PARALIMPIADI? SI, GRAZIE, MA CON OTB

Le Paralimpiadi sono state praticate per la prima volta a Roma nel 1960 affinché tutti gli atleti potessero aspirare a partecipare ai Giochi Olimpici senza che ci fossero distinzioni con i normo dotati. È soltanto da poco che però che se ne parla, precisamente sono i Giochi Paralimpici del 2012 di Londra che hanno permesso a questo movimento di essere conosciuto e visto in televisione. Tuttavia, esistono delle realtà che si prendono a cuore questi atleti, preparandoli ad affrontare le sfide che i Giochi li riserba. OTB è una delle molteplici realtà che aiutano le persone affette da una disabilità a raggiungere i loro sogni. Nel tempo hanno formato diversi atleti, tra i quali Fabrizio Cornegliani, neovincitore della medaglia d’argento nella cronometro maschile H1.

Ho avuto l’occasione di intervistare proprio l’ideatore di questo progetto, Federico Sannelli, classe 1990, diplomato al nostro Collegio San Francesco in Lodi.

Nel 2016 è diventato direttore tecnico del Team Equa ottenendo la qualificazione alle Paralimpiadi con 4 atleti, vincendo 7 medaglie di cui 5 d’oro, 1 argento e 1 bronzo. Attualmente si occupa della preparazione dei ciclisti, delle squadre e degli atleti che affrontano la disciplina del Triathlon e dei Paratleti che disputano gare di Handbike e Paratriathlon. Lui ha aperto la sua società sportiva e casualmente si è dovuto imbattere in ciclisti con disabilità che gli hanno chiesto un aiuto. Lui ha dovuto studiare i movimenti, le bicilette e tutto quello che comporta la corsa in handbike. Inizialmente era solo un lavoro, pian piano poi anche altri Paratleti lo hanno contattato, lui si è sempre appassionato sempre più fino ad essere contattato dalla Federazione. Sicuramente non è stato un percorso molto facile; anzi, è stato ed è tuttora pieno di insidie, errori e fatica.

Quali sono gli sport paralimpici e come si praticano?

Ad oggi, quasi tutti gli sport hanno una realtà paralimpica, bisogna poi andare a vedere nello specifico come praticarlo perché dipende da disabilità a disabilità. Non esiste un percorso tracciato per tutti. Esistono, infatti, varie categorie che vanno in base alla disabilità e ogni sport ha le proprie regole con le proprie classifiche e tempi per partecipare poi agli eventi internazionali. Non ci sono delle categorie paralimpiche universali ed è per questo che viene inserito un codice alfanumerico dopo il nome dello sport: H sta per handbike, C quando si usano biciclette, T in caso di bici a tre ruote, B in caso di tandem. Generalmente, almeno per il paraciclismo e per il paratriathlon, più il numero è basso e più la disabilità è grave.

Cosa ti aspetti da queste Paralimpiadi? Vedi qualche sorpresa?

Mi aspetto che ogni Olimpiade porti un ritorno mediatico per il paralimpico. Se pensiamo alle prime Paralimpiadi, nessuno le seguiva, non c’erano nemmeno le dirette e gli articoli… possiamo dire che era un mondo sconosciuto. Pensiamo a ora e capiamo quanti passi avanti sono stati compiuti! Nessuno sapeva cosa fossero le Paralimpiadi fino a Londra 2012 e da allora c’è sempre stato un grande ritorno mediatico e una copertura televisiva più elevata. Sicuramente, almeno in Italia, la figura di Zanardi ha contribuito tantissimo perché è un personaggio noto che si è buttato nel paralimpico portando tanto ritorno mediatico alla disciplina, soprattutto della bike, creando canali che dessero origine ad altre star paralimpiche come, ad esempio, Bebe Vio. Di conseguenza, mi aspetto ci siano più investimenti nelle strutture e più realtà che si occupano di formare gli atleti e di stargli vicino perché non è sempre facile e gli strumenti costano molto per via della tecnologia, dei pezzi di ricambio e non tutti possono permettersi di investire 15.000€ in una bicicletta.

Per quanto riguarda le sorprese ti dico di no, più che altro perché ci sarà un bel cambio di rotta dopo Tokyo. Nel paraciclismo molti atleti, compresi i miei, dovrebbero andare in pensione perché sono tutti abbastanza vecchi sportivamente parlando. Sicuramente, per Parigi, ci sarà da andare a trovare e formare dei nuovi atleti.

C’è un sostegno? In che misura vengono seguite?

Dipende. Ci sono molte federazioni che fanno tutto loro, quindi prendono l’atleta, lo formano e lo allenano, altre invece no. C’è poi da considerare anche che non tutte le nazionali possono seguire tutti gli atleti. Bisogna vedere la realtà e fare anche del talent scout. Comunque, in nazionale arrivano atleti molto formati che si sono fatti notare ottenendo diversi risultati. Ti faccio un esempio: i miei atleti hanno una squadra che li supporta in termine di ritiri, costi e via dicendo. La mia figura da allenatore non è una figura federale io sono un consulente esterno privato che li alleno. Quindi, non vengo stipendiato da una Federazione. Capisci che, almeno nel paraciclismo, la Federazione non paga l’allenatore. Tuttavia, nel paratriathlon, gli atleti vengono allenati dai tecnici federali. In conclusione, puoi capire che il discorso è molto variabile e non c’è una regola fissa.

Cosa può fare la gente comune per sostenere queste associazioni come OTB? Chi gestisce tutto il sistema paralimpico?

Sicuramente molte associazioni possono avere la donazione del 5×1000 sulla dichiarazione dei redditi, quindi fanno pubblicità quando c’è quell’iniziativa. Per il resto le squadre vivono con gli sponsor, solitamente investitori privati che si fanno un po’ di pubblicità. La gente comune può seguire perché più ritorno mediatico c’è e più si vende, più sponsorizzazioni ci sono e più gli atleti vengono seguiti… aumentare il ritorno mediatico significa vedere gli atleti come dei veri e propri professionisti reali, sullo stesso piano dei normodotati. Anche perché, raggiungere quel livello, ti assicuro, significa avere chiuso mentalmente “il conto con la vita” altrimenti non riesci a tollerare tutto quell’impegno. Il sistema paralimpico viene gestito dal CIP, il quale è una branca del CONI. Infatti, quando i Paratleti vincono le medaglie, vengono poi premiati a Roma. La premiazione è uguale per tutti.

Il successo avuto dall’Italia nelle Olimpiadi di Tokyo 2020 può aiutare l’Italia nelle Paralimpiadi e le relative associazioni?

Sicuramente sì. Le Olimpiadi per i Paratleti sono ancora più importanti che per i normodotati perché è l’unica possibilità di visione globale che hanno. Solitamente, l’Italia nelle Paralimpiadi ha sempre fatto bene, ma quest’anno, con la straordinaria Olimpiade, avrà sicuramente una spinta in più per far bene e soprattutto far vedere che anche l’Italia paralimpica è allo stesso livello. A me piacerebbe inoltre che non esistessero solo delle realtà che si occupano di paralimpico, ma anzi, di squadre o polisportive (ovviamente di una certa dimensione ed entità) che abbiano sia la parte para sia quella normo. Guarda le squadre di calcio e vedi che nessuna ha una squadra paralimpica. È anche vero che è complicato perché devi andare a prendere tutte le categorie di disabilità; pertanto, non è solo una questione di età. Non è assolutamente una cosa semplice, ma pian piano la speranza è che molte associazioni, oltre all’attività giovanile dei normo, assumano sempre più anche attività per i disabili. Questo però significa avere istruttori adeguati e specializzati, avere gli spazi, avere i fondi eccetera. La cosa importante è che in Italia manca ancora, all’interno delle Università o dei Corsi di formazione, la formazione del personale paralitico. Ad esempio, se fossi un professore universitario metterei l’esame di sport paralimpici, poi ovvio che ti devi specializzare nella tua categoria. Non bisogna ridurlo soltanto a una visita di Fabrizio (Cornegliani) che racconta la sua esperienza personale. Quello va bene nelle scuole inferiori per insegnare l’esperienza di vita e la resilienza. Serve del materiale tecnico e su quello lavorare. Moltissimi tecnici, me compreso, si sono formati in completa autonomia vivendo le situazioni e imparando da quelle. Spesso sbagliando.

CONFIDO NEI VACCINI

Ciao lettori continuano i nostri incontri con studenti e docenti sull’imminente anno scolastico.Oggi discutiamo con Carlo, neo diciottenne di Este (PD)

fan di: Nirvana, Linkin Park, e i contemporanei Maneskin, ma amante di Beethoven.

sport: assolutamente il basket, malgrado non lo pratichi più, ma mi piace andare via in MTB, giocare a tennis, pallavolo, calcetto.

Gusto gelato: Crema!

Difetto: un po’ testardo e permaloso.

Pregio: so ascoltare molto e dare giusti consigli! D’accordo con lui condivido le sue idee.

•La scuola dello scorso anno?

Eravamo una settimana in presenza e una in DAD, con la classe sempre al completo, bastava essere abbastanza responsabili; ma almeno metà classe approfittava della situazione, del fatto di non poter esser sempre controllato dal docente.

•La scuola ha cercato di coinvolgervi nell’interagire con voi, con la fatica di questa modalità?

Se ne è discusso spesso in classe. Gli insegnanti hanno cercato di trovare delle tecniche d’insegnamento alternative, di evitare un semplice parlare per l’ora di lezione intera dall’altra parte del computer. Cercavano dunque di interagire, proponevano esercizi assieme, attività, dibattiti. Secondo me però in tutte le scuole di Italia è successo così, anche tra i diversi indirizzi: in DAD i docenti avevano un volto diverso rispetto a quello che recuperavano con la didattica in presenza.

•Non so quanto gli insegnanti siano stati capaci di novità, ma al di là di questo, cosa attendi per il prossimo anno?

Confido nei vaccini e nella buona volontà degli studenti (di vaccinarsi) per un ritorno alla normalità.

•Ma al di là della DAD la scuola è alla vostra altezza, delle vostre attese, curiosità?

Io credo di sì; la mia scuola in vari ambiti propone diverse novità, seppure in alcune discipline si mantiene lo scontato.

•C’è curiosità tra i tuoi coetanei o prevale lo scontato?

Penso di sì! Ce n’è tanta. Di anno in anno si studiano cose nuove così da scoprire i collegamenti tra le varie discipline. Forse però lo sviluppo delle tecnologie ha avuto l’effetto positivo per conoscere di più oppure negativo perché ha sostituito la fatica di conoscere, di approfondire. Siamo curiosi, ma la curiosità viene negli anni.

•Hai detto che più si cresce più si diventa curiosi (non sono d’accordo): più curiosi e interessati del mondo, di guardare oltre oppure solo di se stessi, del proprio ombelico?

Penso che un bambino abbia il livello massimo di curiosità, ma credo perché non conosca ancora il mondo che lo circonda. Man mano che si cresce ci si immerge sempre più in quella che è la realtà circostante e ovviamente la si conosce sempre meglio… non penso che più si cresce, più si diventa curiosi, credo che cambi il modo di approcciarsi al mondo. Inoltre buon senso vorrebbe che ognuno aprisse i propri orizzonti man mano che diventa adulto, preoccupandosi in primis di se stesso, ma anche di chi lo circonda per prendersene cura.

•C’è curiosità per il futuro o solo per il presente? Si ha la percezione di un futuro da costruire o da lasciarsi cadere addosso?

C’è curiosità per il futuro, o almeno io la vedo così. Magari per chi è più anziano, la preoccupazione del futuro non è tanta, ma noi giovani studenti siamo costantemente sommersi dalla questione: “cosa sarò da grande?”. Purtroppo le certezze sul futuro sono nulle, dunque possedere curiosità è soltanto un modo per affrontar meglio il presente, in vista di un futuro più o meno lontano. Dunque penso che prima ancora di guardare al futuro, ciascuno di noi deve costruirsi delle fondamenta solide per il presente che vive giorno per giorno, e solo così potrà crearsi un futuro.

•Quali di queste parole trovano più spazio nella tua vita:

1) sofferenza, soffrire capita a tutti, chi per una ragione, chi per un’altra… penso però che ogni sofferenza debba essere affrontata col massimo delle forze;

2) gioia, elemento importante nella vita di tutti i giorni credo sia proprio sorridere, provare soddisfazione per ciò che si è, che si ha e che si fa;

3) famiglia, credo veramente che la famiglia sia sinonimo di sicurezza, protezione, calore, amore;

4) Dio, purtroppo sono in una fase della mia vita un po’ critica sotto questo punto di vista, molte cose non mi tornano sulla religione, faccio fatica ad avere fede;

5) Chiesa, penso che nella mia crescita la parrocchia abbia giocato un ruolo veramente importante, perché mi ha permesso di conoscere delle persone favolose; sin da piccolo la parrocchia m’ha fatto vivere momenti unici;

6) Rispetto, dobbiamo aver rispetto di tutto e di tutti, indipendentemente da qualsiasi fattore si prenda in considerazione: siamo tutti umani, siamo tutti uguali.

•Un consiglio agli adulti?

Ascoltate i più piccoli: sedetevi li con loro, e parlate giorno per giorno del più e del meno. I giovani molto spesso tengono dentro di sé tutto quanto (bene o male che sia) senza condividerlo con nessuno. Il problema è che portarsi avanti delle difficoltà è un peso per la mente, e l’unica soluzione è discuterne serenamente con qualcuno di più grande che di sicuro in un modo o nell’altro ha già vissuto qualcosa di simile e sa come affrontarlo.

Ciao Carlo, grazie

SCUOLA DA UN ANNO ALL’ALTRO

Cari amici la scuola, in presenza o a distanza, ormai è alle porte, la campanella sta per suonare e forse molti di voi, da una parte all’altra dei banchi e delle cattedre il desiderio di rimettervi in gioco non manca. Per questo vogliamo cominciare il nostro mese di settembre pubblicando alcune chiacchierate con docenti e studenti che abbiamo pescato in giro per l’Italia.Che scrivere? Buona lettura.

Da Lodi la prof di inglese all’IIS Cesaris di Casalpusterlengo (LO), Isida Laçi comincia a raccontarci il bello e il brutto dello scorso anno.

La cosa più bella che posso confermare è l’affiatamento e la collaborazione tra colleghi per rendere la didattica online accessibile a chi non aveva molta familiarità con la tecnologia, il tutto per far sì che i nostri ragazzi si trovassero nelle migliori condizioni per poter apprendere. Inoltre, i diversi incontri, spesso pomeridiani, hanno permesso di conoscerci meglio e condividere insieme molto più tempo del solito. Abbiamo scambiato esperienze e consigli utili per poter gestire al meglio una situazione a tutti sconosciuta e impegnativa.

Prof, com’è cambiato il modo di approcciare i ragazzi con la “famigerata” DAD?

Per ogni ragazzo è stato creato un indirizzo mail personale con il dominio scolastico. Sono state create le classi virtuali su Google Classroom e utilizzate tante piattaforme online come Socrative. A ogni studente è stato fornito la mail personale del docente e talvolta anche il cellulare. La novità nell’approcciare i ragazzi ha riguardato principalmente il fatto che il contatto, con chi ha avuto il desiderio di approfondire o capire meglio qualche argomento, è avvenuto spesso online, di pomeriggio, alla fine della giornata scolastica.

Ha dovuto rinnovare la propria didattica o semplicemente ha. fatto un copia incolla delle lezioni in presenza con una in DAD?

Impossibile fare copia /incolla tra lezioni a distanza e quelle in presenza. Ho la fortuna di insegnare una lingua straniera e quindi di avere molta più “elasticità” nel proporre e svolgere gli argomenti programmati in precedenza. Semplicemente una canzone in inglese, un brano divertente, estratti presi da social network di coetanei inglesi o un bel film in lingua originale sono stati spesso strumenti utilizzati per affiancare i libri di testo e rendere meno “pesante” una lezione altrimenti solo frontale davanti a uno schermo.

Poi, un pomeriggio alla settimana ho avviato un club di letteratura inglese per poter affrontare in modo propositivo, la situazione della chiusura a causa della pandemia.

Prof, cosa hanno imparato secondo lei gli studenti?

Io ho cercato di trasmettere loro che da una situazione difficile si esce solo con un lavoro duro e con una vera conoscenza delle cose, in senso ampio. La scuola nuova e moderna tende ad andare sempre più verso l’acquisizione di competenze, il “saper fare”. Cosa giusta, ma personalmente credo che le competenze senza le conoscenze non possano andare molto lontane: per “saper fare” bisogna “sapere”.

Come si è sentita percepita dagli studenti?

Molti studenti hanno certamente compreso e apprezzato l’impegno e gli sforzi quotidiani fatti per portare avanti la scuola anche in condizioni “straordinarie”. Diversi però si aspettavano meno verifiche e meno giudizi tramite il tradizionale voto, in una situazione dove di “tradizionale” c’era poco, ma nella quale a mio avviso, non si poteva prescindere da una corretta e puntuale valutazione del lavoro svolto e dell’impegno profuso. Anche se i miei figli liceali spesso mi criticavano.

Ha notato dei disagi negli studenti? Sono stati capaci di esternare i propri disagi?

Non avere la possibilità di venire a scuola, non poter vedere e interagire con i propri compagni, non seguire una spiegazione “dal vivo”, porta indiscutibilmente a dei disagi. Alcuni studenti si sono chiusi e hanno a volte smesso di frequentare le lezioni per diversi giorni/settimane. Altri hanno esternato i propri sentimenti con i colleghi con i quali erano più in confidenza, altri si sono rivolti alle psicologhe dello sportello di ascolto attivato dalla scuola.

Come è stata la gestione di alunni con disabilità

Non ho avuto alunni con disabilità, ma la nostra scuola è sempre rimasta aperta per gli alunni con disabilità che hanno preferito frequentare in presenza.

Prof, l’anno trascorso cosa le ha insegnato per il futuro?

La tecnologia è utile, va usata anche per andare incontro ai ragazzi che oggi sempre più vengono denominati “nativi digitali”, però nulla può sostituire il rapporto diretto a scuola. Il rapporto umano deve essere alla base del nostro lavoro. Se la situazione lo richiede, un argomento in meno, ma una “chiacchierata” in più non può che essere utile e propositiva per la crescita dei ragazzi ma anche per formazione quotidiana “sul campo” di noi docenti.

Di conseguenza quali modifiche farebbe al sistema scolastico italiano?

L’anno di Covid è stato in modo particolare un periodo che ha fatto emergere in modo significativo anche le difficoltà di alcuni docenti di approcciare i ragazzi e di svolgere in modo efficace il proprio lavoro, ma allo stesso tempo, ha messo in luce sensibilità personali ed efficacia della didattica di larga parte del corpo docente.

In prospettiva sarebbe opportuno che venisse valorizzato adeguatamente questo approccio e impegno positivo e venisse data la possibilità alle scuole stesse, tramite il comitato valutativo interno, di poter confermare nel loro organico, gli insegnati precari ritenuti validi dopo un’esperienza lavorativa all’interno della stessa scuola, senza necessariamente ridisegnare tutti gli anni parte del corpo docente attraverso Gae, moduli Mad, concorsi ecc.

Di contro sarebbe altrettanto opportuno non considerare la scuola come il classico “posto fisso”, “censurando” adeguatamente chi all’interno della scuola non ci dovrebbe stare.

Grazie prof, buon anno scolastico 2021/2022

Afghanistan: serve pregare?

Essere vicini a situazioni difficili come l’Afghanistan non è facile. Volevamo porre alcune domande al nostro confratello p. Giovanni Scalese da 6 anni a Kabul come cappellano dell’Ambasciata Italiana e rappresentante della Santa Sede. Per il precipitare della situazione non è stato possibile. Ci siamo rivolti al nostro amico Federico Romoli che ben conosce l’Afghanistan e i Barnabiti ( https://giovanibarnabiti.it/2021/05/23/un-avvocato-a-kabul/ ) per chiedere qualche luce.

Ciao Federico, c’è un affetto particolare tra il mondo barnabitico e l’Afghanistan, ma ha senso preoccuparsi anche di Afghanistan, tra le tante situazioni delicate nel mondo?

Da uomini, prima ancora che da cristiani, è nostro dovere interessarci del mondo. In Afghanistan o ad Haiti, sono giorni bui per tanti nostri fratelli. È necessario pregare per loro e per il loro avvenire. 
Tra i Barnabiti e l’Afghanistan, un paese in enorme difficoltà già da oltre quarant’anni, vi è sempre stato un forte legame, che adesso si spera possa continuare.

Bastano il sollecitare l’opinione pubblica, il rammarico diffuso per essere vicino all’Afghanistan?

Proprio per il ritorno dei Talebani è giusto guardare agli errori del passato per poter aiutare ancora di più il paese che si trova dentro una crisi così grande. Il rammarico e lo sgomento dell’opinione pubblica non sono un aiuto concreto al paese, ma sono di certo meglio del disinteresse. Dell’Afghanistan sembravano tutti essersene dimenticati, stampa 
compresa, nonostante il paese avesse ancora molti problemi anche prima del ritorno dei Talebani.

Certo l’opinione pubblica statunitense pare abbia molto contato sulle scelte che vediamo in questi giorni, ma noi?

Negli Stati Uniti il dibattito politico sembra essersi fermato alla critica delle modalità del ritiro delle truppe, come se gli errori compiuti nei due decenni precedenti non abbiano avuto influenza su questo esito.

Qualche giorno fa il Corriere della Sera pubblicava un dettagliato articolo di Roberto Saviano sul ruolo dell’eroina nella politica ed economia dei talebani e renderli così “rispettabili” nel mondo: cosa ne pensi?

Il controllo del traffico di eroina da parte dei Talebani è in realtà solo una parte del problema. Lo sfruttamento illegale delle risorse minerarie, ora anche i dazi doganali, poi altri finanziamenti clandestini compongono anch’essi gli introiti dei Talebani. Anche vari altri signori della droga hanno potuto continuare il loro traffico in questi anni. Ma la formazione e ora il ritorno al potere dei Talebani sono un fenomeno molto più ampio e complesso.

Padre Giovanni Scalese ci chiede giustamente di pregare, di pregare, e molti di noi lo stanno facendo: realmente la preghiera è di conforto, sostegno, stimolo a non mollare? Realmente non è un modo “spirituale” per mettersi un po’ di più l’anima in pace?

Il minimo che noi, così limitati, possiamo fare è pregare per i nostri amici afghani, sperando di portar loro un po’ di conforto e rimettendoci così a qualcosa di Onnipotente. La preghiera è come l’ossigeno che produce un albero, non si vede, ma senza si muore.

a cura di Luigi Cirillo – Roma

Un ferragosto BarnabitiAPS

La festa di oggi, che la si chiami Ferragosto o dell’Assunta, ha diverse origini pagane e cristiane, senza nulla togliere all’una o all’altra radice.
Una festa è sempre una festa e questo è importante per il bene dell’uomo e della donna. Una festa serve per rigenerare il pensiero e l’anima e il corpo, per questo una festa quando è veramente una Festa è sempre religiosa, al di là che sia pagana o – nel nostro contesto – cristiana.
Forse che i cattolici hanno “imposto” questo evento della vita di Maria a questa festa di origine romane? O forse hanno semplicemente evidenziato il bisogno di luce e di bene che questa festa portava con sé e che il dogma dell’Assunzione non solo riecheggia, ma amplifica? Io credo di più a questa seconda versione, non perché cattolico, ma perché comunque la fede cristiana ha nel suo DNA la preoccupazione di esaltare il bisogno di luce, di vita, di eternità che ogni uomo porta con sé. In una società sempre più secolarizzata, cioè priva di riferimenti a Dio, dove per molti versi emerge il delirio di onnipotenza piuttosto che il bisogno di eternità è veramente importante recuperarne il senso. In una società dove spesso anche i cristiani sono più inclini all’intimismo piuttosto che alla testimonianza è importante recuperare il valore anche di questa festa.
Che Maria non debba subire la corruzione del corpo dopo la morte non è un manga (?), una burla o una boutade pubblicitaria è la risposta al bisogno di mistero e di senso che ogni uomo e donna hanno.
Se ci pensiamo bene facciamo di tutto per il nostro bene, per il bene del nostro corpo; se ci pensiamo bene facciamo di tutto per fermare il disfacimento del corpo fino a praticare l’eutanasia. La festa dell’Assunzione di Maria al cielo continua non solo il bisogno di bene che già l’Imperatore Augusto indisse con la Feriae Augustales, ma lo risolve affermando che il bene per eccellenza è quello dopo la morte. Ma non un bene del Dopo, bensì un bene che sollecita, sostiene, guida e coltiva il bene del qui e ora. Il cristiano non crede al Paradiso per fuggire dal terreno, bensì per credere meglio e di più nel presente.
«Quando Nietzsche si pone questioni sul senso di questa festa, scopre, indagando l’incantesimo del dionisiaco, che in essa si celebra la riconciliazione tra la natura e il suo figlio perduto, l’uomo. Scrive ne La nascita della tragedia che diventa il tempo in cui si coglie la luce della dimensione aurorale del mondo, che si rinnova in virtù dell’incantamento della forza di liberazione che lo percorre» (IlSole24ore, 15 08 2021, III).
Nella storia semplice e fantastica di questa piccola e sconosciuta donna semita (meglio di qualsiasi anima giapponese) troviamo la risposta a quel bisogno della luce aurorale del mondo di incontrare l’uomo. In Maria però non c’è solo una eccelsa filosofia, bensì la storia concreta del Mistero di Dio che incontra e abbraccia il mistero dell’Uomo e della Donna.
A noi volontari zaccariani è chiesto di essere ancora più consapevoli del senso di tale festa dell’Assunzione di Maria al Cielo, non solo per recitare qualche Ave Maria in più (che fa sempre bene come direbbe il nostro SAMZ) bensì per testimoniare la vita di Dio tra la vita degli uomini.
Specialmente dopo che il recente Capitolo della neoprovincia Italiana ha riconosciuto e incentivato la nostra BarnabitiAPS abbiamo realmente bisogno di ri-conoscere e qualificare la nostra vocazione umana e cristiana.
Come Maria con la sua vita ha permesso alla vita di Dio di entrare nella vita degli uomini e delle donne, così a ognuno di noi è chiesto di continuare a coltivare questo mistero della Vita. Non è delirio di onnipotenza niciana, è risposta alla vocazione cristiana.

Gesti politici nello sport

Il primo gesto politico avvenuto nel mondo dello sport può essere quello delle Olimpiadi del ’68, quando Smith e Carlos, una volta ricevute le relative medaglie, ascoltarono l’inno nazionale sollevando un pugno chiuso ricoperto da un guanto. Questo gesto esprimeva solidarietà nei confronti delle Black Panthers, organizzazione che lottava per porre fine alla discriminazione degli afroamericani. Tale posa è stata ripresa in tempi moderni da Hamilton, pluricampione di Formula 1, per combattere il razzismo in America e nel mondo.
Purtroppo, però, almeno per quello che posso vedere in Italia, si sta strumentalizzando troppo la questione, la quale non può essere definita soltanto come un qualcosa a due colori, bensì di mille sfumature. Nel compiere un gesto politicamente forte, la persona deve crederci e porre degli ideali in essere. Non basta farlo. Moltissime persone non compiono i gesti proprio perché non credono sia la strada giusta per combattere il razzismo. Quindi non sentono una motivazione valida. Non è vero che se una persona non si fa fotografare mentre combatte le disuguaglianze allora è una persona razzista. Non sono azioni complementari. Ne sa qualcosa il ferrarista Leclerc, pilota molto presente in campagne solidali, che ha dovuto rispondere in maniera molto forte, attraverso i suoi canali social, alle accuse di chi lo ha criticato per non essersi inginocchiato prima dei Gran Premi. Per il pilota monegasco, infatti, “contano maggiormente i fatti e i comportamenti delle persone nella vita piuttosto che i gesti formali che potrebbero essere giudicati controversi in alcuni Paesi”.
Una situazione simile si è verificata durante gli indimenticabili Europei di calcio del 2020: alcune squadre si sono volute inginocchiare in solidarietà al movimento BLM mentre altre no. Questo contesto ha visto l’Italia come protagonista assoluta in quanto, durante la partita contro il Galles, metà squadra era rimasta in piedi mentre l’altra era inginocchiata. Ho visto persone criticare e insultare duramente i giocatori, la squadra e i dirigenti. Fino a prova contraria, però, esiste l’articolo 21 della Costituzione che dà diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero. Pertanto, se una persona non dovesse essere d’accordo relativamente a un gesto o una parola, non vedo perché dovrebbe emularlo, cadendo poi nella banalità. Penso, inoltre, che l’Italia nella decisione presa contro il Galles si sia dimostrata un Paese democratico, come affermato nella Costituzione, in cui ognuno può sentirsi libero di esprimere la propria opinione. Obbligare tutti allo stesso tipo di comportamento in nome di uno spirito di squadra mi sembra assurdo. I calciatori sono persone normali, possono essere amici anche avendo opinioni e modi di dimostrarle differenti.
Ripeto, bisogna avere rispetto nei confronti delle persone perché un gesto formale non implica che la persona che lo compie è razzista o meno. Inoltre, bisogna anche essere onesti con sé stessi quando si prendono queste iniziative. Durante il quarto di finale Italia-Belgio, il calciatore Spinazzola si è rotto il tendine d’Achille ed è uscito piangente in barella. Nessun giocatore belga, che qualche ora prima si era inginocchiato in senso di rispetto verso il prossimo, si è avvicinato per chiedergli come stesse, non uno ha bloccato il lancio di oggetti dagli spalti verso di lui, non uno ha avuto un qualsiasi moto di compassione. A questo punto mi viene da pensare, come dice Leonardo Tondelli nel suo blog, che veramente c’è il rischio di non sapere perché ci si inginocchia. Mi viene da dire che molti si inginocchiano e si inginocchieranno per conformarsi alla massa e aderire ad una scelta politica che però, nei fatti reali, è abbastanza sterile. Come si può sostenere la causa di milioni di persone sconosciute se non si riesce a rispettare nemmeno chi è a due metri da te? Penso, inoltre, che l’Italia nella decisione presa contro il Galles si sia dimostrata una Nazione democratica in cui ognuno può sentirsi libero di esprimere la propria opinione. Obbligare tutti allo stesso tipo di comportamento in nome di uno spirito di squadra mi sembra assurdo. I calciatori sono persone normali, possono essere amici anche avendo opinioni e modi di dimostrarle differenti.
Detto ciò, non voglio essere frainteso, ma soltanto esprimere la mia opinione dopo tutto quello che ho visto. Vorrei soltanto che le persone che compiono questi gesti fossero consapevoli di ciò che fanno. E non che lo facciano soltanto per “farsi vedere”. Lo stesso vale per le proteste sportive nei confronti delle donne. Credo abbia poco valore dipingersi la faccia, se poi non si fa nulla di concreto per difendere le donne da molestie sessuali o altre discriminazioni. Credo, infine, che per combattere al meglio le disuguaglianze bisogni infliggere delle dure punizioni all’istante e non dopo aver aspettato metà campionato; soprattutto al giorno d’oggi con una tecnologia avanzata e i biglietti nominativi.
Marco C., Milano

SAMZDAY2021

Ciao Amici di SAMZ,

forse un po’ in sordina (usate ancora questo termine?) ma anche quest’anno vogliamo celebrare il nostro SAMZ (antonio maria zaccaria) da lontani o da vicini, per darci la carica giusta nell’affrontare le sfide di ogni giorno. Conoscere un poco di più con la mente e con il cuore, con la preghiera e il ragionare la vita di quest’uomo sarà anche quest’anno una bella opportunità per crescere nella nostra umanità, nella nostra adesione alla vita, nella capacità di sapere affrontare con spirito critico le sfide dell’oggi e anche, non da ultimo, contribuire nella sempre necessaria riforma della Chiesa di cui vogliamo essere parte viva.

Mercoledì 30, Giovedì 1 e venerdì 2 riceverai o troverai sul nostro blog dei box sulla vita di SAMZ scelti tra quelli pubblicati in questi anni da Maura, dovrai avere la pazienza di trovarti nella giornata (ce la puoi fare non dire che sei assolutamente preso) 15 minuti per ragionarci e pregarci sopra; direbbe SAMZ che dovrai trovare anche solo il tempo di una Ave Maria o fare esercizio di elevare spesso la mente a Dio e la tua giornata correrà meglio.

Confidiamo l’uno negli altri per correre insieme come matti verso Dio e verso il prossimo.

Buon SAMZDAY2021!

SERVIZIO CIVILE INTERNAZIONALE

Aeroporto di Linate Milano:
Buon giorno, chi sei?
Sarah Maria.
Anni?
24
Dove vivi?
Diciamo a Treviglio (BG), ma praticamente tra Milano, Rotterdam, Brussel e …
In pratica in giro!
Titolo di studio?
Triennale in scienze politiche ed economiche alla Statale di Milano
Laurea in scienze della popolazione e dello sviluppo a Brussel.
Dove stai volando?
A Madrid per Dakar – Senegal
Perché in Senegal?
Per il Servizio Civile Internazionale, con una ong per uno sviluppo rurale a cura del dipartimento politiche giovanili del ministero dell’interno italiano.
Chi te lo fa fare di investire 11 mesi in Senegal?
Voglio verificare le cose che studio e vederle concretamente, un’occasione per conoscere di più e per conoscere l’Africa (una sua parte!);
ma specialmente è una continuazione del volontariato e dello scautismo svolto negli anni: un buon modo di fare servizio fuori dal mio tran tran.
Non rischi di perdere tempo e opportunità di lavoro?
Non rischio perché questo servizio aumenta il mio tirocinio e offre crediti e condizioni nuove per il lavoro del futuro, specialmente nel mio settore.
Sarai sola o in compagnia?
Con altre tre ragazze della mia età, nella cooperazione solo donne! Tranne i dirigenti che sono sempre uomini!
Cosa pensi di trovare arrivando a Ourossogui, 500km da Dakar?
Non lo so, anche perché su Google maps non c’è molto, sicuramente tanti spazi, tante stelle e tramonti e poi … vedremo.
Cosa pensi di portare via ritornando a Milano?
Sicuramente delle conoscenze tecniche ed economiche, il conoscere una cultura diversa dalla nostra e una esperienza di volontariato che riordina le mie priorità personali!
Priorità. Le priorità chi le definisce?
Un cocktail di io, gli altri e il mondo; ma specialmente voglio capirle e deciderle io.
Allora buon viaggio e mandaci la prima foto appena giunta a ….

Buon compleanno GiovaniBarnabiti.it dal cardinal Matteo Zuppi

Cari GiovaniBarnabiti.it buon 7° compleanno!

Con tante idee e non pochi sforzi di organizzazione eccoci a un altro compleanno che quest’anno vogliamo festeggiare chiacchierando con don Matteo Zuppi, cardinale di Bologna che gentilmente mi ha accolto per parlare di … comunicazione e giovani. Grazie cardinal Matteo da tutti i GiovaniBarnabiti.

Ma grazie a tutti coloro che ci stanno aiutando come scrittori e come lettori!

Buongiorno don Matteo, grazie per l’accoglienza tra i suoi mille impegni! E al dono che ci porge per festeggiare il 7° compleanno di una piccola produzione comunicativa.

I barnabiti hanno sempre coltivato la cultura specialmente tra i giovani; a dei giovani che vogliono scrivere, ragionare, comunicare questo cosa augurerebbe o cosa chiederebbe?

Innanzitutto di sottrarsi alla logica digitale, perché molte volte purtroppo la logica digitale condiziona anche lo scrivere. Lo stile, il modo in cui si descrivono le situazioni o le preoccupazioni che si vogliono condividere, con la scrittura mostra una estraneazione da sé e quindi una introspezione necessari per comunicare ad altri. Dobbiamo saper scrivere senza la logica di “chi arriva prima”, con una certa velocità che distrugge la profondità. È necessaria una comunicazione che davvero metta al centro il contenuto pur ugualmente trovando una capacità di comprensione, un’efficacia di trasmissione che raccolga tutto il fatto.

In un momento come questo della pandemia, penso che dobbiamo, possiamo anzi, condividere i tanti modi con cui abbiamo vissuto tutti la stessa situazione; una condivisione profonda dei vari sentimenti e reazioni, delle varie fatiche e considerazioni senz’altro aiuta a non far passare invano questo tempo così drammaticamente importante.

Noi non siamo dei giornalisti certificati, scriviamo per hobby, ma riteniamo che questa fatica sia necessaria e utile; scriveva un mio amico gesuita: “la fatica della riflessione è la fatica di essere liberi e aiuta altri a diventare liberi”: cosa pensa di questa affermazione così forte?

Giustissima perché la riflessione aiuta un’auto coscienza, una consapevolezza e la comprensione delle cose della storia del mondo nella quale altrimenti si finisce prigionieri o catturati dallo spazio e non dal tempo, per riprendere sempre le così tanto efficaci indicazioni dell’enciclica “Evangelii Gaudium”. È chiaro che è importante anche la comunicazione perché questa deve trasmettere, ecco il nodo, la profondità.

Davvero l’uomo oggi fatica a riflettere, a ragionare o questo forse è solo un ritornello?

Facciamo più fatica perché siamo digitali perché c’è un uomo digitale che si sta formando che in qualche modo già qualche volta scambia la rapidità della comunicazione per la profondità della comunicazione o la quantità di comunicazione per la conoscenza. Facciamo più fatica perché siamo compulsivi mentre, al contrario, c’è tanto bisogno di tempo per una comprensione profonda del comunicare e dell’ascoltare. Spesso poi evitiamo le fatiche in senso stretto, pensiamo che si possa arrivare immediatamente al risultato: non è così, soprattutto quando si devono comunicare le cose vere e profonde della vita, della persona.

Mi colpisce per esempio nell’enciclica “Fratelli tutti” il commento così intelligente sul buon samaritano; papa Francesco dice: “Che cosa ha regalato il samaritano al malcapitato?”. Il tempo, perché c’è bisogno di tempo, non è che ti regalo una prestazione di servizio e con la ottimizzazione “prima faccio meglio è”, no! Ti regalo il tempo che è anche un modo per non buttarlo da un altro punto di vista, perché poi in realtà l’uomo digitale butta via un sacco di tempo.

Ma i giovani oggi, quelli che riesce a frequentare o vedere, per certi versi fanno molta più fatica di quando avevamo noi 15/17 anni?

Io direi diversa. Diversa perché da una parte fanno meno fatica in quanto comunicano moltissimo, per certi versi molto di più di quanto comunicavamo noi; c’è una quantità di comunicazione, di emozioni, superiore e diverse. Io mando le foto, mando i miei racconti, mando la musica, mando tutti i modi per comunicare qualcosa di me; non è scrivere una lettera, no, che richiedeva però anche un altro tipo fatica. Da una parte si fa meno fatica dall’altra parte si fa più fatica perché troppe volte siamo molto nell’emozionale. Ma noi dobbiamo sempre passare dall’emozionale all’interiore altrimenti si vivono tante emozioni e non riusciamo a farne tesoro qui è la vera sfida, qui la fatica per non saltare il sapere ineludibile della profondità delle cose.

A questo proposito poiché i ragazzi faticano a parlare anche faccia a faccia ho scritto e inviato una lettera personale: tanto stupore ma nessuno ha risposto!

Certamente la comunicazione, l’emozionale l’interiorità è un mondo importante, qui però si apre il problema non solo di una comunicazione migliore, ma anche di una comunicazione falsa. Come riuscire a evitare le notizie false su di sé, sulla vita intorno a noi?

E questa è una delle grandi sfide perché apre all’utilizzo del discernimento. Ci sono delle esperienze che sicuramente ci aiutano in questo, perché molte volte distinguere le fake dalle vere news non è facile, però dopo l’esperienza ti dà qualche indicazione in più, qualche parametro in più, per non accettare tutto come vero.

Forse siamo anche talmente immersi di notizie che ci diventa difficile…

Ci sono anche delle fake news che oltre a essere distorte sono anche quelle che non servono a niente. Se tu sei uno che si informa e quindi hai i riferimenti dati dalla cultura è più facile capire le notizie false dalle vere, se invece sei ignorante, se non conosci il mondo, la storia intorno a te, è molto più facile credere a qualunque cosa, essere molto più vulnerabile.

All’opposto del falso c’è la verità: in poche parole può dire qualcosa sulla verità o cos’è la verità?

Questa è una bellissima domanda che qualcuno fece un po’ a sé stesso e un po’ a Gesù. È una domanda a cui diamo una risposta pratica ma può sembrare una domanda filosofica, e lo è anche. La filosofia ci aiuta nell’arte della vita, a non perdersi nel ragionamento, in quel ragionamento che molte volte fa coincidere la verità solo con quello che ho, con quello che io sento, con quello che io possiedo.

La verità per noi cristiani è Gesù: questa è un enorme liberazione, sia dalle finte verità di noi stessi sia dalle terribili e spietate verità di noi stessi perché poi ad un certo punto possono anche diventare spietate quando ci dobbiamo confrontare con i nostri limiti. Che la verità sia Gesù ci aiuta non a scappare ma a misurarci con lo sguardo molto più largo, molto più profondo verso noi stessi di quello di cui noi stessi siamo capaci. Una verità che non è moralista è una verità che ricorda ma anche sa andare oltre e una verità aperta non è mai una verità chiusa, compiuta e ripeto, una verità non moralista. Molte volte il moralismo fa credere di capire la verità dell’altro, spesso invece è un modo per allontanare l’altro.

Aprendo una parentesi, sono d’accordo sulla verità aperta, ma la difficoltà è che non sempre nell’interlocutore trovi questa capacità di aprirsi. Lo vediamo forse anche in questo dibattito sul decreto Zan: la linea di molti cristiani o anche di Avvenire è una linea, comunque, di confronto e di dialogo che però non sempre si riscontra dall’altra parte.

Il fatto è che nel passato abbiamo costruito troppi muri e pochi ponti, mentre la capacità di dialogare richiede anche un superamento di sé, la capacità di andare oltre i propri parametri, oltre le proprie “verità” per questo che la verità sia in Gesù e Gesù è qualcosa che ci aiuta diciamo così a saperla cercare, a saper cogliere la verità dell’altro.

I giovani faranno più fatica o meno a cercare la verità?

I giovani come tutti quanti noi facciamo una gran fatica quando non la cerchiamo perché diventiamo prigionieri di noi stessi. Quando poi la verità diventa “io” è terribile, perché non è vera, perché è distorta. Ma se siamo in maniera anche molto faticosa alla ricerca di qualche orientamento che appunto spieghi, che risponda, questa è la verità, per cui penso che per fortuna per noi la verità è Gesù.

Costruire ponti è faticoso ma necessario. Devo chiederglielo per forza, per quale motivo i giovani fanno così fatica a credere oggi in Dio e si allontanano dalla Chiesa?

Ci possono essere varie risposte, uno, per la semplice fatica che facciamo tutti quanti noi, perché nostro Signore ci lascia liberi e quindi dobbiamo saper scegliere, e qualche volta non sappiamo scegliere, perché credere in Dio non è mettersi una camicia, non è schiacciare un bottone, non è mettere una firma, è una scelta interiore, in questo senso, non ci deve scandalizzare che ci sia sempre una fatica. Poi c’è la fatica della Chiesa, per cui molte volte molti dicono “io credo in Dio non credo nella Chiesa”, non si ha Dio come Padre se non c’è la Chiesa come Madre e qualche volta la Chiesa ha dato testimonianza negativa e questo chiaramente allontana.

Questa fatica credo faccia parte di un cammino anche ciclico della Chiesa che però può diventare l’occasione per una riforma più forte più sicura…

Questo lo speriamo perché ce n’è un grande bisogno, soprattutto di maggiore autenticità purché espressa con vicinanza, non umiliando l’altro. La vicinanza non significa compromesso, non significa svendita. Io sono vicino proprio perché non ho timore, perché sono qualcosa che non ho timore di perdere.

Con questo invito a una autenticità vicina all’altro chiudiamo il nostro incontro, ma apriamo un rinnovato lavoro per tutti noi e per il nostro blog. Grazie don Matteo e … buon compleanno GiovaniBarnabiti.it

Un avvocato a Kabul

Federico Romoli è un giurista e avvocato che lavora per l’Unione Europea, area cooperazione internazionale e in particolare nella delicata situazione dell’Afghanistan. Un’esperienza non ordinaria che ha condiviso con noi GiovaniBarnabiti.it perché possa spiegarci una realtà diversa e permetterci di imparare e crescere, grazie alla condivisione di un’esperienza non ordinaria, come può essere quella di vivere e lavorare in un paese del Medioriente.
Federico nasce e cresce a Firenze, classe 1980, maturità classica, laurea in giurisprudenza, dottore di ricerca in diritto e procedura penale, realizzando diverse pubblicazioni, oltreché l’abilitazione alla professione forense.
Trascorsi diversi anni nelle aule di giustizia italiane Federico inizia la sua avventura nella cooperazione internazionale italiana, divenendo subito operativo in Afghanistan, terra e cultura conosciute molto bene, sia per uno stage intrapreso post lauream, in un ufficio di giustizia dell’ambasciata Italiana, ma soprattutto, per via dei tanti e profondi insegnamenti trasmessigli dal padre, che tramite i suoi viaggi e le sue esperienze, aveva avuto modo di conoscere e approfondire molto bene la realtà afghana, incuriosendo e invogliando il figlio a seguire le proprie orme.
Gli ideali e i valori ricevuti in famiglia, la cultura, l’educazione al rispetto e la curiosità sollecitano una capacità di mettersi sempre in discussione e di impegnarsi per gli altri.
E qui centrano i Barnabiti da presenti nella vita di Federico, sia per la frequentazione della Chiesina e del suo oratorio a Firenze, sia per la storia e la tradizione della sua famiglia, dal nonno e dal padre, strettamente legata e connessa all’ordine fondato dallo Zaccaria.
Peraltro a Kabul Federico incontrerà nella cappella cattolica dell’ambasciata italiana proprio il barnabiti p. Giuseppe Moretti storico amico di famiglia e poi p. Gianni Scalese.

La fede è una costante di Federico, che colora di un senso nuovo e superiore, di un bene comune i suoi valori oltre a dare un sentimento di protezione, necessario per vivere e lavorare lontano da casa, in un paese segnato dalla guerra.
Inoltre, Federico ci sottolinea come sia importante conoscere, studiare, leggere, approfondire e viaggiare per poter essere degli uomini migliori e applicarci a nostra volta per migliorare, nel nostro piccolo, il mondo in cui viviamo.
Nel raccontarci l’Afghanistan, traspare un paese meraviglioso, scolpito da una storia millenaria, ricchissimo di cultura e di bellezza, purtroppo vittima di una situazione geopolitica complicata, poiché spesso conteso nella varie epoche, tra le potenze e gli imperi della storia.
Da un punto di vista costituzionale, l’Afghanistan è una repubblica islamica, in cui è presente una completa struttura democratica, dimostrata dalla classica tripartizione dei poteri, sul modello occidentale.
Il principale motore giuridico del paese è l’organo esecutivo, il governo, che promulga atti normativi, con possibilità di manovra anche dell’organo legislativo, il parlamento.
Il sistema della giustizia ha efficienza ed è conforme alla modernità giuridica.
La peculiarità dell’ordinamento sta nel rapporto che lo stato e i suoi apparati devono avere con la fede musulmana e la legge religiosa, la Sharia, poiché il sentimento religioso è ampiamente diffuso con una popolazione profondamente fedele all’Islam, portando a una necessaria considerazione della legge civile e dello stato al confessionalismo della società, creando un rapporto che può diventare molto complicato per la non unitarietà e la diversità intrinseca del sistema religioso islamico, variegato e suddiviso in tante interpretazioni.
L’altra questione che va necessariamente analizzata e che Federico ci spiega è quella dei diritti umani fondamentali all’interno del contesto afghano, questi ultimi sono dei principi di diritto naturale, portati avanti prevalentemente dalla cultura occidentale, totalmente intuibili e condivisibili indipendentemente dalla religione di appartenenza.
Si capisce subito che il lavoro di Federico non è semplice, non è stato solo un copia-incolla delle nostre leggi occidentali nel contesto afghano.
Inserirli, tuttavia, assieme a un sistema fondato sulla legalità, in una cultura diversa, non è semplice, ma è possibile trovando i giusti punti di contatto, senza prevaricazioni o imposizioni, né tantomeno indietreggiando.
La strada, dunque, è l’uguaglianza, il rispetto e il venirsi incontro, trovando i punti di contatto, pur arrivando da due punti di partenza diversi.
L’avvocato Romoli ci aiuta a capire anche che il recepimento di una struttura giuridica, basata sulla legalità e sulla massima tutela dei diritti fondamentali, non deve essere solo istituzionale, ma anche e soprattutto un’ esigenza sociale e del popolo.
In seguito è importante illustrare il ruolo e la forza del diritto in una situazione di guerra, il quale deve esplicarsi tramite l’effettività e la funzionalità, che la regola deve imporre, non ultimo dando un modello e cercando di limitare un conflitto potenzialmente illimitabile.
Per questo il suo è stato anche quello di migliorare il sistema di legalità, la cui forza vive in quella delle istituzioni, che devono saper produrre un diritto chiaro, semplice ed equo, supportandolo anche con l’apparato sanzionatorio e agendo sul piano sociale, soprattutto con un’educazione dei giovani.

A cura di Paolo Peviani, Pavia