C’è un fatto su cui molti fedeli e giovani fedeli non riflettono abbastanza: la fortuna di avere avuto un sacerdote che ha animato il proprio oratorio, la propria scuola o il proprio gruppo, non sarà la stessa fortuna dei loro figli e di molti giovani di oggi.
Questo accade perché è calato il numero dei sacerdoti e non pare possa aumentare in futuro.
Sono diverse le cause di questa crisi, ma c’è un’attenzione che si può fare nostra, che deve sollecitare i nostri giovani: pregare per le vocazioni.
Infatti, c’è un comando particolare, uno dei pochi comandi diretti che Gesù chiede: «pregate il padrone della messe perché mandi operai per la sua messe», perché la messe è molta ma gli operai sono pochi.
Alcuni giovani sollecitati da questa proposta hanno risposto che prima bisogna pensare alla propria vocazione umana, certo è vero. Ma è necessario pensare alla propria vocazione battesimale tenendo alto lo sguardo verso il comando del Signore, perché un gregge senza pastore è un gregge che si disperde.
Le strategie vocazionali sono anche altre e di diverso tipo, ma recuperare la preghiera credo sia la prima e più efficiente scelta. Questa e non altre particolari attività chiede Gesù.
Nei tempi correnti in cui tanti, forse tutti i nostri giovani corrono per non restare schiacciati dalla vita, una proposta di preghiera può essere rivoluzionaria e risolutiva.
Sulla nostra tradizione zaccariana la preghiera deve essere breve ed essenziale perché la mente spesso si deve elevare a Dio, quindi bastano poche parole incisive, capaci di far capire il perché, e un segno affinché la preghiera non sia campata per aria.
Il segno non può che essere la Croce e il ricordo del venerdì alle 15.00 quando la nostra tradizione faceva risuonare 33 colpi di campana a memoria della morte di Gesù. E perché non fare degli smartphone i nuovi campanili? Perché non far suonare il proprio smartphone campanile ogni venerdì alle 15.00?
È guardando alla Croce che possiamo rispondere al comando di Gesù, chiedendo che essa possa irrigare i cuori di tanti giovani con il dono della vocazione.
Questa la sfida che noi Barnabiti dobbiamo chiedere ai nostri giovani.
Sono molti i giovani che dal Chile, alla Nigeria a Honk Kong stanno rischiando la propria vita per la verità e la giustizia.
Riusciremo a sollecitare i nostri giovani a “protestare con Dio” per ottenere ciò che lui ci chiede? Riusciremo a creare una catena di giovani nel nostro mondo barnabitico alle 3 del venerdì?
Se non abbiamo paura di osare, sono certo che sì, ce la faremo!
Alcuni di loro sono già pronti! E noi?
Author: Giovani Barnabiti
L’onda, il film: alcune riflessioni
Il film “L’onda” risale al 2008, è diretto da Dennis Gansel, tratto dal tratto dall’omonimo romanzo di Todd Strasser, a sua volta basato sull’esperimento sociale chiamato La terza Onda (The Third Wave), avvenuto nel 1967 in California. Sulla base di questo esperimento, Todd Strasser scrisse il romanzo Die Welle (L’onda), che in Germania è diventato un classico della lettura scolastica.
È dunque ambientato in Germania, in una scuola superiore, durante una settimana ‘a tema’, in cui ogni docente è chiamato a trattare un argomento monografico con gli studenti.
Al professore Rainer Wenger viene assegnato il tema dell’autocrazia, anche se avrebbe voluto trattare dell’anarchia perché più vicina a ciò che sostiene personalmente. Inizialmente parecchi ragazzi si trovano di fronte ad una lezione noiosa, che non rispecchia i loro ideali, e subito alla domanda del professore: “sarebbe possibile ristabilire una dittatura in Germania” tutti gli alunni negano fermamente, soprattutto perché il passato del loro paese è ben noto a tutti e di conseguenza anche solo il pensiero sembra molto lontano.
Il professore allora comincia a dare loro degli ordini molto semplici, come alzarsi in piedi per parlare e scandire le parole, ma con un’intonazione brusca e dura. La maggioranza dei ragazzi obbedisce e non comprende il significato più profondo di un’azione così piccola. Col trascorrere della settimana il professore ordina ai ragazzi di vestire con una camicia bianca, di inventare un saluto e un logo, però tutto in ambito scolastico. I ragazzi che hanno comprato le camicie bianche, di loro spontanea volontà, cominciano a escludere chi si rifiuta di metterla e chi non pratica le azioni che vengono assegnate dal professore. Nella classe dopo pochi giorni si è creata un’unità e un’uguaglianza mai vista prima! I ragazzi più deboli all’interno dell’onda diventano tali e quali agli altri, se non più protetti e più protettivi nei confronti del gruppo, mentre chi era più forte caratterialmente al di fuori dell’onda, dentro questa comincia a proteggere i compagni e cercare un’unità, una famiglia.
Nonostante la formazione di un gruppo ben consolidato sembri un sogno agli occhi di molti studenti, due ragazze si opporranno. La prima, che inizialmente cercava l’unità come gli altri, si ribella dopo aver visto il fidanzato e i fratelli cambiati. Il fidanzato infatti diventa più aggressivo e meno rispettoso dato che la ragazza non vuole fare parte di una ‘famiglia’ come l’onda, mentre i fratelli più piccoli sviluppano comportamenti ancor più rozzi e aggressivi di quanto già avessero; praticano atti di bullismo su ragazzini più piccoli e non li fanno entrare a scuole se non sanno l’esistenza del saluto dell’onda. La ragazza si rende conto dei problemi che questa unità così esclusiva sta creando e assieme a un’amica, contraria al progetto fin da subito, decide di fermare lo scempio pieno di aggressività ed esclusività che si sta creando. Le due cominciano a spargere volantini per fare una sorta di propaganda contro l’onda mostrandone i lati negativi, ma l’onda ormai è troppo potente e nessuno, se non il professore, potrà fermarla.
La ragazza in seguito a diverse azioni dell’onda, come il vandalismo in città e il bullismo, parla con il professore per mettere in evidenza i problemi principali che ha riscontrato e che stanno danneggiando gli studenti, ma solo dopo che anche il fidanzato di quest’ultima, in seguito al suo comportamento aggressivo, si ricrede sull’onda e ne parla con il creatore vero e proprio, egli si deciderà a mettere un punto alla faccenda.
Il professore aveva visto anche con i suoi occhi diversi comportamenti da parte di uno studente molto convinto, che lo avevano lasciato esterrefatto, come il desiderio di costui di proteggerlo a tutti i costi e quindi di seguirlo, ma aveva deciso di ignorarli.
La storia si conclude con una riunione del gruppo, che si rende conto, solo dopo le parole del professore, che oramai tutti acclamano come una figura quasi divina, che la scuola è ricaduta in una dittatura. Proprio il contrario di ciò che gli studenti stessi avevano affermato solo una settimana prima.
Purtroppo il film vede come conclusione il suicidio del ragazzo particolarmente accecato dallo spirito del gruppo durante l’assemblea, incapace di accettare che tutto ciò che avevano costruito sarebbe finito in un istante. Il ragazzo, possessore di una pistola, colpirà un altro studente, che fortunatamente riesce a sopravvivere, ma il professore verrà portato in carcere per istigazione all’omicidio e al suicidio, lasciando sola a casa sua moglie incinta.
Riflettiamo
Il film cerca di far riflettere il pubblico sull’importanza dell’individualismo e soprattutto sui risultati che può portare una cattiva influenza, o anche solo un concetto espresso a dei giovani ma con azioni ed espressioni fraintendibili.
Nella maggior parte delle famiglie dei ragazzi protagonisti, gli adulti sono rappresentati in malo modo e poco presenti. I ragazzi con una carente unità familiare alle spalle tendono quindi a cercare un gruppo primario in un altro contesto, in questo caso la scuola. Essi sono alla ricerca continua di approvazione, di uguaglianza e hanno bisogno di sentirsi parte integrante di un gruppo su cui poter contare, vista la mancanza di attenzione dei genitori. Approfondendo la storia di alcuni studenti infatti si nota come i genitori di alcuni abbiano degli ideali diversi dai figli, ma comunque cerchino di trasmetterglieli non curanti dell’identità del ragazzo, oppure ancora come una madre possa divertirsi con i compagni di squadra di suo figlio, o come all’interno delle famiglie ci sia poca fiducia e diversi tradimenti dei genitori.
La ragazza che inizialmente ha aderito al progetto dell’onda viveva con una famiglia dai valori come la libertà e la poca disciplina, con due fratelli che già a 12 e 13 anni erano rozzi, bulli e poco educati. La ragazza smetterà di frequentare il gruppo che si era creato e inizia a selezionare le persone; chi la apprezzava nella sua individualità e chi invece la disprezzava solamente perché non facente parte della nuova ‘dittatura’.
È apprezzabile come, per l’amore dei suoi fratelli e amici, ha cercato di parlare con il professore e distribuire volantini per interrompere lo tsunami di aggressività e esclusività che si era creato.
Un ulteriore personaggio interessante è lo studente che aveva dedicato anima e corpo al progetto, fino a entrare in un tunnel senza via d’uscita.
Fin da subito egli ha dimostrato un forte bisogno di appartenenza causato dalla solitudine che lo aveva caratterizzato fin da piccolo, facendolo considerare uno ‘sfigato’. All’interno dell’onda ha visto le sue debolezze volatilizzarsi e si è sentito utile per il sociale e importante, pur essendo semplicemente trattato come una persona al pari delle altre presenti. I genitori del ragazzo anche in questo caso non hanno dato segni di preoccupazione, anzi, hanno riferito alla scuola quanto loro figlio fosse entusiasta dell’idea del professore. Senza accorgersi che stava sostituendo la loro figura genitoriale.
Il professore invece è una figura che non viene descritta in pieno, è un uomo innamorato del suo mestiere e del contatto con i giovani, ma a quanto pare bisognoso di attenzioni e di potere dal suo superiore (preside). All’inizio viene messo in evidenza come egli venga surclassato da un altro professore che si appropria dell’argomento da lui prediletto ed essendo così costretto a fare lezione su un altro tema. A casa però la sua situazione sembrerebbe normale e felice, considerando il fatto che egli alloggia in una graziosa casa sul lago, con una moglie che lo ama e un figlio in arrivo.
Tutto ciò lascia lo spettatore con una domanda: il professore ha strumentalizzato gli alunni per puro piacere personale, facendo sì che essi lo idolatrassero (come in una dittatura) e per sentirsi realizzato sul piano lavorativo, oppure la sua idea iniziale non prevedeva l’influenzare così malamente i giovani?
Caterina Ferioli, 3 LES S. Luigi, PP. Barnabiti – Bologna
Voci e occhi dal Chile
In quel novembre del 1989 a Berlino, assistemmo a una svolta storica quando un muro, che divideva ideologie, menti e cuori umani è crollato davanti agli occhi di tutto il mondo. In tanti aspettavamo che fosse davvero un cambiamento in tutti i sensi… sono trascorsi 30 anni e ci sembra che nulla si sia trasformato, anzi che le divisioni siano aumentate. Tanto che sono apparsi movimenti sociali per rivendicare più giustizia e libertà in parecchie parti del mondo.
Mi trovo a Santiago del Cile, che fino a poco tempo fa si pensava fosse un’isola di pace e stabilità in un’America latina accesa di proteste e lotte sociali: era solo un’apparenza
Un gruppo di studenti, hanno deciso di saltare i tornelli della metropolitana come segno di protesta contro il rincaro del biglietto. A loro si sono uniti tante altre persone e infine il fuoco dello scontento si è dilagato a tutte le città. Per la prima volta (tranne un breve periodo dopo il terremoto de 2010) il governo ha indetto il coprifuoco e abbiamo vissuto un periodo di grande violenza: per quanti abbiamo vissuto la dittatura di Pinochet é stato un deja vú terribile, coi militari per strada, con il divieto di uscire dopo le ore 20. IL coprifuoco ha provocato l’ira della maggior parte della popolazione e la violenza non si è fermata, anzi, sono già trascorsi trenta giorni di manifestazioni.
La convocazione che ha portato milioni per la strada, specialmente nella centrale piazza Italia (oggi piazza della Dignità!) fu lo slogan “¡Hasta que la dignidad no se haga costumbre!” (Finché la dignità diventi una consuetudine!) e i muri, proprio quando i media non dicono la verità, i muri parlano, sono scoppiati in frasi e disegni richiamando a un’altra società più giusta. Così fu in quel Maggio di Parigi.
Il Capitalismo più feroce è stato uno degli aspetti più sinistri legati alla dittatura cilena, che si è perfezionando in questi trent’anni, provocando la miseria di milioni e la ricchezza assoluta di pochi.
A questo punto i giovani cileni hanno cominciato nel 2006 una rivoluzione urbana (la rivoluzione dei pinguini) con l’esigenza di un’educazione libera e gratuita, contro le leggi scolastiche che l’avevano convertita in un affare economico. Prontamente gli si sono uniti altri organi sociali e colletivi politici e sono riusciti a trasformare il tutto in un’educazione per tutti. Trascorsi 13 anni di nuovo i giovani hanno superato la paura di rianimare le strade con bandiere e slogans contro un capitalismo assassino.
Purtroppo la violenza, soprattutto provocata per la repressione dei militari e della polizia militarizzata (i carabineros) è apparsa: saccheggi, incendi e altro, non hanno fermato la rabbia della maggior parte dei cileni; molti, quasi tutti giovani, sono stati aceccati dagli spari della polizia, provocando una crisi sanitaria e umanitaria senza precedenti nella storia; fino a oggi piú di duecento occhi si son perduti o sono diventati cechi.
Ma i giovani continuano a marciare, a fare arte nelle piazze, a colorare un’epoca scura. Millennials e centennials poveri e ricchi, istruiti o non, senza differenze politiche, anche gli ultrà delle squadre di calcio scrivono sui muri i motivi della lotta: educazione, pensioni, rispetto per le minoranze etniche e sessuali, e tutto il mondo s’incontra per la strada, senza preoccuparsi del terribile grado di repressione delle forze d’ordine: bastano un paio di occhiali protettivi!
Pentole, tamburi e applicazioni web servono per moltiplicare lo scontento. Ogni sera le città sono una polifonia di suoni e canzoni di protesta contro un governo neoliberale, contro un presidente miliardario, che non vuole sentire niente e nessuno, rinchiuso nel suo labirinto.
Ma sempre i giovani… a noi vecchi ci hanno dato il buon esempio e continuano a darcelo… Uniti, sorridenti in mezzo ai gas e gli idranti, giovani sono pure quelli che saccheggiano e quando domandi perché? Ti dicono perché oggi si sentono parte di un tutto che prima li escludeva e vogliono colpire con la loro rabbia sopratutto quei negozi che rappresentano il potere economico di pochi.
Non sappiamo come andrà a finire tutto, in questi giorni la maggior parte dei cileni chiede un’assemblea costituente che possa elaborare una nuova costituzione, i detenuti, i feriti, e purtroppo, i morti aumentano ogni giorno… ma pensiamo a Hong Kong che sono già cinque mesi che resiste, a una Bolivia che ha visto il presidente eletto fuggire all’esilio e i poveri a difenderlo, un Brasile accerchiato per il fascismo totalitarista del potere, a una Catalonia che resiste per decenni, Siria, Francia, ecc … ma sono i giovani quelli che maggiormente riempono le strade del mondo, quelli che non avevano incorporato nella loro esperienza la violenza politica, ma che, indubbiamente, sentono più paura per il loro futuro e quello dell’umanità… a loro dobbiamo il coraggio, l’esempio; noi che li abbiamo legati in un mondo senza speranza.
Finché la dignità sia una consuetudine.
p. Miguel Panes Villalobos
La tenacia di Alessandro Sauli santo
Oggi la Chiesa e specialmente i Barnabiti celebrano la memoria di un santo forse non troppo conosciuto, ma a noi molto caro: Sant’Alessandro Sauli.
Alessandro ci è molto caro per la sua tenacia, per la sua disponibilità, per la sua cultura, per la sua santità. Non una santità di devozione, ma una santità di profonda attenzione e amicizia a Dio, una santità di azione che lo ha spremuto fino alla morte in ancora giovane età.
Ciò che colpisce di Alessandro Sauli è sicuramente la sua tenacia, la tenacia nel bussare ripetutamente alla porta dei primi Barnabiti, la tenacia nel cogliere lo spirito di riforma proprio di questi primi Barnabiti giovani orfani del loro Antonio Maria Zaccaria. La tenacia nel continuare a riformare questo piccolo gruppo di religiosi laici e religiosi, a riformare se stesso, per riformare la Chiesa. E tralasciando la sua azione di insegnamento, mi piace sottolineare la tenacia pastorale per portare un vangelo vivo e vivificante là dove il Papa lo ha inviato. La tenacia nel rievangelizzare la Corsica e, i più poveri e dimenticati di quell’isola periferica, la tenacia nel riprendere il Vangelo da vivere e annunciare.
Ma vale anche ricordare la tenacia nel parlarci della bellezza dell’uomo voluta da Dio, una bellezza che si è rivelata, ecco il paradosso, nella bruttezza del Figlio sulla Croce. «Perciò, quanto più deforme volle farsi per noi, tanto più grande amore ci dimostro e tanto più bello appare… Ciò che appare deformità di Dio è quanto si più bello esiste per i credenti. Cristo è bello nel Padre; bello nel seno della Madre; bello nella nascita; bello mentre compie miracoli; bello sulla croce; bello nel sepolcro; bello nella risurrezione». Guardiamo questo Cristo perché lui guardando noi possa comunicarci la sua bellezza in favore degli uomini.
Our youngest entertainers in Milot
Selina Koka is surely among our youngest entertainers in Milot. Born in Milot in 2001, she joined for the first time Kampi Veror in 2007, while she was only 6! After many years spent in our summer camps as a child, she decided to become a member of our crew of volunteers last year and is now at her second experience as a Kampi Veror’s entertainer.
Selina is currently attending her last year of Gymnasium. Interested in both Architecture and Design, she is going to apply to university next year, maybe even in Italy…
Selina, you took part in Kampi Veror at the very beginning of Barnabites Fathers’ activities in Albania, when you were still a kid. Yet, 10 years later, you are an entertainer of our team. How do you feel about this passage?
I am more than happy I have been part of Kampi Veror as a child, as well as an entertainer of your team now. Every year spent at Kampi Veror made me understand more and more of what I have inside myself. At the very beginning, my only intention was to have fun, but while I was growing up, I started to understand that it wasn’t only that. It was more. And now as an entertainer, I know that having fun it’s not as important as finding who you really are.
In the meanwhile, your country has undergone many changes, as well. What’s your point of view about Albania’s future?
As anyone knows, Albania is a small country that doesn’t count a lot of opportunities. Also, life here isn’t in its best. The history of Albania takes a place on what Albania is nowadays. In my opinion, the leaders of our country should work more on giving the youth of our country opportunities in terms of job, good education, proper salary etc. These are things that don’t actually exist here and they need more attention to make Albania a better place, because the youth is the power.
Let’s get back to our former topic. Why entertaining children and kids should be relevant for the Catholic mission, in your opinion?
Well, kids are the future of every country. So focusing on growing them up must be a really sensitive topic. That’s because children learn from the adults, so eventually we are the ones that should teach them good value and hard work, to achieve what they want in life.
What is your kindest memory of these years of Kampi Veror?
I can’t say I have just one kind memory. They are uncountable, but one thing I’ve achieved every year is friendship, with kids, also with the volunteers from my country and Italy. Every year, I get more and more love from all these people and that’s what makes my heart happy. Over all, I don’t think there is any other kind memory more precious than this.
By Andrea Bianchini
Uno spiderman da Oscar
Cari amici di giovanibarnabiti.it
Quest’oggi abbiamo una intervista da oscar!
Vi presentiamo Antonio Meazzini che ha vinto l’oscar per gli effetti speciali non per uno ma per più film!
• Prima di tutto credo sia giusto farvi sapere chi è Antonio Meazzini.
Sono nato e cresciuto a Lodi, ho frequentato il liceo scientifico San Francesco, dopo un anno di ingegneria informatica ho poi abbandonato gli studi per lavorare come web designer, all’età di 24 anni sono poi andato a studiare “visual effects” a san francisco, dove sono rimasto per quattro anni. Successivamente mi sono trasferito a Londra, dove c’è molto lavoro nel settore.
Nel frattempo, anche Vancouver in Canada è diventata un “hub” del cinema tanto da essere soprannominata “Hollywood North” dove molti colleghi si sono trasferiti trascinandovi anche me dopo 7 anni. Ormai da 4 anni sono “canadese”!
• Come ti sei avvicinato al mondo degli effetti speciali?
Ho sempre avuto una certa passione per la computer grafica in generale, ho frequentato un corso breve di effetti speciali a Verona che mi ha aperto nuovi orizzonti in questo campo perché quanto quello imparato mi è piaciuto e stimolato molto. Da qui ho scoperto un corso di “visual effects” presso l’Academy of Art University di San Francisco… e sono partito! L’idea iniziale era di frequentare soltanto un semestre e poi tornare in italia, tuttavia il fascino degli studi e anche il poter vivere a San Francisco mi piaceva molto, da qui la decisione di completare tutto il corso di studi. Sono rimasto a San Francisco per 4 anni e dopo la laurea ho subito trovato lavoro nel settore.
• Vivere nel mondo dei grandi del cinema è un sogno di molti, specialmente di chi fa questo tipo di lavoro, te lo saresti mai aspettato di arrivare a livelli così alti?
All’inizio proprio no, soprattutto il fatto di vivere all’estero era una cosa a cui non avevo mai pensato e che credevo mi avrebbe spaventato molto. Ricordo che quando ero in Italia e già mi appassionavo alla computer grafica e agli effetti speciali avevo guardato il primo Shrek. Pensavo che sarebbe stato bellissimo poter lavorare su un film d’animazione del genere, ma era come un sogno, che poi si è realizzato quando sono andato a lavorare alla PDI Dreamworks (proprio l’azienda che ha creato Shrek)! È stato uno dei miei primissimi lavori.
• Potresti definire quello che fai arte?
In parte si, infatti ci definiscono “visual effects artists” e anche all’interno di un’azienda le categorie sono distinte tra produttori e artisti, i produttori sono coloro che si occupano dell’organizzazione e la gestione, e gli artisti sono quelli che come me lavorano sul progetto. Anche se non siamo veri e propri artisti tradizionali, è necessario conoscere almeno i principi artistici (come teoria del colore, prospettiva ecc…). Le stesse regole visuali che si applicano a un disegno o, per esempio, alla fotografia valgono anche per un film dato che l’obiettivo è quello di far sembrare il tutto il più realistico possibile, per questo motivo è necessario sviluppare un “occhio artistico”. Uno dei motivi per cui mi piace questo lavoro è il suo essere un mix tra arte e tecnologia.
• Hai un altro sogno nel cassetto?
Il mio sogno era proprio quello di lavorare negli effetti speciali, se mi parli di un sogno irrealizzabile probabilmente penso che mi piacerebbe produrre un mio film, ma dovrei disporre 200 milioni di dollari per porterlo fare!
• Mai dire mai, potresti trovare o inventare qualche soluzione… speciale!
Ascolta, Antonio, è faticoso vivere a Vancouver, lontano da casa?
È stato molto difficile lasciare l’Italia la prima volta e andare verso l’incognito; la nonna mi diceva: “chi lascia la vecchia strada per la nuova sa quel che lascia, non sa quel che trova”. Quando successivamente mi sono trasferito da San Francisco a Londra mi sono reso conto di quanto fosse tutto più facile e comodo perché potevo tornare in Italia anche solo per un weekend lungo con un paio d’ore di volo e senza dovermi riadattare a 9 ore di fuso orario. Ora invece sono tornato a essere di nuovo lontano. Ci sono sempre un po’ di pro e contro ovunque, il Canada è un paese decisamente vivibile, ma la grossa distanza con l’Italia è l’aspetto più negativo del vivere qui, un domani può darsi che ritornerò a Londra o, perché no, proprio in Italia.
• Il prossimo film?
Ultimamente la Sony Imageworks , per la quale lavoro al momento, sta realizzando molti film d’animazione per cui anche se mi sono specializzato più su quelli che si chiamano “live action” (film tradizionali, non cartoni animati), mi sono ritrovato a lavorare su molte produzioni di animazione tra cui Hotel Transylvania 3, Spiderman into the Spiderverse (vincitore dell’oscar come miglior film d’animazione), e Angry Birds 2, al momento sto lavorano a The Mitchells Versus the Machines che uscirà verso settembre del 2020, una storia studiata un po’ per i più piccoli ma con un look molto innovativo.
• Ma come passa la vita Antonio Meazzini fuori dal lavoro?
A San Francisco e a Londra ero più “outgoing”, Vancouver è una città un po’ più tranquilla ma comunque con molto da offrire: in estate soprattutto ci sono un’infinità di attività all’aperto come canoa, trekking ecc… e anche molti posti da vedere. L’inverno è invece molto piovoso per cui in la situazione cambia!
• Hai trovato nuovi amici o solo conoscenti?
Il mio settore, del campo cinematografico, a differenza del settore pubblicitario, di serie televisive o video musicali, è un campo in cui ci si conosce un po’ tutti, molti ne parlano come se fosse un grosso paese in cui tutti più o meno conoscono tutti; in effetti è sorprendente trovare tanta gente qui con cui ho lavorato a Londra o ho studiato a San Francisco, per questo motivo ho anche trovato nuovi amici.
• Grazie mille Antonio, arrivederci a Vancouver!
Grazie a te!
chi potrà salvarsi?
Chi potrà salvarsi? Chiede un tizio a Gesù che passava per la sua città (cfr. Lc 13,22-30)
Forse a quei tempi tale domanda aveva un senso, tutti erano religiosi, oggi non più.
Alessandro 22 anni, non si interessa a questa domanda, cerca di vivere bene la propria vita, con onestà, giustizia, verità, il dopo non lo interpella.
Il tema della salvezza come l’intende Gesù non interessa quasi più nessuno, forse i politici del nostro Parlamento, ma le chiese sono mezze vuote e la gente si pone altre domande.
Forse nemmeno ai tempi di Gesù la domanda era così scontata, pensate ai due ladroni: uno chiede di essere ospitato in Paradiso, l’altro non si pone il problema, ormai è lì, sulla croce.
Recentemente uno psichiatra scriveva che Dio è una immaginazione che solo l’uomo poteva concepire e l’uomo una immaginazione di Dio.
Ma perché immaginarsi un Dio che da una parte ti opprime con 742 precetti da osservare, per essere salvato, e dall’altra parte per salvarci si fa crocefiggere e ci chiede di passare attraverso la medesima porta?
Ha ragione Alessandro, meglio vivere il presente in verità e crescere nella vita.
Forse Alessandro non ha ancora provato una sofferenza grande, quindi perché porsi questa domanda?
Attenzione, è pericoloso fondare il bisogno di salvezza sul dolore, può accadere, ma è pericoloso.
Non è il dolore della Croce che permette di riconoscere il desiderio di salvezza, ma il riconoscere la Croce come la porta per entrare in un tempo più grande, infinito per la mia storia.
Certo la Croce è una porta stretta, perché è una porta dell’Amore e l’Amore quando è tale chiede la fatica di passare da sentieri più stretti.
Croce, infinito, amore.
Per noi cristiani la Croce è il segno massimo dell’amore di Dio, un amore infinito.
Si può dire che l’Amore di Dio è infinito? Quando noi vogliamo bene veramente a qualcuno gli diciamo che il nostro amore è per sempre: per sempre.
L’Amore di Dio è per sempre, forse l’uomo di oggi è spaventato da questo “per sempre”, ha paura dell’eternità, preferisce il giorno dopo giorno, il mordi e fuggi.
“per sempre” è la porta stretta per la quale siamo chiamati a passare.
Da questa porta stretta sembrano passare di più i lontani, gli stranieri, coloro che forse non hanno mangiato alla tavola con Gesù (come dice il Vangelo), ma mangiando con gli ultimi, con i dimenticati, con le “buone maniere” (si può ancora dire “le buone maniere” in questo spettacolo del turpiloquio quotidiano?) hanno cercato di onorare la vita.
Non basta mangiare alla tavola con Gesù per ottenere la salvezza, bisogna desiderare di attraversare la porta stretta della Croce insieme a Gesù.
Non ho la pretesa di convincere Alessandro o chi per lui alla salvezza, la salvezza è un dono di Dio, ma di chiedere di continuare a vivere con onestà, rettitudine e verità la sua vita sì!
Mi passerà davanti all’ingresso della porta del regno dei cieli insieme a peccatori e prostitute? Sarò contento di vederlo davanti e poter entrare con lui.
Prima o dopo non importa, nel regno dei cieli il tempo sarà un eterno presente dove si incontreranno, permettete la metafora, non gli amanti del fast food, ma gli amanti del slow food, di coloro che hanno trovato il tempo di guardare anche solo negli occhi un fratello, qualunque esso sia, e offrirgli anche solo un sorriso.
pJgiannic
Thesari që është në ty
Të rinj punëtorë dhe universitarë që kalojnë një pjesë të pushimeve të tyre për t’u shkuar prapa një turme kalamajsh (kështu thuhet fëmijë në Shqipëri) me të cilët të shkruajnë dhe të vizatojnë 10 ditë qetësie, argëtimi dhe mundësie për t’u rritur janë një realitet edhe këtë verë 2019.
Të luash dhe të bësh të tjerët të luajnë ndihmon që të rritësh të vegjlit dhe të mëdhenjtë përtej çdo përkatësie shoqërore, gjuhësore, kulturore apo fetare. Ndihmon të gjesh “thesarin që është brenda teje” siç citon slogani i kësaj vere.
Ndoshta nuk përbën ndonjë lajm? Jo për atë pjesë të botës që beson tek e mira. 10 të rinj italianë së bashku me 15/20 adoleshentë shqiptarë që vullnetarisht, mes një pakuptueshmërie gjuhësore dhe zbulimit të afrisë dhe diferencave kulturore, nuk e humbasin dëshirën për të ndërtuar një ecje rritjeje sa të vogël aq dhe të rëndësishme si fara e sinapit!
Puna e vullnetarëve të kampit veror 2019, të këtyre të rinjve zaccariani është pikërisht puna e asaj farës së vogël të senapit që padukshmërisht dhe qetësisht prodhon një bimë të madhe në gjëndje të ofrojë hije dhe strehë nga dielli e vapa. Një hije që është vlerë dedikimi, përgjegjësie, bashkëndarjeje, durimi, profesionalizmi, kreativiteti, miqësie, dhe vëllarërie. Kampi veroir 2019 është edhe ky një bashkësi vlerash të jetuara dhe ofruara për të ndihmuar një pjesë të këtij kombi të vogël shqiptar për t’u rritur me një dinjitet më të madh dhe përgjegjësi për veten.
Të mundesh të bashkëpunosh sot me animatorë shqipatrë që ishin fëmijë disa vite më parë është një kënaqësi shumë e madhe jo për t’u mburrur, por për t’u gëzuar që dëshira për të bërë falas njëri për tjetrin për më të vegjlit është një kartë fituese në një botë shpesh shumë utilitare.
Universiteti dhe puna janë fusha të nevojshme dhe të pashmangshme për secilin prej nesh, por nëse janë të ndriçuara nga këto ditë, fitojnë vlerë më të madhe dhe të pafund. Të heqësh 15 ditë nga plazhet dhe vendet turistike nuk është një humbje por një investim dhe kush ka jetuar këto mundësi jo vetëm që e kujton, por e di mirë dhe ia shijon frytet edhe vite më pas.
Shqipëria është një vend në rritje, mes shumë kontradiktash dhe akoma më shumë shpresash edhe se të shoqëruara nga mundimi i maturimit. T’u japësh fëmijëve momente gëzimi, rregullash për të luajtur mirë dhe drejt së bashku, të shikosh nënat e tyre të dalin nga shtëpitë për t’u mbledhur së bashku për të folur mes tyre e për të na ndihmuar në ndërtimin e kohës së fëmijëve të tyre është fryti më i rëndësishëm pas 15 verash të kaluara në Milot.
Disa ditë më parë Zëvëndës Ministri i Jashtëm, duke na pritur në Tiranë na froi të ndërtonim me durim të ardhmen e këtij vendi sidomos përballë asaj që do të dukej se nuk funksionon ose duhet ndryshuar.
Kampet verore janë ky veprim këmbëngulës edukativ pikërisht nga etërit Barnabitë që transmetohet edhe nga të rinjtë me të cilët ata punojnë. Duam të rinj të gjallë, shkruan Papa Françesku në letrën e tij drejtuar të rinjve Christus vivit: në Milot kampi veror 2019 është pikërisht kampi i të rinjve të gjallë për një botë të gjallë; kampi i të rinjve që jo vetëm pyesin veten se kush janë, por edhe se për kë janë. Të rinj për të ardhmen e këtij vendi dhe për jetët e tyre.
Faleminderit juve të rinj të Milotit, murgesha Angeliche të Milotit, etërit Barnabitë të Milotit, Zëvëndesministri i Punëve të Jashtme Sokol Dedja, Këshilltarët e Ministrit Besian Zogaj dhe Irida Laçi.
Faleminderit (grazie) giovanizaccariani 2019, grazie kalamajsh!
p. Giannicola M. Simone
Ufficio Pastorale Giovanile PP. Barnabiti
Il tesoro che è in te
Giovani lavoratori e universitari che investono parte delle loro vacanze per correre dietro a una ciurma di calamai(così si dice bambini in Albania) con i quali scrivere e disegnare 10 giorni di serenità, allegria e opportunità per crescere sono una realtà anche questa estate 2019.
Giocare e far giocare aiuta a crescere i piccoli come i grandi al di là di ogni appartenenza sociale, linguistica, culturale o religiosa. Aiuta a trovare “il tesoro che è in te” come recita lo slogan di questa estate.
Forse è una non notizia? Non per quella parte di mondo che crede nel bene. 10 giovani italiani insieme a 15/20 adolescenti albanesi che volontariamente tra una incomprensione linguistica e la scoperta di affinità e differenze culturali non perdono la voglia di costruire un percorso di crescita tanto piccolo quanto importante come il seme della senape!
Il lavoro dei volontari del kampiveror2019, di questi giovani zaccariani è proprio il lavoro di quel piccolo seme di senape che invisibilmente e silenziosamente produce una grande pianta capace di offrire ombra, riparo dal sole e dalla calura.
Un’ombra che sono valori di dedizione, responsabilità, condivisione, pazienza, professionalità, creatività, amicizia e fraternità. Il kampiveror2019 è anche questo insieme di valori vissuti e offerti per aiutare una frazione di questa piccola nazione albanese a crescere con maggiore dignità e consapevolezza di sé.
Poter collaborare oggi con animatori albanesi che erano i bambini di qualche anno fa è una grande soddisfazione non per inorgoglirsi, quanto per rallegrarsi che la voglia di fare gratuitamente gli uni per gli altri e tutti per i più piccoli è una carta vincente in un mondo spesso troppo utilitaristico.
L’università e il lavoro sono ambiti necessari e ineludibili per ognuno di noi, ma se illuminati da questi giorni, acquistano valore migliore e immenso. Sottrarre 15 giorni a spiagge o luoghi turistici non è una perdita ma un investimento e chi ha vissuto queste opportunità non solo lo ricorda, ma lo sa bene e ne gode ancora i frutti dopo anni.
L’Albania è un paese in crescita, tra molte contraddizioni e ancora più speranze seppure costellate dalla fatica della maturazione. Dare a dei fanciulli dei momenti di gioia, delle regole per giocare bene e meglio insieme, vedere le loro mamme uscire dalle case e radunarsi insieme per parlare tra loro e aiutarci a costruire il tempo dei loro figli è il frutto più importante dopo 15 estate trascorse a Milot.
Qualche giorno fa il viceministro degli esteri, ricevendoci a Tirana ci invitava a costruire con perseveranza il futuro di questo paese specialmente di fronte a ciò che sembrerebbe non funzionare o cambiare.
I kampiveror sono questa perseverante azione educativa propria dei padri Barnabiti che viene tramandata anche dai giovani con cui essi lavorano.
Vogliamo giovani vivi, scrive papa Francesco nella sua lettera ai giovani Christus vivit: a Milot il kampiveror2019 è proprio il campo di giovani vivi per un mondo vivo; il campo di giovani che non solo si chiedono chi sono, ma anche per chi sono. Giovani per il futuro di questo paese e delle proprie vite.
Faleminderit ragazzi di Milot, suore Angeliche di Milot, padri Barnabiti di Milot, viceministro degli esteri Sokol Dedja, consiglieri del ministero Besian Zogaj e Irida Laçi.
Faleminderit (grazie) giovanizaccariani 2019, faleminderit kalamajsh!
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Giannicola M. Simone
Ufficio Pastorale Giovanile PP. Barnabiti
Greta, Carola, Olga e tante altre: le ragazze non temono i potenti
L’ultima è stata Olga Misik. Prima di lei Carola Rackete e prima ancora Greta Thunberg. Sarà un caso che sono tutte ragazze? E che siano diventate icone transnazionali dei maggiori dossier della nostra epoca: il clima, l’accoglienza, i diritti? Un modo speciale di fare la rivoluzione, il loro, che passa attraverso l’imposizione di un’energia nuova, dove prevale una forma tutta femminile di aggressività: la difesa. Si tratti di difendere l’ambiente da politiche senza futuro, i rifugiati da chi non riconosce il loro diritto alla dignità, o la libertà di espressione dalla violenza della dittatura, il messaggio lanciato ai potenti da queste ragazze è lo stesso: siamo qui per difendere ciò che ci è stato affidato. C’è anche una bellezza speciale nel modo che hanno di condurre le battaglie: Greta e il suo cartello sotto la pioggia, Carola con la stralunata fierezza da capitana di un vascello di sventurati, Olga a gambe incrociate che legge la Costituzione a voce alta come fosse un gioco di ruolo.
Si sono scelte inoltre degli avversari di peso: Trump e i potenti della Terra, la leadership sovranista di Matteo Salvini, il presidente russo Vladimir Putin. E li hanno affrontati con i codici della civilizzazione di cui sono figlie – le parole, i gesti belli – mostrando non soltanto di avere un indiscutibile coraggio personale, ma anche di incarnare la forza di una collettività che malgrado tutto ha trasmesso loro la libertà, se non come dato acquisito, almeno come possibilità da conquistare. Non stupisce che siano state coperte di insulti, sbeffeggiate, diversamente umiliate; stupisce piuttosto che resistano, che continuino, che non si mettano paura.
Guardandole in azione si guarda già un’epoca nuova, come se il tempo della muscolarità, ma anche del progresso tecnico che ha segnato il Novecento si fosse esaurito, e fosse cominciato un tempo in cui è più importante conservare, riparare, distribuire che non produrre all’infinito, sfruttare al massimo le risorse, concentrare il potere e le ricchezze. Per farlo c’è bisogno di dialettica, della forza che viene dalla persuasione (i greci avevano un culto speciale per Peitho, la dea della persuasione, considerata l’anima della vita pubblica, sempre in opposizione alla violenza), la stessa che abbiamo sentito nei discorsi di Greta Thunberg, Carola Rackete, Olga Misik. La loro storia di ragazze occidentali (sì, anche Olga è un prodotto della grande cultura occidentale) è già di involontario esempio – o forse si tratta di un irresistibile contagio – per altre latitudini del mondo: ci sono le ragazze iraniane che sfidano il regime degli ayatollah togliendosi il velo e postando le immagini sul web, c’è Alaa Salah, la giovane sudanese che guida la rivolta contro il presidente Omar al-Bashir, e c’è stata Malala, un esempio per tutte le ragazzine che sceglievano l’istruzione, “whatever it takes”. Il fatto nuovo, che le accomuna tutte, è una diversa energia nell’interpretazione dei diritti, a dimostrazione che l’emancipazione raggiunta fino a oggi mette in circolo forze che non sembrava si sarebbero facilmente liberate. È una fortuna che il loro mondo sia anche il nostro.