Identiticosessuali e lotta continua

Sono sempre stato educato alla conoscenza delle idee altrui, alla frequentazione di persone che non la pensassero necessariamente come me, al confronto e alla tolleranza e al desiderio di trovare sempre del bene anche là dove molti vedevano solo male.
Potrei ricordare gli anni delle superiori, gli incontri e gli scontri con la sinistra e la destra in continua lotta; o una certa chiesa conservatrice e la conoscenza di una Chiesa del Concilio che aveva in Paolo VI la sua sintesi troppo incompresa; non ho mai approvato definire persone con orientamenti omosessuali con epiteti irrispettosi, o considerarli malati, seppure all’epoca non si parlava di diritti delle persone omosessuali.
Ecco, i diritti. Come già scritto ritengo che la Dichiarazione dei diritti universali dell’uomo (10 12 1948) sia una conquista dell’umanità, seppure lungi dall’essere attuata, valida per tutte le persone del globo.
Oggi si parla molto di Diritti, ma ho l’impressione che lo si faccia a senso unico verso chi ha più potere e capacità di
L’omosessualità.
Già il termine è ambiguo e di parte perché fa riferimento alla dimensione maschile, forse meglio sarebbe dire persone identicosessuali, ma qui si entra in un ulteriore campo di indagine che richiederebbe una riflessione semantica e scientifica.
L’identicosessualità non può dirsi un problema perché riguarda la persona. Definire l’identicosessualità un problema significa sminuire il valore della persona identicosessuale e già ghettizzarla. Semmai è una situazione della persona che va affrontata perché non sempre rispettata e accolta come una opportunità per tutta la società.
Oggi invece, l’identicosessualità, più che una opportunità sta diventando un problema, una difficoltà non perché mette in crisi una società eterosessuale, bensì perché sta equiparando se stessa, omologando se stessa al già dato. Una società cresce quando sa accogliere, anche con fatica, ciò che è differente, non quando omologa ciò che è differente. Una realtà cresce e fa crescere quando mantiene la propria identità, non quando si omologa. Il termine uguale per tutti, su cui costruire il rispetto per tutti è: maschio, femmina, uomo, donna, individuo, persona. Pretendere che altri termini, come quello di matrimonio, che ha una diversa etimologia, venga equiparato per una relazione tra due persone identicosessuali è riducente per tutti. È riducente anche per la nostra cultura positivistica.
Ma c’è anche un altro aspetto di questa battaglia per i diritti delle persone identicosessuali che è giusto evidenziare: la gara di accaparrarsi il “patrocinio” di questa battaglia (vedi le ditte che hanno patrocinato il gaypride di Milano, o le scelte di Google o Twitter). Filantropia o tornaconto? Ricordate cosa successe alla Barilla?
Tempo fa mi capitò di chiedere un’intervista a una collaboratrice di Vanity Fair, mi venne risposto che non concedono interviste a riviste confessionali, forse se avessi detto: “un prete omosessuale vuole intervistare…” sicuramente il direttore in persona avrebbe voluto concedermi una intervista, ma essendo eterosessuale e avendo fatto voto di castità…
Filantropia o tornaconto?
Come mai ci si preoccupa in modo così accanito dei diritti degli identicosessuali, ma si tacciano i diritti di milioni di persone vessate dalla nostra cultura e politica ed economia occidentale: forse perché i bambini che raccolgono il coltan per i nostri cellulari, non potendosi collegare alla rete, o le persone che fabbricano i nostri tessuti, non potendo acquistare le grandi firme, non hanno i medesimi diritti? E i bambini di questa invisibile terza guerra mondiale?
Ora qualcuno mi accuserà di omofobia, fortunatamente cerco di coltivare una coscienza retta che cerca di riconoscere quella verità presente in ogni persona non rinunciando però alla propria.
Ho imparato a cercare la verità quando dovevo combattere (e prenderle) ai tempi di Lotta Continua, non cesserò di continuare a rispettare chi vive e pensa diverso da me, ma nemmeno di ragionare e affermare la mia opinione.
A questi valori continuo a educare i tanti giovani che mi sono affidati.

p. Giannicola M. Simone b.

Crisi finanziaria, sempre bene parlarne

LA CARTOLARIZZAZIONE DEI CREDITI

Nel 2007, l’economia sembrava crescere di giorno in giorno. L’ultima significante minaccia macroeconomica era stata l’implosione della bolla high-tech tra il 2000 e il 2002. Ma la Federal Reserve, la banca centrale statunitense, rispose con successo alla recessione emergente riducendo aggressivamente i tassi d’interesse. La combinazione di tassi d’interesse drammaticamente ridotti e l’apparente stabilità economica alimentò lo storico boom nel mercato immobiliare. Nei 10 anni successivi al 1997 i prezzi immobiliari statunitensi di media triplicarono. Ma la fiducia sempre maggiore verso la politica monetaria, l’impressionante ripresa dell’economia dall’implosione della bolla high-tech, e, in modo particolare, il boom dei prezzi relativi alle case a seguito alla riduzione aggressiva dei tassi d’interesse, aprirono la strada verso crisi finanziaria del 2008.

Da una parte, la politica della Fed ha generato minor guadagno su un’ampia gamma d’investimenti, portando così gli investitori a cercare migliori alternative. Dall’altra parte, una minor volatilità e una minor percezione del rischio portarono a una maggior tolleranza verso quest’ultimo nella ricerca di investimenti ad alto profitto. Il mercato finanziario statunitense su mutui e case era ormai al centro di un’imminente tempesta.

Prima del 1970, la maggior parte dei mutui venivano concessi da enti locali come le saving banks o le società di credito. Questo assetto cambiò quando le agenzie Fannie Mae e Freddie Mac iniziarono a comprare i prestiti sui mutui dai creditori e ad unirli insieme per poi rivenderli come ogni altro asset finanziario. Questo processo è conosciuto come cartolarizzazione: il creditore concedeva un prestito al proprietario dell’abitazione, che lo ripagava nel tempo in capitale e interessi; in seguito il creditore vendeva il mutuo a Fannie o Freddie, coprendo il costo del prestito; Fannie o Freddie raggruppavano più prestiti insieme e li rivendevano a blocchi a investitori. L’agenzia (Fannie o Freddie) garantiva la sicurezza sui mutui richiedendo una quota di compenso. Questi erano mutui standardizzati e a basso rischio: i proprietari dell’abitazione dovevano soddisfare determinati criteri che accertavano la loro capacità a ripagare il debito. Ma la cartolarizzazione diede il via a un nuovo mercato di nicchia per i creditori: la cartolarizzazione da parte di aziende private di debiti ad alto rischio a cui non venivano imposti criteri di selezione, i subprime loans. In questo caso era l’anello ultimo, l’investitore, ad assumersi il rischio di non venir ripagato. In questo modo, il creditore non aveva interesse ad accertarsi sull’affidabilità del debitore finché il debito poteva essere venduto a un investitore. Quest’ultimo non aveva diretto contatto con il proprietario dell’abitazione e dunque non poteva controllare adeguatamente la qualità del debito. Iniziò così un forte trend verso una scarsa o addirittura nulla documentazione sui prestiti.

Entro il 2006, la maggior parte dei debitori subprime acquistavano abitazioni prendendo in prestito una somma equivalente al valore della casa! Quando i prezzi sulle case iniziarono ad abbassarsi, il valore della casa era minore rispetto a quella del debito per pagarla… Nell’autunno 2007, l’abbassamento dei prezzi sulle case era sempre più ingente e il mercato azionario iniziò la sua caduta libera. Molte grandi banche d’investimento iniziarono a vacillare. La crisi ebbe un picco nel settembre 2008. Fannie e Mac fallirono e il mercato finanziario statunitense entrò nel panico. Quando le banche iniziarono a non volere o non poter concedere prestiti ai clienti, migliaia di piccole aziende che si affidavano sui loro finanziamenti non riuscirono più a mandare avanti i propri affari. La disoccupazione crebbe precipitosamente e l’economia era ormai entrata nella peggiore recessione degli ultimi decenni.

Lascio a voi ogni commento e invito a leggere Laudato sì, l’ultima enciclica di papa Francesco sulla salvaguardia del creato e le sue critiche all’azione delle banche, troppo spesso non preoccupate dei diritti dei cittadini, loro clienti.

Giorgia L.

Scrivere di droga

Cari  amici di GiovaniBarnabiti.it
volentieri pubblico questo scritto di Emanuele, se volete rispondere fate pure!

Cari GiovaniBarnabiti.it,

dopo aver letto l’intervista a padre Patriciello vi scrivo perché voglio parlare della droga.
Questo argomento spesso viene associato al concetto di periferia urbana più che a quello delle grandi metropoli e fa parlare sempre di più se viene accostato ai giovani.
Ci siamo mai chiesti “perché?”, come mai il fenomeno “droga” è accostato maggiormente alle periferie, o specialmente riferito ai teenager?
Proprio questi fatti mi hanno spinto a concentrarmi su una questione di cui tanti parlano ma pochi se ne fanno un problema o si pongono l’obiettivo di dare una soluzione. Così ho deciso di farvi dono di ciò che ho potuto trarre dalle mie personali esperienze vissute in periferia a contatto con giovani che sono visti dalla società come “drogati” quando io li definirei più che altro “annoiati” o “abbandonati”.
Annoiati e abbandonati: due parole chiave perché è proprio in base a queste che i giovani scelgono di fare uso di droghe: perché si sentono abbandonati da una società che li trascura e sempre meno fa appello a loro per un qualsiasi coinvolgimento o da una famiglia che sempre meno si interessa dello stato dei propri figli; perché sono annoiati in quanto la città non offre svaghi, alternative o programmi a questi giovani che alla chiusura delle scuole si riversano nelle strade senza un impiego. Così già dall’età di 15 cominciano ad esserci i primi spinelli, usati proprio per far fronte alla noia estiva oppure giusto per staccare la mente e distrarsi dai problemi quotidiani e familiari.
“Le canne” o “gli spinelli”. Per il 90% dei casi è il primo approccio dei giovani con una droga, proprio perché lo si fa con gli amici, uno tira l’altro e ci si ritrova insieme a farsi due risate; a mio parere se la cosa finisse lì, tralasciando ora il problema dell’illegalità, la cosa non creerebbe danni poiché non si è mai sentito di omicidi, rapine o altro a danno di un ragazzo sotto effetto di cannabis, ma il problema risiede proprio lì, ossia che la cosa spesso non si ferma al comune spinello. Ed è proprio questo tipo di problema che dobbiamo arginare, poiché il compulsivo uso di questa sostanza ne comporterà l’uso di dosi sempre maggiore finché si sfocerà nei veri problemi come cocaina, eroina e droghe sintetiche.
Spesso poi il concetto di drogato viene associato a un ragazzo di bassa cultura, con una pessima famiglia alle spalle e sprezzante delle autorità ma non è sempre così. Lo “spinello” è ormai un qualcosa alla portata di tutti, sia del figlio di papà viziato che del più diligente figlio di buona famiglia tanto che ormai questo “rito” di ritrovarsi insieme a fumare sostituisce quello dell’“Andiamo a prenderci un caffè?”. Oppure “Ti va di fare una partita a pallone?”.
E tutto questo insieme di attenuanti accostato alla inimmaginabile facilità di acquistare droga crea un mix che rende la strada in completa discesa verso la soppressione di nuovi ideali e l’isolamento delle nuove generazioni.
In conclusione questo binomio se non trinomio Giovani-Droga-Periferia è il semplice frutto di una società menefreghista che pensa agli interessi personali e al contentino generale del popolo, il quale, oscurato da false speranze trascura la cosa più importante: i giovani.

Emanuele

Tempo di esami

Il nostro blog è composto da una piccola redazione di 10 giovani che cercano di scrivere su temi di loro personale interesse. Scrivono perché scrivere aiuta a ragionare assai più che parlare; scrivono per capire se ciò che pensano è dicibile, raccontabile!
Scrivere richiede tempo per forza e per fortuna, in questo mondo sempre di corsa, troppo di corsa.
In questo mesi di maggio, giugno e luglio il tempo è poco, perché è tempo di esami che richiede molto tempo per prepararli e sostenerli e anche se in tempo fuori esami tutti dicono che troveranno sicuramente il tempo per scrivere, poi succede invece che questo tempo non si trova! E non c’è smartphone o tablet che tengano: il tempo non si trova!
Almeno in questo gli studenti di oggi non sono diversi dagli studenti di ieri!
Gestire il tempo non è facile, richiede fantasia, disponibilità e pazienza.
Fantasia o creatività perché ogni attimo sia vissuto come unico e irripetibile, mai indifferente agli altri attimi! Penso a quanti vivono in alcuni luoghi dispersi del mondo, dove internet non arriva: lì la gente non muore, lì la gente vive, perché lei e non uno smartphone accende la vita!
Disponibilità perché ogni attimo può regalarti una sorpresa: quando una foglia cade, un fiore sboccia, un lampo ti abbaglia o un nulla ti atterrisce!
Pazienza perché la vita che ci piaccia o no è pazienza.
Da quanti anni vive l’universo? Quanta pazienza nell’attendere l’apparire dell’uomo.
Da quanti pochi anni l’universo geme e soffre a causa della dissennata gestione del “custode del creato”?
Per quanti anni con pazienza l’universo dovrà attendere che il suo custode sappia ritrovare la giusta armonia!

Qualche giorno fa una persona importante parlando all’assemblea dell’Unesco disse: «Come è già accaduto nella storia dell’umanità, simili periodi [di crisi] sono densi d’instabilità e causa di disorientamento. Di fronte all’intensificarsi di sentimenti di opposizione e di odio, appare necessario ripartire dalla condivisione del bello e dalla lode del creato, valorizzando il contributo che ognuno può offrire e proponendo un riavvicinamento umile e paziente tra gli individui, le comunità e i popoli». E, ancora, «Un’educazione sensibile alla bellezza si consolida e diviene più matura nella cura dell’ambiente, nell’attenzione al prossimo, nella partecipazione agli ideali. L’educazione si fa carismatica. Carisma, di fatto, viene dal greco chàris che è anche la radice di grazia, gentilezza e gratitudine: questa bellezza ha un bisogno vitale di gratuità e di condivisione».
La bellezza, il bello, questa grande dimenticata dalla nostra società del selfie! è ancora necessaria e raggiungibile: bastano un poco di fantasia, disponibilità e pazienza!
Quella fantasia, disponibilità e pazienza che il Creatore ha con tutti noi.
Buon tempo di esami cari GB blog writers!

Un dialogo aperto con l’islam

Osservatore Romano, 2015-06-01

 La nuova «Oasis»

Un dialogo aperto con l’islam

di MARIA LAURA CONTE

Venezia, giugno 2004: al primo incontro del comitato scientifico internazionale di «Oasis» sono presenti il vescovo di Tunisi, Maroun Elias Nmeh Lahham, l’arcivescovo grecomelchita di Aleppo, Jean-Clément Jeanbart, il vescovo di Islamabad, Anthony Lobo, per citare solo alcuni dei numerosi ospiti giunti da Oriente e Occidente per rispondere a un invito. Lavoriamo insieme per produrre una rivista plurilingue che possa essere strumento di supporto culturale per le comunità dei cristiani che vivono in Paesi a maggioranza musulmana. Un invito a rispondere a una domanda concreta, espressa dai patriarchi e vescovi delle Chiese orientali, non esercizio intellettuale astratto. «Quale soggetto e strumento espressivo — rilevò il cardinale Angelo Scola in quella circostanza — “Oasis” può in qualche modo favorire la nascita di un soggetto comunionale (…) e aiutarci ad affrontare il fenomeno “musulmano”. Nello stesso tempo, tale strumento potrà educare i battezzati che vivono in Paesi tradizionalmente cristiani a incontrare i musulmani e gli uomini delle altre religioni che, ormai numerosi, vivono in Europa e nelle Americhe».

Giugno 2015: «Oasis» ha sede a Venezia e Milano, la rete del comitato scientifico si è ampliata e può contare sulla presenza di alcuni intellettuali musulmani accanto a personalità ecclesiastiche e del mondo accademico. Alla rivista si è affiancata una newsletter, una serie di libri e gli account sui social network; l’orizzonte della ricerca si è allargato fino a scegliere come sottotitolo «cristiani e musulmani nel mondo globale», a rimarcare la loro rilevanza culturale reciproca.

Ma ancora non basta: le circostanze storiche attuali, incalzanti, se da un lato confermano l’intuizione originaria, dall’altro chiedono un passo in più. Lo spiegano drammaticamente le vicende che hanno segnato alcuni dei presenti a Venezia in quell’estate di oltre dieci anni fa e dei loro Paesi: il Pakistan non riesce a uscire dalla spirale di odio che colpisce le minoranze non musulmane, la Tunisia di oggi ha poco in comune con quella di allora, essendosi aperta alla democrazia, mentre in Siria e Iraq i confini sono saltati per l’azione di Is. L’Aleppo di Jeanbart è oggi un campo di macerie di una guerra senza tregua. E sull’altro versante, quello occidentale, è evidente come le nostre società, sempre più plurali e “meticce”, sono attraversate da tensioni che chiedono di essere sciolte.

Sollecitata da tutti questi dati, «Oasis» ha deciso di rinnovare forma e contenuto, che sempre si intrecciano: la rivista punta con più decisione su un tema monografico per offrire una maggiore unitarietà nella lettura dei processi storici in atto; indirizza la ricerca comune verso l’elaborazione di un giudizio culturale più esplicito, osando una lettura sintetica; infine accentua il metodo scelto all’origine di parlare “con” i musulmani e non solo “di” loro, che si è dimostrato negli anni molto fecondo.

Le nuove scelte si documentano nel primo numero della nuova edizione (n. 21) che prende in esame la crisi che investe l’islam e tutte le realtà che ne sono a contatto. Europa e Occidente compresi. Il titolo, Islam al crocevia. Tradizione, riforma, jihad, viene ben illuminato dall’espressione emblematica di uno degli autori di questo numero, Hamadi Redissi, che osserva: «Tutti parlano in nome dell’islam, ma non dello stesso islam; ognuno lo reinventa nel presente».

Da semestrale la rivista può permettersi di accogliere le domande sollevate dalla cronaca, di non schiacciarsi sul presentismo e guardare indietro, alla storia degli ultimi secoli: come l’islam ha avviato una riforma che, rileggendo la tradizione, l’ha ammodernata ma anche ideologizzata, ponendo i germi del jihadismo che oggi si manifesta in uno spaventoso nichilismo. E come ora, nello sforzo obbligato di rispondere all’incontro con la modernità, questo molteplice islam sia arrivato a un bivio decisivo, al centro del quale sta la questione “violenza”.

Nella prima parte della rivista, “Temi”, una sequenza di articoli sviluppa da angolature diverse il titolo di copertina, con una più spiccata unitarietà rispetto al passato, tracciata da un breve editoriale in apertura di Martino Diez. Tra gli autori di questo numero di «Oasis» gli egiziani Sherif Younis e Wael Farouq, l’indiana Aminah Mohammad-Arif, l’iraniana Forough Jahanbakhsh, il marocchino Hassan Rachik, l’americano David Cook e il curdo Hamit Bozarslan. Segue la sezione “Classici”, del pensiero islamico e cristiano: estratti di al-Jâhiz e al-Ghazâlî, sul tema del dubbio come metodo utile, anche se non sufficiente, per raggiungere la certezza, e del grande islamologo Louis Gardet, che riflette sull’atto di fede nell’islam. Il foto-reportage da Erbil, racconto di viaggio e di incontri personali, offre un’ulteriore prospettiva sul tema guida del numero, mettendo a fuoco il volto delle vittime della deriva violenta dell’islam jihadista, in particolare i cristiani dell’Iraq. Infine chiude la rivista una rassegna di recensioni di libri e film offerte ai lettori che desiderano approfondire ulteriormente i temi offerti con nuove analisi e argomentazioni.

La scelta del nuovo formato, più amico del digitale, ha ricevuto ulteriore impulso da un altro fattore: la volontà di favorire una diffusione più capillare nei Paesi del mondo musulmano, in Medio Oriente, Africa e in Asia, dove la versione su carta arriva con maggior fatica, e allargare così la rete di persone con cui attuare uno scambio effettivo.

Giovani musulmani e mentalità di Provincia

La mentalità di Provincia (ottusa, ignorante, ristretta ed infantile) e quella dei cristiani bigotti, che “predicano bene, ma razzolano male”, sono motivo di grande imbarazzo, disgusto e paura, a mio avviso.
Io, nonostante sia cristiana come tante persone che hanno creato questa ridicola “bufera”, sono per il dialogo, lo scambio costruttivo e l’apertura alla cultura: essere disponibile e aperti alla conoscenza di altre culture dà un’enorme ricchezza, da più punti di vista.
Sono tutte accuse sciocche e infondate: il gazebo non è stato aperto per fare indottrinamento islamico estremista, come in molti temono; il gazebo non si trova a ridosso o dentro una chiesa, si trova in piazza, nel centro della città.
Le frasi da dibattito a riguardo, in assoluto più ignoranti e più irritanti sono quelle basate sul confronto tra “nostro Paese – loro Paese”: “ci fanno provare il velo qui, ma se fai provare la minigonna là, ti uccidono”, “se lo fai al loro paese, ti lapidano” e altre infelici e squallide uscite. Riprendetevi, perché se noi siamo così patriottici e innamorati del nostro paese, è anche perché noi siamo nella condizione di poter concedere libertà, che sia di espressione (tutti i JeSuisCharlie con cui avete tappezzato i social che cosa significavano, dunque?) che sia di pensiero. Non è colpa di nessuna di queste persone se “al loro paese” ci sono regimi basati su dittature e terrorismo, che non concedono NESSUN tipo di libertà. Ma soprattutto.. il nesso con il paragone tra i due paesi?! Questo metodo del “ripagarli allo stesso modo” mi sembra un gesto così infantile e sciocco.. Dimostrate che l’Italia è il paese buono che dite di amare, partendo dalle piccole realtà, come Lodi. Dimostrate la vostra cristianità non dietro a frasi patriarcali, apocalittiche e di discriminazione: Papa Francesco ha detto: “Il dialogo islamico-cristiano esige pazienza e umiltà. Dobbiamo formare i nostri giovani a pensare e parlare in modo rispettoso delle altre religioni e dei loro seguaci. È fondamentale che i cittadini musulmani, ebrei e cristiani – tanto nelle disposizioni di legge, quanto nella loro effettiva attuazione – godano dei medesimi diritti e rispettino i medesimi doveri”.

Io, pertanto, condanno l’ignoranza, quella consapevole; condanno la ristrettezza e l’arretratezza di mentalità; condanno la paura del diverso, l’assidua ricerca di capri espiatori che non sono causa dei nostri mali; condanno i bigotti, la mediocrità; condanno il razzismo che vuole velarsi con il nome di giustizia nazionale.

VIVA LA CULTURA, L’INTERCULTURA,
VIVA I GIOVANI CHE VOGLIONO MIGLIORARE QUESTO MONDO,
VIVA LA FAME DI CONOSCENZA E LA CURIOSITA’.

Grazie di cuore ai Giovani Mussulmani di Lodi e d’Italia!

Francesca Beretta, Lodi