Momento di svolta per difendere il pianeta

New York, 6 ottobre 2016

L’accordo sul clima di Parigi (Cop21) entrerà in vigore il prossimo 4 novembre. Lo hanno confermato da New York fonti delle Nazioni Unite, precisando che è stato raggiunto il numero minimo di paesi necessario ad avere ratificato l’intesa. «Oggi è un giorno storico e un momento di svolta nella nostra lotta per difendere il pianeta e le generazioni future», ha di- chiarato in una nota il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama. L’accordo di Parigi sui cambiamenti climatici — ha aggiunto il presidente — «da solo non risolverà la crisi, ma è l’opportunità migliore per salvare la terra». Quella sul clima è «una sfida che nessun paese può affrontare da solo, dobbiamo affrontarla insieme», ha concluso Obama.

Il sito della convenzione delle Nazioni Unite sul clima ha specificato che 72 paesi, che rappresentano il 56,75 per cento delle emissioni nocive mondiali, hanno depositato nelle ultime ore i loro strumenti di ratifica presso il segretariato dell’Onu, aprendo così la strada all’entrata in vigore del trattato, che, quindi, avverrà prima dell’inizio del summit Cop22, in programma dal 7 al 18 novembre a Marrakesh, in Marocco.

(L’Osservatore Romano – 7 ottobre 2016, 3)

Economia, lavoro e dottrina sociale della Chiesa

Dal momento in cui l’economia è stata definita scienza, sempre più aspetti della vita dell’uomo hanno iniziato a essere soggetti a valutazioni economico-numeriche e finanziarie; come se il fine ultimo fosse l’economia stessa, la moneta, cosa che ha comportato nel tempo fenomeni come la sproporzionata distribuzione della ricchezza e il collasso dei mercati. In altre parole, l’economia non viene più vista come strumento per migliorare la vita dell’uomo, bensì diventa il fine ultimo, ciò per cui ognuno di noi lotta durante la propria quotidianità.

Il mondo economico, inteso in senso più ampio, ossia come sistema economico moderno, dovrebbe esistere a servizio dell’uomo, non come padrone di esso; in effetti è molto sottile il confine tra le due cose e vale la pena analizzare la questione partendo da un aspetto fondamentale, forse il più importante, legato all’economia sin dai tempi più antichi: il lavoro. Il lavoro è stato oggetto di dibattito nel corso dell’intera storia dell’uomo, in particolar modo negli ultimi due secoli, teatro nell’industrializzazione che ha invaso e modificato in modo permanente il sistema economico e che ha poi portato, negli anni, ai meccanismi economico-finanziari moderni. Si pensi, ad esempio, a Karl Marx, che vedeva il lavoro svolto dagli operai (da lui definiti “proletari”), nel mondo capitalistico, come alienazione degli stessi; oppure Frederick Taylor, ingegnere e padre del c.s. Taylorismo, che esegue un’analisi scientifica sul lavoro operaio, tanto da far sembrare gli operai come macchine, strumenti e non più come uomini: tutto ciò per aumentarne l’efficienza e, in altre parole, la produttività.

Su tale aspetto si è soffermata anche la Chiesa la quale ha inteso elevare l’elemento “lavoro” a un concetto ben più nobile rispetto a un semplice atto quotidiano e strumentale alla produzione di valore per l’impresa. Il lavoro è: “la chiave essenziale di tutta la questione sociale, se cerchiamo di vederla veramente dal punto di vista del bene dell’uomo” (Giovanni Paolo II, Laborem exercens, 3, 1981) avente “due caratteri impressigli da natura, cioè di essere personale […] (e) di essere necessario, perché il frutto del lavoro è necessario all’uomo per il mantenimento della vita, mantenimento che è un dovere imprescindibile imposto dalla natura” (Leone XIII, Rerum novarum 34, 1891- concetto del “dualismo del lavoro”).

Proprio da tali spunti, peraltro presenti anche (e a maggior ragione) all’interno del libro della Genesi (lavoro come ordine Divino “riempite la terra e sottomettetela” e lavoro come mezzo di sostentamento “con il sudore della tua fronte tu mangerai il tuo pane”), la Dottrina Sociale della Chiesa ha definito in senso più moderno e pratico il valore e l’importanza del lavoro, riconoscendo, fra gli altri, il grave errore dell’economia moderna di anteporre il materialismo economico alla dimensione spirituale di essa, ossia l’operare dell’uomo, i valori morali e simili, errore tutt’altro che latente nella scienza economica.

Detto ciò, assistiamo a uno scenario mondiale in cui è l’uomo a essere al servizio dell’economia e non, invece, l’economia a essere al servizio dell’uomo, come dovrebbe essere. Tale paradosso, com’è comprensibile, ha numerosi effetti sull’umanità e il più lampante e immediato è quello della disoccupazione. Il motivo di ciò è facilmente comprensibile, in quanto l’esubero della forza lavoro è condizionato dalla necessità e dalla natura della produzione di beni e servizi, secondo leggi dettate dall’economia stessa, dalle sue esigenze e, non, da quelle dell’uomo.

Infatti, la legge economica che disciplina l’esubero di un macchinario o di qualsiasi strumento produttivo, disciplina anche l’esubero di forza lavoro, riducendo l’essere umano alla stessa stregua di un oggetto. Ciò riassume tutto il male cui vanno contro i principi della Dottrina Sociale della Chiesa, ossia i principi di personalità, di bene comune, di sussidiarietà e di solidarietà.

Il primo, forse il più importante ed emblematico, identifica l’uomo come soggetto, fondamento e fine della vita sociale, cui deve esserne strumento l’economia e non viceversa; il secondo, invece, ha finalità ben precise identificate, fra le molte altre, nell’occupazione, nell’evitare categorie sociali privilegiate e nella proporzione tra salari e prezzi; i terzo indica l’intervento compensativo e ausiliario degli organismi sociali più grandi a favore dei singoli e dei gruppi sociali più piccoli; il quarto, infine, definisce e promuove l’importanza della carità, volta a combattere l’egoismo e l’auto-centrismo sociale che si è ormai radicato come un cancro nelle società moderne.

Alla luce di quanto esposto, risulta con chiarezza solare come il problema di base sia da identificarsi nel sistema in sé, quel sistema su cui si basa l’intera società moderna, che mira all’efficienza produttiva piuttosto che al soddisfacimento delle necessità di tutti gli esseri umani; che predilige il guadagno di pochi rispetto ad un’equa distribuzione della ricchezza; che persino, in molti casi, riduce la religione ad un mero compito che si manifesta nell’”andare in chiesa” e “lasciare l’offerta” invece di seguire i principi della Dottrina Sociale della Chiesa ed interrogarsi su ciò che davvero è giusto, etico e qualificante per l’essere umano come vera dimensione da salvaguardare e da anteporre al resto. Quel sistema che, d’altra parte, è stato creato dall’uomo stesso. Infatti,

«Gli squilibri di cui soffre il mondo contemporaneo si collegano con quel più profondo squilibrio che è radicato nel cuore dell’uomo. […] Da una parte infatti, come creatura, esperimenta in mille modi i suoi limiti; d’altra parte sente di essere senza confini nelle sue aspirazioni e chiamato ad una vita superiore (Gaudium et spes 21)».

Tommaso Carretta

Un meritato … divano

Dopo #Krakow2016, che ha visto radunati più giovani dal mondo delle nostre attività pastorali barnabitiche, si conclude a Milot, Albania, il #KampiVeror2016: un campo scuola dove giovani di diverse età e provenienze hanno dato tempo, fantasia, preghiera e azione per animare 100 bambini di questi villaggi sconosciuti ai più, ma non a Dio!
Non sono le uniche attività estive dei Padri Barnabiti, ma sicuramente le più “significative” per cui è giusto ringraziare anche questi giovani che hanno creduto nel nostro lavoro e ci hanno testimoniato gioia, pace, giustizia, verità, dedizione, stanchezza e voglia di continuare. Nel mondo lacerato da violenze e soprusi, nel mondo dove sembra prevalere l’arroganza e il pessimismo la voglia di spendersi per altri, di spendere il proprio tempo a Milot piuttosto che al mare o chissà dove è segno di misericordia di Dio e di speranza.
Misericordia perché dove si lavora con gratuità e dedizione per bambini sconosciuti là agisce la grazia di Dio, là si prepara la propria salvezza eterna, perché qui e non dopo comincia l’eternità di cui tutti hanno sete.
Speranza perché dove si lavora con pazienza e disponibilità con propri coetanei si contribuisce a dare credibilità, responsabilità, voglia di futuro migliore per il proprio paese, l’Albania.
Grazie e questi giovani che invece di Mercedes o fabbriche che normalmente sfruttano donne e uomini in Albania, hanno portato l’idea di un’Italia capace di donare il proprio tempo, la propria esperienza educativa, il sogno di poter condividere un mondo migliore.
Scoprire e riconoscere che i bambini di 20, 10 anni fa sono gli animatori e gli amici di oggi; notare che genitori prima “assenti” dalle attività dei propri figli, chiedono e condividono la passione educativa e la voglia di giocare dei più piccoli aiuta a credere di più in se stessi, nelle proprie possibilità di lasciare un segno.
Il segno della fatica educativa che premia quanti non hanno paura di sognare il futuro in Italia, in Albania, in Europa.
Si dice che i giovani non sono solo oggetto di consumo o voglia di far rumore, ma anche persone capaci costruire con senno. L’esperienza di questa estate 2016, a Krakow per un verso, a Milot per un altro è il frutto di un attento e voluto cammino di collaborazione nel quale adulti, preti e laici e suore, e giovani hanno sognato e costruito insieme il futuro di un piccolo villaggio d’Europa.
Senza superbia, ma con un pizzico di orgoglio possiamo dire che in questa estate2016 ha vinto la fiducia reciproca tra adulti e giovani, hanno vinto quelle responsabilità e partecipazione che la Chiesa con passione ci chiede.
E ora credo che papa Francesco non si arrabbierà se consiglierò a tutti noi di ricorrere per qualche giorno a un bello e comodo … divano! Per ripartire con grinta il prossimo autunno.
Grazie a tutti i SAMZfollower 2016!

P. Giannicola M. Simone
Uff. Pastorale Giov. PP. Barnabiti

Giovani del presente per il futuro

Cari amici di GiovaniBarnabiti,

non ne avrà male Enzo Bianchi se pubblico il suo articolo, I giovani non sono il futuro, ma il presente, alla conclusione della scorsa GMG, credo sia un ottimo spunto di riflessione per tutti noi.

Da anni i più attenti conoscitori del mondo giovanile vanno ripetendo che siamo di fronte a un cambiamento radicale nella difficile arte di trasmettere alla generazione successiva i principi ritenuti fondamentali per affrontare il duro mestiere di vivere e di vivere in società. Non solo perché sono crollate le ideologie e i sistemi sociali che ad esse si ispiravano, ma ancor più perché alla consueta diffidenza che ogni generazione nutre per il patrimonio di valori che quella precedente ha da trasmettere, si è aggiunta la convinzione che non c’è più nemmeno un patrimonio da ricevere: la cultura globalizzata dominante sembra affermare che il mondo inizi sempre da capo, che l’umanità non possieda capisaldi condivisi, che una scelta equivalga all’altra e che domani si possa «rottamare» quello che abbiamo acquisito oggi.

Del resto è significativo che alla consueta e magari stantia domanda rivolta ai ragazzi – «cosa vorresti fare da grande?» – la risposta non consista ormai più nell’uno o nell’altro mestiere o professione bensì in un sempre più maggioritario e tragicamente uniforme: «Vorrei avere molti soldi per fare ciò che mi piace».

In questo contesto, cosa dire alle decine di migliaia di giovani cristiani che si ritrovano in questi giorni in Polonia all’indomani di un’impressionante serie di stragi in tutto il mondo culminate, per noi in Europa, con il brutale assassinio di un anziano prete da parte di due loro coetanei?

Cosa rispondere a quanti di loro di fronte al male nel mondo si chiedono, come ha fatto papa Francesco ad Auschwitz, «dov’è Dio?» «Dio abita dove lo facciamo entrare», risponde un detto chassidico, ed è una verità che per i cristiani ha preso carne in Gesù di Nazareth, venuto tra i suoi e accolto solo dagli ultimi. D’altro canto, la domanda lancinante ne genera da sempre un’altra, ancor più decisiva per noi: «Dov’è l’uomo?». Dov’è l’umanità quando altri esseri umani la calpestano e la negano? Dov’è l’uomo quando il grido del povero è soffocato nel sangue?

Allora ai giovani si potrebbero suggerire alcune indicazioni di senso o, meglio, qualche traccia che loro stessi dovrebbero trasformare in sentiero verso una pienezza di vita.

La prima, forse decisiva, è che, a prescindere dagli entusiasmanti raduni oceanici, non esistono «i giovani», esiste ciascuno e ciascuna di loro e, accanto a loro, quella rete reale e non virtuale di rapporti umani intessuti tra coetanei e non, affini o meno. E che in questo tessuto – che possiamo chiamare società o comunità umana – ogni persona è lì, con la sua unicità che, se non è messa e custodita in una relazione di solidarietà e comunione, muore per asfissia. Ciascuno è lì con la propria responsabilità, la capacità di rispondere alle sollecitazioni che l’altro gli pone, con la consapevolezza che da ogni gesto, parola, azione può derivare la vita o la morte di chi ci sta accanto. La seconda, a prima vista deludente, è che non è vero che ai giovani appartiene il futuro, essi non sono «il futuro» della società o della chiesa: sono parte attiva del presente che appartiene a loro come a tutti. Sta anche a loro far sì che, a partire da questo presente, si creino le condizioni affinché ciascuno abbia la possibilità di vivere con dignità, già ora e poi anche in futuro.

Pensavamo che per far questo potessimo lasciar perdere i grandi sistemi di pensiero, religiosi o no, e rifugiarci in un quotidiano plasmabile e riplasmabile a nostro piacimento, ma da anni la violenza qui in Occidente mira a colpire lo scontato delle nostre esistenze, i nostri piccoli o grandi interessi personali.

Va quindi recuperata la grandezza dello stare insieme per libera scelta consapevole, la difficile bellezza della convivenza stabile, la durata dei rapporti, la fedeltà che implica fiducia, la volontà di edificare insieme la casa comune.

Non sono impegni solo per i giovani, sono sfide che attendono tutti e che anzi richiedono una forte fraternità intergenerazionale: abbiamo tanto insistito in questi ultimi decenni sul valore della libertà – isolandolo da ogni altra istanza etica e declinandolo come licenza arbitraria priva di ogni limite – e siamo così giunti a non saper più che farcene perché abbiamo dimenticato l’uguaglianza vissuta non come livellamento al basso ma come autentica fraternità, come legame tra persone che non si sono scelte eppure condividono l’origine, la casa, il cibo e magari anche i sogni e il futuro. Sapremo, adulti, anziani e giovani, ricominciare insieme la meravigliosa, esigente avventura dell’umanità riconciliata?

La Stampa, 31 luglio 2016

La crisi dell’Europa e san Benedetto

Crisi è la parola che più ricorre pensando all’Europa oggi.

Crisi significa anche opportunità, opportunità di guardare oltre le macerie e le fatiche.

Oggi 11 luglio 2016 la Chiesa celebra San Benedetto da Norcia, patriarca del monachesimo occidentale ma anche Patrono principale dell’Europa.

Ricordare san Benedetto significa accendergli una candela perché il suo percorso religioso possa continuare a illuminare la nostra storia. La vera devozione infatti è quella di saper discernere quegli insegnamenti dettati da un’epoca perché la trascendano e possano guidare l’oggi.

Benedetto ha vissuto il travaglio della caduta dell’impero romano, della sua politica, della sua cultura e, con il suo ora et labora ha aiutato quell’epoca a traghettare verso il domani in molti dei suoi ambiti: politico, culturale, religioso, sociale.

Con Spirito illuminato papa Paolo VI scelse quest’uomo come patrono principale del nostro continente quando i traumi delle grandi guerre del secolo scorso cominciavano ad allontanarsi, ma non ancora a spegnersi come dimostrerà la storia successiva.

I momenti di crisi, causata dal corso della Storia ovvero dalla miopia egoistica dei popoli, come nella situazione attuale, accadono e distruggono. In queste crisi può accadere anche la possibilità di affrontare con sapienza e speranza il futuro.

Benedetto ci indica la possibilità di ridare un’anima e un valore alle cose che viene loro dall’azione dello s(S)pirito che aleggia continuamente sull’universo desideroso sempre di piste sulle quali “atterrare”!

Una di queste piste è sicuramente quella di ritornare ai Padri dell’Europa e al loro progetto non solo ideale o meramente economico di Unione Europea.

C’è bisogno di recuperare una paternità se vogliamo capire la strada da percorre per affrontare le molte inadempienze dei politici, le preoccupazioni spesso egoistiche di molti cittadini, le sfide della globalizzazione i sogni e la vita delle nuove generazioni.

Alla base dell’attuale Unione Europea prima ancora di questioni economiche nella mens dei Padri Fondatori, K. Adenauer, R. Schumann e A. De Gasperi c’è stata una idea di persona e di persone chiamate a vivere insieme. Una vita comune animata dalle anime greco-latina, giudeo-cristiana e germanica. Un incontro di popoli con identità diverse quindi con necessari cammini diversificati nei tempi, nelle possibilità di nuove tappe, ma anche di passi indietro. Di queste persone che hanno combattuto per un’Europa di popoli bisogna essere fieri ancora oggi. Come affermava il cardinale di Westminster, deciso sostenitore del “remain”: «We need to grasp again our basic sense of purpose» (Dobbiamo di nuovo cogliere il senso di fondo del nostro scopo).

Accendendo una candela a san Benedetto dobbiamo imparare – come scrive nella sua regola – a cingere i nostri fianchi con la fede e le buone opere per poter un domani abitare nei padiglioni del suo regno.

Ma la prima opera è proprio quella di studiare il passato, capire il presente e costruire il futuro se vogliamo cogliere l’opportunità di questa crisi.

 

Giannicola M. Simone

Obiettivo raggiunto, pedofilia e preti

A proposito di pedofilia e chiesa mi pare corretto pubblicare questa riflessione del nostro p. Giovanni M. Scalese, dal suo blog http://querculanus.blogspot.it/2016/07/obiettivo-raggiunto.html

È dei giorni scorsi la notizia che nella diocesi di Montreal in Canada, da settembre, i sacerdoti non potranno più avvicinarsi da soli ai bambini: potranno farlo solo alla presenza di un testimone (qui). Si tratta di una decisione ecclesiastica, non civile: la diocesi, evidentemente stremata per i risarcimenti milionari pagati per le cause di abusi, cerca ora di coprirsi le spalle. Si può quindi anche comprendere il provvedimento; ma ciò non toglie che esso provochi ugualmente una grande tristezza. Praticamente, la grande campagna mediatica contro i preti pedofili — che ebbe il suo culmine nel 2010, proprio durante l’Anno sacerdotale, e che sembrava essersi attenuata con l’avvento del nuovo pontificato — ha conseguito il risultato che si proponeva, quello di screditare in maniera generalizzata e definitiva il clero cattolico. Ormai, diciamocelo chiaramente, tutti — e sottolineo tutti, anche i cattolici più tradizionalisti — sono convinti che i preti — tutti, senza eccezione — sono dei pedofili. Per carità, si può anche nutrire stima e rispetto per alcuni preti, specialmente per quelli che si conoscono personalmente; ma nel fondo rimane la convinzione, o perlomeno il sospetto, che anche quei preti, che tu conosci e stimi, sotto sotto siano dei pedofili come gli altri. Ora, finché si tratta del giudizio, per quanto ingiusto, che la gente nutre sul nostro conto, può dispiacere; ma possiamo anche accettarlo, in spirito di penitenza, come la croce che ci tocca portare in questo tempo in cui viviamo. Il vero problema è un altro. Il problema è che in questo modo nessun prete oserà più avvicinarsi ai bambini e ai giovani in generale; si limiterà a fare un lavoro d’ufficio, molto meno rischioso. Lo accuseranno forse di essersi ridotto a fare il burocrate; ma almeno non potranno più accusarlo di essere un pedofilo. Voi capite però che questa sarà (o meglio, in molti luoghi, è già stata) la fine di tutte le attività giovanili della Chiesa. Il problema non è tanto il sacramento delle Penitenza: per questo, basta tornare all’uso dei vecchi confessionali, con tanto di grata (se li avevano inventati, ci sarà pure stato un motivo…) in chiesa, sotto gli occhi di tutti; e il problema è risolto. Il problema sono tutte le attività pastorali che vedevano il prete in mezzo ai giovani. Magari potevano essere anche considerate attività poco qualificate, una perdita di tempo; ma avevano comunque un profondo valore educativo e costituivano pur sempre una presenza capillare della Chiesa nella società. E chi si sognerà più di avere il gruppo dei chierichetti o degli scout, o di fare l’oratorio, o di organizzare una gita, una vacanza o un campo-scuola? D’ora in poi, il prete si limiterà a celebrare la Messa; il catechismo per la prima Comunione lo farà fare alle mamme; i giovani, una volta terminato il catechismo, non metteranno più piede in parrocchia e non avranno più alcuna occasione di incontrare un prete nella loro vita. E poi ci si lamenterà (sta già avvenendo) che i giovani sono abbandonati, che non hanno più punti di riferimento, che crescono senza valori, ecc. ecc. È esattamente quel che volevano quanti hanno promosso la martellante campagna contro gli abusi del clero. Credete che avessero a cuore le vittime? Se così fosse stato, si sarebbero interessati anche alla pedofilia diffusa in altre confessioni religiose, nella famiglia, nella scuola, nello sport e, soprattutto, alla pedofilia d’alto bordo (rock star, registi, musicisti, parlamentari, ministri, capi di stato e di governo…); e invece no, di quella pedofilia non interessava niente a nessuno. In quei casi non c’erano vittime da difendere; in quei casi si poteva tranquillamente coprire, occultare, insabbiare (basti pensare alla BBC…). Al massimo, quando la notizia veniva a galla e non poteva più essere ignorata, si trattava del caso singolo (come è giusto che sia); nessuno si sognava di criminalizzare la categoria. Quel che fa riflettere poi è che, contemporaneamente alla campagna contro gli abusi del clero, è stata portata avanti un’altra campagna, quella per i “diritti civili”, tra i quali prima o poi si arriverà a comprendere anche la pedofilia. Ha già iniziato a farsi sentire qualche voce sommessa per rivendicare il diritto dei minori ad avere una propria sessualità… In alcuni paesi sono stati addirittura fondati dei partiti politici che si propongono la legalizzazione della pedofilia. C’è qualcosa che non torna: si va verso lo sdoganamento della pedofilia e, allo stesso tempo, essa costituisce un motivo di criminalizzazione per il clero. C’è una sola spiegazione: evidentemente la pedofilia era solo una scusa: l’obiettivo vero era colpire la Chiesa, impedirle di svolgere liberamente la sua missione e così scristianizzare la società. Obiettivo raggiunto.

Giovanni Scalese, CRSP, Kabul

SAMZDAY2016

SAMZday 2016

Cari amici giovani e meno giovani,

 

L’imminenza della festa del nostro padre e fondatore Antonio Maria vedrà ognuno di voi prepararsi in modo proprio. Questa piccola data del calendario ci ricorda la storia di un uomo tra i tanti che ebbe il coraggio di non lasciarsi trascinare dalle consuetudini negative e ripetute di una Chiesa affaticata nel vivere coerentemente il Vangelo.

In questa preparazione ci sarà un attimo di preghiera e magari voglia di riflettere su una o su altra vicenda del nostro SAMZ?

Una vicenda, quella di SAMZ che ci insegna a non demordere nel riformare la realtà in cui viviamo. Se nel 1500 questa riforma riguardava particolarmente la Chiesa, oggi ha a che fare con una società sull’orlo di una, forse molte crisi che rischiano di non trovare soluzione. Lo spirito zaccariano anche oggi vuole attingere allo Spirito santo per dare una risposta ai fatti che stanno devastando il nostro vivere insieme (non ultimo gli attentati in Bangla Desh).

Nel Sermone V SAMZ leggiamo: «Oh, meraviglia della stupenda arte delle cose fatte da Dio! L’uomo è tale, che con libertà del suo animo può fare che il male gli sia bene».

Noi siamo questa meraviglia, noi il risultato dell’arte creativa di Dio, noi la forza della libertà che Dio ha posto in noi per costruire il bene, anche dal male che ci circonda.

Prima di parlare di leggi e doveri morali da osservare, SAMZ ci aiuta a riconoscere il dono delle nostre passioni, delle nostre virtù, ma anche la presenza dei nostri vizi. Riconoscere ciò che siamo realmente, anche dei nostri limiti è la forza per costruire un futuro rinnovato e migliore. Il termine arte richiama da sé il rapporto con il fare, con il bello. Noi siamo la più bella arte di Dio non per noi stessi, ma per rendere più bello il mondo. Questa è la libertà cui siamo chiamati specialmente in questo 5 luglio: libertà di fare il mondo più bello di quanto lo abbiamo trovato perché il male non è una barriera insormontabile. L’opera d’arte più bella di Dio è stata, anzi è la Croce per insegnarci a non rinunciare nel trarre anche dal male il bello, il bene.

L’arte è anche una passione e la passione più bella di Dio è proprio quella di insegnarci a utilizzare le nostre passioni per far emergere il bene che è celato anche dove non penseremmo. In questo sermone SAMZ riflette sul bene delle passioni; le passioni sono strumenti per il bene ovvero per il male: sta all’uomo praticare l’arte del discernimento e dell’investimento delle passioni.

«Concludi, adunque, Carissimo:
– se tanta è la potestà dell’uomo, che cava utilità etiam dal male;
– e se le passioni sono tali, che alcuni le hanno esercitate in bene, ed alcuni in male;
– ed inoltre se sono da Dio;

chi è quello così pazzo, che non voglia tenere per certo che [le passioni] sono nell’uomo per sua grande utilità, e che il combattere e vincere quelle gli sia una gran corona, e non sian date da Dio per il amale che porta all’uomo, anzi per il suo grande bene?» (p. 186s)

Buon SAMZday a tutti voi, pJgiannic

PS.: avremo di approfondire queste riflessioni a Krakow

 

Buon compleanno blog

Buon compleanno Giovanibarnabiti.it

Come i medici, quando cercano di dare ai fanciulli il ripugnante assenzio, prima gli orli, tutt’attorno al bicchiere, cospargono col dolce e biondo liquore del miele, perché nell’imprevidenza della loro età i fanciulli siano ingannati, non oltre le labbra, e intanto bevano interamente l’amara bevanda dell’assenzio e dall’inganno non ricevano danno, ma al contrario in tal modo risanati riacquistino vigore; così io ora, poiché questa dottrina per lo più pare troppo ostica a coloro che non l’hanno coltivata, e il volgo rifugge lontano da essa, ho voluto esporti la nostra dottrina col canto delle Pieridi che suona soave, e quasi cospargerla col dolce miele delle Muse, per provare se per caso potessi in tal modo tenere avvinto il tuo animo ai miei versi, finché comprendi tutta la natura e senti a fondo il vantaggio.

Andrea Bianchini


Buon Compleanno Blog!

Eh si, uno non fa in tempo ad accorgersene e sono già passati due anni dalla nascita del blog.
Una piccola riflessione: perché vale la pena scrivere su questo spazio? Dal mio punto di vista ho notato che più si cresce più la vita lascia poco tempo per fermarsi a riflettere. Gli impegni, il lavoro, l’università e le scadenze occupano tutto il nostro tempo. Più si va avanti più si perde quello spirito adolescenziale di critica verso il sistema. Proprio perché si diventa il sistema. Personalmente quindi, scrivere i miei piccoli articoli mi serve proprio per poter prendere una pausa dall’asfissiante vita che la società ci impone. E in questa fase mi fermo a riflettere su ciò che faccio, perché lo faccio e cerco di esprimere e di ricordarmi cosa c’è di bello nell’essere un uomo di scienza. Sperando che le mie piccole riflessioni servano ai lettori per poter anche loro prendersi una pausa e fermarsi a riflettere per il gusto proprio del “fermarsi” e del “riflettere”.
Un caro saluto ai lettori!

Roberto Nava


 

Buon compleanno Giovanibarnabiti.it

Due anni fa ci eravamo promessi che saremmo stati originali e che non sarebbe stato un blog come tanti altri. La sfida era e resta quella di provare a riflettere insieme, di donarci i pensieri e le esperienze più profonde, di arricchirci a vicenda in nome di un amico comune, Gesù. Col carisma zaccariano e animati dal fervore paolino, esattamente due anni fa, ci siamo lanciati in questa nuova avventura. Abbiamo deciso che sarebbero stati i giovani a parlare ai giovani della fede, della carità, del mondo che cambia e dei punti fermi che cerchiamo, della felicità e della tristezza; abbiamo deciso di raccontarvi e di provare a comprendere insieme a voi, attraverso i racconti e le riflessioni, la vita e i sentimenti. Ci abbiamo provato e, affidandoci, stiamo continuando un percorso che ci auguriamo di proseguire insieme. Perché in fondo, a due anni si è piccoli, e la strada da fare insieme è ancora lunga!

Raffaelle Della Morte


 

Un ponte per la cultura, buon compleanno GiovaniBarnabiti.it

In un mondo in cui i mezzi di comunicazione sono tanti, ma ciò che manca sono i contenuti della comunicazione stessa, siamo chiamati, noi giovani, a raccogliere questa sfida: dimostrare che non siamo solo la “generazione dei social network”; pensieri, parole e inventiva non ci mancano e questo blog è l’occasione giusta per far vedere quanto abbiamo da offrire. Un ponte di idee per raccontare quelle che sono le esperienze e gli interessi dei Giovani Barnabiti attraverso un’unica rete e condividerle con un pubblico più ampio, è l’impegno che portiamo avanti da ormai 2 anni. Scrivere per il blog è stata per me una grande opportunità: fornire un punto di vista su ciò che accade nel piccolo delle nostre realtà barnabitiche e non solo, su temi di attualità e degni di interesse, costituisce importante motivo di riflessione, per me, ma anche per i lettori. Riflettere per il blog infatti, vuol dire riflettere per una realtà più grande del semplice io, ma soprattutto adoperare il web quale importante strumento di diffusione della cultura, non solo di intrattenimento. La cultura ha bisogno di nuova linfa vitale e se smettiamo di alimentarla finiremo col distruggere il pensiero, annegando in quella che è la futilità del “like”. Occorre tornare a leggere e guardare il mondo attraverso gli occhi curiosi di un bambino, per riscoprire l’informazione quale paradigma morale della vita sociale… in breve, leggete in nostro blog!

Pasqua Peragine


 

«Se s’insegnasse la bellezza alla gente, la si doterebbe di un’arma contro la rassegnazione, la paura e l’omertà, facendo sempre rimanere vivi la curiosità e lo stupore». Così scriveva Peppino Impastato nel combattere il male intorno a lui. Credo che le parole che con passione abbiamo cercato di scrivere e pubblicare in questi due anni, non ultime questi graditi auguri da alcuni nostri collaboratori, siano il migliore augurio di buon compleanno GiovaniBarnabiti.it.

Grazie a tutti, collaboratori e lettori