Daniele e il clima di domani

Tra i giovani attivisti partecipanti della prima Cop-giovani di sempre, è stato affidato a Daniele Guadagnolo il compito di rappresentare l’Italia. Piemontese del 1993, laureato in economia alla Bicocca di Milano, è appassionato di comunicazione e particolarmente impegnato sull’emergenza climatica, dove si distingue per la capacità di coinvolgere i coetanei attraverso iniziative sempre molto concrete. Già invitato a partecipare ad eventi internazionali nel 2018 — dove ha preso parte alla United Nations Conference on Trade and Development di Ginevra — è oggi particolarmente attivo nell’ambito delle Conferenze per i giovani che periodicamente l’Onu organizza a livello sia globale che locale.

Daniele, la Cop26 ha portato i giovani al confronto diretto con i negoziati globali sul clima. Inizia così un dialogo intergenerazionale sul quale ci sono molte aspettative dell’opinione pubblica. Come farete ad essere incisivi di fronte a governanti impegnati da decenni in trattative così complesse?
Il lavoro sviluppato a livello individuale deve trasformarsi in un agire di gruppo. Dobbiamo avere una voce comune in modo da accrescere la forza delle nostre proposte. Dobbiamo politiche sul cambiamento climatico la Cop rappresenta il tavolo di lavoro più importante a livello mondiale. Non solo perché è promosso dalle Nazioni Unite e riconosciuto da tutti i Paesi, ma anche perché offre la possibilità di un confronto concreto su problemi e possibili soluzioni. A questo appuntamento siamo arrivati attraverso incontri internazionali — Conference of Youth — e nazionali — Local Conference of Youth — dedicati interamente ai giovani. Qui abbiamo sviluppato una crescita sia personale che generazionale. Credo che non ci faremo sfuggire l’occasione storica che abbiamo di sollevare le nostre istanze a Glasgow come negli anni a venire.

Dunque quali sono le sfide che i giovani lanciano ai grandi della Terra?
Innanzitutto intendiamo sostenere il tema dell’ambizione climatica, che deve crescere su scala locale, nazionale e globale; in secondo luogo lavoreremo sulla crisi economica generata dal covid e su come uscirne attraverso strategie di sviluppo sostenibile come la transazione energetica, la resilienza e le soluzioni basate sulla natura; ci è stata anche affidata una riflessione sul coinvolgimento di attori non istituzionali ponendo tra gli altri i temi dell’imprenditorialità giovanile, dello sport e dell’arte; e allo stesso tempo siamo parte attiva sui progetti volti a costruire una società più consapevole attraverso l’educazione ambientale, la sensibilizzazione e un sempre maggiore coinvolgimento sociale.
La possibilità di un confronto con i ministri delle Cop è un fattore di grande speranza. È l’occasione migliore che abbiamo per mettere in luce idee, progetti ed iniziative sviluppati da noi giovani con l’obbiettivo di impattare sulle decisioni politiche che in ogni caso ricadranno su di noi. Penso che questo evento restituisca alla storia un legame tra le generazioni che è indispensabile per produrre buone e giuste pratiche. Questa è la sfida più importante, perché solo così si potrà produrre il cambiamento necessario.

Daniele, partecipare a questi eventi dell’Onu è per te un’opportunità straordinaria. Come ti sei avvicinato a questo mondo?
È stata molto importante l’esperienza avuta a Ginevra nel 2018, quando sono stato invitato a partecipare alla United Nations Conference on Trade and Development con un gruppo di ragazzi di ogni provenienza. È stata un’occasione importante per approfondire i temi dello sviluppo sostenibile e ne sono uscito, non solo formato sull’argomento, ma anche con una grande voglia di fare qualcosa di concreto per il nostro pianeta. Tornato in Italia, insieme ad altri, abbiamo fondato la Youth Action Hubs, un movimento globale creato dai giovani per i giovani che ha avuto il supporto delle Nazioni Unite. Nello stesso anno abbiamo visto da vicino la Cop24 in Polonia, avendo modo di conoscere tanti altri ragazzi che dedicano il loro tempo alla salvaguardia dell’ambiente. Colpiti positivamente da quest’esperienza, con i miei compagni di viaggio abbiamo lavorato per portare a Firenze la Local Conference of Youth dove si è parlato degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Agenda 2030. Questo impegno mi ha regalato un’emozione unica. Mi sono sentito soddisfatto di ciò che stavo facendo e, considerata la partecipazione di tanti altri ragazzi, credo di aver prodotto risultati anche in termini di coinvolgimento. È a questo punto che abbiamo fatto nascere Change for Planet, un’organizzazione no-profit impegnata ad accelerare lo sviluppo sostenibile e a lavorare sull’alfabetizzazione climatica. Spero tanto che anche grazie a questo nostro piccolo impegno si arrivi, tutti insieme, ad assicurare un futuro al nostro pianeta.

da Osservatore Romano 30 settembre 2021, di LUCREZIA TUCCILLO, Progetto giovani e ambiente di Earth Day Italia

Figurine, passione intramontabile

Quasi tutte le persone hanno, almeno una volta nella loro vita, raccolto le figurine della loro saga preferita o, di certo la maggior parte dei ragazzi, del campionato di calcio. La nascita delle figurine è certamente correlata allo sviluppo tecnologico, quindi all’invenzione della macchina da stampa, la quale ha reso possibile la pubblicazione di molte figurine. Inizialmente, ritraevano paesaggi e ambienti. Ricordiamo che la prima miniserie è stata emessa solo nel 1867 dalla litografia Bognard di Parigi per i magazzini Au Bon Marché e illustrava l’Expo di Parigi. Le figurine non erano certamente come quelle attuali; erano in cartoncino spesso e si incollavano con la colla o si incastravano attraverso delle linguette nell’apposito album. Grazie poi ad altre aziende, come la Liebig, Topps e Panini, l’hobby delle figurine si è diffuso maggiormente tra bambini, ragazzi e adulti di tutto il mondo, fino ad essere riconosciuto anche a livello collezionistico.
La figurina è un soggetto privilegiato nel mondo del collezionismo, al pari delle monete e dei francobolli. Tant’è vero che esistono diverse case d’asta che espongono figurine ricercate o addirittura aziende come PSA e Beckett che, soprattutto oltreoceano, sfruttano il sistema di grading al fine di certificare il bene da collezione garantendo l’originalità e attestando lo stato di conservazione su una scala da 1 a 10. La tecnica consiste nell’inserire la figurina, o la card, all’interno di un involucro resistente per proteggerla da urti e luce solare. Ovviamente, la seguente metodologia aumenta esponenzialmente il valore economico. Come si può ben intuire, però, le figurine non raggiungeranno mai, almeno nel breve periodo, i prezzi delle monete o dei francobolli. Questo perché in primis non esistono delle istituzioni di controllo così sviluppate come per le altre due categorie citate prima, mentre in secundis, nel collezionismo di figurine viene meno l’approccio venale. Le figurine sono generalmente intese non come una forma di investimento, bensì come un passatempo e un modo di rimanere giovani dentro. I prezzi di vendita, nella maggior parte dei casi e soprattutto in Italia, vengono decisi attraverso compravendite e scambi nei mercatini o nelle fiere dell’usato.
A differenza dell’Europa, che ha un mercato che si può considerare normale, in America è quasi impazzito! I collezionisti statunitensi sono maggiormente fanatici e hanno una cultura consolidata della figurina intesa come investimento. Lo si può vedere attentamente in una puntata della serie tv americana “Better Call Saul”: il personaggio Wormald, dopo essere stato derubato dei farmaci e della collezione di figurine dei giocatori di baseball, si reca subito dalla polizia a denunciare il furto delle figurine. Ergo, si può capire il valore economico ed affettivo che la collezione aveva per il protagonista. Il gesto di Wormald denota la percezione che gli americani hanno delle figurine. Il mercato oltreoceano, difatti, è prosperoso e di conseguenza il valore economico dei beni da collezione è elevato. Pensate che molti pezzi sono pregiati a tal punto che arrivano a valere anche milioni di dollari. Alcuni esempi sono la figurina di LeBron James del 2003, venduta per oltre 5 milioni, la figurina di Honus Wagner venduta per 5,6 milioni di dollari e la figurina di Mantle degli Yankees, battuta all’asta per 4,4 milioni di dollari.
Collezionando figurine di una determinata tematica, si può ripercorrere, inoltre, la cultura del Paese o di quello sport. Ad esempio, prendiamo come riferimento la collezione dei Calciatori della Panini, raccolta a cui sono molto legato. La seguente raccolta è inerente al campionato di calcio italiano e racconta gli ultimi 60 anni di serie A. Sfogliando gli album, oltre alla cultura italiana, si possono ravvisare le mode dei decenni passati, i cambiamenti avvenuti nel regolamento del campionato e altro ancora. Si nota come in passato il calcio fosse meno ricco, ma soprattutto come i calciatori fossero più umani e in generale avessero meno privilegi. Inoltre, si possono vedere le mode che c’erano nel Belpaese: i baffi, la barba, gli orecchini, i tatuaggi, le creste, i capelli lunghi e altro ancora. Ancora, ritornando sul tema del regolamento, si può capire che dagli anni ’80 si è aperta la possibilità di avere più stranieri in rosa. Ed ecco che sugli album incominciano a comparire i vari Platini, Maradona, Matthäus, Gullit, Van Basten, Falcao e via discorrendo. Le figurine, soprattutto per la storia italiana, sono un qualcosa di intramontabile e di caratteristico. Grazie alla Panini, la figurina è diventata un bene di cui potersi vantare nel mondo intero. L’azienda modenese è riuscita infatti ad arrivare in ogni parte del mondo, anche dove nessuno avrebbe mai pensato di vendere. È la prima azienda che ha creduto ed investito così tanto in questo settore. Andrea Ordanini, in un’intervista per CorriereTV, ci svela anche uno dei motivi che hanno reso la Panini così forte nel proprio mercato. Nei prodotti Calciatori c’è il significato che dà valore della scarsità. Avere un bene scarso che si può collezionare è una competenza molto apprezzata dai clienti. Per questo motivo, possedere questo tipo di bene è un elemento chiave del vantaggio competitivo della Panini, la quale rimane ancora leader mondiale nella produzione di figurine. Ecco spiegato come mai le figurine non passeranno mai di moda. Potranno cambiare molte cose, ma il gusto di cercare, scambiare e aprire le bustine difficilmente tramonterà.
Marco Ciniero, Milano

SCUOLA PANDEMICA? LE OPINIONI DI JONATHAN

Ciao amici lettori, i nostri confronti continuano oggi con Jonathan, anni 17, di Torino.

Fan sfegatato di David Bowie, scoperto e folgorato quasi per caso a 12 anni. Scuola media musicale, suona pianoforte, percussioni e violino. Per forza una tesina di terza media su Bowie. Poi ascolta rock, jazz, blues, forse atipico tra i suoi compagni.

Sport: pallavolo prima e sopra di tutto.

Gelato: cioccolato, stracciatella, pistacchio

Difetto: testardaggine e procrastinatore delle cose che non mi piacciono fino all’infinito

Pregio: curiosità, bontà d’animo.

Altro: adoro scrivere; per me è il respiro, non potrei farne a meno.

Altro ancora: sono eterocromatico. Un occhio azzurro e uno verde/marrone.

Ciao Jonathan, il primo ricordo dello scorso anno?

Ormai è dal febbraio del 2020 che il nostro mondo precedente è scomparso. Ricordo, quando, un anno e mezzo fa avevo salutato i compagni e i prof per le vacanze di carnevale. Il ritorno non c’è mai stato ed è iniziato il periodo della dad. All’inizio un po’ raffazzonato e con i prof che erano passati dal dire: mettete via il cellulare a… perché non ti connetti? E poi la promozione per tutti.

Un anno difficile, delirante. Ma con una speranza. Il 2020/2021 sarebbe stato diverso.

Diverso?

Parliamone

13 settembre inizia la scuola. Modalità didattica mista. Professori che cercano di sdoppiarsi tra gli studenti in aula e quelli a casa. Una follia. Le persone in aula sono distanziate, con mascherina, finestre aperte per areare i locali. Le voci dei prof arrivano attutite. Intanto chi è a distanza ha ancora più difficoltà: i prof parlano con gli studenti presenti, trascurando chi è a casa con dispositivo acceso, pigiama e camicia (la nuova moda dello studente a casa. Sono arrivato a seguire in ciabatte, mutande e camicia: un mezzobusto perfetto). Le verifiche solo in presenza. C’è quasi una caccia alle streghe.

I prof sono nervosi. Temono che gli studenti copino e specie a fine anno, a maggio, c’è stata una serie infinita di compiti e interrogazioni, un vero e proprio tritacarne: 17 verifiche e 5 interrogazioni in 5 settimane. Perché i docenti volevano il voto in presenza.

Molti prof non vedevano l’ora di “prenderci in castagna”, quasi fosse colpa nostra la “promozione per tutti” dell’anno precedente.

Alcuni ci dicevano: “Lo scorso anno vi è andato bene, ma quest’anno…”. E già… quest’anno da noi (secondo anno scienze umane) 8 promossi a giugno su 29, 6 bocciati e gli altri con giudizio sospeso.

Taluni prof ci vedevano come nemici, altri ci hanno protetto, certo anche loro hanno vissuto in modo diverso e complesso la DAD.

Credo che la scuola sia ancorata ad un sistema legata al passato. Noi non siamo dei numeri, ma delle persone. Ritengo che dovremmo essere coinvolti di più.

Inoltre esistono diversi tipi di apprendimento e la scuola, malgrado la dad che dovrebbe portare a delle innovazioni con l’uso delle tecnologie è rimasta, specie per alcune materie, ancorata a una visione da anni 50 del secolo scorso.

Nel Nord Europa, ad esempio, si studia il Latino vivo, con conversazioni, brevi dialoghi, canzoni. Da noi l’approccio è ancora decisamente grammaticale. Ho provato a dire alla prof, in qualità di rappresentante di classe, che esistono altri sistemi di apprendimento del latino, ma con scarsi risultati e… molte urla.

Cosa mi aspetto dalla scuola?

La possibilità di ragionare e di apprendere davvero. La possibilità che vengano compresi i vari stili di apprendimento.

Io imparo molto attraverso video e disegni, ma non ho assolutamente memoria e non riesco ad apprendere velocemente. Apprendo lentamente, ma in modo costante.

Certo ognuno ha le sue specificità e in classi di 30 persone in didattica mista, penso che sia difficile anche per i professori cercare stili di apprendimento adatti a tutti e stimolare la curiosità di tutti.

Ma siete curiosi? C’è curiosità per il mondo, per il futuro?

Puoi ben dirlo. Anche se sembriamo degli automi, con auricolari e smartphone, in realtà siamo ben presenti e attenti.

Tutti i miei compagni sono, comunque, attenti a tematiche quali quelle ambientali, le campagne per i diritti delle minoranze (dallo ius soli alle tematiche lgbt+). Il nostro mondo ha meno paletti di quelli messi dalla retorica degli adulti o dai valori di facciata di molti adulti con molte parole.

Nella redazione del giornale scolastico scegliamo sempre tematiche di attualità.

Noi adolescenti non siamo tutti uguali, purtroppo chi vive in un contesto culturale più povero ha meno strumenti di chi, come me, frequenta un liceo blasonato. Anche se ciò non dovrebbe essere giusto. E da ateo mi viene da citare Don Milani quando dice che non bisogna fare cose uguali tra disuguali. È questo che la scuola e, direi, la società non sta facendo. Perché l’uguaglianza formale non è equità. Io metterei un paio d’ore di filosofia pure nei professionali di meccanica perché tutti dovrebbero aver la possibilità di stimolare il pensiero e non solo chi, a 14 anni, sceglie di frequentare un liceo.

Quali sono le parole che più trovano spazio?

Per me direi sofferenza. Ne ho tanta. Provengo da una famiglia piuttosto benestante, ma decisamente disfunzionale, con un padre cattolico praticante, ma violento (che per fortuna è spesso fuori casa per lavoro), una madre lamentosa che non prende mai una decisione (parla di separarsi da 10 anni e non l’ha mai fatto. È diventata buddhista, ma frequenta la Chiesa per non andare contro papà) e questo mi fa soffrire parecchio.

Al tempo stesso ho una sorella che adoro, due fratelli che tollero e degli amici accoglienti.

La Chiesa per me è un luogo di tensione. Sono stato costretto ad andarci da mio padre e ho visto in lui tutta l’ipocrisia possibile (va in Chiesa poi in casa è un violento), ho subito bullismo in oratorio e ho deciso di non metterci più piede (lottando contro mio padre) da ormai 4 anni.

Pertanto mi dichiaro ateo. Non esco, tendenzialmente, con persone che frequentano la Chiesa perché li ho trovati spesso ipocriti. L’ultimo un mio compagno di orchestra, casa e chiesa, che si dichiarava mio amico e poi mi ha sputtanato con tutta l’orchestra per il mio modo di pensare.

Non so se sono io che sono stato particolarmente sfortunato, ma è così.

Pertanto Dio, Chiesa e Famiglia sono concetti per me alieni e lontani.

Al tempo stesso credo in un mondo libero, in cui ci sia rispetto e posto per tutti e forse è questo il messaggio che vorrei lanciare agli adulti. Ci avete lasciato in eredità un mondo di guerre, competizione, consumismo, in cui le logiche del profitto sovrastano l’umanità. Noi vogliamo qualcosa di diverso. Non derubricate le nostre richieste in bambinate (Greta Thumberg, ad esempio, considerata per molti una Cassandra autistica).Ciao Jonathan, grazie.

BONTA’ DELLA DAD?

Cari amici, ora è la volta di un’altra prof, di Storia, Italiano e History al liceo linguistico di Firenze, prof. Domenica

Fan di: Stephen King,

Patita di nuoto,

Golosa di gelato alla crema;

consapevole del difetto di avere poca attitudine alle attività manuali, ma anche del

pregio (secondo gli altri) dell’equilibrio.

E poi adoro i gatti: sono una delle prove più convincenti dell’esistenza di un Dio dal senso estetico supremo.

Quanto ha percepito la capacità di ragionare dei giovani di oggi?

Ci sarebbero moltissime cose da dire, ma in sintesi credo che la rivoluzione tecnologica (smartphone, principalmente) abbia determinato un gap generazionale enorme. Oggi i ragazzi si confrontano più con display e monitor, che non con la pagina cartacea. Sono abituati ai ritmi serrati e rapidissimi di video, messaggi e quant’altro, quindi hanno perso la capacità di concentrazione richiesta dalla lettura ‘tradizionale’. Hanno anche perso la pazienza legata alla ricerca di contenuti e nozioni varie, dato che possono reperire qualsiasi informazione sul web. Peraltro l’esattezza di tali informazioni è sempre da verificare, dato che, come sappiamo, Internet è un mare magnum e non c’è un controllo dall’alto che garantisca la correttezza di quanto viene riportato.

La scuola dello scorso anno poi ha maggiormente aumentato queste dinamiche.

Ma questa DAD, come la giudica?

Purtroppo la pandemia e l’introduzione della didattica a distanza hanno frantumato ogni barriera di privacy, fra alunni e docenti e viceversa.

Non sono fra quei docenti che assegnano compiti online la sera precedente alla prova, ma sono fra quelli che ricevono messaggi dagli studenti in continuazione a ogni ora del giorno in chat. Mi sono rassegnata a questa prassi… Ormai tutti i nostri allievi hanno il nostro numero di cellulare.

L’anno scorso l’esperienza della DAD è stata sicuramente fondamentale per mantenere una continuità didattica coi ragazzi. Ovviamente è stata un surrogato di scuola che però ha avuto la sua importanza. Comunque si è visto fin dall’inizio che questo tipo di didattica poteva andare bene per le spiegazioni, ma non per le verifiche, a mio parere inattendibili.

Con tutta questa tecnologia non c’è il rischio che i giovani non ragionino più?

Sono ancora convinta che i ragazzi sono in grado di ragionare! Ci sono belle teste fra loro, si tratta solo di trovare il modo di comunicare, trovando una modalità che sia loro congeniale. Per questo ovviamente i mezzi informatici sono prioritari ormai nella didattica.

E per il nuovo anno scolastico cosa desidera?

Diciamo che dal nuovo anno scolastico desidererei che ci riportasse alla normalità. Purtroppo però questo mio desiderio non coincide con le mie reali paure… Immagino infatti che si dovrà riutilizzare il criterio della turnazione fra classi per evitare assembramenti e che la DAD non verrà affatto abbandonata. Perciò il consiglio che vorrei dare ai miei alunni è quello di usare il fair play quando vengono interrogati online. Troppo spesso noi docenti abbiamo la certezza (purtroppo però indimostrabile) che le risposte date non sono farina del loro sacco, ma sono lette dalla rete o dai libri.

Però penso che con l’impegno di tutti, come nello scorso anno, potremo fare qualchecosa di ancora più bello.

PARALIMPIADI? SI, GRAZIE, MA CON OTB

Le Paralimpiadi sono state praticate per la prima volta a Roma nel 1960 affinché tutti gli atleti potessero aspirare a partecipare ai Giochi Olimpici senza che ci fossero distinzioni con i normo dotati. È soltanto da poco che però che se ne parla, precisamente sono i Giochi Paralimpici del 2012 di Londra che hanno permesso a questo movimento di essere conosciuto e visto in televisione. Tuttavia, esistono delle realtà che si prendono a cuore questi atleti, preparandoli ad affrontare le sfide che i Giochi li riserba. OTB è una delle molteplici realtà che aiutano le persone affette da una disabilità a raggiungere i loro sogni. Nel tempo hanno formato diversi atleti, tra i quali Fabrizio Cornegliani, neovincitore della medaglia d’argento nella cronometro maschile H1.

Ho avuto l’occasione di intervistare proprio l’ideatore di questo progetto, Federico Sannelli, classe 1990, diplomato al nostro Collegio San Francesco in Lodi.

Nel 2016 è diventato direttore tecnico del Team Equa ottenendo la qualificazione alle Paralimpiadi con 4 atleti, vincendo 7 medaglie di cui 5 d’oro, 1 argento e 1 bronzo. Attualmente si occupa della preparazione dei ciclisti, delle squadre e degli atleti che affrontano la disciplina del Triathlon e dei Paratleti che disputano gare di Handbike e Paratriathlon. Lui ha aperto la sua società sportiva e casualmente si è dovuto imbattere in ciclisti con disabilità che gli hanno chiesto un aiuto. Lui ha dovuto studiare i movimenti, le bicilette e tutto quello che comporta la corsa in handbike. Inizialmente era solo un lavoro, pian piano poi anche altri Paratleti lo hanno contattato, lui si è sempre appassionato sempre più fino ad essere contattato dalla Federazione. Sicuramente non è stato un percorso molto facile; anzi, è stato ed è tuttora pieno di insidie, errori e fatica.

Quali sono gli sport paralimpici e come si praticano?

Ad oggi, quasi tutti gli sport hanno una realtà paralimpica, bisogna poi andare a vedere nello specifico come praticarlo perché dipende da disabilità a disabilità. Non esiste un percorso tracciato per tutti. Esistono, infatti, varie categorie che vanno in base alla disabilità e ogni sport ha le proprie regole con le proprie classifiche e tempi per partecipare poi agli eventi internazionali. Non ci sono delle categorie paralimpiche universali ed è per questo che viene inserito un codice alfanumerico dopo il nome dello sport: H sta per handbike, C quando si usano biciclette, T in caso di bici a tre ruote, B in caso di tandem. Generalmente, almeno per il paraciclismo e per il paratriathlon, più il numero è basso e più la disabilità è grave.

Cosa ti aspetti da queste Paralimpiadi? Vedi qualche sorpresa?

Mi aspetto che ogni Olimpiade porti un ritorno mediatico per il paralimpico. Se pensiamo alle prime Paralimpiadi, nessuno le seguiva, non c’erano nemmeno le dirette e gli articoli… possiamo dire che era un mondo sconosciuto. Pensiamo a ora e capiamo quanti passi avanti sono stati compiuti! Nessuno sapeva cosa fossero le Paralimpiadi fino a Londra 2012 e da allora c’è sempre stato un grande ritorno mediatico e una copertura televisiva più elevata. Sicuramente, almeno in Italia, la figura di Zanardi ha contribuito tantissimo perché è un personaggio noto che si è buttato nel paralimpico portando tanto ritorno mediatico alla disciplina, soprattutto della bike, creando canali che dessero origine ad altre star paralimpiche come, ad esempio, Bebe Vio. Di conseguenza, mi aspetto ci siano più investimenti nelle strutture e più realtà che si occupano di formare gli atleti e di stargli vicino perché non è sempre facile e gli strumenti costano molto per via della tecnologia, dei pezzi di ricambio e non tutti possono permettersi di investire 15.000€ in una bicicletta.

Per quanto riguarda le sorprese ti dico di no, più che altro perché ci sarà un bel cambio di rotta dopo Tokyo. Nel paraciclismo molti atleti, compresi i miei, dovrebbero andare in pensione perché sono tutti abbastanza vecchi sportivamente parlando. Sicuramente, per Parigi, ci sarà da andare a trovare e formare dei nuovi atleti.

C’è un sostegno? In che misura vengono seguite?

Dipende. Ci sono molte federazioni che fanno tutto loro, quindi prendono l’atleta, lo formano e lo allenano, altre invece no. C’è poi da considerare anche che non tutte le nazionali possono seguire tutti gli atleti. Bisogna vedere la realtà e fare anche del talent scout. Comunque, in nazionale arrivano atleti molto formati che si sono fatti notare ottenendo diversi risultati. Ti faccio un esempio: i miei atleti hanno una squadra che li supporta in termine di ritiri, costi e via dicendo. La mia figura da allenatore non è una figura federale io sono un consulente esterno privato che li alleno. Quindi, non vengo stipendiato da una Federazione. Capisci che, almeno nel paraciclismo, la Federazione non paga l’allenatore. Tuttavia, nel paratriathlon, gli atleti vengono allenati dai tecnici federali. In conclusione, puoi capire che il discorso è molto variabile e non c’è una regola fissa.

Cosa può fare la gente comune per sostenere queste associazioni come OTB? Chi gestisce tutto il sistema paralimpico?

Sicuramente molte associazioni possono avere la donazione del 5×1000 sulla dichiarazione dei redditi, quindi fanno pubblicità quando c’è quell’iniziativa. Per il resto le squadre vivono con gli sponsor, solitamente investitori privati che si fanno un po’ di pubblicità. La gente comune può seguire perché più ritorno mediatico c’è e più si vende, più sponsorizzazioni ci sono e più gli atleti vengono seguiti… aumentare il ritorno mediatico significa vedere gli atleti come dei veri e propri professionisti reali, sullo stesso piano dei normodotati. Anche perché, raggiungere quel livello, ti assicuro, significa avere chiuso mentalmente “il conto con la vita” altrimenti non riesci a tollerare tutto quell’impegno. Il sistema paralimpico viene gestito dal CIP, il quale è una branca del CONI. Infatti, quando i Paratleti vincono le medaglie, vengono poi premiati a Roma. La premiazione è uguale per tutti.

Il successo avuto dall’Italia nelle Olimpiadi di Tokyo 2020 può aiutare l’Italia nelle Paralimpiadi e le relative associazioni?

Sicuramente sì. Le Olimpiadi per i Paratleti sono ancora più importanti che per i normodotati perché è l’unica possibilità di visione globale che hanno. Solitamente, l’Italia nelle Paralimpiadi ha sempre fatto bene, ma quest’anno, con la straordinaria Olimpiade, avrà sicuramente una spinta in più per far bene e soprattutto far vedere che anche l’Italia paralimpica è allo stesso livello. A me piacerebbe inoltre che non esistessero solo delle realtà che si occupano di paralimpico, ma anzi, di squadre o polisportive (ovviamente di una certa dimensione ed entità) che abbiano sia la parte para sia quella normo. Guarda le squadre di calcio e vedi che nessuna ha una squadra paralimpica. È anche vero che è complicato perché devi andare a prendere tutte le categorie di disabilità; pertanto, non è solo una questione di età. Non è assolutamente una cosa semplice, ma pian piano la speranza è che molte associazioni, oltre all’attività giovanile dei normo, assumano sempre più anche attività per i disabili. Questo però significa avere istruttori adeguati e specializzati, avere gli spazi, avere i fondi eccetera. La cosa importante è che in Italia manca ancora, all’interno delle Università o dei Corsi di formazione, la formazione del personale paralitico. Ad esempio, se fossi un professore universitario metterei l’esame di sport paralimpici, poi ovvio che ti devi specializzare nella tua categoria. Non bisogna ridurlo soltanto a una visita di Fabrizio (Cornegliani) che racconta la sua esperienza personale. Quello va bene nelle scuole inferiori per insegnare l’esperienza di vita e la resilienza. Serve del materiale tecnico e su quello lavorare. Moltissimi tecnici, me compreso, si sono formati in completa autonomia vivendo le situazioni e imparando da quelle. Spesso sbagliando.

CONFIDO NEI VACCINI

Ciao lettori continuano i nostri incontri con studenti e docenti sull’imminente anno scolastico.Oggi discutiamo con Carlo, neo diciottenne di Este (PD)

fan di: Nirvana, Linkin Park, e i contemporanei Maneskin, ma amante di Beethoven.

sport: assolutamente il basket, malgrado non lo pratichi più, ma mi piace andare via in MTB, giocare a tennis, pallavolo, calcetto.

Gusto gelato: Crema!

Difetto: un po’ testardo e permaloso.

Pregio: so ascoltare molto e dare giusti consigli! D’accordo con lui condivido le sue idee.

•La scuola dello scorso anno?

Eravamo una settimana in presenza e una in DAD, con la classe sempre al completo, bastava essere abbastanza responsabili; ma almeno metà classe approfittava della situazione, del fatto di non poter esser sempre controllato dal docente.

•La scuola ha cercato di coinvolgervi nell’interagire con voi, con la fatica di questa modalità?

Se ne è discusso spesso in classe. Gli insegnanti hanno cercato di trovare delle tecniche d’insegnamento alternative, di evitare un semplice parlare per l’ora di lezione intera dall’altra parte del computer. Cercavano dunque di interagire, proponevano esercizi assieme, attività, dibattiti. Secondo me però in tutte le scuole di Italia è successo così, anche tra i diversi indirizzi: in DAD i docenti avevano un volto diverso rispetto a quello che recuperavano con la didattica in presenza.

•Non so quanto gli insegnanti siano stati capaci di novità, ma al di là di questo, cosa attendi per il prossimo anno?

Confido nei vaccini e nella buona volontà degli studenti (di vaccinarsi) per un ritorno alla normalità.

•Ma al di là della DAD la scuola è alla vostra altezza, delle vostre attese, curiosità?

Io credo di sì; la mia scuola in vari ambiti propone diverse novità, seppure in alcune discipline si mantiene lo scontato.

•C’è curiosità tra i tuoi coetanei o prevale lo scontato?

Penso di sì! Ce n’è tanta. Di anno in anno si studiano cose nuove così da scoprire i collegamenti tra le varie discipline. Forse però lo sviluppo delle tecnologie ha avuto l’effetto positivo per conoscere di più oppure negativo perché ha sostituito la fatica di conoscere, di approfondire. Siamo curiosi, ma la curiosità viene negli anni.

•Hai detto che più si cresce più si diventa curiosi (non sono d’accordo): più curiosi e interessati del mondo, di guardare oltre oppure solo di se stessi, del proprio ombelico?

Penso che un bambino abbia il livello massimo di curiosità, ma credo perché non conosca ancora il mondo che lo circonda. Man mano che si cresce ci si immerge sempre più in quella che è la realtà circostante e ovviamente la si conosce sempre meglio… non penso che più si cresce, più si diventa curiosi, credo che cambi il modo di approcciarsi al mondo. Inoltre buon senso vorrebbe che ognuno aprisse i propri orizzonti man mano che diventa adulto, preoccupandosi in primis di se stesso, ma anche di chi lo circonda per prendersene cura.

•C’è curiosità per il futuro o solo per il presente? Si ha la percezione di un futuro da costruire o da lasciarsi cadere addosso?

C’è curiosità per il futuro, o almeno io la vedo così. Magari per chi è più anziano, la preoccupazione del futuro non è tanta, ma noi giovani studenti siamo costantemente sommersi dalla questione: “cosa sarò da grande?”. Purtroppo le certezze sul futuro sono nulle, dunque possedere curiosità è soltanto un modo per affrontar meglio il presente, in vista di un futuro più o meno lontano. Dunque penso che prima ancora di guardare al futuro, ciascuno di noi deve costruirsi delle fondamenta solide per il presente che vive giorno per giorno, e solo così potrà crearsi un futuro.

•Quali di queste parole trovano più spazio nella tua vita:

1) sofferenza, soffrire capita a tutti, chi per una ragione, chi per un’altra… penso però che ogni sofferenza debba essere affrontata col massimo delle forze;

2) gioia, elemento importante nella vita di tutti i giorni credo sia proprio sorridere, provare soddisfazione per ciò che si è, che si ha e che si fa;

3) famiglia, credo veramente che la famiglia sia sinonimo di sicurezza, protezione, calore, amore;

4) Dio, purtroppo sono in una fase della mia vita un po’ critica sotto questo punto di vista, molte cose non mi tornano sulla religione, faccio fatica ad avere fede;

5) Chiesa, penso che nella mia crescita la parrocchia abbia giocato un ruolo veramente importante, perché mi ha permesso di conoscere delle persone favolose; sin da piccolo la parrocchia m’ha fatto vivere momenti unici;

6) Rispetto, dobbiamo aver rispetto di tutto e di tutti, indipendentemente da qualsiasi fattore si prenda in considerazione: siamo tutti umani, siamo tutti uguali.

•Un consiglio agli adulti?

Ascoltate i più piccoli: sedetevi li con loro, e parlate giorno per giorno del più e del meno. I giovani molto spesso tengono dentro di sé tutto quanto (bene o male che sia) senza condividerlo con nessuno. Il problema è che portarsi avanti delle difficoltà è un peso per la mente, e l’unica soluzione è discuterne serenamente con qualcuno di più grande che di sicuro in un modo o nell’altro ha già vissuto qualcosa di simile e sa come affrontarlo.

Ciao Carlo, grazie

SCUOLA DA UN ANNO ALL’ALTRO

Cari amici la scuola, in presenza o a distanza, ormai è alle porte, la campanella sta per suonare e forse molti di voi, da una parte all’altra dei banchi e delle cattedre il desiderio di rimettervi in gioco non manca. Per questo vogliamo cominciare il nostro mese di settembre pubblicando alcune chiacchierate con docenti e studenti che abbiamo pescato in giro per l’Italia.Che scrivere? Buona lettura.

Da Lodi la prof di inglese all’IIS Cesaris di Casalpusterlengo (LO), Isida Laçi comincia a raccontarci il bello e il brutto dello scorso anno.

La cosa più bella che posso confermare è l’affiatamento e la collaborazione tra colleghi per rendere la didattica online accessibile a chi non aveva molta familiarità con la tecnologia, il tutto per far sì che i nostri ragazzi si trovassero nelle migliori condizioni per poter apprendere. Inoltre, i diversi incontri, spesso pomeridiani, hanno permesso di conoscerci meglio e condividere insieme molto più tempo del solito. Abbiamo scambiato esperienze e consigli utili per poter gestire al meglio una situazione a tutti sconosciuta e impegnativa.

Prof, com’è cambiato il modo di approcciare i ragazzi con la “famigerata” DAD?

Per ogni ragazzo è stato creato un indirizzo mail personale con il dominio scolastico. Sono state create le classi virtuali su Google Classroom e utilizzate tante piattaforme online come Socrative. A ogni studente è stato fornito la mail personale del docente e talvolta anche il cellulare. La novità nell’approcciare i ragazzi ha riguardato principalmente il fatto che il contatto, con chi ha avuto il desiderio di approfondire o capire meglio qualche argomento, è avvenuto spesso online, di pomeriggio, alla fine della giornata scolastica.

Ha dovuto rinnovare la propria didattica o semplicemente ha. fatto un copia incolla delle lezioni in presenza con una in DAD?

Impossibile fare copia /incolla tra lezioni a distanza e quelle in presenza. Ho la fortuna di insegnare una lingua straniera e quindi di avere molta più “elasticità” nel proporre e svolgere gli argomenti programmati in precedenza. Semplicemente una canzone in inglese, un brano divertente, estratti presi da social network di coetanei inglesi o un bel film in lingua originale sono stati spesso strumenti utilizzati per affiancare i libri di testo e rendere meno “pesante” una lezione altrimenti solo frontale davanti a uno schermo.

Poi, un pomeriggio alla settimana ho avviato un club di letteratura inglese per poter affrontare in modo propositivo, la situazione della chiusura a causa della pandemia.

Prof, cosa hanno imparato secondo lei gli studenti?

Io ho cercato di trasmettere loro che da una situazione difficile si esce solo con un lavoro duro e con una vera conoscenza delle cose, in senso ampio. La scuola nuova e moderna tende ad andare sempre più verso l’acquisizione di competenze, il “saper fare”. Cosa giusta, ma personalmente credo che le competenze senza le conoscenze non possano andare molto lontane: per “saper fare” bisogna “sapere”.

Come si è sentita percepita dagli studenti?

Molti studenti hanno certamente compreso e apprezzato l’impegno e gli sforzi quotidiani fatti per portare avanti la scuola anche in condizioni “straordinarie”. Diversi però si aspettavano meno verifiche e meno giudizi tramite il tradizionale voto, in una situazione dove di “tradizionale” c’era poco, ma nella quale a mio avviso, non si poteva prescindere da una corretta e puntuale valutazione del lavoro svolto e dell’impegno profuso. Anche se i miei figli liceali spesso mi criticavano.

Ha notato dei disagi negli studenti? Sono stati capaci di esternare i propri disagi?

Non avere la possibilità di venire a scuola, non poter vedere e interagire con i propri compagni, non seguire una spiegazione “dal vivo”, porta indiscutibilmente a dei disagi. Alcuni studenti si sono chiusi e hanno a volte smesso di frequentare le lezioni per diversi giorni/settimane. Altri hanno esternato i propri sentimenti con i colleghi con i quali erano più in confidenza, altri si sono rivolti alle psicologhe dello sportello di ascolto attivato dalla scuola.

Come è stata la gestione di alunni con disabilità

Non ho avuto alunni con disabilità, ma la nostra scuola è sempre rimasta aperta per gli alunni con disabilità che hanno preferito frequentare in presenza.

Prof, l’anno trascorso cosa le ha insegnato per il futuro?

La tecnologia è utile, va usata anche per andare incontro ai ragazzi che oggi sempre più vengono denominati “nativi digitali”, però nulla può sostituire il rapporto diretto a scuola. Il rapporto umano deve essere alla base del nostro lavoro. Se la situazione lo richiede, un argomento in meno, ma una “chiacchierata” in più non può che essere utile e propositiva per la crescita dei ragazzi ma anche per formazione quotidiana “sul campo” di noi docenti.

Di conseguenza quali modifiche farebbe al sistema scolastico italiano?

L’anno di Covid è stato in modo particolare un periodo che ha fatto emergere in modo significativo anche le difficoltà di alcuni docenti di approcciare i ragazzi e di svolgere in modo efficace il proprio lavoro, ma allo stesso tempo, ha messo in luce sensibilità personali ed efficacia della didattica di larga parte del corpo docente.

In prospettiva sarebbe opportuno che venisse valorizzato adeguatamente questo approccio e impegno positivo e venisse data la possibilità alle scuole stesse, tramite il comitato valutativo interno, di poter confermare nel loro organico, gli insegnati precari ritenuti validi dopo un’esperienza lavorativa all’interno della stessa scuola, senza necessariamente ridisegnare tutti gli anni parte del corpo docente attraverso Gae, moduli Mad, concorsi ecc.

Di contro sarebbe altrettanto opportuno non considerare la scuola come il classico “posto fisso”, “censurando” adeguatamente chi all’interno della scuola non ci dovrebbe stare.

Grazie prof, buon anno scolastico 2021/2022

Afghanistan: serve pregare?

Essere vicini a situazioni difficili come l’Afghanistan non è facile. Volevamo porre alcune domande al nostro confratello p. Giovanni Scalese da 6 anni a Kabul come cappellano dell’Ambasciata Italiana e rappresentante della Santa Sede. Per il precipitare della situazione non è stato possibile. Ci siamo rivolti al nostro amico Federico Romoli che ben conosce l’Afghanistan e i Barnabiti ( https://giovanibarnabiti.it/2021/05/23/un-avvocato-a-kabul/ ) per chiedere qualche luce.

Ciao Federico, c’è un affetto particolare tra il mondo barnabitico e l’Afghanistan, ma ha senso preoccuparsi anche di Afghanistan, tra le tante situazioni delicate nel mondo?

Da uomini, prima ancora che da cristiani, è nostro dovere interessarci del mondo. In Afghanistan o ad Haiti, sono giorni bui per tanti nostri fratelli. È necessario pregare per loro e per il loro avvenire. 
Tra i Barnabiti e l’Afghanistan, un paese in enorme difficoltà già da oltre quarant’anni, vi è sempre stato un forte legame, che adesso si spera possa continuare.

Bastano il sollecitare l’opinione pubblica, il rammarico diffuso per essere vicino all’Afghanistan?

Proprio per il ritorno dei Talebani è giusto guardare agli errori del passato per poter aiutare ancora di più il paese che si trova dentro una crisi così grande. Il rammarico e lo sgomento dell’opinione pubblica non sono un aiuto concreto al paese, ma sono di certo meglio del disinteresse. Dell’Afghanistan sembravano tutti essersene dimenticati, stampa 
compresa, nonostante il paese avesse ancora molti problemi anche prima del ritorno dei Talebani.

Certo l’opinione pubblica statunitense pare abbia molto contato sulle scelte che vediamo in questi giorni, ma noi?

Negli Stati Uniti il dibattito politico sembra essersi fermato alla critica delle modalità del ritiro delle truppe, come se gli errori compiuti nei due decenni precedenti non abbiano avuto influenza su questo esito.

Qualche giorno fa il Corriere della Sera pubblicava un dettagliato articolo di Roberto Saviano sul ruolo dell’eroina nella politica ed economia dei talebani e renderli così “rispettabili” nel mondo: cosa ne pensi?

Il controllo del traffico di eroina da parte dei Talebani è in realtà solo una parte del problema. Lo sfruttamento illegale delle risorse minerarie, ora anche i dazi doganali, poi altri finanziamenti clandestini compongono anch’essi gli introiti dei Talebani. Anche vari altri signori della droga hanno potuto continuare il loro traffico in questi anni. Ma la formazione e ora il ritorno al potere dei Talebani sono un fenomeno molto più ampio e complesso.

Padre Giovanni Scalese ci chiede giustamente di pregare, di pregare, e molti di noi lo stanno facendo: realmente la preghiera è di conforto, sostegno, stimolo a non mollare? Realmente non è un modo “spirituale” per mettersi un po’ di più l’anima in pace?

Il minimo che noi, così limitati, possiamo fare è pregare per i nostri amici afghani, sperando di portar loro un po’ di conforto e rimettendoci così a qualcosa di Onnipotente. La preghiera è come l’ossigeno che produce un albero, non si vede, ma senza si muore.

a cura di Luigi Cirillo – Roma

Un ferragosto BarnabitiAPS

La festa di oggi, che la si chiami Ferragosto o dell’Assunta, ha diverse origini pagane e cristiane, senza nulla togliere all’una o all’altra radice.
Una festa è sempre una festa e questo è importante per il bene dell’uomo e della donna. Una festa serve per rigenerare il pensiero e l’anima e il corpo, per questo una festa quando è veramente una Festa è sempre religiosa, al di là che sia pagana o – nel nostro contesto – cristiana.
Forse che i cattolici hanno “imposto” questo evento della vita di Maria a questa festa di origine romane? O forse hanno semplicemente evidenziato il bisogno di luce e di bene che questa festa portava con sé e che il dogma dell’Assunzione non solo riecheggia, ma amplifica? Io credo di più a questa seconda versione, non perché cattolico, ma perché comunque la fede cristiana ha nel suo DNA la preoccupazione di esaltare il bisogno di luce, di vita, di eternità che ogni uomo porta con sé. In una società sempre più secolarizzata, cioè priva di riferimenti a Dio, dove per molti versi emerge il delirio di onnipotenza piuttosto che il bisogno di eternità è veramente importante recuperarne il senso. In una società dove spesso anche i cristiani sono più inclini all’intimismo piuttosto che alla testimonianza è importante recuperare il valore anche di questa festa.
Che Maria non debba subire la corruzione del corpo dopo la morte non è un manga (?), una burla o una boutade pubblicitaria è la risposta al bisogno di mistero e di senso che ogni uomo e donna hanno.
Se ci pensiamo bene facciamo di tutto per il nostro bene, per il bene del nostro corpo; se ci pensiamo bene facciamo di tutto per fermare il disfacimento del corpo fino a praticare l’eutanasia. La festa dell’Assunzione di Maria al cielo continua non solo il bisogno di bene che già l’Imperatore Augusto indisse con la Feriae Augustales, ma lo risolve affermando che il bene per eccellenza è quello dopo la morte. Ma non un bene del Dopo, bensì un bene che sollecita, sostiene, guida e coltiva il bene del qui e ora. Il cristiano non crede al Paradiso per fuggire dal terreno, bensì per credere meglio e di più nel presente.
«Quando Nietzsche si pone questioni sul senso di questa festa, scopre, indagando l’incantesimo del dionisiaco, che in essa si celebra la riconciliazione tra la natura e il suo figlio perduto, l’uomo. Scrive ne La nascita della tragedia che diventa il tempo in cui si coglie la luce della dimensione aurorale del mondo, che si rinnova in virtù dell’incantamento della forza di liberazione che lo percorre» (IlSole24ore, 15 08 2021, III).
Nella storia semplice e fantastica di questa piccola e sconosciuta donna semita (meglio di qualsiasi anima giapponese) troviamo la risposta a quel bisogno della luce aurorale del mondo di incontrare l’uomo. In Maria però non c’è solo una eccelsa filosofia, bensì la storia concreta del Mistero di Dio che incontra e abbraccia il mistero dell’Uomo e della Donna.
A noi volontari zaccariani è chiesto di essere ancora più consapevoli del senso di tale festa dell’Assunzione di Maria al Cielo, non solo per recitare qualche Ave Maria in più (che fa sempre bene come direbbe il nostro SAMZ) bensì per testimoniare la vita di Dio tra la vita degli uomini.
Specialmente dopo che il recente Capitolo della neoprovincia Italiana ha riconosciuto e incentivato la nostra BarnabitiAPS abbiamo realmente bisogno di ri-conoscere e qualificare la nostra vocazione umana e cristiana.
Come Maria con la sua vita ha permesso alla vita di Dio di entrare nella vita degli uomini e delle donne, così a ognuno di noi è chiesto di continuare a coltivare questo mistero della Vita. Non è delirio di onnipotenza niciana, è risposta alla vocazione cristiana.

Gesti politici nello sport

Il primo gesto politico avvenuto nel mondo dello sport può essere quello delle Olimpiadi del ’68, quando Smith e Carlos, una volta ricevute le relative medaglie, ascoltarono l’inno nazionale sollevando un pugno chiuso ricoperto da un guanto. Questo gesto esprimeva solidarietà nei confronti delle Black Panthers, organizzazione che lottava per porre fine alla discriminazione degli afroamericani. Tale posa è stata ripresa in tempi moderni da Hamilton, pluricampione di Formula 1, per combattere il razzismo in America e nel mondo.
Purtroppo, però, almeno per quello che posso vedere in Italia, si sta strumentalizzando troppo la questione, la quale non può essere definita soltanto come un qualcosa a due colori, bensì di mille sfumature. Nel compiere un gesto politicamente forte, la persona deve crederci e porre degli ideali in essere. Non basta farlo. Moltissime persone non compiono i gesti proprio perché non credono sia la strada giusta per combattere il razzismo. Quindi non sentono una motivazione valida. Non è vero che se una persona non si fa fotografare mentre combatte le disuguaglianze allora è una persona razzista. Non sono azioni complementari. Ne sa qualcosa il ferrarista Leclerc, pilota molto presente in campagne solidali, che ha dovuto rispondere in maniera molto forte, attraverso i suoi canali social, alle accuse di chi lo ha criticato per non essersi inginocchiato prima dei Gran Premi. Per il pilota monegasco, infatti, “contano maggiormente i fatti e i comportamenti delle persone nella vita piuttosto che i gesti formali che potrebbero essere giudicati controversi in alcuni Paesi”.
Una situazione simile si è verificata durante gli indimenticabili Europei di calcio del 2020: alcune squadre si sono volute inginocchiare in solidarietà al movimento BLM mentre altre no. Questo contesto ha visto l’Italia come protagonista assoluta in quanto, durante la partita contro il Galles, metà squadra era rimasta in piedi mentre l’altra era inginocchiata. Ho visto persone criticare e insultare duramente i giocatori, la squadra e i dirigenti. Fino a prova contraria, però, esiste l’articolo 21 della Costituzione che dà diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero. Pertanto, se una persona non dovesse essere d’accordo relativamente a un gesto o una parola, non vedo perché dovrebbe emularlo, cadendo poi nella banalità. Penso, inoltre, che l’Italia nella decisione presa contro il Galles si sia dimostrata un Paese democratico, come affermato nella Costituzione, in cui ognuno può sentirsi libero di esprimere la propria opinione. Obbligare tutti allo stesso tipo di comportamento in nome di uno spirito di squadra mi sembra assurdo. I calciatori sono persone normali, possono essere amici anche avendo opinioni e modi di dimostrarle differenti.
Ripeto, bisogna avere rispetto nei confronti delle persone perché un gesto formale non implica che la persona che lo compie è razzista o meno. Inoltre, bisogna anche essere onesti con sé stessi quando si prendono queste iniziative. Durante il quarto di finale Italia-Belgio, il calciatore Spinazzola si è rotto il tendine d’Achille ed è uscito piangente in barella. Nessun giocatore belga, che qualche ora prima si era inginocchiato in senso di rispetto verso il prossimo, si è avvicinato per chiedergli come stesse, non uno ha bloccato il lancio di oggetti dagli spalti verso di lui, non uno ha avuto un qualsiasi moto di compassione. A questo punto mi viene da pensare, come dice Leonardo Tondelli nel suo blog, che veramente c’è il rischio di non sapere perché ci si inginocchia. Mi viene da dire che molti si inginocchiano e si inginocchieranno per conformarsi alla massa e aderire ad una scelta politica che però, nei fatti reali, è abbastanza sterile. Come si può sostenere la causa di milioni di persone sconosciute se non si riesce a rispettare nemmeno chi è a due metri da te? Penso, inoltre, che l’Italia nella decisione presa contro il Galles si sia dimostrata una Nazione democratica in cui ognuno può sentirsi libero di esprimere la propria opinione. Obbligare tutti allo stesso tipo di comportamento in nome di uno spirito di squadra mi sembra assurdo. I calciatori sono persone normali, possono essere amici anche avendo opinioni e modi di dimostrarle differenti.
Detto ciò, non voglio essere frainteso, ma soltanto esprimere la mia opinione dopo tutto quello che ho visto. Vorrei soltanto che le persone che compiono questi gesti fossero consapevoli di ciò che fanno. E non che lo facciano soltanto per “farsi vedere”. Lo stesso vale per le proteste sportive nei confronti delle donne. Credo abbia poco valore dipingersi la faccia, se poi non si fa nulla di concreto per difendere le donne da molestie sessuali o altre discriminazioni. Credo, infine, che per combattere al meglio le disuguaglianze bisogni infliggere delle dure punizioni all’istante e non dopo aver aspettato metà campionato; soprattutto al giorno d’oggi con una tecnologia avanzata e i biglietti nominativi.
Marco C., Milano