Afghanistan, il mantenimento della pace

Tra i carabinieri in missione in Afghanistan c’è anche un ex-alunno del Collegio San Francesco di Lodi. Dopo averlo aiutato a sostenere una mamma di Herat che ha partorito 4 gemelli gli abbiamo chiesto di scriverci qualche riflessione sulla sua missione che pubblicheremo a puntate sul nostro blog. Per motivi di sicurezza non pubblichiamo il nome dell’autore.

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Il mantenimento della pace mondiale dovrebbe essere, e son sicuro che lo è, un motivo d’orgoglio per l’identità nazionale; ciò possiamo comprenderlo dallo sforzo notevole che la nostra nazione ha espresso in particolar modo in questi ultimi anni.

Per la maggior parte degli italiani, il mantenimento della pace evoca immagini positive ed eroiche dei soldati che operano in ambienti difficili e spesso tragiche: un soldato che protegge un bambino durante uno scontro a fuoco; un pilota che vola in condizioni disperate al fine di portare rifornimenti i posti inaccessibili; un medico che benda le ferite di un rifugiato in difficoltà; un soldato di pattuglia nella terra di nessuno tra mille insidie e pericoli di attacchi; un ufficiale che scopre fosse comuni dopo un genocidio. Per noi soldati italiani, il mantenimento della pace è il cercare di proteggere le persone in pericolo di vita, offrendo la speranza in situazioni quasi disperate, e portando la pace e un po’ di giustizia per le comunità devastate dalla guerra in terre lontane. Si tratta di sacrificio e di un servizio mondiale.

Queste nozioni di coraggio e di servizio in passato non sono state percepite dalla nostra comunità che oggi è finalmente conscia e le ha fatte proprie. Il sostegno del popolo italiano per questo ruolo delle forze armate di mantenimento della pace è forte ed è diventata parte integrante dell’identità nazionale. Si tratta di una parte di ciò per la quale l’Italia si è resa celebre come nazione, e come popolo. I nostri soldati hanno sempre avuto un ruolo positivo, straordinario durante i loro impegni internazionali. Questo fattore ci è stato riconosciuto da tutti i paesi del mondo. Purtroppo anche il numero dei fratelli italiani che hanno dato la vita è elevato e a volte poco ricordato.

Da diversi anni partecipo alle missioni internazionali per conto del mio paese. Ho cominciato nel 1993 in Cambogia dove l’Italia partecipò alla missione UNTAC con l’invio di 75 Carabinieri quali osservatori per conto della Civil Police dell’ONU dislocati nei vari distretti di quella terra martoriata dal regime di Pol Pot al fine di permettere al quel popolo di poter scegliere il proprio futuro attraverso libere elezioni. Da giovane Carabiniere qual’ero allora, fu un’esperienza tremendamente ricca di emozioni forti che hanno lasciato il segno nella mia vita. Laggiù l’ambiente era difficile e le carenze organizzative dell’ONU spaventose. Siamo stati mandati in province sperdute del territorio cambogiano, assediati dalle zanzare senz’acqua né luce; scarsi sistemi di comunicazione, internet e telefoni cellulari non erano nenache stati inventati! Per non parlare dell’alloggio. Ma la voglia di far bene di aiutare i cambogiani ha sopraffatto le mille difficoltà.

I visi di quelle centinaia di bambini sempre sorridenti che ci accoglievano come fossimo dei babbo natale… si è stampata nella memoria! “Bye Bye UNTAT”, dicevano nell’accoglierci e noi cercavamo nelle tasche un qualsiasi cosa da poter regalare, anche una semplice bottiglia d’acqua.

Dopo la Cambogia, via via ci sono state altre missioni fino ad arrivare al 2009 quando per la prima volta vengo chiamato per l’Afghanistan. Una terra che solo a pronunciarne il nome faceva paura! Ora sono al secondo “giro” al termine del quale avrò trascorso piu’ di due anni in questa terra.

Sono lontano dagli affetti: i miei piccoli gioielli, i miei bambini, la mia amata moglie che con immensa forza e coraggio manda avanti “la baracca” come si usa ancor dire dalle mie parti. Un po’ di malinconia mi assale, ma dura poco: il sorriso dei colleghi e la riconoscenza degli afghani mi da coraggio. (Continua)

Gregorio e Paolo santi

Domenica 25 gennaio,

la chiesa greco-melkita fa memoria del nostro santo padre Gregorio il teologo, occasione gradita per fare i nostri migliori auguri a Sua Beatitudine Gregorios e per chiedere al Santo di intercedere per lui, affinchè, per molti anni ancora continui a pascere il gregge della sua chiesa Melkita oggi, più che mai martoriato in ogni dove si trovi, Siria, Iraq, Libano, Giordania, Egitto e ovunque sia disperso in diaspora al di fuori della sua terra e lontano dalle sue case.

Preghiamo dunque il santo teologo arcivescovo di Costantinopoli non solo perché protegga e conservi il nostro Patriarca, ma l’intera Chiesa, così dicendo:

Con la tua lingua teologa hai sciolto le complicazioni dei retori, o glorioso, e hai abbigliato la Chiesa con la tunica dell’ortodossia, tessuta dall’alto; di questa rivestita, essa acclama insieme a noi, tuoi figli: Gioisci, padre, eccelso intelletto della teologia.

Chiediamogli di aiutare la Chiesa, a conclusione di questa speciale settimana di preghiera per l’unità dei Cristiani, a sapersi allontanare dai cammini di indifferenza, diffidenza e odio che mantengono ancora vive le divisioni e così facendo si spartiscono quella bella tunica d’ortodossia tessuta dall’alto!

Chiediamogli la saggezza suprema del cuore e dell’intelletto necessaria a superare tali ostacoli e a sapersi riconoscere UNA, specialmente in questi tempi in cui la morte gratuita, la persecuzione, la tortura e il dolore non fa differenza tra cattolico e ortodosso. Che abbia almeno la saggezza di offrire tale e tanto dolore per l’unità, affinché il Cristo accettando tali voti ricomponga egli stesso la sua tunica e ci raduni in unità!

Buona preghiera anche ai padri Barnabiti per la festa della Conversione di san Paolo loro patrono.

In comunione,

la Chiesa greco-melkita di Roma.

Barnabiti in Afghanistan

Pubblichiamo la cronaca del cambio della “guardia” barnabitica nella missione afghana a Kabul

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 Padre Giuseppe Moretti ascolta la professione di fede e il giuramento di fedeltà di padre Giovanni Scalese

La presenza dei Barnabiti in Afghanistan data dal 1933. Essendo stata l’Italia il primo paese a riconoscere l’indipendenza dell’Afghanistan (1919), il governo afghano volle in qualche modo “sdebitarsi” permettendo, all’interno della legazione italiana, l’erezione di una cappella e la presenza di un cappellano a servizio della piccola comunità cattolica locale. Fu lo stesso Pontefice Pio XI a volere per tale incarico un barnabita. Primo cappellano dell’Ambasciata italiana a Kabul fu il Padre Egidio Caspani (1933-1947). Gli succedettero i Padri Giovanni Bernasconi (1947-1957), Raffaele Nannetti (1957-1966), Angelo Panigati (1966-1990) e Giuseppe Moretti (1990-1994). Quest’ultimo fu costretto a lasciare il paese nel 1994, a causa della guerra civile scoppiata in Afghanistan dopo il ritiro delle truppe sovietiche (1989) e la caduta del regime comunista (1992). Nel 1996 i Talebani presero il potere e instaurarono l’Emirato Islamico, che durò fino al 2001, quando ci fu l’intervento della coalizione militare internazionale con l’operazione “Enduring Freedom”.

Venutasi a creare una nuova situazione politica con la formazione del governo di Hamid Karzai, la Santa Sede, volendo provvedere in maniera più adeguata alla cura pastorale dei cattolici in Afghanistan, in data 16 maggio 2002, decise di costituire il territorio della Repubblica Afghana in “Missione sui juris” (= non dipendente da alcuna altra giurisdizione ecclesiastica), affidandola all’Ordine dei Barnabiti. Come primo Superiore ecclesiastico o Ordinario della Missione fu scelto lo stesso Padre Moretti, che fece immediato ritorno a Kabul e riprese la sua attività pastorale a favore della comunità cattolica in Afghanistan.

Trattandosi di un ufficio ecclesiastico in tutto equiparato a quello di un Vescovo diocesano, il Superiore della Missione è invitato a presentare le dimissioni al compimento del 75° anno d’età (can. 401, § 1). Norma scrupolosamente osservata dal Padre Moretti in occasione del suo 75° compleanno, nel 2013. A questo punto la Santa Sede doveva provvedere alla nomina di un successore. La Congregazione per l’Evangelizzazione dei popoli, con decreto del 4 novembre 2014, nominava il Padre Giovanni Scalese nuovo Superiore della Missione.

Padre Scalese, originario di Roma (nato e cresciuto nella Parrocchia di San Carlo ai Catinari), può contare su una esperienza piuttosto variegata, che va dall’attività pastorale all’insegnamento, dalla gestione scolastica alla formazione, dal servizio missionario al governo della Congregazione. Le tappe del suo ministero sacerdotale sono state, a varie riprese, Firenze (Collegio alla Querce), Bologna (Parrocchia di San Paolo Maggiore e Collegio San Luigi), Roma (Curia generalizia), Tagaytay (Filippine), Bangalore (India), Napoli (Istituto Bianchi). Dopo aver sbrigato tutte le pratiche burocratiche (il Superiore della Missione gode di status diplomatico in qualità di Addetto d’Ambasciata) e aver preso le opportune precauzioni sanitarie, Padre Scalese è partito per Kabul il 7 gennaio 2015, il giorno dopo l’Epifania.

Domenica 11 gennaio, festa del Battesimo del Signore, nella Chiesa-madre della Madonna della Divina Provvidenza, alle 17.30, si è svolto il rito della “presa di possesso” della Missione. Erano presenti numerosi fedeli, tra cui le tre comunità religiose femminili di Kabul (le “pioniere” Piccole Sorelle di Gesù, le Missionarie della Carità di Madre Teresa e la comunità intercongregazionale “Pro Bambini di Kabul”). Il nuovo Superiore è giunto alla porta della Chiesa, dove era ad attenderlo il Padre Moretti, che gli ha presentato il Crocifisso da baciare e l’aspersorio con cui è stata benedetta l’assemblea. Dopo qualche istante di adorazione silenziosa, Padre Scalese ha emesso la professione di fede e il giuramento di fedeltà previsti dal diritto canonico (can. 833). Mentre i fedeli cantavano il canto d’ingresso della Messa, il nuovo Superiore ha assunto le vesti liturgiche e si è recato all’altare per dare inizio alla celebrazione. Dopo il saluto iniziale, ha preso possesso della sede presidenziale e il Padre Moretti gli ha imposto la mitra. È quindi seguita la lettura del decreto di nomina e il saluto dei fedeli. La Messa è poi proseguita con il canto del “Gloria”, la liturgia della parola (con letture in spagnolo, italiano e inglese) e la liturgia eucaristica. Nella sua omelia, Padre Scalese ha messo in rapporto il proprio insediamento con la festa liturgica del Battesimo del Signore, ha ringraziato i superiori ecclesiastici per la fiducia accordatagli, ha ringraziato Padre Moretti per il servizio ultradecennale prestato alla Missione, si è raccomandato alle preghiere dei presenti, ha invocato la benedizione di Dio sulla comunità e l’Afghanistan.

Padre Moretti ha lasciato Kabul il 14 gennaio per far rientro in Italia (dimorerà a Roma, presso la Casa generalizia). Padre Scalese è rimasto a Kabul con il suo piccolo gregge e con la speranza che la situazione politica dell’Afghanistan si evolva in senso positivo, in modo che la Missione possa crescere e assumere a poco a poco i connotati di una vera Chiesa locale.

Guardians of the creation

Cari amici buon giorno,
comincia una nuova sezione The planet where I’m living – Il pianeta dove vivo, di Nicolais Legrais, della nostra comunità giovanile del Belgio nella quale cerchiamo di meglio capire che fare per salvaguardare il nostro pianeta.

“We are guardians of the creation, of God’s plan in line with the nature, guardians of the other, of the environment. Do not allow signs of destruction and death accompany the march of our world!”. Thus spoke our Francis pope his early pontificate. He invites everyone to reflect on his relationship to the world, its relationship to life.
Are we still in good agreement with Life in our actions, our lifestyles? The earth is suffering from many ills: war, pollution, deforestation, starvation. For many of these ills, the man is responsible, each is. Nowadays, we tend to see the environment as a source of profit than a living millenary universe.
Of course, there are many organizations and local and national initiatives that tend to want to give some meaning to human actions, respect for creation, we must support it! But unfortunately the balance still leans too much in the red. Can is it to answer the call of the pope, reverse this negative trend by being humble enough to revise our way of life, in agreement with what nature has to offer and the fulfillment of mutual beliefs.
And don’t forget, the earth is not our ancestors who we ready but our children who lend it to us.
Nicolais Legrais

La sapienza è Dio che si dona

Fino a ora abbiamo considerato come la sapienza sia capace di coinvolgere profondamente l’uomo, a partire dal suo centro, il cuore, ed estendendosi a tutta la sua esperienza vitale. Ma una qualità di tale importanza per la vita umana, è data a tutti o appartiene solo a chi è capace di svilupparla?
A differenza della sapienza intesa come conoscenza e abilità di sottile ragionamento, accessibile solo a chi è particolarmente dotato e ha la possibilità di sottoporsi a un lungo periodo di formazione, la sapienza biblica è un dono di Dio e quindi accessibile a tutti, come testimoniano tanti passi biblici, tra i quali i libri della Sapienza 6,12, e dei Proverbi 1,20-21 e 8,2-3, dove “donna sapienza” grida a tutti nelle piazze e non parla nel segreto solo per pochi eletti.
Come ogni dono divino, va però accettato nella libertà, cosa possibile solo se si coltiva una relazione con Dio nella preghiera. Così ci insegna un testo molto suggestivo, sempre dal libro della Sapienza (9,17), che contiene una bellissima preghiera in cui Salomone chiede il dono della sapienza, unica mediatrice tra Dio e l’uomo, capace di portare alla conoscenza della volontà di Dio.
La sapienza è dunque la via privilegiata con la quale Dio si apre all’uomo. Essa non è solo dono di Dio ma è Dio stesso che si dona. Non stupisce quindi che il nuovo testamento rilegga la sapienza come il Signore Gesù che viene nel mondo e si dona agli uomini.
Pensando infine al nostro san Paolo e, specificamente, a 1Corinzi 2,6, la Sapienza che porta alla perfezione e che “non è di questo mondo” è “Cristo crocifisso, scandalo per i giudei e stoltezza per i pagani; ma per coloro, Giudei o Greci, che sono chiamati, Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio” (1Cor 1,23b-24).

Stefano Maria

Gesù bambino o Gesù uomo?

Ci piace di più un Dio Gesù bambino o un Dio Gesù uomo?
Abbiamo di più l’idea di un Dio che resta bambino o di un Dio che diventa uomo?
A ben pensarci spesso preferiamo un Dio Gesù bambino, che tra poco riporremo nelle soffitte o nelle cantine delle nostre case, bambino che non disturba se non con un poco di tenerezza, perché i problemi della vita sono parecchi e non è Gesù non serve per risolverli.

Eppure la fede cristiana non si fonda su un Dio Gesù bambino, ma su un Dio Gesù uomo!

Il vero Natale del Signore non è quello del bambino, ma quello dell’Epifania, della manifestazione di Dio Gesù al mondo, di Dio Gesù ai benpensanti e ai peccatori, la festa di oggi, di Dio Gesù alla vita di tutti i giorni, le nozze di Cana. Il vero Natale di Gesù che la festa del battesimo di Gesù ci vuole rivelare è il Natale che chiede di accadere nella nostra vita quotidiana ogni giorno, in ogni momento del nostro esistere quotidiano.
Il battesimo che Gesù riceve al Giordano non è un optional, ma è una vera e propria scelta di Dio per noi! Nel momento in cui Dio ha scelto di incarnarsi, ha scelto non solo di nascere e poi starsene da qualche parte, ma di incarnarsi per vivere da uomo, per redimere l’uomo. Questa redenzione, che troverà il suo culmine sulla Croce, però vuole illuminare e sostenere ogni istante della nostra esistenza.
Gesù, chiamato il galileo, viene al Giordano per essere immerso anche lui nelle acque di quel fiume, il fiume che discende. Siamo così posti di fronte a un evento decisivo nella vita sia di Gesù sia del Battista: Gesù, che è un discepolo di Giovanni, che si era messo alla sequela del profeta (“dietro a me”, come precisa Giovanni), ora chiede al Battista di essere come uno di quei peccatori che in fila attendevano l’immersione, chiede di essere immerso in modo che i peccati siano inabissati nell’acqua e dall’acqua possa risorgere quale nuova creatura. Gesù è un uomo libero e maturo, ha coscienza della sua missione, non vuole privilegi, ma vuole compiere, realizzare ciò che Dio gli chiede come cosa giusta: essere solidale con i peccatori che hanno bisogno dell’immersione, essere un uomo credente come tutti gli altri.
Questo non significa evidenziare solo la dimensione negativa dell’uomo, il suo essere peccatore, quanto fargli presente che nella vita di tutti i giorni, segnata dal peccato, quindi dal limite e dalla fatica di tutte le nostre attività, Dio Gesù uomo è con noi.

La festa del battesimo di Gesù ci dice con chiarezza che Dio è con noi ogni momento, non a intermittenza, di tanto in tanto; non solo per ricordarci i nostri peccati; Dio Gesù uomo è con noi sempre! Dio Gesù uomo si immerge nel fiume della nostra vita, con tutti i suoi limiti e pregiudizi, perché noi si possa immergersi nel fiume della sua vita, con tutte le sue opportunità e libertà.

Ma c’è un ultimo aspetto che non possiamo tralasciare.
Giovanni osserva che Gesù esce dalle acque del Giordano “vede squarciarsi i cieli e lo Spirito discendere su di lui come una colomba”. E anche il Padre fa sentire la sua voce che proclama: “Tu sei mio Figlio, l’amato, in te ho posto la mia gioia” (Sal 2,7; Gen 22,2; Is 42,1), tutto il mio amore. Questa dovrebbe essere la vera domenica epifania della Trinità di Dio, che si manifesta operando: c’è l’unto, il Cristo; c’è chi lo unge, il Padre; e c’è l’unzione dello Spirito santo.
Ecco, questo è il dono che ci è donato in questa festa, al termine di questo tempo di Natale, un Dio Padre, Uomo, Spirito santo che si offre a noi per condividere con noi la vita di ogni giorno e aprirci il regno dei Cieli.

Riflettiamo perciò sul nostro Battesimo, che abbiamo ricevuto in conformità a quello di Gesù. Ogni giorno, quando ci alziamo e diciamo: “Ti adoro, mio Dio … Ti ringrazio di avermi fatto cristiano”, pensando al nostro battesimo dovremmo gioire e dovremmo sentire “la voce di un silenzio trattenuto” (1Re 19,12) che nel cuore ci canta: “Tu sei mio figlio, ti amo, voglio gioire in te!”. Se sentiamo questa voce, la giornata sarà diversa, illuminata da un amore promesso e donato, e anche il sole sarà più luminoso.

Non svendete l’Epifania

Cari amici vi scrivo nella vigilia dell’Epifania,

il giorno in cui il messia si manifesta al mondo intero: ma questo mondo sarà interessato a tale manifestazione? Certo il mondo di Erode, cioè di coloro che hanno paura di cedere il passo a Gesù, di confrontarsi con la sua debolezza, con il suo modo di amare, ma anche il nostro mondo della “globalizzazione dell’indifferenza” (papa Francesco), questi mondi non sono interessati, anzi cercano di eliminare questo bambino prodigioso che attira intorno a sé non solo i pastori, ma l’universo intero, la Stella e anche dei Re venuti da lontano.

Paolo VI diceva a Betlemme:

«Ma se il mondo si sente estraneo al cristianesimo, il cristianesimo non si sente estraneo al mondo. Sappia il mondo di essere stimato e amato da chi rappresenta e promuove la religione cristiana e l’amore che la nostra fede mette nel cuore della Chiesa, la quale non fa’ che servire da tramite dell’amore meraviglioso di Dio. Questo vuol dire che la missione del cristianesimo è una missione di amicizia in mezzo all’umanità, una missione di comprensione, di incoraggiamento, di elevazione, di salvezza.

Noi sappiamo che l’uomo di oggi ha la fierezza di voler fare da sé e fa delle cose nuove e stupende, ma queste cose non lo fanno più buono, non lo fanno felice, non risolvono i problemi umani nel fondo.

Noi sappiamo che l’uomo soffre di dubbi atroci. Noi abbiamo una parola da dire. È quella di un uomo all’uomo. Il Cristo che noi portiamo all’umanità è il Figlio dell’uomo. Lui è il fratello, il collega, l’amico per eccellenza. È colui di cui solo si può dire che ‘conosce che cosa c’è nell’uomo’. È il mandato da Dio, ma non per condannare il mondo, ma per salvarlo». (6 gennaio 1964)

Non ci sarebbero molte altre parole da aggiungere se non: non svendete l’Epifania, ma vivetela con fede e gioia: fate si che la luce del Battesimo ricevuto, questa è la nostra Stella, non trovi in noi un muro opaco, ma un cristallo che possa risplendere i suoi raggi a tutti coloro che incontriamo per le strade della vita.

Papa Francesco al parlamento europeo (potremmo definirlo i Magi di oggi) diceva che di fronte alla variegata composizione dell’Europa e del Mondo, siamo chiamati a essere dei poliedri, cioè un insieme di persone diverse tra loro ma unite dalla luce della stessa Stella e perciò capaci di illuminare più persone nelle loro diversità.

Certo poi starà agli altri accogliere o meno la luce della Stella, ma dovremo anche noi decidere se tornare da Erode oppure cambiare strada!

Ieri invitavo i fedeli della parrocchia a mettere nelle calze dei propri bambini della Fiducia: Dio ha fiducia in noi e il mondo comunque ha fiducia in noi, non svendiamo l’Epifania, ma viviamola con fede e gioia e avremo dato un po’ di fiducia al mondo, così come i Magi l’hanno data a noi.

Non più schiavi, ma fratelli

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO

PER LA CELEBRAZIONE DELLA

XLVIII GIORNATA MONDIALE DELLA PACE

1° GENNAIO 2015

NON PIÚ SCHIAVI, MA FRATELLI

Cari amici ci sembra doveroso offrirvene una sintesi per cominciare bene il nuovo anno.

All’inizio di un nuovo anno prego in modo particolare perché, rispondendo alla nostra comune vocazione di collaborare con Dio e con tutti gli uomini di buona volontà per la promozione della concordia e della pace nel mondo, sappiamo resistere alla tentazione di comportarci in modo non degno della nostra umanità.

Purtroppo, la sempre diffusa piaga dello sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo ferisce gravemente la vita di comunione e la vocazione a tessere relazioni interpersonali improntate a rispetto, giustizia e carità. Tale abominevole fenomeno, che conduce a calpestare i diritti fondamentali dell’altro e ad annientarne la libertà e dignità, assume molteplici forme sulle quali desidero brevemente riflettere, affinché, alla luce della Parola di Dio, possiamo considerare tutti gli uomini “non più schiavi, ma fratelli”. …

Caino e Abele sono fratelli, perché provengono dallo stesso grembo, e perciò hanno la stessa origine, natura e dignità dei loro genitori creati ad immagine e somiglianza di Dio, pur mantenendo la propria diversità. … Purtroppo, tra la prima creazione narrata nel Libro della Genesi e la nuova nascita in Cristo, che rende i credenti fratelli e sorelle del «primogenito tra molti fratelli» (Rm 8,29), vi è la realtà negativa del peccato, che più volte interrompe la fraternità creaturale e continuamente deforma la bellezza e la nobiltà dell’essere fratelli e sorelle della stessa famiglia umana. … La loro vicenda (cfr Gen 4,1-16) evidenzia il difficile compito a cui tutti gli uomini sono chiamati, di vivere uniti, prendendosi cura l’uno dell’altro». … Le conseguenze? … Rifiuto dell’altro, maltrattamento delle persone, violazione della dignità e dei diritti fondamentali, istituzionalizzazione di diseguaglianze. Di qui, la necessità di una conversione continua all’Alleanza, compiuta dall’oblazione di Cristo sulla croce

Attenzione però: Non si diventa però cristiani, figli del Padre e fratelli in Cristo, per una disposizione divina autoritativa, senza l’esercizio della libertà personale, cioè senza convertirsi liberamente a Cristo. L’essere figlio di Dio segue l’imperativo della conversione …

Oggi, a seguito di un’evoluzione positiva della coscienza dell’umanità, la schiavitù, reato di lesa umanità, è stata formalmente abolita nel mondo. Il diritto di ogni persona a non essere tenuta in stato di schiavitù o servitù è stato riconosciuto nel diritto internazionale come norma inderogabile… Eppure, malgrado la comunità internazionale abbia adottato numerosi accordi al fine di porre un termine alla schiavitù in tutte le sue forme e avviato diverse strategie per combattere questo fenomeno, ancora oggi milioni di persone – bambini, uomini e donne di ogni età – vengono private della libertà e costrette a vivere in condizioni assimilabili a quelle della schiavitù.

[E qui il papa elenca a una serie di schiavitù odierne cui pensa, tra tutte citiamo: al lavoro schiavo e alla prostituzione anche di minori].

C’è una causa ontologica della schiavitù: quando l’uomo non riconosce più l’altro come suo fratello, ma come oggetto.

Ci sono cause materiali: specialmente il non potere accedere all’educazione.

Spesso, osservando il fenomeno della tratta delle persone, del traffico illegale dei migranti e di altri volti conosciuti e sconosciuti della schiavitù, si ha l’impressione che esso abbia luogo nell’indifferenza generale. Se questo è, purtroppo, in gran parte vero, vorrei ricordare l’enorme lavoro silenzioso che molte congregazioni religiose, specialmente femminili. Questo immenso lavoro, che richiede coraggio, pazienza e perseveranza, merita apprezzamento da parte di tutta la Chiesa e della società.

Ma esso da solo non può naturalmente bastare per porre un termine alla piaga dello sfruttamento della persona umana. Occorre anche un triplice impegno a livello istituzionale di prevenzione, di protezione delle vittime e di azione giudiziaria nei confronti dei responsabili.

Gli stati, le organizzazioni governative, le imprese… Alla responsabilità sociale dell’impresa però si accompagna poi la responsabilità sociale del consumatore. Infatti, ciascuna persona dovrebbe avere la consapevolezza che «acquistare è sempre un atto morale, oltre che economico»…

La Chiesa ha il compito di mostrare a tutti il cammino verso la conversione, che induca a cambiare lo sguardo verso il prossimo, a riconoscere nell’altro, chiunque sia, un fratello e una sorella in umanità, a riconoscerne la dignità intrinseca nella verità e nella libertà, come ci illustra la storia di Giuseppina Bakhita, che da schiava divenne la santa della libertà.

In questa prospettiva, desidero invitare ciascuno, nel proprio ruolo e nelle proprie responsabilità particolari, a operare gesti di fraternità nei confronti di coloro che sono tenuti in stato di asservimento. Chiediamoci come noi, in quanto comunità o in quanto singoli, ci sentiamo interpellati quando, nella quotidianità, incontriamo o abbiamo a che fare con persone che potrebbero essere vittime del traffico di esseri umani, o quando dobbiamo scegliere se acquistare prodotti che potrebbero ragionevolmente essere stati realizzati attraverso lo sfruttamento di altre persone.

Alcuni di noi, per indifferenza, o perché distratti dalle preoccupazioni quotidiane, o per ragioni economiche, chiudono un occhio. Altri, invece, scelgono di fare qualcosa di positivo, di impegnarsi nelle associazioni della società civile o di compiere piccoli gesti quotidiani – questi gesti hanno tanto valore! – come rivolgere una parola, un saluto, un “buongiorno” o un sorriso, che non ci costano niente ma che possono dare speranza, aprire strade, cambiare la vita ad una persona che vive nell’invisibilità, e anche cambiare la nostra vita nel confronto con questa realtà. … Sappiamo che Dio chiederà a ciascuno di noi: “Che cosa hai fatto del tuo fratello?” (cfr Gen 4,9-10).

La globalizzazione dell’indifferenza, che oggi pesa sulle vite di tante sorelle e di tanti fratelli, chiede a tutti noi di farci artefici di una globalizzazione della solidarietà e della fraternità, che possa ridare loro la speranza e far loro riprendere con coraggio il cammino attraverso i problemi del nostro tempo e le prospettive nuove che esso porta con sé e che Dio pone nelle nostre mani.

Dal Vaticano, 8 dicembre 2014

FRANCISCUS

Felicità e confidenza di Gesù

Gesù è felice di nascere tra noi, a San Felice, a Roma, a Lodi, a Genova, a Bologna, a …?
Gesù è stato felice di nascere a Betlemme e di nascere ogni momento in me, in noi, tra noi?

Se la felicità dipende solo dal trovare qualche nostro sorriso, o qualche chiesa un po’ piena delle altre domeniche, magari qualche bel canto, può darsi che sia felice giusto per compiacersi con noi.
Un po’ come quando incontriamo certi parenti che dobbiamo vedere per forza a Natale: facciamo finta di essere felici perché si deve, ma il cuore è altrove!
Io penso che Gesù un poco, solo un poco (poi spiegherò perché) sia felice perché ci riconosce cristiani tiepidi! Forse un po’ chiusi in noi stessi.
Le porte che si aprono giusto per curiosare chi è questo Gesù, ma poi si richiudono subito perché non c’è posto in casa, siamo troppo indaffarati; ma non preoccupatevi accade già una cosa simile con gli alberghi a Betlemme: sbaglio?

Forse Gesù è più felice di nascere in Iran, in Siria o da quelle parti, dove molti cristiani perseguitati, e anche uomini e donne di altre fedi, vivranno un altro Natale di tribolazione a causa del nome che portano: nazirei, seguaci di Gesù di Nazaret.
Scrive papa Francesco:
Cari fratelli e sorelle, che con coraggio rendete testimonianza a Gesù nella vostra terra benedetta dal Signore, la nostra consolazione e la nostra speranza è Cristo stesso. Vi incoraggio perciò a rimanere attaccati a Lui, come tralci alla vite, certi che né la tribolazione, né l’angoscia, né la persecuzione possono separarvi da Lui. Possa la prova che state attraversando fortificare la fede e la fedeltà di tutti voi!
Prego perché possiate vivere la comunione fraterna sull’esempio della prima comunità di Gerusalemme. L’unità voluta dal nostro Signore è più che mai necessaria in questi momenti difficili; è un dono di Dio che interpella la nostra libertà e attende la nostra risposta. La Parola di Dio, i Sacramenti, la preghiera, la fraternità alimentino e rinnovino continuamente le vostre comunità.

Ma noi non siamo tribolati, non siamo perseguitati, o così almeno crediamo, quindi che ci possiamo fare?
Eppure Gesù è felice di nascere tra gli uomini, tra tutti gli uomini, specialmente tra i più tribolati. È felice di nascere perché egli, che pur stava bene nel suo cielo, ha ritenuto più bello mettersi al nostro servizio, condividere la nostra natura umana per aiutarci a vincere il peccato.
Per aiutarci a combattere il peccato!
Ma noi vogliamo combattere il peccato? Oppure preferiamo restare chiusi nei nostri schemi, nelle nostre case comode, nella nostra fede fatta di formule piuttosto che di fede, speranza e carità?

Quante volte avete sentito i vangeli del Natale? Quante volte li avete ascoltati? Cioè meditati e tentato di farli vostri, di viverli?
Vi siete accorti che questi vangeli sono un continuo movimento, un continuo andare e venire di pastori, di stelle, di angeli, di magi, di soldati? Che significa questo movimento? Significa che per accogliere Gesù bisogna muoversi, non si può restare fermi!
Restare fermi nella propria mentalità, nei propri costumi e idee della vita è come chiudere la porta a Maria e Giuseppe che chiedono spazio per fare nascere Gesù!
Il cristiano non è un uomo statico: il cristiano è un pellegrino dell’amore, dell’Amore di un Dio che si muove dal suo cielo per scendere sulla terra degli uomini così da insegnare agli uomini la strada del cielo, ma una strada del cielo – fate bene attenzione – che passa attraverso gli altri uomini!
Avete mai guardato il cielo? Avete mai pensato ai secoli che sono passati? Tutti gli esperimenti recenti di questi astronauti che vanno alla Luna ci hanno almeno abituati a guardare un po’ di più la volta stellata che sta sopra di noi. E pensare a queste distanze immense, a questi secoli senza numero, che segnano l’età dell’universo e quindi il Dio di questo universo. Ebbene il Dio di queste profondità, il Dio infinito, il Dio che sta nei cieli. «Padre nostro che sei nei cieli», che sei in questo tuo … in questo immenso, immenso mistero; questo Dio che è inafferrabile ai nostri occhi, e così poco pensabile anche ai nostri cervelli, questo Dio vero.
Lui è venuto in mezzo a noi per darci confidenza! Così predicava papa Paolo VI: per darci confidenza!
Non si può dare confidenza al primo che passa, a un delinquente, a un poco di buono, a della gente come noi! Eppure Dio ha mandato il suo Figlio proprio per darci confidenza!
Quale regalo di Natale più bello?

E noi cosa possiamo regalare a Gesù?
Prima di tutto la gratitudine e la preghiera e in secondo luogo l’amore al prossimo come Lui ci ha insegnato.
Vorrei fare delle domande e poi finisco (predica ancora papa Paolo VI). Per celebrate il Natale: avete fatto qualche opera buona? Avete perdonato a qualcheduno? Avete pregato per qualcheduno che ne ha bisogno? Avete detto una buona parola per consolare qualcuno? Avete dato un po’ di gioia a qualche bambino, a qualche parente o a qualche persona? Avete cercato di effondere e di trovare in fondo al vostro cuore un po’ di calore, un po’ di dolcezza da dare intorno a voi? Avete fatto un atto di amore per questa vostra comunità, questa nostra società spirituale, che è la Chiesa? Beh, fatelo con me adesso! Noi celebreremo la Messa proprio per questa parrocchia, per questa Chiesa, perché diventi davvero una famiglia in Cristo, perché l’amore di Cristo regni, trionfi nella vostra comunità parrocchiale.
L’amore deve essere il sole che illumina la nostra vita, il sole che scende e che dirige il nostro amore dal senso verticale al senso orizzontale: amiamo Dio e amiamo il prossimo.
Se abbiamo capito questa chiave, questa sintesi del Cristianesimo, allora possiamo andare vicino al presepio, chiudere gli occhi e pensare a questo bambino che è venuto per essere il nostro Salvatore.

E allora Gesù veramente sarà felice di essere sceso tra noi, e noi saremo felici di essere in confidenza con Lui.
Santo Natale a tutti voi,
pJgiannic

Incominciare

Ultima domenica di avvento, ancora qualche giorno per preparare il Natale.
Se vogliamo prepararlo!

Di fronte ai drammi cui abbiamo assistito, centinaia di bambini uccisi, cioè la morte del futuro; di fronte allo scoraggiamento che molti lasciano trapelare verso il futuro avremmo ben donde chiederci perché attendere ancora Natale?
Meglio tornare ad attendere solo il Natale del presepe, con qualche lucina e delle pecorelle tanto per consolarci, piuttosto che attendere il Natale del ritorno del Signore nella sua gloria, infatti a questo serve l’Avvento, prepararci al ritorno del Signore perché egli viene!

Siamo convinti che il Signore viene?
Ci ricordiamo che il vero nome del cristiano è “colui che attende?”;
siamo consapevoli che questo tempo è proprio dei cristiani e di nessun altra religione?
siamo consapevoli che non attendiamo la fine della storia in un modo qualsiasi ma nell’incontro con il nostro Salvatore?
Se siamo convinti di tutto ciò certamente non possiamo vivere questo tempo con la stessa indifferenza con cui attendiamo l’autobus!

Il vangelo di questa domenica, l’annunciazione a Maria, è proprio lo scacco nei confronti del pessimismo e dello scetticismo. Non è il Vangelo della fantasia, ma del sano realismo.
Se noi attendiamo veramente Gesù, egli arriva; se noi cerchiamo veramente Gesù, egli ci cerca e fa per noi e con noi cose grandi.
Maria era una donna come le altre, in attesa delle grandi promesse di Dio, non sapeva come queste si sarebbero realizzate e sicuramente non sapeva di essere priva di peccato. Perché anche questo fatto è importante: Dio che si era rivelato nella notte dei tempi in un universo “vergine”, lasciando aleggiare il proprio spirito perché creasse il mondo; non poteva che scegliere un grembo vergine per ricreare l’universo! Un grembo, un cuore, una mente vergini, pure, belle per incarnarsi e rivelarsi.
Maria era una donna sconosciuta, viveva in una terra sconosciuta, in un’era sconosciuta eppure viene scelta da Dio e da Dio fatta strumento di salvezza.
Maria era preoccupata, perché non conosceva uomo – diversamente da Elisabetta – e colui al quale era promessa avrebbe potuto perderlo!
Ma anche qui, Dio, non avrebbe potuto scegliere diversamente per incarnarsi e questo non per strabiliare, ma per farci capire che, come nella notte dei tempi, quando il suo Spirito aleggiava sul caos informe primordiale per dare vita all’universo, così oggi aveva bisogno di un grembo assoluto per dare origine alla nuova creazione.

Il sì di Maria, di questa donna sconosciuta al messaggero di Dio, a un progetto sconosciuto di Dio di cui mai avrebbe pensato il divenire, l’accadere diventa il sì per tutti noi, il sì della speranza, della possibilità!

Guardare a Maria non significa guardare a un presepe del passato, ma al presepe del futuro;
guardare a Maria significa, riconoscere che nonostante il nostro peccato – redento dalla Croce – anche noi siamo oggetto della rivelazione, della scelta di Dio;
guardando a Maria comprendiamo che anche noi siamo responsabili di un futuro migliore: un nostro si o un nostro no significa costruire un futuro peggiore o migliore;
Maria si è fidata della parola di Dio e non aveva ancora la sicurezza della risurrezione, noi abbiamo la parola di Dio e la sicurezza della risurrezione, ma facciamo ancora fatica a fidarci della promessa di Dio che anche attraverso di noi può e vuole fare cose grandi, per questo il bene fatica a crescere.

Impariamo a fidarci della parola di Dio e il bene continuerà a crescere da quel momento in cui Maria disse di sì.