Giovani del presente per il futuro

Cari amici di GiovaniBarnabiti,

non ne avrà male Enzo Bianchi se pubblico il suo articolo, I giovani non sono il futuro, ma il presente, alla conclusione della scorsa GMG, credo sia un ottimo spunto di riflessione per tutti noi.

Da anni i più attenti conoscitori del mondo giovanile vanno ripetendo che siamo di fronte a un cambiamento radicale nella difficile arte di trasmettere alla generazione successiva i principi ritenuti fondamentali per affrontare il duro mestiere di vivere e di vivere in società. Non solo perché sono crollate le ideologie e i sistemi sociali che ad esse si ispiravano, ma ancor più perché alla consueta diffidenza che ogni generazione nutre per il patrimonio di valori che quella precedente ha da trasmettere, si è aggiunta la convinzione che non c’è più nemmeno un patrimonio da ricevere: la cultura globalizzata dominante sembra affermare che il mondo inizi sempre da capo, che l’umanità non possieda capisaldi condivisi, che una scelta equivalga all’altra e che domani si possa «rottamare» quello che abbiamo acquisito oggi.

Del resto è significativo che alla consueta e magari stantia domanda rivolta ai ragazzi – «cosa vorresti fare da grande?» – la risposta non consista ormai più nell’uno o nell’altro mestiere o professione bensì in un sempre più maggioritario e tragicamente uniforme: «Vorrei avere molti soldi per fare ciò che mi piace».

In questo contesto, cosa dire alle decine di migliaia di giovani cristiani che si ritrovano in questi giorni in Polonia all’indomani di un’impressionante serie di stragi in tutto il mondo culminate, per noi in Europa, con il brutale assassinio di un anziano prete da parte di due loro coetanei?

Cosa rispondere a quanti di loro di fronte al male nel mondo si chiedono, come ha fatto papa Francesco ad Auschwitz, «dov’è Dio?» «Dio abita dove lo facciamo entrare», risponde un detto chassidico, ed è una verità che per i cristiani ha preso carne in Gesù di Nazareth, venuto tra i suoi e accolto solo dagli ultimi. D’altro canto, la domanda lancinante ne genera da sempre un’altra, ancor più decisiva per noi: «Dov’è l’uomo?». Dov’è l’umanità quando altri esseri umani la calpestano e la negano? Dov’è l’uomo quando il grido del povero è soffocato nel sangue?

Allora ai giovani si potrebbero suggerire alcune indicazioni di senso o, meglio, qualche traccia che loro stessi dovrebbero trasformare in sentiero verso una pienezza di vita.

La prima, forse decisiva, è che, a prescindere dagli entusiasmanti raduni oceanici, non esistono «i giovani», esiste ciascuno e ciascuna di loro e, accanto a loro, quella rete reale e non virtuale di rapporti umani intessuti tra coetanei e non, affini o meno. E che in questo tessuto – che possiamo chiamare società o comunità umana – ogni persona è lì, con la sua unicità che, se non è messa e custodita in una relazione di solidarietà e comunione, muore per asfissia. Ciascuno è lì con la propria responsabilità, la capacità di rispondere alle sollecitazioni che l’altro gli pone, con la consapevolezza che da ogni gesto, parola, azione può derivare la vita o la morte di chi ci sta accanto. La seconda, a prima vista deludente, è che non è vero che ai giovani appartiene il futuro, essi non sono «il futuro» della società o della chiesa: sono parte attiva del presente che appartiene a loro come a tutti. Sta anche a loro far sì che, a partire da questo presente, si creino le condizioni affinché ciascuno abbia la possibilità di vivere con dignità, già ora e poi anche in futuro.

Pensavamo che per far questo potessimo lasciar perdere i grandi sistemi di pensiero, religiosi o no, e rifugiarci in un quotidiano plasmabile e riplasmabile a nostro piacimento, ma da anni la violenza qui in Occidente mira a colpire lo scontato delle nostre esistenze, i nostri piccoli o grandi interessi personali.

Va quindi recuperata la grandezza dello stare insieme per libera scelta consapevole, la difficile bellezza della convivenza stabile, la durata dei rapporti, la fedeltà che implica fiducia, la volontà di edificare insieme la casa comune.

Non sono impegni solo per i giovani, sono sfide che attendono tutti e che anzi richiedono una forte fraternità intergenerazionale: abbiamo tanto insistito in questi ultimi decenni sul valore della libertà – isolandolo da ogni altra istanza etica e declinandolo come licenza arbitraria priva di ogni limite – e siamo così giunti a non saper più che farcene perché abbiamo dimenticato l’uguaglianza vissuta non come livellamento al basso ma come autentica fraternità, come legame tra persone che non si sono scelte eppure condividono l’origine, la casa, il cibo e magari anche i sogni e il futuro. Sapremo, adulti, anziani e giovani, ricominciare insieme la meravigliosa, esigente avventura dell’umanità riconciliata?

La Stampa, 31 luglio 2016

La crisi dell’Europa e san Benedetto

Crisi è la parola che più ricorre pensando all’Europa oggi.

Crisi significa anche opportunità, opportunità di guardare oltre le macerie e le fatiche.

Oggi 11 luglio 2016 la Chiesa celebra San Benedetto da Norcia, patriarca del monachesimo occidentale ma anche Patrono principale dell’Europa.

Ricordare san Benedetto significa accendergli una candela perché il suo percorso religioso possa continuare a illuminare la nostra storia. La vera devozione infatti è quella di saper discernere quegli insegnamenti dettati da un’epoca perché la trascendano e possano guidare l’oggi.

Benedetto ha vissuto il travaglio della caduta dell’impero romano, della sua politica, della sua cultura e, con il suo ora et labora ha aiutato quell’epoca a traghettare verso il domani in molti dei suoi ambiti: politico, culturale, religioso, sociale.

Con Spirito illuminato papa Paolo VI scelse quest’uomo come patrono principale del nostro continente quando i traumi delle grandi guerre del secolo scorso cominciavano ad allontanarsi, ma non ancora a spegnersi come dimostrerà la storia successiva.

I momenti di crisi, causata dal corso della Storia ovvero dalla miopia egoistica dei popoli, come nella situazione attuale, accadono e distruggono. In queste crisi può accadere anche la possibilità di affrontare con sapienza e speranza il futuro.

Benedetto ci indica la possibilità di ridare un’anima e un valore alle cose che viene loro dall’azione dello s(S)pirito che aleggia continuamente sull’universo desideroso sempre di piste sulle quali “atterrare”!

Una di queste piste è sicuramente quella di ritornare ai Padri dell’Europa e al loro progetto non solo ideale o meramente economico di Unione Europea.

C’è bisogno di recuperare una paternità se vogliamo capire la strada da percorre per affrontare le molte inadempienze dei politici, le preoccupazioni spesso egoistiche di molti cittadini, le sfide della globalizzazione i sogni e la vita delle nuove generazioni.

Alla base dell’attuale Unione Europea prima ancora di questioni economiche nella mens dei Padri Fondatori, K. Adenauer, R. Schumann e A. De Gasperi c’è stata una idea di persona e di persone chiamate a vivere insieme. Una vita comune animata dalle anime greco-latina, giudeo-cristiana e germanica. Un incontro di popoli con identità diverse quindi con necessari cammini diversificati nei tempi, nelle possibilità di nuove tappe, ma anche di passi indietro. Di queste persone che hanno combattuto per un’Europa di popoli bisogna essere fieri ancora oggi. Come affermava il cardinale di Westminster, deciso sostenitore del “remain”: «We need to grasp again our basic sense of purpose» (Dobbiamo di nuovo cogliere il senso di fondo del nostro scopo).

Accendendo una candela a san Benedetto dobbiamo imparare – come scrive nella sua regola – a cingere i nostri fianchi con la fede e le buone opere per poter un domani abitare nei padiglioni del suo regno.

Ma la prima opera è proprio quella di studiare il passato, capire il presente e costruire il futuro se vogliamo cogliere l’opportunità di questa crisi.

 

Giannicola M. Simone

Obiettivo raggiunto, pedofilia e preti

A proposito di pedofilia e chiesa mi pare corretto pubblicare questa riflessione del nostro p. Giovanni M. Scalese, dal suo blog http://querculanus.blogspot.it/2016/07/obiettivo-raggiunto.html

È dei giorni scorsi la notizia che nella diocesi di Montreal in Canada, da settembre, i sacerdoti non potranno più avvicinarsi da soli ai bambini: potranno farlo solo alla presenza di un testimone (qui). Si tratta di una decisione ecclesiastica, non civile: la diocesi, evidentemente stremata per i risarcimenti milionari pagati per le cause di abusi, cerca ora di coprirsi le spalle. Si può quindi anche comprendere il provvedimento; ma ciò non toglie che esso provochi ugualmente una grande tristezza. Praticamente, la grande campagna mediatica contro i preti pedofili — che ebbe il suo culmine nel 2010, proprio durante l’Anno sacerdotale, e che sembrava essersi attenuata con l’avvento del nuovo pontificato — ha conseguito il risultato che si proponeva, quello di screditare in maniera generalizzata e definitiva il clero cattolico. Ormai, diciamocelo chiaramente, tutti — e sottolineo tutti, anche i cattolici più tradizionalisti — sono convinti che i preti — tutti, senza eccezione — sono dei pedofili. Per carità, si può anche nutrire stima e rispetto per alcuni preti, specialmente per quelli che si conoscono personalmente; ma nel fondo rimane la convinzione, o perlomeno il sospetto, che anche quei preti, che tu conosci e stimi, sotto sotto siano dei pedofili come gli altri. Ora, finché si tratta del giudizio, per quanto ingiusto, che la gente nutre sul nostro conto, può dispiacere; ma possiamo anche accettarlo, in spirito di penitenza, come la croce che ci tocca portare in questo tempo in cui viviamo. Il vero problema è un altro. Il problema è che in questo modo nessun prete oserà più avvicinarsi ai bambini e ai giovani in generale; si limiterà a fare un lavoro d’ufficio, molto meno rischioso. Lo accuseranno forse di essersi ridotto a fare il burocrate; ma almeno non potranno più accusarlo di essere un pedofilo. Voi capite però che questa sarà (o meglio, in molti luoghi, è già stata) la fine di tutte le attività giovanili della Chiesa. Il problema non è tanto il sacramento delle Penitenza: per questo, basta tornare all’uso dei vecchi confessionali, con tanto di grata (se li avevano inventati, ci sarà pure stato un motivo…) in chiesa, sotto gli occhi di tutti; e il problema è risolto. Il problema sono tutte le attività pastorali che vedevano il prete in mezzo ai giovani. Magari potevano essere anche considerate attività poco qualificate, una perdita di tempo; ma avevano comunque un profondo valore educativo e costituivano pur sempre una presenza capillare della Chiesa nella società. E chi si sognerà più di avere il gruppo dei chierichetti o degli scout, o di fare l’oratorio, o di organizzare una gita, una vacanza o un campo-scuola? D’ora in poi, il prete si limiterà a celebrare la Messa; il catechismo per la prima Comunione lo farà fare alle mamme; i giovani, una volta terminato il catechismo, non metteranno più piede in parrocchia e non avranno più alcuna occasione di incontrare un prete nella loro vita. E poi ci si lamenterà (sta già avvenendo) che i giovani sono abbandonati, che non hanno più punti di riferimento, che crescono senza valori, ecc. ecc. È esattamente quel che volevano quanti hanno promosso la martellante campagna contro gli abusi del clero. Credete che avessero a cuore le vittime? Se così fosse stato, si sarebbero interessati anche alla pedofilia diffusa in altre confessioni religiose, nella famiglia, nella scuola, nello sport e, soprattutto, alla pedofilia d’alto bordo (rock star, registi, musicisti, parlamentari, ministri, capi di stato e di governo…); e invece no, di quella pedofilia non interessava niente a nessuno. In quei casi non c’erano vittime da difendere; in quei casi si poteva tranquillamente coprire, occultare, insabbiare (basti pensare alla BBC…). Al massimo, quando la notizia veniva a galla e non poteva più essere ignorata, si trattava del caso singolo (come è giusto che sia); nessuno si sognava di criminalizzare la categoria. Quel che fa riflettere poi è che, contemporaneamente alla campagna contro gli abusi del clero, è stata portata avanti un’altra campagna, quella per i “diritti civili”, tra i quali prima o poi si arriverà a comprendere anche la pedofilia. Ha già iniziato a farsi sentire qualche voce sommessa per rivendicare il diritto dei minori ad avere una propria sessualità… In alcuni paesi sono stati addirittura fondati dei partiti politici che si propongono la legalizzazione della pedofilia. C’è qualcosa che non torna: si va verso lo sdoganamento della pedofilia e, allo stesso tempo, essa costituisce un motivo di criminalizzazione per il clero. C’è una sola spiegazione: evidentemente la pedofilia era solo una scusa: l’obiettivo vero era colpire la Chiesa, impedirle di svolgere liberamente la sua missione e così scristianizzare la società. Obiettivo raggiunto.

Giovanni Scalese, CRSP, Kabul

SAMZDAY2016

SAMZday 2016

Cari amici giovani e meno giovani,

 

L’imminenza della festa del nostro padre e fondatore Antonio Maria vedrà ognuno di voi prepararsi in modo proprio. Questa piccola data del calendario ci ricorda la storia di un uomo tra i tanti che ebbe il coraggio di non lasciarsi trascinare dalle consuetudini negative e ripetute di una Chiesa affaticata nel vivere coerentemente il Vangelo.

In questa preparazione ci sarà un attimo di preghiera e magari voglia di riflettere su una o su altra vicenda del nostro SAMZ?

Una vicenda, quella di SAMZ che ci insegna a non demordere nel riformare la realtà in cui viviamo. Se nel 1500 questa riforma riguardava particolarmente la Chiesa, oggi ha a che fare con una società sull’orlo di una, forse molte crisi che rischiano di non trovare soluzione. Lo spirito zaccariano anche oggi vuole attingere allo Spirito santo per dare una risposta ai fatti che stanno devastando il nostro vivere insieme (non ultimo gli attentati in Bangla Desh).

Nel Sermone V SAMZ leggiamo: «Oh, meraviglia della stupenda arte delle cose fatte da Dio! L’uomo è tale, che con libertà del suo animo può fare che il male gli sia bene».

Noi siamo questa meraviglia, noi il risultato dell’arte creativa di Dio, noi la forza della libertà che Dio ha posto in noi per costruire il bene, anche dal male che ci circonda.

Prima di parlare di leggi e doveri morali da osservare, SAMZ ci aiuta a riconoscere il dono delle nostre passioni, delle nostre virtù, ma anche la presenza dei nostri vizi. Riconoscere ciò che siamo realmente, anche dei nostri limiti è la forza per costruire un futuro rinnovato e migliore. Il termine arte richiama da sé il rapporto con il fare, con il bello. Noi siamo la più bella arte di Dio non per noi stessi, ma per rendere più bello il mondo. Questa è la libertà cui siamo chiamati specialmente in questo 5 luglio: libertà di fare il mondo più bello di quanto lo abbiamo trovato perché il male non è una barriera insormontabile. L’opera d’arte più bella di Dio è stata, anzi è la Croce per insegnarci a non rinunciare nel trarre anche dal male il bello, il bene.

L’arte è anche una passione e la passione più bella di Dio è proprio quella di insegnarci a utilizzare le nostre passioni per far emergere il bene che è celato anche dove non penseremmo. In questo sermone SAMZ riflette sul bene delle passioni; le passioni sono strumenti per il bene ovvero per il male: sta all’uomo praticare l’arte del discernimento e dell’investimento delle passioni.

«Concludi, adunque, Carissimo:
– se tanta è la potestà dell’uomo, che cava utilità etiam dal male;
– e se le passioni sono tali, che alcuni le hanno esercitate in bene, ed alcuni in male;
– ed inoltre se sono da Dio;

chi è quello così pazzo, che non voglia tenere per certo che [le passioni] sono nell’uomo per sua grande utilità, e che il combattere e vincere quelle gli sia una gran corona, e non sian date da Dio per il amale che porta all’uomo, anzi per il suo grande bene?» (p. 186s)

Buon SAMZday a tutti voi, pJgiannic

PS.: avremo di approfondire queste riflessioni a Krakow

 

Buon compleanno blog

Buon compleanno Giovanibarnabiti.it

Come i medici, quando cercano di dare ai fanciulli il ripugnante assenzio, prima gli orli, tutt’attorno al bicchiere, cospargono col dolce e biondo liquore del miele, perché nell’imprevidenza della loro età i fanciulli siano ingannati, non oltre le labbra, e intanto bevano interamente l’amara bevanda dell’assenzio e dall’inganno non ricevano danno, ma al contrario in tal modo risanati riacquistino vigore; così io ora, poiché questa dottrina per lo più pare troppo ostica a coloro che non l’hanno coltivata, e il volgo rifugge lontano da essa, ho voluto esporti la nostra dottrina col canto delle Pieridi che suona soave, e quasi cospargerla col dolce miele delle Muse, per provare se per caso potessi in tal modo tenere avvinto il tuo animo ai miei versi, finché comprendi tutta la natura e senti a fondo il vantaggio.

Andrea Bianchini


Buon Compleanno Blog!

Eh si, uno non fa in tempo ad accorgersene e sono già passati due anni dalla nascita del blog.
Una piccola riflessione: perché vale la pena scrivere su questo spazio? Dal mio punto di vista ho notato che più si cresce più la vita lascia poco tempo per fermarsi a riflettere. Gli impegni, il lavoro, l’università e le scadenze occupano tutto il nostro tempo. Più si va avanti più si perde quello spirito adolescenziale di critica verso il sistema. Proprio perché si diventa il sistema. Personalmente quindi, scrivere i miei piccoli articoli mi serve proprio per poter prendere una pausa dall’asfissiante vita che la società ci impone. E in questa fase mi fermo a riflettere su ciò che faccio, perché lo faccio e cerco di esprimere e di ricordarmi cosa c’è di bello nell’essere un uomo di scienza. Sperando che le mie piccole riflessioni servano ai lettori per poter anche loro prendersi una pausa e fermarsi a riflettere per il gusto proprio del “fermarsi” e del “riflettere”.
Un caro saluto ai lettori!

Roberto Nava


 

Buon compleanno Giovanibarnabiti.it

Due anni fa ci eravamo promessi che saremmo stati originali e che non sarebbe stato un blog come tanti altri. La sfida era e resta quella di provare a riflettere insieme, di donarci i pensieri e le esperienze più profonde, di arricchirci a vicenda in nome di un amico comune, Gesù. Col carisma zaccariano e animati dal fervore paolino, esattamente due anni fa, ci siamo lanciati in questa nuova avventura. Abbiamo deciso che sarebbero stati i giovani a parlare ai giovani della fede, della carità, del mondo che cambia e dei punti fermi che cerchiamo, della felicità e della tristezza; abbiamo deciso di raccontarvi e di provare a comprendere insieme a voi, attraverso i racconti e le riflessioni, la vita e i sentimenti. Ci abbiamo provato e, affidandoci, stiamo continuando un percorso che ci auguriamo di proseguire insieme. Perché in fondo, a due anni si è piccoli, e la strada da fare insieme è ancora lunga!

Raffaelle Della Morte


 

Un ponte per la cultura, buon compleanno GiovaniBarnabiti.it

In un mondo in cui i mezzi di comunicazione sono tanti, ma ciò che manca sono i contenuti della comunicazione stessa, siamo chiamati, noi giovani, a raccogliere questa sfida: dimostrare che non siamo solo la “generazione dei social network”; pensieri, parole e inventiva non ci mancano e questo blog è l’occasione giusta per far vedere quanto abbiamo da offrire. Un ponte di idee per raccontare quelle che sono le esperienze e gli interessi dei Giovani Barnabiti attraverso un’unica rete e condividerle con un pubblico più ampio, è l’impegno che portiamo avanti da ormai 2 anni. Scrivere per il blog è stata per me una grande opportunità: fornire un punto di vista su ciò che accade nel piccolo delle nostre realtà barnabitiche e non solo, su temi di attualità e degni di interesse, costituisce importante motivo di riflessione, per me, ma anche per i lettori. Riflettere per il blog infatti, vuol dire riflettere per una realtà più grande del semplice io, ma soprattutto adoperare il web quale importante strumento di diffusione della cultura, non solo di intrattenimento. La cultura ha bisogno di nuova linfa vitale e se smettiamo di alimentarla finiremo col distruggere il pensiero, annegando in quella che è la futilità del “like”. Occorre tornare a leggere e guardare il mondo attraverso gli occhi curiosi di un bambino, per riscoprire l’informazione quale paradigma morale della vita sociale… in breve, leggete in nostro blog!

Pasqua Peragine


 

«Se s’insegnasse la bellezza alla gente, la si doterebbe di un’arma contro la rassegnazione, la paura e l’omertà, facendo sempre rimanere vivi la curiosità e lo stupore». Così scriveva Peppino Impastato nel combattere il male intorno a lui. Credo che le parole che con passione abbiamo cercato di scrivere e pubblicare in questi due anni, non ultime questi graditi auguri da alcuni nostri collaboratori, siano il migliore augurio di buon compleanno GiovaniBarnabiti.it.

Grazie a tutti, collaboratori e lettori

Espiral de autodestruição

Folha 7

Algumas linhas de orientaç ão e acção. I

Após a análise da situação, mesmo dramática, o documento tenta “agora a delinear alguns grandes percursos de diálogo que nos ajuda a sair da espiral de autodestruição em que estamos afundando” (163).Mas esta perspectiva, que é parte da ampla discussão global deste século passado, pede a “nós os crentes de rezar a Deus pela evolução positiva das discussões atuais, para que as gerações futuras não sofram as consequências do atraso imprudente” (169). Esta oração já detém bons frutos: “Desde a metade do século passado, de fato, superarndo muitas dificuldades, se foi afirmando a tendência a conceber o planeta como pátria e a humanidade como um povo que habita em uma casa comum” (164). Como se pode ver, mesmo entre muitas dificuldades, o valor do bem comum, ou seja, “o conjunto daquelas condições da vida social que permitem seja aos grupos, como aos indivíduos singolarmente, de alcançar sua perfeição mais plena e facilmente” (GS 26 ), juntamente com uma maior atenção á pessoa, estão germinando.

Este capítulo aborda muitas questões, muito grandes, que não podemos, ter em mente: o acesso à água potável, a reorganização das fontes de energia, a governação dos oceanos, a utilização de fontes renováveis, a questão dos resíduos, a atenção ao peso sobre os países mais pobres, o peso das não-escolhas dos países mais ricos e poderosos. Mas a lógica que torna menos fáceis as decisões difíceis sobre o aquecimento global é a mesma que não permite de realizar a desenraizamento da pobreza (cf. 175). Na frente de tudo, é necessária “uma reação global mais responsável, que envolve lidar simultaneamente a redução da poluição e o desenvolvimento dos países mais pobres.” Perante esta necessidade, tem de ser revisto o papel das finanças e se entende como se torne a urgente uma nova política internacional, para evitar os problemas mais graves que acabam de bater todos (cf. 175. Vd. G XXIII, Pacem in Terris).

A este respeito, “a empresa, através de organizações não governamentais e associações intermediárias, deve exigir os governos a desenvolver regulamentos, procedimentos e controlos mais rigorosos. Se os cidadãos não controlam o poder político – nacional, regional, municipal – nem sequer é possivel um contraste dos danos ambientais. Por outro lado, as leis municipais podem ser mais eficazes se houver acordos entre populações vizinhas … “(179).

Esta meta requer uma jurisprudência renovada, mas também uma nova forma de fazer política. “Que um político assuma estas responsabilidades com os custos que implicam, não responde à lógica eficiêntistica e” imediatista “ da economia e da política atual, mas se tiver a coragem de fazê-lo, novamente vai reconhecer a dignidade que Deus lhe deu como pessoa e deixara’, depois da sua passagem nesta história, um testemunho de generosa responsabilidade … no entanto, é necessario reconhecer que os melhores dispositivos acabam sucumbindo quando faltam os grandes objetivos,os valores, uma compreensão humanística e significativa, capazes de dar a cada empresa uma abordagem nobre e generoso “(182) 1.

O problema da corrupção (182) e os “critérios para uma boa decisão de negócios: com que finalidade? Por quê? Onde? Quando? De que maneira? Quem é dirigido? Quais são os riscos? A que custo? Quem paga o custo? “(185) (vd. Rio dJ 1992) Convenção.

Claro, existem questões difíceis de resolver, “a Igreja não tem a pretensão de definir as questões científicas, nem de substituir-se à política, mas [eu] convido para fazer um debate honesto e transparente, porque as necessidades especiais ou as ideologias não afectem negativamente o bem comum “(188).

Depois de recuperar algumas questões financeiras que afetam o bem-estar dos mais pequenos, o Papa Francisco diz que “temos de nos convencer de que um certo abrandamento da produção e taxa de consumo pode resultar em um outro modo de progresso e desenvolvimento” (191). “É por isso que chegou a hora de uma certa diminuição em algumas partes do mundo” (193). “É simplesmente redefinir o progresso” (194)

 

Perguntas:

Acredita que o diálogo pode ajudar a encontrar boas soluções?

Alguma vez você já teve a experiência de diálogo com …?

Em sua atuação como um cidadão, assim como cristão, o bem comum é um valor inevitável? (E com esse o princípio da subsidiariedade?)

Como a oração ajuda-o a suportar as suas boas obras e uma boa vida?

Em seu plano de estudo há espaço para visões alternativas

Dio a modo mio

Pubblichiamo volentieri un intervento di Roberto Lagi, Laico di san Paolo, sui giovani con l’augurio possa suscitare qualche discussione.

GIOVANI A MODO MIO. La transizione difficile

In questi giorni ho letto un libro pubblicato da Vita e Pensiero che contiene i risultati di una ricerca dell’Università Cattolica di Milano: Dio a modo mio. Giovani e fede in Italia (P. Bignardi, R. Bichi e altri a.c., 2015). Vorrei sintetizzare alcuni argomenti emersi e riassunti dall’autrice nelle conclusioni (pp. 173).

  1. L’attuale generazione dei giovani di oggi dal punto di vista religioso, è al confine tra due generazioni: quella di un passato che non c’è più e di un futuro che non c’è ancora… Sono una “generazione di mezzo”, potremmo anche definirla “interstiziale”, collocati storicamente tra un modello culturale tipico del passato, tradizionale-istituzionale, a cui sono stati, dolenti o nolenti, socializzati nella maggioranza dei casi, e un modello culturale presente, emergente e de-istituzionalizzato, che si sta diffondendo proprio in questi anni. Quest’ultimo, concedendo maggiore libertà all’individuo e rifiutando di esercitare la normatività tipica del modello tradizionale, apre la strada tra i giovani a nuove modalità di vivere la fede, più personali, meno “convenzionali”, seppur “autentiche e consapevoli”. Il loro è il travaglio di chi soffre il venir meno di un modello percepito come inadeguato e insoddisfacente e per questo respinto, e vorrebbe trovare un modo nuovo di vivere il rapporto con Dio, la ricerca di un’autenticità di vita, la strada verso la speranza e la felicità. Conoscono le forme della religiosità del passato, istituzionali, tradizionali, definite: le hanno ricevute dal catechismo, dall’oratorio, in famiglia, dai nonni. Ma non sanno come quelle possano rispondere alle domande che essi portano dentro di sé, esigenti e inedite; le tracce di un modo diverso di vivere la fede si fanno strada dentro di loro a fatica. Percorso difficile e rischioso, anche perché spesso vissuto in solitudine, talvolta in compagnia di adulti che vorrebbero continuare ad essere i maestri per un tempo che non c’è più.
  2. Da queste premesse una serie di ulteriori considerazioni. Intanto la confusione fra la fede e l’etica: spesso essere cristiani coincide con un’etica identificata con i dieci comandamenti o, per alcuni, con il detto “ama il prossimo tuo come te stesso”.
  3. I giovani vedono la Chiesa cattolica come Istituzione, raramente hanno un ricordo gioioso della loro iniziazione cristiana: La formazione ricevuta da bambini ha generato in loro un’idea di vita cristiana piena di obblighi e divieti, di impegni che hanno poco a vedere con la voglia di vivere e con le domande tipiche della loro età.
  4. Inoltre: Questi giovani hanno acquisito un’idea piuttosto esteriore di vita cristiana, con poca anima e soprattutto priva della percezione che l’essere cristiani ha a che fare con Gesù Cristo e con il Vangelo.
  5. Da ciò deriva che i giovani hanno una visione della vita cristiana rigida, definitiva e senza tempo, dentro la quale non trovano posto le domande personali o la sensibilità che soggettivamente vorrebbe reinterpretare il senso della fede. Da questo modo di credere essi prendono le distanze, abitando lo spazio dell’esperienza cristiana in modo soggettivo e individualistico, quello che il titolo della ricerca definisce “Dio a modo mio”.
  6. Non che ai giovani manchi un anelito di infinito, un’apertura al divino, il problema è che: a un modello pastorale tutto orientato a comunicare una visione della vita o a proporre una serie di impegni andrebbe oggi sostituito un modello impostato sul dialogo: un dialogo vero, che è scambio, ascolto profondo, personalizzazione dell’annuncio e accompagnamento a collocare le ragioni della fede dentro percorsi personali, originali e irripetibili, cosa che purtroppo difficilmente si realizza.

Concluderei riportando ancora una frase della Bignardi: Educare i giovani alla fede significa consegnare loro la fede così come noi adulti l’abbiamo vissuta? O piuttosto mettere nel loro cuore l’essenziale, insieme ad una passione che dia il desiderio e la volontà di reinterpretarlo per il loro tempo, nel loro tempo? …. Vi è un intreccio molto stretto tra le generazioni: i più giovani imparano dalla testimonianza degli adulti che cosa significhi credere; ma il loro apprendimento non è passivo. Mai come oggi esso è critico, attento a discernere, ad accogliere ma anche a rifiutare. In questo i giovani, mostrandoci le inautenticità dei nostri percorsi, ci costringono ad aprirci alla novità e al futuro. Resistere a questa esigenza avrà come esito non solo lo smarrimento delle nuove generazioni, ma l’inaridimento della generazione adulta. Che resterà pateticamente superata, gente di altri tempi, testimoni di un cristianesimo che non sa cercare e intuire i segni del tempo e pertanto non riesce a stare dentro la vita.

In Atti 1,8 il Risorto invia i discepoli dicendo: avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra. Testimone non è, in questo contesto, colui che si limita a parlare di ciò che è accaduto, ma chi testimonia con la propria vita l’autenticità di ciò che dice e questo in ogni tempo e luogo.

Sapremo essere anche oggi dei veri testimoni del Risorto soprattutto per i giovani?

Roberto Lagi, Fiesole

Un perfetto sconosciuto non per i nostri giovani

Un perfetto sconosciuto se non addirittura «un prigioniero di lusso»: ecco cos’è lo Spirito Santo per i molti cristiani ignari che è lui a «muovere la Chiesa», portandoci a Gesù, e a renderci «reali» e «non virtuali». Queste le parole di papa Francesco in questi giorni che ci preparano alla festa di Pentecoste.

Non così però per i tanti Giovani Barnabiti sparsi per le nostre comunità in Italia. Infatti, proseguono gli incontri di preghiera e riflessione in preparazione alla festa di Pentecoste 2016. Dopo Milano, Roma, San Felice oggi tocca ai giovani volontari del Denza di Napoli.

Pur restando nelle proprie diverse città tutti i nostri giovani stanno meditando sull’ “impresa” che lo Spirito santo ha cominciato in loro grazie al carisma di S. Antonio M. Zaccaria (L VI). C’è un’impresa della vita che ogni uomo è chiamato a scoprire e vivere da solo o in compagnia dello Spirito santo.

Lo Spirito santo non ci lascia soli, evidenza il nostro SAMZ; lo Spirito santo stimola la nostra memoria perché possiamo continuare a costruire la storia in cui siamo stati posti; lo Spirito santo invita ognuno di noi a creare il domani con la nostra creatività e libertà.

Illuminati da queste indicazioni i nostri Giovani Barnabiti stanno “affocando” le proprie città anche con l’impegno di invocare ogni giorno «Vieni Spirito santo e soffia su di noi!», per una rinnovata effusione che sarà capace di riformare l’impresa cominciata dal nostro SAMZ.

Grazie cari giovani

Giannicola M.

Il cielo nella coscienza

Viviamo oggi una delle feste cristiane più particolari e delicate da comprendere perché riassume tutto il movimento della proposta di Dio per la nostra salvezza: la festa dell’Ascensione di Gesù.

Infatti, la crocefissione ha ancora un che di umano e comprensibile; la resurrezione ci costa un po’ più di fatica, ma in un certo senso ci fa anche “piacere” credere in un Dio che fa qualche cosa di differente. Ma l’Ascensione va completamente al di là del bisogno di concretezza che sempre abbiamo, che contrasta con la nostra idea dell’al di là, del dopo la morte. Dobbiamo invece convincerci che questo è il mistero riassuntivo di tutta la vita di Gesù.

Volere capire tutto è una pretesa di onnipotenza che toglie a Dio la possibilità di essere Dio: sapere che non possiamo comprendere tutto ci aiuta a voler camminare ancora, ci aiuta a voler cercare ancora, ci aiuta a scoprire che Dio ci vuole bene proprio è più grande di noi.

Ma come riconosciamo e verifichiamo questa grandezza?

Forse perché egli sale al cielo? Perché si allontana da noi in un luogo irraggiungibile? Perché state a guardare il cielo? Questo Gesù ritornerà come vi ha promesso (leggiamo nel Vangelo). Il cielo.

Il cielo non è tanto ciò che c’è sopra di noi; il cielo è il segno della grandezza di Dio, del suo amore. E dove è il luogo, lo spazio dell’amore di Dio se non la coscienza dell’uomo?

Contemplare che Gesù sale al cielo significa riconoscere che egli ama abitare nel vero tempio di Dio che è la coscienza di ogni uomo; il cristiano è colui che per rivelazione dello Spirito santo riconosce e comprende che Gesù abita in Dio nella sua coscienza e nella coscienza parla all’uomo come a un amico!

Perché Gesù ascende al Padre, nella coscienza dell’uomo? Per insegnarci ad andare verso il Padre, per portarci verso il Padre suo e Padre nostro.

Quel Dio che Mosè non poteva vedere nel volto, questo Dio ora si è fatto amico dell’uomo nel volto di Gesù che chiede di abitare in noi e così ci prepara al suo ritorno. Il mistero dell’Ascensione infatti non è il mistero di Gesù che scappa, ma l’opportunità per imparare a vivere con fervore nell’attesa del suo ritorno definitivo.

La domanda che emerge è perciò: come attendo questo ritorno di Gesù, della gloria di Dio?

Non guardando il cielo, ma vivendo una vita “affocata” dell’amicizia con Gesù, nella testimonianza tra gli uomini. Stavano nel tempio lodando Dio. Nell’attesa della potenza di Dio, lo Spirito santo.

Qui è un’attesa di preghiera, ma non una preghiera passiva, bensì una preghiera che introduce alla conoscenza e alla testimonianza.

La conoscenza.

Nell’Ascensione noi entriamo in contatto con tutti i misteri della vita di Gesù, riconosciamo la sua preesistenza. Dobbiamo ricordarci della sua eternità se vogliamo entrare nell’eternità. L’Ascensione è la porta da aprire per fare entrare Dio in noi: quanto apriamo questa porta?

La testimonianza.

Si è amici di Dio perché fissiamo Gesù nel volto di tutte le povertà del mondo, povertà che chiedono di essere redente, superate, eliminate.

Il mistero dell’Ascensione è necessario non solo per poter ricevere il dono dello Spirito santo, ma perché impariamo a essere portatori dello Spirito santo nel mondo.

Il mistero dell’Ascensione non è il mistero dei tiepidi, ma dei credenti infuocati dallo Spirito santo per annunciare a tutti che Gesù è vivo per noi, che Gesù agisce in noi, che Gesù tornerà per raccoglierci in un’unica famiglia.

Si crea una catena di comunione e di amore tra Dio e noi, tra noi e l’umanità.

Dobbiamo rinnovare la celebrazione di questa festa, è una festa per tutta la Chiesa, per tutti gli uomini; è la festa della consolazione per la Chiesa, per noi, per gli uomini tutti; è una festa non solo per oggi, ma per tutto l’anno.