Agosto 2023

Agosto, tempo di riposo o di ritmi più tranquilli.
Non proprio: tutte le energie recuperate in una settimana al mare a luglio, sono già esaurite alla vigilia di questo 15 agosto.
Avrei voluto leggere un libro in più, approfondire qualche tema lasciato in sospeso, ma il vortice delle questioni burocratiche o delle emergenze ha avuto il sopravvento.
Anche il pensare a tutti i fatti di cronaca di questo ultimo mese o poco più ha avuto la meglio.
Quante violenze su questa donna o quella ragazza, nelle carceri; quante violenze tra giovani; quanta droga ancora in circolazione di cui non si parla; poi le guerre, e poi … tanto altro.
Sembra un mondo che non vuole uscire dal vortice del male, un mondo sul quale non vogliamo ragionare per sconfiggere il male e tirar fuori il bello e il vero. Talvolta lo sconforto sembra prevalere; altre si sceglie l’indifferenza e si riesce anche a procedere senza grossi problemi.
Però non possiamo non vedere tanta violenza gratuita di tanti giovani, tanta violenza che ci infetta se non facciamo attenzione. Perché l’essere umano è violento, ma può domare la violenza e coltivare il bene.
Il Papa ha detto qualche cosa di interessante a proposito parlando ai giovani a Lisbona qualche giorno fa. Certo non erano tanti questi giovani di fronte ai milioni di giovani sparsi nel mondo. Probabile che molti di quei giovani abbiano già dimenticato le parole ascoltate e la mission sollecitata dal Papa: «Voi siete la generazione che potete vincere la sfida del clima… non abbiate paura, andate avanti!».
Ma il lievito è sempre poco rispetto alla farina da impastare e al pane da cuocere. E se anche pochi, quei giovani, di cui nessuno tra i giornali del mondo ha parlato tranne qualche pagina italiana, hanno ascoltato e vissuto la spiritualità della GMG e sicuramente ne sentono la responsabilità.
Commentava un mio giovane amico, Giorgio Brizio, su Instagram l’altro ieri: «Non sono credente, ma penso davvero che la Chiesa e le comunità religiose possano avere un ruolo decisivo tanto nella lotta climatica quanto nel supporto alle realtà che salvano vite nel Mediterraneo».
E non sono pochi i giovani che amano vivere la vita. Non sono pochi quelli che hanno rallegrato queste mie serate con lunghe chiacchierate non su come si veste Harry Styles ma come la fisica possa aiutare a migliorare la vita, come possa incontrarsi o ancora scontrarsi con la fede e cose del genere… Fortunatamente la birra ha mantenuto fresche e agili le corde vocali! Potrei sintetizzare le tante parole che ci siamo scambiati con quanto scritto l’8 agosto scorso da Michele Serra (Ok Boomer, Ilpost.it): «Siamo animali, la realtà fisica è ciò che ci dà vita e senso, ci rimette in quadro. La tecnologia, anche se silicio e terre rare ne garantiscono l’hardware, è metafisica, ci fa sembrare di essere ovunque ma, nel farlo, ci leva la terra sotto i piedi, espropria il nostro metro quadrato e ci fa galleggiare come anime nel paradiso – e siccome il paradiso non esiste, la sensazione di spaesamento, e di truffa, è anche peggiore».
Certo, per me il Paradiso esiste e proprio perché esiste so che la speranza non è una chimera ma ciò che rende bello e vero il presente, anche con le sue fatiche. Il Paradiso sono quei due giovani che hanno dato del tempo a dei ragazzetti albanesi nella missione che purtroppo il 15 agosto chiuderemo per mancanza di pastori/sacerdoti che possano guidarla. Il Paradiso sono quei 9 giovani con cui, senza troppe pretese ma voglia di esserci, condivideremo dal 15 agosto del tempo con bambini e bambine della periferia di Mérida (Messico) per imparare un po’ di senso e magari darne un poco anche noi.
Siamo ad agosto e il silenzio e le città deserte ti fanno meglio ragionare su quanta buona speranza si riesca comunque a coltivare. E il tempo un po’ più rallentato ti fa capire la pazienza che si deve avere con le nuove generazioni, i loro ritmi, i loro aneliti, i loro dilemmi, anche quando l’età che avanza rischia l’impazienza.
Il 15 agosto è anche la festa dell’Assunzione di Maria alla casa del Padre e del Figlio (l’abitudine della Chiesa di immettere in feste “pagane” il proprio zampino!) che ci insegna come la paziente perseveranza di questa giovane donna le abbia donato il Cielo sulla Terra, perché non si può andare in Cielo se prima non si vive sulla Terra.
Non abbiate paura, andate avanti! Questo è il mio 15 agosto 2023.

Giannicola M. Simone

SAMZDAY 2023

Oggi è la festa del nostro amato e simpatico e ganzo e innovativo e instancabile e… SAMZ!
Non scrivo cose su di Lui, già lo ha fatto Paolo recentemente e non solo lui. Piuttosto credo che il modo migliore sia quello di ragionare su come mettere in pratica i suoi insegnamenti e renderlo presente oggi.
Recentemente don Alberto R. a scritto che il rischio dei preti e della Chiesa è di dire: “abbiamo sempre fatto così”, un rischio pernicioso e mortale. Una Chiesa che dovrebbe essere il normale alveo della fantasia rinnovatrice dello Spirito santo rischia in effetti di arenarsi nel “abbiamo sempre fatto così”.
Non è facile uscire da questo ritornello, non credo sempre e solo per accidia pastorale, bensì perché è complesso trovare strade nuove. Meglio, è facile tentare nuove strade e o strategie ma non altrettanto mantenerle perché l’oggetto dei tentativi si stanca facilmente ovvero ha gusti difficili o non si interessa a nulla.
Sicuramente il problema della Chiesa oggi, anche in Italia, è quello di non riuscire ad arrivare ai giovani a tanti più giovani anche se diverse immagini di questi giorni sui nostri Campi Estivi sembrano dimostrare il contrario.
I giovani che collaborano con me hanno letto e commentato l’articolo di don Alberto, lo hanno apprezzato ma ritengono sia una questione non così reale e importante perché la maggior parte dei loro coetanei non è interessata a nulla se non a ciondolare di qua o di là perché è estate, perché devono essere liberi, perché non amano puzza di incenso o di impegno qualsiasi.
Uno dei motivi per cui 40 anni fa decisi di intraprendere la strada della vita consacrata, del sacerdozio, fu proprio quella di far conoscere a tanti miei coetanei la bellezza dell’amicizia con Gesù. Ho cercato strade e strategie anche nuove, ho notato delle costanti e dei cambiamenti tra le generazioni incontrate. Ho cercato di trasmettere ai miei confratelli più giovani il gusto della cura dei giovani e adolescenti più che dei pizzi e merletti. Non devo certo fare una statistica dei risultati ottenuti (è necessaria?). Mi accorgo che non è facile appassionare a Cristo, al vivere in Cristo; non è facile formare a una “evangelizzazione per attrazione” o far “scendere dal divano” i giovani.
Eppure tre settimane fa ho incominciato – dopo anni di sosta – l’oratorio estivo forte della mia formazione milanese ma anche preoccupato per la mancanza di animatori e altri collaboratori: non volevo comunque si perdesse l’occasione di una cura dei bambini e dell’attenzione alle loro famiglie, in vista di una “capitalizzazione” per il futuro. Le cose sono andate bene, anche con un po’ di “copia e incolla”, tranne per i ragazzi 11/13 (ma questo è un altro discorso).
Specialmente con gli animatori ho notato una fedeltà che non mi sarei aspettato (compresa la pausa Coldplay a Milano!!!) e una capacità di coinvolgere loro coetanei a dare un contributo (ciò che non ero riuscito a fare io).
Gli “altri” giovani, anche quelli che al termine delle attività arrivavano a frotte per giocare a basket o… non è stato possibile coinvolgerli, nemmeno in attività alternative come scrivi don Alberto.
È giusto dire che sono contento di poter dare loro almeno un sorriso, un chiamarli per nome, uno spazio accogliente?
È giusto “accontentarsi” degli animatori vecchi e nuovi, come di quelli impegnati nella maturità o i nostalgici ora all’università che percorrono nuove strade? Lavorare con loro richiede molto tempo e pazienza e molta preparazione e non è facile trovarne per altro: è una considerazione comoda?
È corretto che l’età di don Alberto, più giovane della mia, si ponga la preoccupazione che è anche la mia: “abbiamo sempre fatto così”. Non è facile trovare una alternativa, ma con pazienza, comunione tra noi, i giovani e lo Spirito santo, credo che la troveremo.
Antonio Maria Zaccaria è sempre stato preoccupato di riformare se stesso prima degli altri, per riformare gli altri e la Chiesa; Antonio Maria ha sempre considerato l’errore dell’altro come un fatto necessario per crescere e costruire, perché, Antonio Maria prima di tutto ha sempre creduto nella libertà dell’altro per crescere nella libertà di Cristo.
Con questi pensieri grazie a tutti voi celebriamo oggi la festa del nostro Padre e Fondatore.
Giannicola M. Simone prete

Campamento de verano – PP. Barnabitas Mérida – Yucatán. ¡Adelante 2023!

Con este lema comienza oficialmente nuestra aventura junto a los padres Barnabitas de Mérida – Yucatán, México.
Con gusto publicamos las expectativas de cuatro de nuestros voluntarios entre los 9 que vivirán esta oportunidad:

Cuando cumples18 años, el verano representa la libertad, las salidas con los amigos, las primeras vacaciones juntos y yo también me imaginaba que pasaría mi verano así. Luego se me presentó un viaje a México, como voluntario, en una misión de los padres Barnabitas: ¡no tardé en cambiar de opinión! Al principio estaba muy indeciso porque significaba, y sigue significando, hacer solo el primer viaje al extranjero, pero las preocupaciones no se limitan a eso; los diferentes usos y costumbres pueden representar un obstáculo difícil de superar, y ni hablar del idioma -del que conozco pocas palabras-. Sin embargo, creo que todo esto es un “riesgo” que vale la pena correr, porque experiencias de este tipo, a mi edad, ocurren sólo una vez en la vida y espero que sean formativas tanto a nivel personal como en términos de interacción con los demás. También estoy convencido de que ver y poder tocar con mis propias manos las carencias y las dificultades de otras sociedades puede darme una apertura mental que hoy, en un mundo que tiende cada vez más al egoísmo y al bienestar personal, es una característica fundamental poseer Así que a la pregunta del Padre Giannicola “¿por qué elegiste embarcarte en esta aventura?” respondo: para poder mejorar, como persona y como joven, y, a mi manera pequeña, esperando poder dar una mano prestándome a todos los servicios necesarios.
Michele LaD. – Bolonia

En agosto del 2023, a pesar de mi corta edad, estaré a punto de vivir una experiencia destinada a marcarme para el resto de mi vida. La oportunidad de embarcarme en un viaje así siempre ha sido un sueño para mí. De hecho, desde niño, he tenido el compromiso de intentar ayudar a los demás, pero ninguna actividad de voluntariado en la que he participado se puede comparar con esta futura experiencia. Ir a un lugar tan lejano y culturalmente diferente será profundamente educativo, me ayudará a crecer y madurar. Será un viaje inolvidable, en el que mejoraré mi sentido de la empatía y en el que viviré de primera mano las dificultades a las que algunas personas están acostumbradas a vivir. Espero sinceramente poder contribuir a las comunidades que encontraremos, siendo conscientes de las dificultades que podemos encontrar. Finalmente seré capaz de ayudar realmente a alguien, yendo directamente a los lugares que necesitan. Probablemente, emprender un viaje así a los 18 años requiere un poco de valentía e inconsciencia, pero la posibilidad de ser realmente útil en mi vida es un impulso más fuerte que los miedos. En pocas palabras, en unos meses viviré lo que, desde chico, siempre he soñado, y la esperanza es estar a la altura de todo lo que se requerirá de mí.
Arturo M. – Bolonia

Siempre me han fascinado las experiencias de voluntariado, de aquellos que volaban al extranjero para dedicar su tiempo a ayudar a otras personas, a transmitir su cultura y tradición, o simplemente a entretener a los niños pero también a los adultos que cada día están en contacto con una realidad bastante diferente. y complicada comparado con la, pero igualmente fascinante. Este año también tendré la oportunidad de poder vivir una experiencia de este tipo, más precisamente una experiencia de voluntariado en México, en la ciudad de Mérida, con los Padres Barnabitas. Aunque es un camino largo, lleno de compromiso y sacrificio, no dudé ni un momento en confirmar mi presencia para sumarme al proyecto. En el momento en que me llegó la propuesta, sentí dentro de mí el sentido del deber que siempre he tenido con el voluntariado, comprendí que era hora de profundizar y ampliar mi camino, que partía del servicio prestado en el comedor de los pobres de la ciudad de Como, a un viaje al extranjero que me hubiera dejado una huella imborrable. Creo que el objetivo del viaje, junto con otros jóvenes, será diseñar y organizar actividades que puedan estimular a los niños especialmente a nivel social y en el campo del aprendizaje, a través de juegos, canciones y talleres al aire libre. De este viaje espero volver como una persona nueva pero sobre todo enriquecida: estoy segura que el espíritu genuino, especialmente de los niños, me llenará de alegría, haciéndome comprender que la alegría y la alegría de la niñez se encuentran también en las circunstancias más difíciles. Estos son mis propósitos de partir y emprender un viaje en el que pondré todo mi esfuerzo y fuerza, para dar mi aporte y marcar la diferencia en mi vida y la de algunas personas.
Lucrecia S. – Como

¡¡15 días en Mérida (México) participando en actividades de entretenimiento para niños del lugar, junto con un grupo de adolescentes italianos y otros jóvenes de las comunidades locales de los Padres Barnabitas!! Cuando pienso en este extraordinario viaje, me llena una gran emoción, porque sé que esta experiencia cambiará mi vida y dejará una huella imborrable en mi corazón. No puedo evitar pensar en todas esas sonrisas que veré y la energía contagiosa de las personas que conoceré a lo largo de mi viaje. Siento que me enriquecerán, mucho más de lo que yo podré hacer por ellos. Imagino las caras curiosas de los niños mientras comparto con ellos momentos de juego, creatividad y divertido. Me pregunto cuáles son sus historias, sueños y esperanzas. Tengo muchas ganas de sumergirme en su cultura, aprender de sus tradiciones y descubrir nuevas formas de ver el mundo a través de sus ojos. Al mismo tiempo, admito que hay cierta ansiedad que me acompaña, pero creo que es normal sentirme así cuando me aventuro en un territorio desconocido. Saber que tengo la oportunidad de hacer una diferencia en la vida de estos niños me llena de gratitud. Quizás no todo sea fácil, pero tengo fe en mis habilidades y en el apoyo de los demás muchachos que me acompañarán en esta aventura. Mientras me preparo para ir, me concentro en lo que puedo ofrecer y cómo puedo ayudar a crear un impacto positivo. Estoy llena de ilusión y ganas de hacer especiales estos momentos, de compartir amor, alegría y sonrisas con todas las personas que encontraré en estas dos semanas. Así que, con la bolsa llena de ilusión y el corazón abierto, partí rumbo a Mérida, dispuesto a comenzar esta extraordinaria aventura. Espero dejar una impresión duradera y crear recuerdos que llevaré conmigo toda la vida.
Ricardo S. – Lodi

MORIRE O VIVERE DI PASQUA

Ma tra Tutto e Niente non può esistere grigio. Non c’è compromesso.
Io. Ogni cosa. Si è figli del Tutto, o figli del Niente.
Da una parte, Dio. Dall’altra, il Caos. (Daniele Mencarelli, Sempre tornare)
La vita finisce con la nostra morte o continua in qualche modo?
Abbiamo celebrato la Pasqua da qualche giorno, l’evento che ci immette nell’eternità, nell’immortalità.
Si può credere nell’eternità, in una vita rinnovata, rigenerata, risorta: viva nonostante la morte biologica?
Vivere da risorti, vivere dopo la morte, un argomento che può interessare ma non fa parte del pensare quotidiano.
Ne ho parlato con alcuni studenti del 4 anno. La discussione è stata interessante, anche se difficile, ma ogni tanto se qualche cosa è difficile forse significa che vale. Non può essere che tutto sia sempre molto accessibile e senza ricerca. La vita in sé è difficile, non impossibile, ma difficile da comprendere nella sua totalità: non può essere altrettanto anche per la vita risorta?
La confusione tra risurrezione e reincarnazione è molto presente, far comprendere la differenza abissale non è facile. Il principale dato da evidenziare a questo proposito è che la risurrezione, la vita risorta riguarda tutto il nostro corpo; la reincarnazione riguarda una parte di noi, l’anima che andrebbe vagando alla ricerca di un altro corpo dove dimorare. La risurrezione riguarda l’originale unicità della storia di ognuno; la reincarnazione perde la propria originalità e unicità, l’essenza di sé si perde in altro.
Il bisogno di immortalità è proprio della persona, da sempre l’uomo e la donna vogliono lasciare un segno di sé proprio perché sanno di dover morire.
Andri Snær Magnason ne Il tempo e l’acqua racconta che ognuno di noi porta con sé la memoria consapevole di almeno 8 generazioni prima e dopo, un modo per raccontare il bisogno di immortalità!
Nella fede cristiana l’uomo non è immortale, però la morte non è l’ultima parola: l’uomo è fatto per l’eternità, perché Dio è eterno, perché Cristo ha portato su di sé la morte per rendere l’uomo e la donna eterni. Gesù è l’epilogo della preoccupazione di Dio del prendersi cura dell’uomo. Dio si cura dell’uomo. Dio è immortale, al di là della condizione di debolezza e di fragilità dell’uomo; Dio è capace di chinarsi sull’uomo e di prendersene la responsabilità, di dargli gloria e un compito, di entrare in relazione dialogica con lui. È la sicurezza di questo dialogo che dona vita e apre alla vita per sempre.
Questa parola di vita diventa vita e dona vita attraverso il Battesimo. Proprio nel rito di immersione nell’acqua del Battesimo il credente muore e rinasce. Nel battesimo l’uomo della vita solo naturale muore, si lascia la morte alle spalle, e rinasce con la vita di Cristo, la vita eterna, non nel senso che non morirà (anche Cristo è morto), ma che, come è accaduto al Figlio di Dio, la morte non avrà mai l’ultima parola.
La maggior parte dei giovani di oggi non ha paura della vita, però vive una vita di paura, una vita che non vuole pensare alla morte eppure con la morte diretta o indiretta ci gioca. Probabilmente anche perché non ha più presente il sapore della vita risorta. Forse perché i cristiani per primi faticano a riconoscere e raccontare la Pasqua come l’evento fondamentale e portatore di vita. Se è così l’umanità, i più giovani come possono affrontare la morte?
Il battesimo è il modo di Dio di prendersi cura dell’uomo e della donna facendoli partecipare alla vita di Dio: tutti gli eventi di morte sono per lui episodi «di passaggio», cioè di parto, di rinascita.
Il battesimo inaugura questa possibilità di rinascere sempre, ma è compito del credente renderla sempre più cosciente e attiva, realizzandola nella sua storia in modo unico e originale. Per se stesso e per gli uomini e le donne amate dal Signore che vivono tra le nostre strade.

CADERE

Nelle nostre vite può accadere di tutto e tutti ovviamente speriamo in avvenimenti felici e opportunità che ci permettono di avere una vita facile e di cui vantarci con gli amici davanti a una tazza di caffè o a una buona pizza e birra. Ma è tutta speranza e apparenza perché la realtà dei fatti è che ognuno di noi cade per motivi diversi e ci ritroviamo a dover affrontare eventi che segneranno a vita il nostro percorso.
Riuscire ad alzarsi e “sopravvivere” ai traumi che comportano molte volte queste cadute, sia fisiche che psicologiche, è faticoso e non sempre si riesce a dimenticare o a perdonare il motivo di tale sofferenza ma la perseveranza e il lavorare su se stessi sono molte volte l’inizio della guarigione.
Una delle cadute peggiori che una persona deve affrontare è la violenza, che sia su donne uomini o bambini.
Le vittime di violenza perdono la speranza, si chiudono in se stesse domandandosi “perché proprio io?” oppure “dov’è Dio?”. In queste situazioni si tende a percorrere due strade: il rifiuto e il disprezzo nella fede o la scoperta di amore che va al di sopra di quello carnale; quello di Dio.
Il rifiuto verso Dio è dovuto alla sofferenza e alla sensazione di abbandono che si prova nelle situazioni dolorose; mentre la scoperta della fede è un’ancora alla quale le persone si attaccano con tutta la loro forza per riuscire a superare tutto quello che hanno passato. Come hanno fatto dei giovani ragazzi di Kinshasa, che davanti al Papa hanno avuto la forza di raccontare le loro drammatiche esperienze per dare esempio ad altre persone che hanno affrontato o stanno ancora affrontando tali torture.
Credo che in ogni caso il primo passo verso l’inizio di una nuova vita debba partire dall’accettare e perdonare. Non per forza dal perdonare il proprio carnefice, ma dal perdonare e dall’accettare noi stessi per come siamo; le nostre debolezze e le nostre forze che ci aiutano a proseguire il nostro percorso di vita.
Martina C. – Bologna 3 les

490 anni!

«È proprio dei grandi cuori mettersi al servizio degli altri senza ricompensa e combattere non in vista della paga»

Era il 18 febbraio 1533 quando a Bologna Papa Clemente VII concedeva, al cremonese Sant’Antonio Maria Zaccaria, il Breve di Approvazione dei Chierici Regolari di S. Paolo, che i milanesi chiameranno poi Barnabiti dal nome della loro prima sede, la chiesa milanese di S. Barnaba. È uno dei più antichi ordini di chierici regolari nella storia della Chiesa e ad esso partecipano anche l’istituto religioso delle Suore Angeliche di San Paolo, congregazione parallela a quella maschile dei Barnabiti, e i Laici di S. Paolo. L’Ordine ha quindi anticipato e, in un certo senso, anche preannunciato la Riforma cattolica nei confronti della Riforma protestante in Europa.
I primi gruppi erano assiduamente dediti a poveri, ammalati e ai giovani. Nei decenni successivi, la continua ricerca della santità e il notevole altruismo con il quale i gruppi barnabitici erano conosciuti, ha coinvolto ed affascinato le aristocrazie, nonché il ceto medio borghese, delle cittadine lombarde. Ad oggi, son passati 490 anni da quel giorno e si può affermare con certezza che “qualcosina” è stato fatto. Ad esempio, il prefetto dell’Archivio Segreto del Vaticano è il barnabita padre Sergio Pagano. Preferisco però soffermarmi maggiormente su ciò che i Chierici Regolari lasciano a chi li conosce da vicino piuttosto che sulle figure politiche-religiose.
I Barnabiti si trovano difatti in tutto il mondo, anche dove l’intolleranza religiosa e la violenza sono la normalità per gli abitanti del posto: dalle Americhe (USA, Messico, Brasile, Argentina e Cile) fino all’Asia (Filippine, India, Indonesia e Afghanistan) passando per l’Africa (RD Congo e Ruanda e Tanzania) con numerose comunità nonché case religiose. Come allora, la missione dei Padri è quella di prendersi cura della gioventù negli oratori e nelle scuole. Contribuiscono infatti alla formazione umana, insegnando ai ragazzi non soltanto conoscenze teoriche, ma anche valori spirituali e cristiani. E questo perché la scuola, come voleva il Fondatore, è vista da sempre come uno strumento prezioso di evangelizzazione e promozione umana.
Come ha rilasciato in molte interviste padre Pasquale Riillo, si può pensare che parte del successo, e aggiungerei anche dell’umiltà, di Parini, Manzoni e Montale sia avvenuto sì grazie alla loro genialità, ma anche per una educazione basata sulle nozioni scolastiche, ma quasi sicuramente anche su valori come il rispetto, l’educazione e la disciplina, fondamentali per la vita di tutti i giorni.
Insieme a mio fratello ho avuto la fortuna di essere cresciuto in un ambiente barnabitico. In realtà, è una situazione che si ripete da diverse generazioni perché molti nostri parenti hanno studiato dai Barnabiti presso il Collegio San Francesco di Lodi. Ai tempi di padre Fiore e padre Mancini, quando mia madre e mio zio erano dei giovani adolescenti, il Collegio registrava molti iscritti ed era molto rinomato nell’ambiente Lombardo. Erano circa 700 alunni, per lo più convittori e cioè studenti che vivevano nella struttura ecclesiastica, che frequentavano. Il ricordo che si portano dietro di quegli anni è molto positivo, spesso ci raccontano di storie che succedevano a scuola oppure nel convitto e nei chiostri. Ne accadevano di ogni colore, erano altri tempi e tutti ci ridevano sopra per quello che veniva commesso. Questo faceva sì che si creasse anche uno spirito di appartenenza e di grande famiglia allargata, oggi parleremmo di teambuilding, tra gli studenti che prima di essere compagni di scuola o di camera erano amici nella vita quotidiana. Per Lodi giravano sempre insieme, tutta la città li riconosceva ed era un po’ come quello che adesso vediamo nelle serie tv ambientate nei college americani. Molti di loro sono rimasti tutt’ora amici, altri invece si sono persi, ma quando ci sono gli incontri degli ex alunni, si riconoscono e ridono ancora insieme raccontandosi le vicende del SanFra. Le generazioni successive, come la mia o quella di mio fratello, non hanno potuto purtroppo godere gli anni migliori per via della crisi religiosa che ha colpito la Chiesa e di conseguenza anche il Collegio. Gli iscritti sono drasticamente calati per diversi motivi sui quali non mi voglio tanto soffermare, ma tra i quali possiamo annoverare un corpo docente laico che non ha la stessa passione e grinta posseduta dai sacerdoti, un disinteresse generale verso la cultura e anche una società meno religiosa. Tutto questo porta una famiglia a non investire tanto economicamente in una scuola paritaria e per una educazione ecclesiastica. Nonostante ciò, posso lo stesso dire che i principi e i sani valori non si sono persi con il tempo e, seppur in un numero più ristretto, le persone cercano e portano ancora avanti le opere apostoliche dei Barnabiti. Il volontariato, ricordiamo l’affermazione con la quale
«È proprio dei grandi cuori mettersi al servizio degli altri senza ricompensa e combattere non in vista della paga», così Sant’Antonio Maria Zaccaria ha voluto spiegare la visione del suo Ordine. Qui attinge anche l’attuale volontariato zaccariano che grazie al dialogo tra vecchie e nuove leve i Padri riescono ad avere iniziative più smart per raccogliere fondi e raggiungere lo stesso tutte le classi della società attuale. Ne è un esempio l’iniziativa pasquale che trovate sul nostro Blog www.giovanibarnabiti.it, con la quale attraverso l’offerta di colombe artigianali si cerca di raccogliere dei fondi per il progetto “dona un futuro” per bambini di Merida in Messico, attività estiva dei giovani volontari zaccariani con i Padri e i giovani del posto.
I tempi cambiano e di conseguenza anche le persone devono evolversi e adattarsi. Posso affermare, con il consenso anche di alcuni miei ex compagni nonché amici, che i padri si sono adattati bene e riescono a tenere unite le persone sotto un unico grande tetto senza distinzioni tra gli Ordini o tra le città di provenienza. Quando ci si vede sembra di conoscersi da molto tempo e nessun altro istituto lo può insegnare, anzi tantissimi compagni di classe finita la scuola non si cercano più. Qui addirittura studenti di diverse età e diverse strutture barnabitiche chiacchierano insieme come se nulla fosse. Pensate, sembra scontato, ma con l’avvento di Internet la comunità giovanile è ancora più unita e coesa anche al di fuori dei propri confini nazionali. Come se prima di essere italiani, brasiliani o indiani fossimo barnabiti; penso fosse stata proprio questa la volontà del Fondatore.
Marco C. – Milano

Più sensibili al Signore

Dal 22 al 23 Luglio una quarantina di giovani adulti parigini hanno soggiornato nei locali della parrocchia Divina Provvidenza di Firenze in occasione del loro pellegrinaggio.
Partiti da Parigi, in arrivo da Torino e diretti verso Roma attraversando Assisi sulle tracce di San Francesco, questi giovani raccontano quel che intravedono come lo sbocciare di una rinnovata forma di fede.
È cosa ardua raccontare con chiarezza l’esperienza che è stata il pellegrinaggio in Italia dell’estate 2022. Di certo la maggior parte di noi aveva già vissuto vari ritiri di due o tre giorni con i compagni della propria parrocchia (siamo i giovani di due parrocchie parigine, ove studiamo la parola del Signore per via del programma EVEN*), ma mai ci era capitato trascorrere undici giorni con sconosciuti nell’ambito della fede e della religione. Tutti aspettavamo il giorno, una volta tornati alle nostre quotidianità, in cui ci saremmo accorti di aver scordato il pellegrinaggio; come se quei pochi giorni trascorsi in comunione con i nostri padri e compagni in direzione di Dio non fossero mai esistiti. Tutti pensavamo di vivere quell’impressione caratteristica del ritorno a casa, quando le vacanze di tre giorni fa sembrano già distanti di parecchi mesi.
Sono trascorsi già più di un mese e mezzo e questo giorno non è ancora arrivato. Anche per questo abbiamo messo tanto tempo a scrivere questa testimonianza. Fosse quel giorno arrivato, sarebbe stato più semplice capire cosa abbiamo vissuto.
Alcuni di noi lo descrivono come se il nostro passaggio in Italia fosse stato solo ieri. Altri, come me, hanno l’impressione di non essere mai completamente tornati. Quel che ci mette tutti d’accordo è che siamo diventati molto più sensibili alla presenza del Signore ai nostri fianchi e che la preghiera fa ormai completamente parte delle nostre giornate. Da quando siamo tornati alcuni vanno “finalmente” a messa, altri ci vanno più volte a settimana o partecipano a tempi di adorazione. Tanti di noi desiderano trovare il tempo di pregare le lodi e/o i vespri ogni giorno.
Credo che questo significhi che la conversazione con il Signore è diventata più semplice e più diretta. Anche per coloro di noi che dicono non credere, o quelli che come Ornella Vanoni hanno appena avuto il coraggio di dire “proviamo anche con Dio, non si sa mai”. Perché i pensieri e le emozioni di ognuno di noi sono stati così forti in quei dieci giorni, che in un certo senso sono diventati dei nuovi punti di riferimento. Quindi anche per i nostri compagni che non credono o che addirittura si sono allontanati dalla chiesa, il nuovo punto di riferimento nella loro vita spirituale è un tempo segnato dalla persona di Cristo grazie al pellegrinaggio.
Sembra che per tanti, le parole di una suora alcantarina, incontrata ad Assisi, hanno avuto molto effetto. Le trascrivo qui affinché possano risuonare anche nel vostro cuore. Questa suora ci insegnò a pregare chiedendo: «Signore, chi sono io? E chi sei tu? Signore, cosa vuoi che faccia?».

un momento di preghiera davanti alla Croce

In undici giorni abbiamo potuto visitare parti di Torino, approfittare di Firenze, vivere l’atmosfera e l’energia del santuario di La Verna e dell’Eremo delle Carceri, pregare nelle chiese di San Damiano così come nella Porziuncola, fare il bagno in vari laghi (eravamo pur sempre in estate!), visitare San Clemente a Roma tra tante altre cose, e anche fare sosta a Milano e celebrare una messa presso Sant’Ambrogio.
Di certo i nostri due giovani sacerdoti non avrebbero potuto gestire tutta l’organizzazione necessaria a tale programma senza trascurare le anime dei giovani accompagnati. Così hanno chiesto ad alcuni di noi di assisterli in tutte le faccende materiali. Questo servizio dei nostri compagni è stato per loro fonte di tanta gioia (dico “loro” i nostri compagni, non i preti!), mentre per noi è stato anche un modo di accorgerci, tramite le loro assenze, la loro fatica ma soprattutto i loro sorrisi, che più si dà e più si riceve.
Così vorremmo ringraziare una volta ancora la vostra parrocchia della Divina Provvidenza, specialmente Giordana e il Padre Giannicola, che ci hanno accolti con grande gentilezza, in condizioni che erano tra le più confortevoli del nostro tragitto. Per di più ci sono stati regalati portachiavi con la vostra Madonna della Provvidenza che continuano ad accompagnarci. Anche se siamo rimasti poco tempo, anche se agli inizi del nostro percorso italiano, la vostra ospitalità continua ancora a guidarci verso Gesù.

Roberto Fecarotta – Paris

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*EVEN: Ecole du Verbe Eternel et Nouveau; si tratta di un percorso spirituale destinato a giovani adulti che hanno voglia di approfondire la loro fede, e di lasciare la Parola di Dio convertire il loro cuore. «EVEN», in ebraico, significa «pietra».

Svegli alle 8

Perché mai l’8 / 08 alle 8.00 del mattino essere svegli (per forza o per davvero non saprei) a Mil8 (Milot la missione dei Barnabiti in Albania)?
Amici e colleghi e … a quest’ora ancora dormono o sono in questo o quel luogo ameno dove il caldo c’è ma non insidia come qui, dove cornetti/brioches e cappuccini imperversano e, nonostante ciò, alcuni giovani italiani e albanesi sono svegli per… (udite, udite anzi leggete, leggete) per giocare.
Sì, per giocare. Termine e concetto forse desueto, ma questi giovani sono qui per giocare, perché il gioco, libero, senza smartphone (o quasi) con qualche regola da raggirare (altrimenti che gioco sarebbe?) è sempre importante per crescere e far crescere.
In questa società mondiale dove bambini e adolescenti sono sempre più fagocitati dal gioco virtuale e dalle relazioni virtuali post(?)Covid; scommettere su un giocare reale, sbucciarsi ancora le ginocchia, tradurre le regole dall’italiano all’albanese; affrontare ragazzini esuberanti (per usare un eufemismo) che vogliono boicottare i giochi solo per dirci: “Ci siamo anche noi!”; scoprire quali sono i giochi migliori da proporre e realizzare secondo le loro esigenze e non le nostre idee; in questa società mondiale fagocitata dal virtuale, il gioco è la carta più bella da giocare per costruire il futuro. (Permettetemi una digressione geopolitica: per costruire la pace, nonostante questa terza guerra mondiale a pezzi!)
Venire a Mil8 richiede di “consumare” i giorni delle proprie ferie, di far finta di non essere stanchi del lavoro a Roma o Milano o Cremona o Firenze o…; diciamolo con franchezza, richiede un po’ tanta incoscienza! Quella incoscienza che spesso i barnabiti predicano in nome di sant’Antonio Maria Zaccaria! Una incoscienza zaccariana che questi nostri giovani realizzano anche se non conoscono a memoria gli Scritti di SAMZ.
Svegli alle 8 dell’8/08 a Mil8 perché il buon giorno si vede dal mattino.
Svegli alle 8 per svegliare noi adulti, per dirci che nonostante tutto qui e in altre parti dell’Albania o del mondo ci sono ancora persone che credono nella possibilità di fare il bene perché prima di tutto raccolgono bene per se stessi. Perché tutti abbiamo bisogno di bene.
In questi due anni questi giovani hanno lavorato molto da remoto per tenere viva la propria passione per Mil8, per la nostra missione, per la propria amicizia nata con i primi KampiVeror 15 anni fa; per capitalizzare le esperienze, le sfide, gli errori, per ricordare che il bene va sempre coltivato; per essere credibili verso tutti coloro che hanno offerto soldi e strutture per far funzionare la “macchina”, non potendo essere qui concretamente (grazie davvero a tutti gli sponsor di questa estate).
Questi due anni da remoto non potevano restare “remoti”, avevano bisogno di concretezza, del campo da gioco di Mil8, nonostante tante difficoltà. Per questo ai nostri giovani italiani e di Milot e FusheMilot e Gallate non costa fatica essere svegli alle 8 anche questo 8/08 a Mil8!
Sicuramente o quasi questo sarà l’utlimo KampiVeror a Milot perché la missione tra qualche mese chiuderà: ognuno elabori le proprie riflessioni e conseguenze. Abbiate almeno il coraggio e la pietas di ringraziare questi giovani svegli alle 8 dell’8/08 a Mil8!
Sicuramente questi giovani già svegli alle 8 di questo 8/08 a Mil8 sapranno elaborare altre sorprese e sollecitare noi adulti e barnabiti a continuare a giocare nella vigna del Signore. Prendiamoci le nostre responsabilità!
Grazie giovani zaccariani già svegli alle 8 del 8/08 a Mil8!
Faleminderit, Zoti ju bekoftë
Giannicola Maria Simone prete

Insegnaci a pregare

No, non è una semplice battuta il titolo.
Oggi molti uomini e donne e giovani non pregano più e quando ne avrebbero bisogno non ne sono consapevoli e non sanno come fare.
Allora Salvini con tutte le sue madonne e rosari così come Achille Lauro con il suo autobattesimo sanremese (vedi mio ultimo articolo) ci ricordano che l’uomo e la donna hanno anche una dimensione spirituale da cui non possono fuggire, con la quale devono confrontarsi.
Ho commentato su twitter l’uscita madonnara del sig. Salvini, chiedendo ai cristiani almeno di rifletterci sopra molto attentamente. Ho ricevuto circa 250 riscontri tra like e risposte. Molto pochi arrabbiati, molti di condivisione e approfondimento sia di credenti sia di non credenti, compresi TheManeskin!. Non so se i conservatori non usino twitter o si siano defilati perché questa volta si è superato il limite.
Però un fatto è certo il sig. Salvini sa dove parare, ma la gente non è del tutto stupida e i cristiani non del tutto ingenui.
Sa dove parare perché la gente, ognuno di noi, non può fare a meno della dimensione spirituale dell’esistenza (chiamiamola anche religiosa) e quindi perché non cavalcarla? Il problema è che molti dei credenti (mi fermo in casa mia) forse non sanno più come rispondere all’esigenza spirituale di ogni loro simile, esigenza sopita o no.
Pregare è un’arte che riguarda tutti, scriveva Massimo Recalcati qualche anno fa, anche chi non è credente.
Ma noi non chiediamo più a nessuno di insegnarci a pregare perché non abbiamo più bisogno di pregare e quand’anche ne avessimo bisogno ci rivolgiamo a questa o quella realtà non spirituale o di una dubbia o effimera spiritualità.
Nel vangelo i discepoli chiedono a Gesù di insegnare loro a pregare, ma noi uomini, donne,
giovani di oggi a chi chiediamo di insegnarci a pregare? Ovvero se qualcuno ci chiedesse di insegnare loro a pregare come e cosa gli risponderemmo?
Abbiamo perso l’abitudine di pregare veramente, di conseguenza siamo incapaci di trasmettere il pregare e quindi nessuno più ci chiede di pregare.
La preghiera è quello strumento con cui possiamo entrare nell’intimità della vita, nell’intimità di noi stessi, nell’intimità di Dio. Ci sono molti modi per entrare nelle intimità della vita e di se stessi. Potrebbe bastare così per essere persone equilibrate e serene verso la vita e verso se stessi. In questo modo però la preghiera resta un buon strumento ma chiuso in se stesso, semplice propria azione di buona volontà, incapace di riconoscersi come un dono ricevuto per diventare dono.
Se per ogni uomo buono ciò è rischioso, per un cristiano lo è ancora di più. Il cristiano che è tale perché ha ricevuto “in dono” la fede e il nocciolo della fede, l’Incarnazione di Dio e il dono dello Spirito santo, vivere piegato solo sulle proprie cose buone non è bene. Non pregare, non voler pregare, non sapere pregare conduce anche il cristiano a pensare solo a se stesso, non per cattiveria, ma per maleducazione.
Il fatto stesso che molti di noi adulti non siano stati capaci di trasmettere il bello e il dono della preghiera è un chiaro segno di questa maleducazione. Una maleducazione che ha portato molti nostri giovani anche a pregare, ma spesso a non essere consapevoli di come pregano e di chi pregano. Tra questi adulti maleducanti mi ci metto anche io.
Parlare di questa maleducazione non significa colpevolizzare questo o quello ma cercare di diventare consapevoli di una fatica, di una incapacità che sta creando molti danni. Se la preghiera è il modo proprio di essere cristiani, di essere uomini e donne, di amare, di vivere e morire (come tutta la Bibbia ci insegna) non essere più capaci di insegnare a pregare è un dramma, una colpa profondi.
Insegnare a pregare significa almeno due cose: scoprire ed edificare la propria vita interiore, scoprire ed edificare il proprio essere figli.
In troppi dialoghi con giovani credenti o no, vicini o lontani, troppo scopro l’incapacità di costruire una propria vita interiore e quindi l’incapacità di affrontare in profondità la bellezza del proprio esistere. La mancanza di una vita interiore è l’altra piaga della nostra umanità, connessa al non sapere pregare.
Certo ci sarebbero gli psicologi per aiutare a fare ciò, ma la psicologia, quando è seria, entra nelle dinamiche dell’esistenza per sbrogliarne la matassa però non può rispondere alla domanda di senso e specialmente alla consapevole scoperta dell’essere figli.
Infatti, la preghiera cristiana, conduce a scoprirsi figli non di un Dio sconosciuto ma di un Dio che in Cristo si è rivelato Padre a ognuno di noi e nel dono dello Spirito si fa riconoscere come tale in modo sempre rinnovato, originale e personale.
La preghiera cristiana è sempre rivolta a un Dio che è Padre, Padre e Madre disse papa Luciani, e proprio per questo, nonostante i limiti e gli abusi dell’umanità cristiana, permette al credente di sapere da dove viene, dove è e dove va, permette di trasgredire e proprio per questo di essere libero.
La mia preghiera personale percepisce quanto ho cercato di scrivere; ma non credo di essere molto bravo nell’insegnare a pregare, nel testimoniare una preghiera buona.
Un giorno un alunno mi disse: io non credo, però nel vedere come lei si è inginocchiato e ha fatto un segno della Croce, mi ha fatto percepire che l’uomo non può vivere di sole cose materiali.
Se ciascuno di noi con la propria preghiera riuscisse anche solo a lasciare qualche piccolo segno, a sollecitare qualche domanda nel proprio prossimo non avremmo più bisogno di mercanti della preghiera.
Solo un recupero di una preghiera in armonia con sé, con la vita e con Dio può rispondere a quel bisogno di maturità umana che tutti cercano ma pochi vogliono percorrere, come si dicevano l’un l’altro il credente cardinal Martini e l’ateo filosofo Norberto Bobbio.

I Barnabiti e i giovani dopo la Covid

Ai confratelli Barnabiti,
Il 125° anniversario della canonizzazione di S. Antonio Maria Zaccaria, grazie agli insegnamenti di alcuni nostri padri illustri ci ha introdotti nel cuore vivo del nostro Fondatore per capire come diventare testimoni del Cristo qui e ora, non nel secolo XVI!
Unitamente alla preparazione culturale e spirituale abbiamo cercato di raggiungervi per riflettere sui giovani, perché i giovani sono il nostro futuro. Purtroppo molto pochi di voi hanno dato delle risposte: troppo impegnati o troppo disinteressati a pensare il proprio servizio pastorale ai giovani? Forse paura di pensare, pregare e proporre insieme?
Il servizio ai giovani dovrebbe essere ancora il modo di caratterizzare il nostro essere pastori barnabiti eppure c’è un deficit di riflessione condivisa che deve farci pensare.
Mai come nel passato la pandemia di Covid ha toccato tutte, tutte le nostre realtà: mai come nel presente dobbiamo cercare insieme delle risposte, delle strade nuove, perché non si può semplicemente partire da dove ci siamo fermati.
Certo non si può in soli pochi due anni trovare risposte e strade nuove, però si possono cercare, sondare, proporre. Anche perché come avete rilevato nelle risposte, i danni della Covid ci sono stati: paura, restare con se stessi, poca fiducia negli adulti, maggiore uso degli smartphone, fatica di relazione. Il recupero quasi totale delle attività quotidiane ha lasciato molti … a casa e gli altri – specialmente adolescenti – con dell’amaro in bocca. In Europa poi la situazione della guerra in Ucraina sta continuando questo dramma.
Di fronte alla denuncia dell’Arcivescovo di Milano, Mario Del Pini: «I giovani non avvertono più la Chiesa come una interlocutrice per le loro domande, la Chiesa vive ciò come una sconfitta: abbiamo perso una scommessa.»; ma anche alla speranza dell’Arcivescovo di Hong Kong, Stephen Chow: «C’è bisogno di visione. E c’è bisogno di capire il presente e il contesto. Non guardare i muri, guardare il futuro.»: non possiamo agire da soli.
Muovendo da questi presupposti: sconfitta e visione vogliamo cercare di lasciarci muovere dal vigore zaccariano degli inizi che, nonostante la vita breve del Fondatore, non è stato invano: muovendoci con piede continuato nel cammino che la vocazione di ognuno di noi è chiamato a vivere. I confratelli che hanno risposto sottolineano il bisogno dei giovani di essere ascoltati, di essere presi con attenzione e serietà; mi viene da chiedervi: come ascoltiamo i giovani? Dalle Filippine al Brasile tutti chiedono di incrementare un rinnovato stile missionario.
Questo nuovo stile missionario è riconosciuto come proprio del nostro carisma, ma va pensato e ripensato e pregato insieme, con uno spirito e metodo sinodale che si fa testimonianza di vita specialmente perché le nostre forze sono diminuite.
Forse dovremmo ragionare di più sulle due parole: sconfitta e visione e in questo farci aiutare dalle sconfitte e dalle visioni del nostro Antonio Maria e dei suoi primi collaboratori e collaboratrici. È questa anche la linea che ha indicato il recente Sinodo dei Giovani che non è archiviato.
Grazie ai padri Giovanni Giovenzana di Eupilio, Giorgio Viganò di Cremona, Giuseppe di Nardo di Bari, Michael Sandalo di Silangan, Junior Cavalcante di Belem, Ferdinand Mushagalusa di Moucron e Carlo Giove di Napoli, Pascal Balumebaciza Pilipili di Buenos Aires.

p. Fabien M. Muvuny, p. Giannicola M. Simone, Ufficio di Pastorale Giovanile dei PP. Barnabiti. 27 maggio 2022