; condanno la ristrettezza e l’arretratezza di mentalità; condanno la paura del diverso, l’assidua ricerca di capri espiatori che non sono causa dei nostri mali; condanno i bigotti, la mediocrità; condanno il razzismo che vuole velarsi con il nome di giustizia nazionale.

VIVA LA CULTURA, L’INTERCULTURA,
VIVA I GIOVANI CHE VOGLIONO MIGLIORARE QUESTO MONDO,
VIVA LA FAME DI CONOSCENZA E LA CURIOSITA’.

Grazie di cuore ai Giovani Mussulmani di Lodi e d’Italia!

Francesca Beretta, Lodi

Buon compleanno GiovaniBarnabiti.it

Roma, 2015 maggio 27

Anniversario canonizzazione S. Antonio M. Zaccaria

 Cari amici di Giovanibarnabiti.it buon compleanno!

Un anno fa come oggi nasceva il nostro blog www.Giovanibarnabiti.itcon annesso inserto cartaceo IlGiovaniBarnabiti, quindi è giusto scambiarci gli auguri e mangiare una torta (seppur virtuale).

Ci sono luoghi che ormai è impossibile non abitare, si diceva in un recente convegno tenutosi in Calabria (“Comunicare nell’era del crossmediale. La fonte, la persona, i diritti”). Ci sono gli ambienti del digitale, dove la storia personale di ciascuno e della società è raccontata con parole nuove, in modi diversi, con tempi diversi.

Viviamo immersi nell’ambiente digitale, bacino incalzante e fluttuante d’informazioni e di dati. Un bacino da abitare.

Nello Spirito di Sant’Antonio M. Zaccaria, che fa della riforma e dell’attacco alla tiepidezza i propri cavalli di battaglia, non potevamo non entrare in questi ambienti di “incontro” per continuare ad annunciare, con discrezione, il Vangelo in un mondo che cambia! Per far abitare anche qui il lume e foco propri dell’annuncio zaccariano. (http://www.treccani.it/enciclopedia/antonio-maria-zaccaria-santo_(Dizionario-Biografico)/

Sempre nel convegno calabrese si legge: “La rete è l’ambiente ideale per la narrazione di ‘storie incrociate’ in cui gli utenti si sentono al centro della storia, diventando così spett-attori, e non soltanto fruitori. Ambienti, territori, città, che non sono soltanto luoghi geografici, punti su una cartina, ma spazi abitati dalle persone, entro i quali spendere il proprio tempo. E se il tempo è prezioso, allora occorre che gli spazi vengano abitati con qualità. In una società taggata, interconnessa, in rete il web è spazio privilegiato di aggregazione” capace di “produrre una voglia di comunicazione”, anche se “dovremo stare più attenti alla qualità della comunicazione che viene prodotta”.

Non so dirvi se abbiamo già prodotto voglia di comunicazione, però capacità di incontro, scoperta di saper scrivere con competenza quello che si pensa, voglia di condividere lo spirito zaccariano dai propri diversi punti di vista, questo lo abbiamo prodotto con gioia e anche un po’ di fatica!

Gioia, fatica e qualità mi auguro siano i regali che vogliamo farci in questo primo compleanno di Giovanibarnabiti.it per poter continuare ad annunciare il Mistero che si comunica da sempre con tutta la potenza della creatività dello Spirito!

Auguri Giovanibarnabiti.it e grazie a tutti i collaboratori visibili e invisibili!

Giannicola M. prete

Obama e Oscar Arnulfo Romero

Barak Obama e il beato Oscar Arnulfo Romero,

dall’Osservatore Romano del 25 maggio 2015, p. 6

Washington, 25.
L’arcivescovo di San Salvador Oscar Arnulfo Romero, ucciso nel marzo del 1980 mentre celebrava la messa, è stato d’«ispirazione per il popolo di El Salvador e di tutte le Americhe» e, nella loro politica di oggi in tutto il continente americano, gli Stati Uniti «sono guidati» dalla sua visione.
È quanto ha detto il presidente Barack Obama in una dichiarazione diffusa sabato, nella quale ha sottolineato di essere «grato a Papa Francesco per la sua leadership nel ricordarci il nostro dovere di aiutare i più bisognosi» e per la sua decisione di beatificare Romero.
Obama ha ricordato l’omaggio reso presso la tomba del presule durante la sua visita in El Salvador nel 2011 e ha ricordato come questi fosse «un saggio pastore e un uomo coraggioso, che seppe fronteggiare gli estremismi delle opposte fazioni. Senza paura, si confrontò con il male che vedeva, guidato dai bisogni del suo amato popolo, i poveri e gli oppressi di El Salvador. Il giorno seguente a quello in cui si appellò ai soldati perché cessassero di eseguire gli ordini repressivi del Governo, fu assassinato mentre diceva messa. È diventato un martire, e milioni di persone in tutte le Americhe, e il mondo intero, lo hanno subito visto come un santo». Il suo esempio «possa ispirare tutti noi al rispetto della dignità degli esseri umani» ha aggiunto Obama, ricordando come El Salvador abbia fatto «un grande percorso negli ultimi trentacinque anni.
Quelli che un tempo si fronteggiavano sul campo di battaglia oggi si contendono il voto e dibattono nell’Assemblea nazionale. Ma noi, insieme con il popolo salvadoregno, sappiamo che c’è ancora molto da fare».

Dalla confusione a Pentecoste

Sappiamo che la creazione geme e soffre le doglie del parto, sappiamo che siamo deboli e viviamo in un ulteriore momento di confusione: 100 anni fa la 1 guerra mondiale, oggi ancora guerre che pervadono il mondo; l’identificazione del matrimonio tra uomo e donna con l’unione tra persone del medesimo sesso; la corruzione che delapida e inquina le nostre terre; l’uomo che anche nel suo piccolo vuole raggiungere il cielo da solo.
Che fare? Prendere la spada e … ovvero chiudersi nella proprio microcosmo e …
Lasciamoci guidare dal dono di Dio: lo Spirito santo, il Paraclito, il Consolatore, l’Amore del Padre e del Figlio, il Cuore del nostro cuore!
Quanto accade oggi è il frutto dell’esserci troppo dimenticati di invocare lo Spirito santo. È lo Spirito santo colui che ci permette di comprendere come essere uomini, donne, cristiani.
L’alito di Dio, che Gesù soffierà sui discepoli dopo la sua resurrezione, la vita stessa di Dio che è la vita di Gesù, sarà vita nei discepoli e li abiliterà a essere suoi testimoni. Avverrà così una sinergia tra la testimonianza dello Spirito e quella del discepolo riguardo a Cristo: anche quando gli uomini sentiranno estranei i cristiani, anche nelle persecuzioni e nelle ostilità subite da parte del mondo, nella potenza dello Spirito i cristiani continueranno a rendere testimonianza a Gesù. Questa è la funzione decisiva dello Spirito santo che, come fu “compagno inseparabile di Gesù” (Basilio di Cesarea), dopo che Gesù lo ha inviato dalla sua gloria presso il Padre, è il compagno inseparabile di ogni cristiano.
Non le armi, ma la testimonianza è la difesa e la vittoria del cristiano.
Celebrare la Pentecoste significa imparare a testimoniare Gesù, portare il frutto dello Spirito.
Oggi la chiesa beatifica Oscar Arnulfo Romero, vescovo di El Salvador ucciso dai militari il 24 marzo 1984 solo perché viveva dello Spirito, testimoniava il Vangelo: la sua intercessione, come quella di tutti i cristiani che nonostante la persecuzione continuano a testimoniare il Vangelo, ci aiuti a portare frutto, ci aiuti a far fiorire i deserti dell’esistenza: questa è Pentecoste! Infatti la Pentecoste non è un evento che comincia e termina 50 giorni dopo la Pasqua di 2000 anni fa: la Pentecoste è continuamente un dono dello Spirito per conoscere meglio Gesù e per annunziarlo sempre e ovunque.
Ma come fare per vivere, per godere dello Spirito?
Semplice, mi diceva una vecchietta che non sapeva nemmeno parlare italiano, basta dire continuamente, tra un’attività e l’altra: Vieni Spirito santo!

Missionari o dimissionari?

Il cristiano è missionario o è dimissionario.

Così affermava Madelein Delbrèl, una giovane donna francese convertita al cristianesimo negli anni 50.

Cosa centra ciò con la festa di oggi? Centra, centra, perché oggi è la festa della testimonianza.

Infatti, i primi cristiani hanno legato indissolubilmente questo mistero della vita di Cristo con la loro missione; nonostante i propri cuori duri, la propria incredulità reiterata, le proprie paure, tutti atteggiamenti ben evidenziati dagli scribi evangelici e accolti dalle comunità cristiane degli inizi, Gesù li ha inviati ad annunciare il suo vangelo. Si è fidato di loro! Ha affidato loro il Vangelo di salvezza.

Come nella festa del Natale si celebra l’Incarnazione del Verbo, così nella festa dell’Ascensione si celebra l’incarnazione della missione tra i popoli. Lì Dio ci ha inviato il suo Figlio, qui il Figlio invia i discepoli.

Il cristiano è missionario o è dimissionario!

Voi siete missionari o dimissionari?

Missionari significa conoscere di più Gesù, attraverso la catechesi, la frequentazione dei vangeli.

Missionari significa: abbandonare se stessi, il proprio modo di essere, fare, pensare per annunciare solo Gesù; solo Gesù è il salvatore, non il nostro lavoro, il nostro apostolato.

Missionari significa: annunciare la speranza.

A questo proposito Giovanni Battista Montini predicava agli universitari:

«Per la Chiesa l’Ascensione è la festa della lontananza di Cristo. Quel fratello che abbiamo toccato… è ora avvolto in un ordine tuttora impenetrabile e invisibile. Non è perduto. Ma è lontano. A questo possesso in lontananza, corrisponde una virtù nuova della vita cristiana, la speranza. L’Ascensione è la festa della speranza.

Per noi l’Ascensione è lo spostamento del polo attorno a cui gira la vita umana: dalla terra al cielo. L’uomo agisce in quanto spera. L’uomo moderno commette ogni giorno questo peccato, di togliere la speranza, cioè di abbreviare il raggio di distanza. E quindi di movimento, dal fine cercato e sperato. Perciò l’uomo finisce per rimanere incatenato e prigioniero delle cose che cerca e che ottiene. La fede nuova fissa nel vertice del cielo il polo di movimento, e la speranza comincia il largo moto dello spirito che si orienta verso gli spazi infiniti ed eterni di Dio».

Spazi infiniti ed eterni di Dio che non sono le vie tra i pianeti e le stelle, ma le coscienze degli uomini nostri fratelli che ci sono affidati.

Speranza oltre la corruzione. P. M. Patriciello per Giovbarnabiti.it

Un fiume di acqua in piena per irrigare la speranza di cui abbiamo bisogno per crescere.
Cari amici di Giovanibarnabiti.it questo è il segno della lunga chiacchierata con padre Maurizio Patriciello, parroco di San Paolo Apostolo, Caivano, alle porte di Napoli: corruzione, legalità, fede, carità e speranza.

Se non sono indiscreto una prima domanda personale: chi è don Maurizio Patriciello?
Don Maurizio, anzi padre Maurizio come preferisco farmi chiamare perché don è il titolo dei camorristi, è un sacerdote della chiesa cattolica, un uomo che da adolescente si era allontanato dalla Chiesa, sbattendo le porte. Poi un giorno per un incontro fortuito con un francescano rinnovato, a cui ho dato un passaggio in auto, è nato un ritorno alla chiesa cattolica e un desiderio di conoscere di più la parola di Dio. Ho cominciato a studiare teologia da laico, quindi ho lasciato il mio lavoro perché mi è sembrato naturale entrare in seminario. Il desiderio di servire Dio con tutto me stesso; il ritorno alla Chiesa, la riscoperta della fede, è stato un tutt’uno.
Diventato prete sono arrivato qui a Caivano, alle porte di Napoli, in questo quartiere costruito per dare spazio ai terremotati del 1980.

Parlando con i giovani, tanti di quelli che io frequento ormai da anni, riscontro molto scoraggiamento, specialmente qui a Napoli, anche in chi non ha grossi problemi economici.
Questo è un quartiere molto povero e i problemi qui ci sono! Oggi è il primo maggio: come può festeggiarlo questa gente? Quanto farebbe bene del lavoro qui, in questo quartiere in cui passa -la droga per tutto il Sud Italia!
Però so che i giovani di oggi, anche senza problemi economici, vivono un disagio. Il mondo di oggi è cambiato: in pochi anni è successo quanto prima avrebbe richiesto 500 anni; un cambiamento repentino a cui non siamo preparati. I giovani di oggi nascono come se tutto fosse normale, ma non è normale niente! Come se tutto fosse presente!
La comunicazione è cambiata, così la famiglia che non ha più spazio per l’educazione.
Sapranno i nostri giovani gestire questa quantità di informazione, immagini, pensieri diversi… arrivando sempre a una conclusione ponderata, matura? Non so, non so!

La gestione dell’informazione è sicuramente complessa; poco fa abbiamo accennato alla droga, eppure oggi non si parla più di droga o sbaglio?
Non sbagli. Lo scorso inverno ero a parlare a Caserta, non vedevo la gente causa l’illuminazione. Mi sono presentato: buona sera, sono padre Maurizio, parroco a Caivano, parco Verde. Ci vedo poco, ma ci sento bene e mi sono reso conto di farfugliamenti dell’uditorio. Mi sono fermato qualche minuto quindi ho ribattuto: si, sono parroco al Parco Verde, dove si vende la droga, ma sappiate che quella droga lì si vende, ma sono i vostri figli di Caserta che la comprano! A quel punto il silenzio è stato assoluto.
Il discorso è grave e non se ne parla.

La droga ci porta poi alla questione della legalità, che non è un problema solo di questa terra, ma di tutta Italia.
Per la verità sono stanco di sentire parlare di legalità. La gente ha un’idea sbagliata di legalità. Legalità è un patto tra cittadino e stato, tra diritti e doveri. Si parla troppo di illegalità. Forse al Sud è più visibile, ma tra Expo, Mose, Mafiacapitale….
Raffaele Cantone ha detto che tra un camorrista e un corrotto è preferibile un camorrista perché si vede, mentre il corrotto è nascosto! È vero. Il problema grave di oggi è la corruzione. La camorra non è un sistema a parte, è nella politica, nell’industria: vedi la difficoltà di far passere delle leggi, di risolvere il problema dei rifiuti tossici.
Ai miei giovani, alla mia gente dico che la camorra è un mezzo problema! La camorra ha fatto da spalla alla finanza, non voglio giustificarla (i camorristi non amano nessuno, hanno una puzza che ha rovinato questa terra!) però i grandi affari dei rifiuti hanno riguardato tutti: politici, industriali, camorristi!
Ti sembra giusto che dovessi andare io a Strasburgo, al Quirinale, a Montecitorio per parlare della situazione di questa terra? Della disperazione di questa gente?
Carmine Schiavone, che ho incontrato in carcere, aveva già detto queste cose dal 1997! Quando poi i nostri giovani deputati hanno preteso la desecretazione di queste informazioni si scoprì che Carmine Schiavone aveva ragione. Perché tanto silenzio per tanti anni?

Come possiamo aiutare i giovani a recuperare questo patto con lo Stato, con la legalità?
Ieri è venuta una donna a chiedere come evitare di andare ancora da Loro per far mangiare i propri bambini? Loro sono gli usurai, ma questa donna deve far mangiare i suoi bambini, non gli basta un’offerta del parroco.
Quale il male minore per questa donna? Per chi pur volendo uscire dalla galera non trova lavoro? Che deve fare questa donna? Veder morire un figlio o rubare per dare da mangiare a suo figlio? So che rasento l’eresia, ma cosa deve fare un uomo in queste condizioni? Come fare per comprare un litro di latte? Far morire un figlio o …
Riusciremo a sconfiggere la camorra se non sconfiggeremo questa situazione?
Hai letto che oggi tanti titolari di aziende sono stati arrestati perché mantenevano dipendenti in nero. Ma anche un imprenditore – ne ho parlato con il ministro del Lavoro, dell’Ambiente, con il presidente Napolitano – come può continuare a lavorare con queste leggi?
Questa è la terra dei fuochi, ma cosa brucia? Gli scarti delle industrie del Nord Italia, d’Europa, interrati a metri di profondità così che “non colpiscono” il terreno in superficie, ma la falda acquifera! Poi c’è il problema dell’aria infestata da diossina dei roghi tossici… questa è una terra martoriata ieri e ancora oggi per tante produzioni illegali.
Certo si potrebbe fermare il lavoro nero, ma ci sarebbe una rivoluzione perché come potrebbero continuare a mangiare migliaia di famiglie? Lo Stato dovrebbe essere capace di trovare delle prospettive, delle opportunità diverse e legali per chi dà lavoro e per chi lo riceve!

Ma lo Stato vuole fare la sua parte?
Per anni non ho mai parlato male delle Istituzioni, ho sempre avuto rispetto ma da quando sono prete ho toccato con mano un’altra realtà: lo Stato non c’è! Lo stato non vuole esserci!
Abbiamo giovani fuggiti all’estero, giovani che non escono più di casa per vergogna di non avere un lavoro…
Lo Stato non ha la bacchetta magica, ma la cosa pubblica grida vendetta; siamo di fronte a ladri di speranza pubblici ufficiali! La gente non sa più con chi parlare.

Ma la gente non riesce a convincersi di poter fare qualche cosa, torna a votare quelli di prima?
Il papa ci invita a impegnarci in politica, ma manca una sensibilità verso il bene comune.

Però anche noi Chiesa abbiamo dei torti, per esempio una incapacità di continuare a fare scuola di politica, dalle piccole alle grandi cose? Eppure tante sono le persone che vogliono ancora fare qualche cosa.
Si. Abbiamo tante persone che si danno da fare, di volontari. Il volontario fa bene il suo lavoro e poi gratuitamente, perché ha un cuore grande, fa dell’altro, dell’in più! È una parte bella dell’Italia.
Ciò che non funziona è il dare del lavoro.
Come posso dire alla gente: prega, prega il rosario, in queste disperazioni dove veramente non si mangia!
Noi preti dobbiamo essere di pungolo, più che degli assistenti sociali, pungolare lo Stato a fare il proprio dovere; essere coscienza critica dello Stato.

Papa Francesco esorta i giovani a non lasciarsi rubare la speranza: come aiutare i giovani in ciò?
Il rosario è fondamentale per non perdere la speranza, poi celebreremo la messa per non perdere la speranza, poi ci incontreremo per non perdere la speranza, poi piccoli gesti per non perdere la speranza. Gesti piccoli, boccate di ossigeno che sono fondamentali per non perdere la speranza, poi arriveranno altri grandi gesti.
Noi siamo preti, dobbiamo fare la volontà di Dio; certo certi preti rovinano la Chiesa, ma noi puntiamo alla santità guidati dalla Divina Provvidenza in questo momento critico e difficile. Teniamo la chiesa aperta, sempre, per tutti!

Grazie di cuore. Buon lavoro. La benedizione di Dio resti sul suo capo.

Un’economia solidale

Questi anni di crisi hanno evidenziato i limiti del modello economico vigente e reso necessario un intervento radicale all’interno dell’esperienza socio-economica dei nostri tempi. L’idea di economia può essere osservata attraverso la lente di mille sfaccettature diverse, ma quella che forse più la riassume la definirebbe come la scienza dei rapporti tra soggetti che diventano in essa economici, cioè gli individui e le loro attività. Pare purtroppo che il cinismo della società moderna abbia trasformato i soggetti in oggetti, riducendo l’economia a pura contabilità e distruggendo le risorse umane; in una realtà in cui l’interesse personale sovrasta l’interesse della collettività, della società non rimane che il mercato, che pur fatica a funzionare.

Adam Smith diceva: “la società non può sussistere fra coloro che sono sempre disposti a danneggiarsi e a farsi torto l’uno con l’altro”; sfogliare i libri di un passato non più tanto recente forse non è una cattiva idea: sembra che abbiamo dimenticato, o peggio, distorto il pensiero che è alla base della scienza economica. Certo, la teoria del libero mercato va rivista, cosi come anche il ruolo dei governi al suo interno. In una società come quella di oggi in cui politica ed economia si intrecciano in una spirale inscindibile, il governo sembra essere diventato il problema, più che la soluzione alla crisi. In un mondo dominato da materialismo e individualismo non c’è spazio per una comunità di soggetti che interagiscano tra loro in armonia, senza che i potenti tessano a loro piacimento la trama della storia. “Senza volerlo, gli economisti hanno offerto una giustificazione a questa mancanza di responsabilità morale. Una lettura superficiale dei suoi scritti ha instillato l’idea che Adam Smith avesse escluso ogni scrupolo morale da parte di chi operava sui mercati. Dopo tutto, se la ricerca dell’interesse personale conduce, come una mano invisibile, al benessere della società, tutto quello che bisogna fare è assicurarsi di star perseguendo al meglio l’interesse personale. Ed è proprio quello che sembrano aver fatto gli operatori del settore finanziario. Ma ovviamente, la ricerca dell’interesse personale, l’ingordigia, non ha condotto al benessere della società” – per citare l’economista Joseph Stiglitz (v. “Freefall”), premio Nobel per l’economia nel 2001. L’individualismo esasperato ha finito col minare il “lubrificante che fa funzionare la società”: la fiducia.

“Gli storici dell’economia – continua Stiglitz – hanno sottolineato il ruolo della fiducia nello sviluppo del commercio e delle attività bancarie. Se certe comunità si sono sviluppate a livello globale nei settori commerciale e finanziario è proprio perché i suoi membri avevano fiducia gli uni negli altri. La grande lezione di questa crisi è che, nonostante tutti i cambiamenti degli ultimi secoli, il nostro complesso settore finanziario continua a fondarsi sulla fiducia: quando viene meno, il sistema finanziario si blocca”. Per riacquistare la fiducia reciproca bisognerebbe innanzitutto tornare a essere comunità, cominciare a capire che il nostro interesse è anche quello degli altri: chiamasi solidarietà! Potente arma in grado di creare suolo fertile per la condivisione di ideali e valori, in un mondo che attorno ad essi sta solo facendo terra bruciata; come il miraggio di un’oasi nel deserto, nutro la speranza che un’economia solidale possa fiorire in mezzo a una tale distesa di aridità, che da troppo tempo attende una stagione delle piogge.

Pasqua Peragine

i 4 gemelli

gemelli 16

gemelli 19

Dal nostro amico e “corrispondente” in stanza in Afghanistan

Questa mattina mi sveglio con il tubare di due tortorelle che stanno allestendo il loro nido vicino alla finestra della mia stanzetta. Che piacevole canto, mi piacerebbe sapere che cosa quelle care tortorelle si dicono.
Cosa si diranno le due tortorelle che mi hanno svegliato questa mattina di sole. Forse hanno capito che è arrivato il giorno tanto atteso. Vi ricordate i 4 gemelli che avete aiutato? Oggi andiamo a trovarli! Non si può descrivere l’euforia che aleggia nell’aria tra noi. Da giorni programmiamo quest’uscita, ma i talebani hanno annunciato l’offensiva di primavera.
Gli obiettivi indicati dal Mullah Omar sono le sedi diplomatiche, le basi militari e i centri di intelligence delle forze internazionali impegnate in Afghanistan, a partire dalle 5 del mattino di oggi, venerdì 24 aprile 2015. I nostri colleghi di Mazar-i-Sharif se la sono vista brutta, trascorrendo così almeno sei ore nei bunker. Almeno due razzi sono stati lanciati contro Camp Marmal, la più grande base della Bundeswehr al di fuori dei confini della Germania. Mazar-i-Sharif è la quarta maggiore città afghana, con una popolazione di circa 300.000 abitanti.
Finalmente il via libera per uscire dalla nostra base; le nostre Mercedes GL blindate sono in movimento.
Siamo fuori, c’immettiamo sulla ring road, quell’anello d’asfalto che corre attraverso il territorio dell’Afghanistan e unisce le maggiori città. È un via vai di torpedoni, autovetture motociclette caricate all’inverosimile. Guardiamo ogni veicolo ogni persona con sospetto. La tensione è altissima. Soltanto ieri a Kabul ci sono stati due attentati suicidi nei confronti di altrettanti veicoli delle forze internazionali e che solo per mero caso non hanno prodotto morti. Dopo tre quarti d’ora, e 25 km a est di Herat, arriviamo al villaggio Abdul Abad: sono già tutti lì ad attenderci Aesha, Roqeya e Farahulldin. Oltrepassiamo una porta di ferro ed ecco la piccola corte e la casa, si e no 20 metri quadri, due camerette in tutto, per una famigliola cresciuta un po’ troppo. Ma sentiamo già la voce di chi, come per incanto, avvertendo la nostra presenza, sa che siamo arrivati per loro. I quattro gemellini sono stati vestiti a festa. Appoggiati sul tappeto della stanza principale. Nessuno di noi riesce a esprimere una sola parola. Lo splendore di questi bimbi ha qualcosa di magico! Seppur questa famiglia viva nella più estrema povertà ha espresso una dignità che ha pochi eguali. Rimaniamo colpiti di quanto amore c’è stato da parte della mamma nella cura dei particolari, i vestitini, le scarpette, le cuffiette.
Consegniamo al papà la scorta di latte e qualche altro piccolo aiuto. Tutta la famiglia si è riunita per accoglierci e ognuno di loro ha una parola di affetto per noi che siamo un po’ meno “stranieri” per loro.
Mentre la mamma ci prepara il tè che ha un gusto unico, approfittiamo per scattare qualche foto. Non lo sanno ancora, ma sarà l’ultima volta che potremmo far loro visita: si percepisce già un po’ di malinconia. Non c’è l’allegria tipica delle famiglie numerose.
Torneremo alle nostre famiglie, ai nostri affetti. Ma questi visi non li dimenticheremo mai. In questo angolo del mondo dove il progresso non è riuscito a portare alcun beneficio, questo spettacolo della natura ha inciso per sempre i nostri cuori!
Ciao Safa, ciao Marwa, ciao Madena e ciao Atiquallah (il maschietto)
“Allah sia sempre con voi e con le vostre famiglie”, con questa benedizione il capofamiglia, con gli occhi lucidi, ci saluta e ci abbraccia.
Addio Badraddin!

Gesù pastore buono o borghese?

Siamo nel tempo di Pasqua? Il tempo che ha fatto il Signore, il tempo in cui ragioniamo e preghiamo sulla pietra che i costruttori hanno scartato ed è diventata pietra angolare!
Il tempo della risurrezione, della vita, delle apparizioni, dello Spirito santo: cosa c’entra con tutto ciò Gesù pastore buono, che questa domenica ci presenta la Chiesa?
Non è forse una immagine troppo romantica e zuccherosa per parlare di Gesù che poco ha a che fare con la Pasqua?
Però questa immagine ci piace, ci rasserena, ci imborghesisce.
L’immagine di Gesù pastore “buono” e “bello” e “vero” (questo il significato della parola greca originale kalos) non riguarda solo l’estetica artistica, ma la bellezza della vita di Cristo.
C’è una parola che ricorre 5 volte in questo brano di san Giovanni: darsi, donarsi, nell’originale greco, spogliarsi, della vita:
Gesù il pastore buono, bello e vero è pastore proprio perché si spoglia della sua vita per noi, per la nostra salvezza;
Gesù il pastore buono, bello e vero è pastore perché conosce il Padre, cioè ha vissuto la sua conoscenza del Padre sino alla Croce. Gesù è pastore perché porta in sé le piaghe della croce e in forza di queste piaghe può chiamare le sue pecore nel suo gregge. C’è un Amore nella vita di Gesù che non è solo parole, ma intimità con Dio, comunione di pensiero e di azione con il Padre. C’è un Amore in Gesù che è ricevuto dal Padre, vissuto dal Cristo, donato nello Spirito santo a ogni uomo, ecco perché Gesù è il pastore buono, bello, vero, perché vive di questo Amore e non lo tiene per sé ma lo dona a noi, a coloro che sanno ascoltare!
Non c’è uomo nella storia dell’umanità che non desideri il bene, il bello, il vero, ma non tutti gli uomini vogliono ascoltare e trovare risposta.
E noi tra quali uomini siamo? Abbiamo orecchie aperte o chiuse?
Abbiamo voglia di entrare in questo movimento di Amore che viene dal Padre e in Cristo attraverso lo Spirito si dona a noi?

Oggi la Chiesa ci invita a pregare per il dono delle vocazioni alla vita sacerdotale, ci invita a chiedere il dono di operai per la messe del Signore, pastori per il popolo di Dio, ma pregare non è soltanto dire una Ave Maria, bensì imparare e insegnare a vivere questa azione di Amore. Là dove una Chiesa è chiusa in se stessa, non è capace di chiedersi come vivere il tempo in cui esiste, si crea solo aridità, autoreferenzialità, sterilità vocazionale!
Il pastore buono ci invita a essere pecore buone, belle e vere, capaci di ascoltare il bene, il bello, il vero dell’Amore di Dio per costruire il bene, il bello, il vero la dove si vive, anche a costo del sangue, della Croce!
C’è bisogno di bene, di bello, di vero là dove vivo?
Quanto bene, bello e vero porto là dove vivo?
Chiediamo a Dio che susciti in tutti i giovani l’ansia del bene, del bello e del vero; chiediamo ai giovani di non avere paura nell’ascoltare la voce di Cristo pastore buono non solo per essere parte del suo gregge, ma anche operai, sacerdoti della sua vigna, del popolo di Dio.
Chiediamo ai giovani di non avere paura di entrare nel vortice dell’amore di Dio per ridonarlo a tanta umanità bisognosa di bene, di bello e di vero.