Quello che sta accadendo alla nostra terra

Continua la lettura dell’enciclica “Laudato si” di papa Francesco / 2

Il primo capitolo dell’enciclica è dedicato all’esposizione degli effetti del cambiamento climatico: attraverso l’esposizione divulgativa di risultati di ricerche e studi scientifici, l’obbiettivo è quello di dare un contesto all’interno de quale poter poi inquadrare riflessioni di natura più filosofica e teologica. Molta importanza è posta nel sottolineare le inequità prodotte dal cambiamento climatico, andando ad aggravare ulteriormente la situazione di vita in zone della Terra più povere e in gruppi di popolazione più svantaggiati.
Il punto di partenza dell’esposizione è una riflessione sul tema della “rapidaciòn”, l’accelerazione dei cambiamenti dell’umanità e del pianeta, che contrasta con la naturale lentezza dell’evoluzione biologica, e che non sempre è rivolta al raggiungimento del bene comune e allo sviluppo umano.
Il clima, però, è un bene comune, è un “sistema complesso in relazione con molte condizioni essenziali per la vita umana”. Gli stili di vita, i modelli produttivi e di consumo della società contemporanea, basati sulla cultura dello scarto, sia umano sia materiale, sulla produzione di rifiuti e inquinamento, sono perciò individuati come le principali cause dei cambiamenti climatici. La questione delle radici umane del cambiamento climatico, tuttavia, verrà approfondita in un capitolo successivo.
Quali sono, quindi, gli effetti del cambiamento climatico?
Il primo effetto in analisi è quello dell’esaurimento delle risorse naturali, in particolare di acqua potabile, elemento fondamentale e indispensabile per la sopravvivenza umana, animale e del sostentamento degli ecosistemi e necessario nei settori sanitari, agricoli e industriali. La problematica non risiede solo nella costante diminuzione della quantità d’acqua dolce disponibile, specialmente in zone già di per sé vulnerabili, ma anche nella scarsa qualità dell’acqua, soprattutto in zone urbane povere del mondo, causa di numerosi morti al giorno. Altra questione è infine legata alla privatizzazione dell’acqua, che si scontra con la salvaguardia dei diritti umani fondamentali, data l’essenzialità delle fonti idriche nella sopravvivenza umana. La scarsità d’acqua, unita alla sua privatizzazione, porterà inoltre ad un aumento dei costi degli alimenti che dipendono dal suo uso, aggravando ulteriormente le condizioni economiche e sociali di gran parte della popolazione.
Il secondo effetto è quello della perdita della biodiversità, dovuta all’utilizzo intensivo delle risorse forestali e boschive e dal massiccio sfruttamento delle risorse oceaniche. Il danno legato alla perdita di specie animali e di biodiversità è primariamente legato al valore intrinseco di cui esse sono dotate, e non bastano interventi tecnologici volti a mitigare gli effetti di questo sfruttamento e a limitare gli interventi umani che rischino di modificare la fisionomia dei territo ri. L’analisi si sofferma sull’impatto delle politiche di deforestazione e degli interessi economici internazionali sui principali ecosistemi di biodiversità terrestri, tra cui la foresta Amazzonica e il Bacino Fluviale del Congo, e sulle politiche di estrazione di risorse ittiche attuate nei grandi Oceani.
La terza categoria di effetti è legata al deterioramento della qualità della vita umana e alla degradazione sociale, specialmente in contesti urbani caotici, inquinati, privi di spazi verdi pubblici, in condizioni economiche complesse, ponendo l’attenzione ancora una volta sulla questione dell’inequità degli effetti del cambiamento climatico.
Il quarto effetto citato è appunto l crescita delle diseguaglianze: “il deterioramento dell’ambiente e quello della società colpiscono in modo speciale i più deboli del pianeta”, gli esclusi e marginalizzati. Queste persone vengono spesso presentate nel dibattito pubblico come delle appendici, o degli effetti collaterali, il discorso mediatico non vi si sofferma, perché troppo lontani e troppo “scomodi” da poter raccontare, di fatto mettendo le necessità di queste persone all’ultimo posto nella scala di priorità di molti piani di attuazione concreta. Dobbiamo pertanto riconoscere che il vero approccio ecologico diventa sempre un approccio sociale, che ascolti sia il grido della terra sia quello dei più poveri.
L’inequità non è solo una questione microeconomica, a livello individuale, ma assume rilevanza di portata macroeconomica nel momento in cui parliamo di diseguaglianze fra Paesi interi, in particolare articolati sull’asse di diseguaglianza Nord-Sud Globale. Le esportazioni di materie prime, principalmente a vantaggio dei mercati dei paesi del Nord, producono forme di inquinamento nei paesi di estrazione, che spesso vengono anche scelti per lo smaltimento di rifiuti prodotti dalle industrie. Gli effetti del riscaldamento climatico impattano soprattutto paesi già vulnerabili e poveri, che uniscono siccità ad aumento di temperature. Molte multinazionali scelgono paesi del Sud Globale per attuare politiche industriali inquinanti e basate sullo sfruttamento dei lavoratori, che altrimenti non potrebbero attuare nei paesi che apportano le fonti di capitale. Ciò che è importante notare è che il cambiamento climatico ha responsabilità diversificate, dal momento che molti dei paesi in via di sviluppo non hanno spesso possibilità tecniche per adottare modelli di riduzione dell’impatto ambientale ne fondi sufficienti per coprirne i costi di realizzazione. La soluzione proposta nell’Enciclica è quella di apportare risorse economiche per promuovere programmi di sviluppo sostenibile.
A queste problematiche si lega la debolezza delle reazioni e le diversità di opinioni sul tema del cambiamento climatico. Spesso, infatti, la sottomissione della politica agli interessi economici di gruppi di interesse e corporations porta alla manipolazione di informazioni e, soprattutto, alla mancanza di azioni pratiche che possano andare a minare i loro interessi economici di breve periodo. Ai danni ambientai dovuti all’inazione dei governi si lega un’altra questione di primaria importanza, specialmente nel contesto globale contemporaneo, cioè il rischio di escalation di conflitti per la lotta a risorse sempre più scarse. Oggi più che mai appare permeante l’appello del Papa alla necessità di agire politicamente per prevenire nuove guerre e nuove sofferenze.

Giulia C. – Amsterdam

COP27 – Conferenza annuale delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici

In occasione della prossima COP27, la Conferenza annuale delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici iniziata il 7 novembre in Egitto, abbiamo raccolto i pareri di alcuni giovani che si occupano in prima persona di questi temi.
Andrea Grieco, Head of Impact di Aworld (ONU), vive a Milano; Giorgio Brizio è un esponente dei Friday for Future, autore di Non siamo tutti sulla stessa barca, attualmente in Erasmus a Instabul; Angelo Bruscino (meno giovane, ma solo di età non di spirito) è un imprenditore impegnato nella greeneconomy ma anche scrittore affermato, vive a Napoli; Sarah Maria Truzzi, si occupa di sviluppo nei paesi emergenti per l’ONG VIVA don Bosco, vive a Brussel.
In particolare abbiamo posto loro cinque domande.
1) Che cos’è la COP27?
2) Qual è il senso delle COP?
3) Quali benefici sono stati ottenuti dalle precedenti COP?
4) Le persone intorno a voi che sensibilità hanno nei confronti di questi argomenti?
5) Le singole persone che contributo possono dare?

Andrea Grieco, attraverso un post su Instagram ci fa sapere:
La @cop27 egypt è alle porte. L’Egitto è pronto, in tutti i sensi.
Sarà una #cop difficile a tratti indecifrabile quella di quest’anno. La #cop dei paradossi, organizzata in un Paese che non ammette il dissenso, in un posto lontano (nel deserto) e con misure restrittive e di controllo che castrano ogni protesta.
40.000 delegati da tutto il mondo, più di 100 capi di Stato, pochi attivisti, poche ONG e 60.000 prigionieri politici. La sostenibilità non può prescindere dai diritti umani, è innaturale! Senza democrazia e libertà di espressione non esiste la lotta alla crisi climatica.
Comunque vada questo appuntamento va seguito, come per i precedenti, va protetto il processo che in passato ha portato al Protocollo di Kyoto o all’Accordo di Parigi, ricordandosi però che i Diritti Umani non sono qualcosa che si può barattare o annullare per nessun motivo al mondo. Ricordando i 60 mila prigionieri politici che non smettono di chiedere giustizia e diritti.


Angelo Bruscino, invece ci scrive:
La Cop27 che si terrà in Egitto avrà sicuramente la funzione di rimarcare la grave crisi che ormai già manifesta i suoi effetti. L’idea di organizzare una riunione per i grandi del mondo e sensibilizzarli sul fronte del climate change è stata sicuramente la base di partenza per ottenere alcune prese di posizioni, ahimè solo di ordine declaratorio, di fronte alla recente crisi energetica infatti la maggior parte dei paesi ha fatto fronte implementando al massimo l’uso dei combustibili fossili, in primis il carbone, così nei cieli europei le concentrazioni di inquinanti non è mai stata intensa come in questo 2022.
Purtroppo l’intero modello di transizione energetica, nel mondo e in Europa in particolare, è stato pensato con l’utilizzo del gas; quando questo combustibile è venuto a mancare a causa della guerra Russia/Ucraina o è diventato estremamente costoso, per evitare blackout si è fatto ricorso all’uso delle vecchie centrali (spesso a carbone) che avevamo pianificato di dismettere, vanificando in questa maniera gli sforzi e le dichiarazioni di intenti degli ultimi anni.
C’è anche un dato positivo, nonostante tutto ed è quello che l’intera opinione pubblica ha compreso che la povertà energetica è un tema molto importante che incide profondamente sulla vita di tutti e in questo modo la sensibilità alla creazione di modelli sostenibili con l’utilizzo di energie rinnovabili come il solare e l’eolico ha avuto un’accelerazione. Basti pensare che in un solo anno l’Italia ha raggiunto la Spagna e si appresta a superarla nella produzione di elettricità da rinnovabili.
Insomma come sempre ci sono luci ed ombre, ma probabilmente non saremo in grado di rispettare i tempi stabiliti dalla transazione e peggio ancora, i tempi necessari a scongiurare il disastro ambientale.
Abbiamo confuso negli ultimi anni o mal riposto il sentimento di fiducia, ci fidiamo troppo della tecnologia e abbiamo dimenticato che sono gli uomini a sceglierla e applicarla. Non c’è scoperta tecnica e scientifica che possa salvarci senza gli uomini giusti, non ci resta che un atto di fede e sperare che la provvidenza consenta ai nostri leader di non prendere unicamente la strada lastricata di buone intenzioni, ma quella dei fatti e delle azioni concrete anche se poco popolari, liberandoci certo non dalle responsabilità ambientali che continueranno a pesare sulle nostre coscienze, ma dal gioco delle scelte populiste dai facili consensi e dai fossili della storia che per inciso non sono solo quelli energetici.


Sarah Maria Truzzi ci racconta più specificamente cosa sia una COP.
La COP27 è la 27^ Conferenza delle Parti che hanno sottoscritto la Convenzione sul Cambiamento Climatico delle Nazioni Unite. È l’occasione per definire le azioni da promuovere, a livello nazionale e internazionale, per mitigare il cambiamento climatico.
Queste conferenze servono sicuramente a sensibilizzare i governi sui vari aspetti del cambiamento climatico. Purtroppo penso siano ancora lontane dall’ottenere dei risultati sufficientemente importanti da poter rallentare la crisi climatica.
L’Accordo di Parigi, firmato in occasione della COP21 definisce un obiettivo preciso (limitare l’aumento della temperatura globale a 1.5°C). Sono però scettica sull’impatto concreto di tale accordo, poiché permette ai singoli stati di definire loro stessi i propri obiettivi nazionali che tenderanno perciò al ribasso. Inoltre, l’accordo non include obiettivi specifici sulla quantità di emissioni di gas a effetto serra da ridurre, rendendolo così poco efficace da questo punto di vista. Questo è un esempio di come le soluzioni elaborate in occasione di queste conferenze non siano sempre sufficienti a contrastare il problema che si prefiggono di risolvere.
Nonostante io frequenti ambienti abbastanza sensibili a tali tematiche, riscontro nelle persone che mi circondano una sorta di rassegnazione al futuro che ci attende, forse troppo consapevoli del fatto che le azioni dei singoli cittadini non saranno mai sufficienti se non accompagnate da radicali cambiamenti sociali, politici ed economici.
Certo sono convinta che il singolo individuo possa apportare dei cambiamenti positivi nel momento in cui si mette in rete favorendo perciò la trasformazione di comportamenti dannosi a livello ambientale. Non bisogna però dimenticare la responsabilità dei “grandi” attori politici ed economici, gli unici che, con le loro decisioni, hanno effettivamente il potere di “cambiare le cose”.


Infine, Giorgio Brizio, abbastanza esperto nel settore COP ci offre una panoramica più articolata ma anche più critica.
La COP non è un supermercato o uno sbirro (anche se di polizia e di controlli molto stringenti a questa COP27egypt ce ne saranno davvero parecchi, tanto che sarà in assoluto l’evento delle Nazioni Unite più sorvegliato di sempre con addirittura videocamere a riconoscimento facciale nei taxi); COP è l’acronimo che sta per Conference of Parties. La prima fu a Berlino nel 1995, ma già nel 92 ci fu il Summit della Terra di Rio de Janeiro.
Le conferenze, ahimè, sono a metà strada tra un evento con enorme potenziale e un circo. Si danno appuntamento capi di Stato, delegati, sherpa, ma anche persone della società civile e purtroppo anche molti lobbisti e coloro che vogliono difendere interessi delle aziende più inquinanti. Ammesso che le COP abbiano dato qualche beneficio, il più grande di questi potrebbe essere quello di riuscire a connettere tantissime persone, ma anche istituzioni e società. Una delle COP più conosciute è quella che si svolse nel ‘97 a Kyoto, da cui prende il nome l’omonimo protocollo, o la COP 2009 di Copenaghen. Importante fu anche la COP 2015 di Parigi, un grande successo del multilateralismo internazionale. Dalla COP di Parigi in poi ogni paese dovrebbe presentare il suo piano di riduzione delle missioni. Tuttavia ogni anno la quasi totalità degli Stati, tranne un piccolo gruppetto, viene rimandata a casa a fare i compiti perché gli obiettivi che questi stati provano a presentare sono fondamentalmente o inesistenti o non sufficientemente ambiziosi. Ad esempio, se dal 2015 tutti gli obiettivi dal primo all’ultimo fossero stati realizzati saremmo riusciti a limitare il riscaldamento globale entro 3,8 gradi, quando sappiamo che dobbiamo stare sotto l’aumento di un grado e mezzo. Ancora adesso l’impegno delle nazioni è insufficiente.
Qui entrano in gioco le singole persone che possono fare la cosa più bella: stare insieme, creare comunità e battersi per quello che sta a loro più a cuore. Per la questione climatica, che senza grandi dubbi possiamo dire essere l’urgenza del nostro tempo, necessariamente abbiamo bisogno che le persone si attivino e solo se saremo tanti a essere consapevoli riusciremo a incidere: cambiare il mercato con il nostro (potentissimo) potere d’acquisto e con le nostre singole azioni quotidiane. Possiamo fare una differenza che, però, deve essere è valida solo se le scelte sono condivise dalla collettività. Inoltre possiamo aumentare l’interesse presso chi governa il nostro Paese. La politica di oggi, fortemente miope, riesce a guardare fino a un orizzonte molto breve: quello del mandato. Per il clima è invece necessaria una visione a lungo periodo.
Esempi di azioni virtuose per l’ambiente sono: smettere di mangiare carne o consumarne meno, smettere di volare o volare meno, oppure cambiare banca e scegliere dove depositare i propri soldi. Unicredit San Paolo, una delle maggiori banche italiane, ogni anno investe moltissimi soldi nell’industria combustibili fossili.
Oltre il 6% di tutte le emissioni globali provenienti dal traffico aereo sono dovute all’utilizzo di jet privati, nonostante siano una piccolissima minoranza. La produzione, il trasporto e il commercio della carne sono responsabili di una grande fetta di emissioni. Eppure nel settore della carne l’Italia continua a investire moltissimo, anche negli allevamenti intensivi ed estensivi. Ci sono banche, compagnie, fondi d’investimento che continuano a considerare esclusivamente i propri interessi, a discapito non solo della situazione globale ma anche dell’ambiente. Questo è quello che accade in Mozambico, dove la patriottissima Eni (sostenuta da numerose banche tra cui Unicredit e Intesa San Paolo), sfrutta senza discriminazioni le risorse del territorio, creando dei veri e propri ecomostri. Ma azioni del genere vengono replicate dalle nostre compagnie italiane (e non solo) anche in Kenya o in Tanzania.
L’azione individuale può quindi avere un effetto solo se forte e accompagnata da una richiesta collettiva di cambio del sistema. In questo momento scendere in piazza, alzare la testa e far sentire la propria voce è imprescindibile, se realmente vogliamo contribuire ad un miglioramento della società. Non dobbiamo quindi solo restare inorriditi e di fronte a gesti estremi come l’imbrattamento delle opere d’arte, ma piuttosto cercare di capire quali sono i motivi dietro a queste azioni. La situazione è grave, e a dirlo non sono due adolescenti con una scatola di fagioli in mano, ma le più grandi menti del pianeta.
COP26 è stata principalmente un fallimento ma non possiamo non notare alcune note positive. Prima fra tutti BOGA (Beyond Oil and Gas Alliance), lanciata da Danimarca e Paesi Bassi. Ad essa, purtroppo, l’Italia ha aderito ma senza accoglierne gli obblighi, senza prendere alcun impegno. Altri paesi vi hanno aderito dichiarando obiettivi di fuoriuscita dai principali combustibili fossili.
Ogni COP si propone obiettivi diversi, ma uno è sempre il principale: capire insieme quanto è distante a livello globale la data di transizione ecologica (cioè l’abbandono dei combustibili fossili).
Alcuni dei grandi inquinatori di oggi non sono certo responsabile di tutte le grandi emissioni del passato (dovute al 93% da paesi europei e dagli Stati Uniti). Ciò che è necessario è aiutarli, attuando proposte come quella della COP di Copenaghen 2009, in cui Obama promise 1000 miliardi per sostenere i paesi più in difficoltà rispetto alla questione climatica. Per non andare a finire dritti nel baratro, bisogna agire in questo modo. Purtroppo già la sola scelta di tenere la COP27 in Egitto e la COP28 a Dubai è un pessimo segnale.
Nella nostra generazione c’è moltissima preoccupazione ma per il momento gran parte delle aspettative sono state deluse, a partire dalla scorsa COP26 di Glasgow che non è stata sicuramente all’altezza. Ci si aspetta molto anche dalla prossima COP ma difficilmente ne uscirà qualcosa di valido. Tuttavia, ci auguriamo di sbagliare le previsioni. A volte la cooperazione e il multilateralismo riescono a portare i loro frutti, come l’accordo di pace siglato pochi giorni fa in Sudafrica sul quale in pochi avrebbero scommesso.
A cura di Luigi C. – Roma

Uma ecologia integral

Folha 6

Uma ecologia integral

Tudo é em relazione, daqui a necessidade de una cultura ecologica integrale.

A ecologia lembra à primeira vista, o ambiente, mas o ambiente refere-se a uma relação particular, a que existe entre natureza e sociedade que vive e em que tempo, espaço, física, química, biologia são relações mais entrelaçadas entre eles.

Daqui resulta que a poluição de uma parte não pode ser resolvida a partir de uma única perspectiva; assistimos hoje a um único complexo crise sócio-ambiental. Portanto, devemos sempre ter em mente cada vez mais o ecossistema natural e o ecossistema social.

«Hoje, a análise dos problemas ambientais é inseparável da análise dos contextos humanos, familiares, laborais, urbanos, e da relação de cada pessoa consigo mesma, que gera um modo específico de se relacionar com os outros e com o meio ambiente. Há uma interacção entre os ecossistemas e entre os diferentes mundos de referência social e, assim, se demonstra mais uma vez que «o todo é superior à parte”» (141).

(Pensemos no consumo das drogas, 142).

Tudo isto envolve uma ecologia cultural, levando ao respeito do indivíduo contra um achatamento global. «É preciso assumir a perspectiva dos direitos dos povos e das culturas, dando assim provas de compreender que o desenvolvimento dum grupo social supõe um processo histórico no âmbito dum contexto cultural e requer constantemente o protagonismo dos actores sociais locais a partir da sua própria cultura.”(144). “Neste sentido, é indispensável prestar uma atenção especial às comunidades aborígenes com as suas tradições culturais. Não são apenas uma minoria entre outras…» (146).

A consequência da ecologia integral se deve experimentar em uma ecologia da vida diária, composta por habitação, transportes, a feiúra dos ambientes e sobre as relações humanas, o caos da cidade.

Mas especialmente «a ecologia humana também significa algo muito profundo: a relação necessária da vida humana com a lei moral escrita em sua própria natureza, relação essencial para criar uma atmosfera mais digna. Há uma “ecologia do homem”, porque “tambémo homem tem uma natureza que ele deve respeitar e que ele não pode manipular à vontade” (B XVI) Nesta linha, temos de reconhecer que o nosso corpo nos coloca em uma relação direta com o meio-ambiente e com os outros seres vivos. A aceitação do próprio corpo como um dom de Deus é necessária para acolher e aceitar o mundo como um dom do Pai e casa comum; em vez uma lógica de dominação sobre o seu próprio corpo se transforma em uma lógica, por vezes sutil de domínio sobre a criação. Aprender a aceitar seu corpo, a cuidar e a respeitar os seus significados é essencial para uma verdadeira ecologia humana. Também apreciar o seu próprio corpo em sua feminilidade e masculinidade é necessário para reconhecer-se no encontro com o outro diferente de você. Desta forma, é possivel aceitar com alegria o dom específico do outro ou de outra, obra de Deus, o Criador, e enriquecer-se uns aos outros. Portanto, não é uma atitude saudável que pretende eliminar a diferença sexual, porque já não sabe como lidar com ele» (154).

Um descurso deste tipo – e aqui resumo os números sucesivos – só pode ser entendida se considerarmos o ponto de referência inicial do bem comum e seu papel central e unificador na ética social. Neste contexto, a questão da família e da justiça entre as gerações.

«O ambiente situa-se na lógica da recepção. É um empréstimo que cada geração recebe e deve transmitir à geração seguinte».(159)

«O homem e a mulher do mundo pós-moderno estão em risco permanente de se tornar profundamente individualistas, e muitos problemas sociais atuais são considerados em conjunto com a busca egoísta da gratificação imediata, com a crise dos vínculos familiares e sociais, com as dificuldades de reconhecer o outro. Muitas vezes se é diante a um consumo excessivo e míope dos pais que prejudicam os filhos … por isso, além da leal solidariedade entre-geracional, precisa reiterar a urgente necessidade moral de uma renovada solidariedade no seio das gerações» (BXVI) (162).

Ecologia e ambiente: intervista a Edo Ronchi

Edo RONCHI, già ministro dell’ambiente, presidente della Fondazione Sviluppo Sostenibile dialoga con noi sulla salvaguardia dell’ambiente.

Edo Ronchi classe 1950: com’è nata la passione per ambiente ed ecologia?

La nascita è caratterizzata da un momento preciso, una data e un luogo di nascita. La passione per l’ambiente per me è venuta da un processo di maturazione, è stata il risultato di impegno e anche di un po’ di studio. Quando ripenso alle mie esperienze che possono aver contribuito alla mia attenzione alle problematiche ambientali mi viene in mente la mia infanzia
Da piccolo in campagna quando aiutavo mio padre a coltivare la terra, e poi quando mio padre andò a lavorare in una fabbrica chimica e tornava a casa con i vestiti che puzzavano. Le mie prime esperienze di ambientalista, negli anni 70, con il movimento antinucleare, sia civile (contro le centrali nucleari), sia militare (contro le armi atomiche e i rischi di una guerra nucleare).
Di seguito l’impegno politico nella galassia dei Verdi: sono stato prima parlamentare e successivamente Ministro dell’Ambiente.
Mi ha sempre appassionato lo studio delle problematiche ambientali: ho scritto e pubblicato numerosi testi, ho avuto incarichi di insegnamento di Legislazione ambientale all’Università di Bologna e poi di Progettazione ambientale all’Università la Sapienza di Roma. Dal 2008 dirigo una Fondazione di ricerca sullo sviluppo sostenibile e la green economy che a sua volta è nata da un precedente Istituto di ricerca che avevo fondato nel 2000.

La preoccupazione ecologica è ancora un capriccio, una moda di alcuni o nota una maggiore attenzione a questo tema? Perché io – vivendo tra i giovani – verifico una certa disattenzione e / o disaffezione.

La crisi ecologica globale ha raggiunto livelli preoccupanti specie per il clima e la biodiversità, Questi due problemi sono stati studiati per anni. Le conseguenze drammatiche dell’aumento dell’inquinamento da gas serra in atmosfera e degli anomali cambiamenti climatici sono note, così come l’estinzione e lo stato critico di molte specie e la distruzione di importanti ecosistemi. La crisi ecologica già oggi costituisce causa rilevante di rischio e danno per la vita di milioni di persone, in particolare della parte più povera e più vulnerabile dell’umanità. È la minaccia più seria per il nostro futuro: per la produzione di cibo, la disponibilità di acqua potabile e di servizi eco-sistemici necessari al nostro sviluppo economico e sociale. In molte realtà locali, inoltre, la crisi ambientale – l’inquinamento diffuso, il degrado del territorio e delle città – costituiscono una seria minaccia alla salute e l’ostacolo principale allo sviluppo civile, prima ancora che economico.
La mancata consapevolezza ecologica dipende Come mai la gravità della crisi ecologica non è accompagnata da una corrispondente crescita della consapevolezza ambientale dei cittadini e dei decisori politici? Alla base di questo gap vi sono diverse ragioni, ne sottolineo tre. La prima: la nostra economia, sia a livello teorico che pratico, stenta a riconoscere il valore del capitale naturale perché lo ritiene abbondante, privo di titolo di proprietà, quindi di nessuno, e perché ritiene che, comunque, la scienza sia in grado di dominare a nostro piacimento la natura. Queste idee, e pratiche, dell’economia e della scienza hanno una grande forza perché hanno avuto un enorme successo: hanno causato anche guai e non hanno risolto tutti i problemi dell’umanità, ma hanno assicurato progresso e benessere per miliardi di persone. Ora non si tratta più solo di stare un po’ più attenti all’ambiente o di impegnare un po’ di più tecnologia per disinquinare, ma di prendere atto che questo tipo di economia e di scienza non possono continuare così, sono diventati insostenibili per le risorse limitate e la limitata capacità di resilienza del nostro pianeta.
Per acquisire una consapevolezza ambientale adeguata alla nostra epoca servono oggi idee, e buone pratiche, di sviluppo sostenibile e di green economy.

La seconda: i modelli culturali largamente prevalenti che identificano il benessere con la crescita dei consumi e con il possesso di cose, alimentano una percezione distorta della realtà e ostacolano la comprensione di quanto l’ambiente sia una reale priorità per noi e per l’umanità. Il nostro modo di vivere influenza il nostro modo di pensare. Per promuovere maggiore consapevolezza ambientale occorre praticare e promuovere stili di vita sobri, non consumisti, e eco-sostenibili.

La terza: nella storia dell’umanità l’ambiente è stato, per millenni, una risorsa abbondante; la sua scarsità è un fatto recente, di pochi decenni. Noi incontriamo difficoltà a percepire l’urgenza delle problematiche ambientali nei termini, inediti, che ci coinvolgono da poche generazioni. Un esempio forse rende meglio la situazione. La rana è abituata alle variazione di temperatura dell’acqua degli stagni e non percepisce queste variazioni come pericoli perché avvengono, da lungo tempo, in un intervallo che non rappresenta un pericolo per lei. Così, se mettete una rana in una pentola di acqua fredda e la fate scaldare, non salta fuori quando l’acqua si scalda e si fa bollire. Noi, tuttavia, a differenza della rana, possiamo imparare rapidamente, acquisire informazioni, conoscenze, formazione e educazione. Ben sapendo che colmare il diffuso gap di consapevolezza ambientale non è facile e naturale come respirare, ma richiede impegno.

Era necessario che un pontefice intervenisse sul tema dell’Ecologia?

Come è noto Papa Francesco non è il primo pontefice che interviene in materia. Un amico, di recente, mi ha regalato un testo che raccoglie numerosi scritti e interventi di Papa Giovanni XXIII in materia ambientale. In realtà molti mistici e religiosi, non solo cristiani, sono intervenuti sul tema dell’ecologia: amando il Creatore hanno espresso amore per il creato e saputo riconoscere nella natura non solo caos e caso, ma la bellezza e la superiore connessione dello spirito divino. L’Encilcica “Laudato sì” di Papa Francesco, oltre a seguire il solco già tracciato da suoi predecessori, introduce, a me pare, importanti novità che, in un testo ricco e complesso, vanno lette con attenzione, per coglierne la reale portata non solo per i credenti ma anche per tutti gli uomini di buona volontà. Ne cito solo una: il livello, inedito in passato, raggiunto oggi dalla crisi ecologica, e climatica in particolare, che richiede una sollecita svolta, in particolare perché ha costi altissimi per la parte più povera della popolazione mondiale. Era necessario che un Pontefice intervenisse in modo così forte su questi temi? Penso di Si, perché hanno assunto una gravità mondiale e perché la politica, in generale, sembra troppo presa da una visione di breve termine, da interessi particolari e non sembra affrontare questa grave crisi iscrivendola nella sua agenda come sarebbe necessario, cioè come effettiva priorità.

Da poco si è conclusa Cop21 a Parigi: ritiene che queste grandi assise possano effettivamente servire a qualche cosa? Perché sembra che non cambi mai nulla.

So, anche perché vi ho partecipato diverse volte, quanto siano complesse, faticose, spesso con scarsi risultati o addirittura inconcludenti, queste conferenze internazionali. Ma sono indispensabili: senza dialogo, confronto, ricerca di soluzioni internazionali condivise non vi è possibilità di affrontare la crisi climatica globale. Non bastano, ma sono necessarie. E la COP 21 di Parigi ha raggiunto un Accordo fra 195 Paesi che potrebbe segnare un punto di svolta nelle politiche e misure per far fronte alla crisi climatica. Questo Accordo prevede, infatti, che gli impegni di riduzione dei gas serra che i Paesi hanno presentato, siano verificati e aggiornati periodicamente e che debbano portare a riduzioni di emissioni tali da contenere l’aumento di temperatura molto al di sotto dei 2 °C e il più possibile verso 1, 5°C e che entro la metà del secolo non via sia più aggiunta di emissioni di gas serra in atmosfera perché le emissioni ammesse dovranno essere solo quelle compensate dagli assorbimenti. I grandi cambiamenti richiedono tempo. Quelli ambientali in atto sembrano poco efficaci perché sono ancora troppo lenti rispetto alla velocità delle crisi ecologiche.

Alcuni giovani che scrivono per il nostro blog Giovanibarnabiti.it le chiedono: cosa possono fare i giovani per la tutela dell’ambiente?

Il primo suggerimento che mi sento di dare è quello di cercare di formulare meglio la domanda, di renderla più concreta e precisa. Di smetterla di parlare genericamente di ambiente, ma di informarsi su precise e concrete problematiche, generali o anche del loro territorio. E di tornare con domande precise e anche con qualche risposta.

«Come mai l’inquinamento insieme ai problemi cardiovascolari è la prima causa di morte in Italia, ma non si riesce a far passare questa evidenza come il primo problema da combattere?

È vero che sono morti “silenziose” ma non si capisce come mai nessuno faccia almeno finta di provare a risolvere il problema. (Però un esempio c’è, la città di Pontevedra in Spagna, 80 mila abitanti senza auto frutto di una politica seria ventennale che ha portato questa città ad essere un eccellenza da questo punto di vista).

In parte credo di avere già risposto a questa domanda cercando di spiegare alcune ragioni del gap esistente di consapevolezza ambientale. Vorrei però aggiungere che, in un quadro generale che resta ancora preoccupante, molte cose sono tuttavia cambiate in meglio. Non siamo affatto al punto zero, anche per l’inquinamento, anche in Italia. I dati sulle emissioni degli impianti industriali indicano un netto miglioramento; non tutti e non sempre in modo adeguato, ma la gran parte degli scarichi idrici, civili e industriali, sono oggi depurati e sotto controllo; il traffico delle auto è diminuito solo in alcune città, in altre è aumentato, ma le emissioni specifiche dei singoli veicoli sono significativamente diminuite negli ultimi 10 anni; la gestione dei rifiuti, non ancora in tutto, ma nella gran parte del territorio nazionale, è ormai fatta correttamente e gli smaltimenti illeciti, in passato molto presenti, oggi in molte regioni sono rarità.

«Il decreto che porta il suo nome del 1996 ha introdotto la raccolta differenziata in Italia. Ritiene che sia stato applicato del tutto oppure sia stato sbagliato qualcosa? Eventualmente cosa?».

Allora, nel 1997, oltre l’80% dei rifiuti veniva smaltito in discarica, oggi siamo al 31% (dato del 2014) . La raccolta differenziata e il riciclo sono cresciuti molto (da pochi punti al 45%), anche se restano ancora ritardi in alcune zone del Sud, ma in alcune Regioni siamo fra i migliori a livello europeo. Molto si può ancora migliorare per recuperare anche le zone del Sud dove siamo rimasti in ritardo, per migliorare l’industrializzazione del sistema del riciclo e avviare un sistema di economia circolare: migliorare la normativa sulla cessazione del rifiuto, migliorare alcuni sistemi collettivi di riciclo, realizzare nuovi impianti di riciclo dove mancano e per le filiere dove non sono sufficienti, utilizzare meglio gli strumenti economici, migliorare i prodotti e loro riciclabilità, far decollare gli acquisti pubblici verdi.

La Natura si “vendicherà” di noi o avrà “misericordia”?

Se uno lancia la sua auto contromano in autostrada, se ha un’incidente non può certo dire che l’autostrada o il destino sia stato con cattivo con lui. Raccogliamo ciò che seminiamo, anche nel nostro rapporto con la natura. Se coltiviamo bene, con amore e cura, la terra ci darà buoni frutti a lungo, se lo facciamo male diventerà arida e non ci darà più nulla.

A raiz humana da crise ecológica. I

Folha 4

A actual crise está enraizada no presente predomínio tecnocrático e na concepção do homem que dele deriva.

  1. “A técnica exprime a tensão do ânimo humano para uma gradual superação das limitações materiais” ( B XVI, CV, 69). A tecnociência, se devidamente orientada, também é capaz de produzir o bonito. Assim, no desejo de beleza do artesão e em quem contempla aquela beleza se realiza o salto para uma certa plenitude própria do homem (cf. 102ss).

No entanto, não podemos ignorar os perigos no guiar o poder do progresso (nas suas dimensões económica, técnica, científica e social), normalmente nas mãos de poucos oligarcas.

Tende-se a crer que “cada poder aquisitivo é simplesmente progresso, aumento de segurança, utilidade, bem-estar, força vital, de plenitude de valores” (R. Guardini), como se a realidade e o bem surgissem espontaneamente do mesmo poder e da tecnologia e da economia. A verdade é que «o homem moderno não foi educado para o reto uso do poder» (ib.)… cada época tende a desenvolver uma baixa auto-consciência de seus próprios limites … liberdade do homem adoece, quando se entrega às forças cegas do inconsciente, das necessidades imediatas, do egoísmo, da violência brutal; mas podemos afirmar que carece de uma ética sólida, uma cultura e uma espiritualidade que lhe ponham realmente um limite e o contenham dentro dum lucido domínio de si (105).

 

  1. Mas o problema fundamental é a globalização do paradigma tecnocrático. Se até ontem o progresso acompanhou a natureza, a humanidade hoje tomou a tecnologia e seu desenvolvimento, juntamente com um paradigma homogêneo e unidimensional. O problema não é a tecnologia em si, mas sim as consequências socio-antropologicas dos mesmos. Algumas decisões que parecem puramente instrumentais, na verdade, são escolhas relevantes para o tipo de vida social a ser desenvolvido. Desta forma, a capacidade de tomada de decisão, a liberdade autêntica e mais o espaço para a criatividade alternativa dos indivíduos são reduzidas. Estamos diante ”a um domínio, no sentido verdadeiro da palavra “(R. Guardini) (cr. 106ss).

Não se aprendeu a lição da crise financeira mundial (A finança sufoca a economia real) e, muito lentamente, se aprende a lição do deterioração ambiental” (109). A maximização do lucro não é suficiente. O mercado por si só não garante o desenvolvimento humano integral e inclusão social (B XVI , CV 35).

A especialização própria da tecnologia comporta grande dificuldade para se conseguir um olhar de conjunto, sobretudo os do meio ambiente e dos pobres, que não se podem enfrentar a partir duma única perspetiva nem de um único tipo de interesses. Uma ciência, que pretenda oferecer soluções para os grandes problemas, deveria necessariamente ter em conta tudo o que o conhecimento gerou nas outras áreas do saber, incluindo a filosofia e a ética social… Na realidade concreta que nos interpela, aparecem vários sintomas que mostram o erro, tais como a degradação ambiental, a ansiedade, a perda do sentido da vida e da convivência social. Assim se demonstra uma vez mais que «a realidade é superior à ideia” (EG 231)» (110).

O problema ecológico não é simplesmente uma questão de recursos técnicos, mas de uma nova cultura ecológica: um pensamento, um programa educacional, um estilo de vida e uma espiritualidade … A humanidade hoje mudou profundamente e a acumulação de novidades consagra uma transitoriedade que nos atrai para a superfície em uma única direção. Torna-se difícil de parar para recuperar a profundidade da vida … Ninguém quer voltar para as cavernas, mas precisa diminuir a marcha, à procura de sinais de liberação deste paradigma tecnocrático e ao mesmo tempo, recuperar os valores e grandes propósitos destruídos por um esagerado megalomaníaco (cf. 111 -114).

Perguntas:

O que è a tecnologia?

Que idéia você tem do “belo”, porque o Papa Francisco fala do belo?

O problema da gestão do poder não é um problema apenas de filme, é um problema que toca a todos nós: o que você acha?

O problema ecológico não é apenas um problema da poluição, é um problema da espiritualidade formada por uma ética sólida e uma cultura que realmente nos ensinar o senso do limite, do auto-controle para o bem comum.

Que estilo de vida você poderia começar a viver?

Quais pontos de referência para construir um estilo de vida renovado?

La radice umana della crisi ecologica. I

Scheda 4

L’attuale crisi trova le sue radici nel predominio tecnocratico attuale e nella concezione dell’uomo che da esso è derivato.

  1. «La tecnica esprime la tensione dell’animo umano verso il graduale superamento di certi condizionamenti materiali» (B XVI, CV, 69). La tecnoscienza, se bene orientata, è anche capace di produrre il bello. In tal modo, nel desiderio di bellezza dell’artefice e in chi quella bellezza contempla si compie il salto verso una certa pienezza propriamente umana (cf. 102ss).

Tuttavia non possiamo ignorare i pericoli nel gestire il potere del progresso (nelle sue dimensioni economica, tecnica, scientifica e sociale), normalmente in mano a poche oligarchie.

Si tende a cedere che «ogni acquisto di potenza sia semplicemente progresso, accrescimento di sicurezza, di utilità, di benessere, di forza vitale, di pienezza di valori» (R. Guardini), come se la realtà e il bene sbocciassero spontaneamente dal potere stesso della tecnologia e dell’economia. Il fatto è che «l’uomo moderno non è stato educato al retto uso della potenza» (Ib.) … ogni epoca tende a sviluppare una scarsa autocoscienza dei propri limiti… la libertà dell’uomo si ammala quando si consegna alle forze cieche dell’inconscio, dei bisogni immediati, dell’egoismo, della violenza brutale; … quando gli mancano un’etica solida, una cultura e una spiritualità che realmente gli diano un limite e lo contengano entro un lucido dominio di sé (105).

  1. Ma il problema fondamentale è la globalizzazione del paradigma tecnocratico. Se fino a ieri il progresso ha accompagnato la natura, oggi l’umanità ha assunto la tecnologia e il suo sviluppo insieme a un paradigma omogeneo e unidimensionale. Il problema non è la tecnologia in sé, bensì le conseguenze socioantropologiche che ne derivano. Certe scelte che sembrano puramente strumentali, in realtà sono scelte attinenti al tipo di vita sociale che si intende sviluppare. In questo modo la capacità di decisione, la libertà più autentica e lo spazio per la creatività alternativa degli individui sono ridotte. Siamo di fronte «a un dominio nel senso stretto della parola» (R. Guardini) (cr. 106ss).

«Non si è imparata la lezione della crisi finanziaria mondiale (la finanza soffoca l’economia reale) e con molta lentezza si impara quella del deterioramento ambientale» (109). La massimizzazione del profitto non è sufficiente. Il mercato da solo non garantisce lo sviluppo umano integrale e l’inclusione sociale (B XVI, CV 35).

«La specializzazione della tecnologia non permette uno sguardo d’insieme e i problemi, specialmente dei più poveri, non si possono risolvere senza tenere conto delle diverse aree del sapere, comprese la filosofia e l’etica sociale… nella realtà concreta che ci interpella, appaiono diversi sintomi che mostrano l’errore, come il degrado ambientale, l’ansia, la perdita del senso della vita e del vivere insieme. Si dimostra così ancora una volta che la “realtà è superiore all’idea” (EG 231)» (110).

Il problema ecologico non è semplicemente una questione di rimedi tecnici, bensì di una nuova cultura ecologica: un pensiero, un programma educativo, uno stile di vita e una spiritualità… L’umanità oggi si è modificata profondamente e l’accumularsi di continue novità consacra una fugacità che ci trascina in superficie verso un’unica direzione. Diventa difficile fermarci per recuperare le profondità della vita… Nessuno vuole tornare alle caverne, ma bisogna rallentare la marcia, guardare ai segni di liberazione di questo paradigma tecnocratico e la tempo stesso recuperare i valori e i grandi fini distrutti da una sfrenatezza megalomane (cf. 111-114).

Domande:

Cos’è per te la tecnologia?

Quale idea hai di “bello”, perché papa Francesco parla di bello?

Il problema della gestione del potere non è un problema solo da film, è un problema che tocca tutti noi: cosa ne pensi?

Il problema ecologico non è solo un problema di inquinamento, è un problema di spiritualità formata da un’etica solida e una cultura che realmente ci educhi al senso del limite, del dominio di sé per il bene comune.

Quale stile di vita potresti cominciare a vivere?

Quali punti di riferimento per costruire un rinnovato stile di vita?

Il Vangelo della creazione

Se si vuole veramente costruire un’ecologia che ci permetta di riaparare tutto ciò che abbiamo distrutto, allora nessun ramo delle scienze e nessuna forma di saggezza può essere trascurata, nemmeno quella religiosa con il suo linguaggio proprio… è un bene per il creato che noi credenti riconosciamo meglio gli impegni ecologici che scaturiscono dalle nostre convinzioni.

I racconti della Genesi indicano le tre relazioni fondamentali connesse: con Dio, con il prossimo, con la terra; ma anche la loro rottura: il peccato. L’armonia tra il Creatore, l’umanità e tutto il creato è stata distrutta per avere noi preso il posto di Dio, rifiutando di riconoscersi come creature limitate. Questo fatto ha distorto anche la natura del mandato di soggiogare la terra e di coltivarla e custodirla generando un conflitto. Per questo è significativo che l’armonia che san Francesco d’A. viveva con tutte le creature sia stata interpretata come una guarigione di tale rottura (66).

Il cristiano non ha il mandato di soggiogare, dominare il creato, bensì di «coltivare e custodire» il giardino del mondo, di vivere in relazione di reciprocità. Perciò è negata dalla Bibbia una proprietà assoluta della terra: il riposo del settimo giorno non è solo per l’uomo. Ogni creatura, voluta nel suo proprio essere, riflette, a suo modo, un raggio dell’infinita sapienza e bontà di Dio (cf. 70-74).

Dimenticare Dio come Padre, Onnipotente e Creatore porta l’uomo all’autodeterminazione, alla tirannia, alla distruzione (cf. 75).

Per la tradizione giudeo-cristiana, dire «creazione» è più che dire «natura», è dire atto d’amore, senso, relazione; è demitizzare la natura. Tornare alla natura significa averne cura con la nostra intelligenza, sapienza e umiltà (cf. 78). «I governanti delle nazioni dominano su di esse e i capi le opprimono. Tra voi non sia così; ma chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore» (Mt 20,25s) (82).

In forza di ciò tutto diventa segno della presenza di Dio, tutto diventa rispettabile, anche lo spazio geografico dove si fa esperienza di Dio: «Io mi esprimo esprimendo il mondo; io esploro la mia sacralità decifrando quella del mondo» (P. Ricoeur) (85); Laudato sie, mi’ Signore, cum tucte le tue creature, spetialmente messor lo frate sole…

Ma dicendo ciò non dimentichiamo che esiste una distanza infinita, che le cose di questo mondo non contengono la pienezza di Dio (88).

Le varie parti della natura, uomo compreso, sono in intima relazione tra loro. «Dio ci ha unito tanto strettamente al mondo che ci circonda, che la desertificazione del suolo è come una malattia per ciascuno, e possiamo lamentare l’estinzione di una specie come fosse una mutilazione» (89).

Però non può essere autentico un sentimento di intima unione con gli altri essere della natura, se nello stesso tempo nel cuore non c’è tenerezza, compassione e preoccupazione per gli essere umani… per questo si richiede una preoccupazione per l’ambiente unita al sincero amore per gli essere umani e un costante impegno riguardo ai problemi della società (91).

Ciò significa che non si può parlare di ecologia se non ci si preoccupa dei più svantaggiati. «Il principio della subordinazione della proprietà privata alla destinazione universale dei beni e, perciò, il diritto universale al loro uso, è una “regola d’oro” del comportamento sociale, è il “primo principio di tutto l’ordinamento etico-sociale”». La proprietà privata è legittima, ma su di essa grava sempre un’ipoteca sociale (93). Per questo i vescovi della Nuova Zelanda si sono chiesti cosa significhi “non uccidere” quando un «venti per cento della popolazione mondiale consuma risorse in misura tale da rubare alle nazioni povere e alle future generazioni ciò di cui hanno bisogno di sopravvivere» (95).

Il rapporto con la natura e i suoi beni è stato interrotto dal peccato, ma Cristo con la sua morte e risurrezione ha ristabilito la giusta armonia e ci ha donato lo Spirito di vita per ricostruirla con Lui (100).

Domande:

Scienza e fede in dialogo: quanto i tuoi studi possono contribuire a ricreare l’armonia con il creato?

Il settimo giorno, quanto facciamo riposare le cose, la natura, le persone?

L’incapacità di riposare porta all’autodistruzione, alla tirannia?

Hai mai ragionato sul valore, sull’inferenza sociale di ogni tua scelta (politica del portafoglio)?

Quante volte “uccidi” qualcuno con i tuoi consumi?

Approfitti dello Spirito santo che ti è stato donato per ricostruire?

Pellegrini per il clima

cop21-label_reduit_transparentPARIGI, 2015 novembre 28.

Si sono dati appuntamento ieri sera nella chiesa di Saint-Merry i trecento “pellegrini climatici” giunti a Parigi dopo aver percorso le strade di mezzo mondo. Alcuni hanno fatto migliaia di chilometri a piedi o in bicicletta, altri solo qualche tappa in automobile o in treno, ma l’importante era arrivare in tempo per la ventunesima Conferenza delle parti (Cop21) della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, in programma dal 30 novembre all’11 dicembre nella capitale francese. Ci sono gruppi provenienti dall’Italia, dalla Germania, da Scozia e Inghilterra, da Paesi Bassi e Scandinavia, dalle Filippine, dal Perú, dal Kenya. Fra essi c’è anche la delegazione della Federazione organismi cristiani di servizio internazionale volontario (Focsiv), partita da piazza San Pietro con il motto «Una terra. Una famiglia umana. In cammino verso Parigi».

Oggi a Saint-Denis — riferisce il Sir — insieme ai leader di diverse religioni i “marciatori per il clima” (come sono stati anche chiamati) consegneranno una petizione a rappresentanti dell’Onu e del Governo francese.

Ad accoglierli, ieri, a nome delle Chiese cristiane di Francia, Elena Lasida, docente all’Institut catholique de Paris e chargée de mission presso la Conferenza episcopale francese: «Siete venuti pellegrini climatici a Parigi per dire ai grandi della terra che l’umanità deve fare il possibile per salvare la terra. Noi vi accogliamo e uniamo la nostra voce alla vostra. Arrivate nel giorno in cui la Francia rende omaggio alle vittime degli attentati del 13 novembre. La vostra presenza qui è il segno della solidarietà con chi ha scelto la vita contro le forze della morte e della distruzione». Erano presenti all’incontro il vescovo di Le Havre, Jean-Luc Brunin, presidente del Consiglio famiglia e società, il vescovo di Troyes, Marc Stenger, presidente di Pax Christi France, e François Clavairoly, presidente della Federazione protestante di Francia. Al termine della cerimonia, si è pregato per le gravi conseguenze dei cambiamenti climatici e per le vittime del terrorismo in Mali e in Tunisia, a Beirut e a Parigi. I diversi rappresentanti dei gruppi hanno poi portato al centro della chiesa delle candele accese e si è data lettura del Cantico delle creature di san Francesco d’Assisi.

«L’incontro organizzato questa sera è per accogliere qui a Parigi i pellegrini provenienti da tutto il mondo. È la parabola dell’umanità in cammino che vuole prendere in mano il futuro», ha detto monsignor Brunin, sottolineando che «la loro presenza vuole essere un segno forte per chi sarà impegnato in questi giorni nelle negoziazioni per la Cop21, per dire loro che c’è un popolo che si è messo in marcia ed è preoccupato per l’avvenire del clima». Si spera che le negoziazioni facciano emergere l’impegno degli Stati per una reale inversione di tendenza. Il vescovo francese ha poi ricordato che da Nairobi «Papa Francesco ha lanciato un appello per dire che bisogna prendere con urgenza delle decisioni perché sono le popolazioni più povere a essere le prime vittime del cambiamento climatico. Una situazione — ha continuato il presule — di cui sono responsabili i Paesi ad alto sviluppo e inquinamento. C’è dunque un’ingiustizia sulla terra. È per questo che i pellegrini che sono qui chiamano alla giustizia climatica. È urgente che i leader politici ascoltino la loro voce e prendano decisioni vincolanti prima che sia troppo tardi».

In vista della riunione di Parigi la Commissione degli episcopati della Comunità europea (Comece) ha pubblicato un rapporto sulla protezione del clima, redatto da cinque esperti. Alla vigilia della Cop15 di Copenaghen, nel 2009, «tutti speravano in un accordo vincolante, che sostituisse il Protocollo di Kyoto», ma «quella speranza non si è concretizzata» e «poco o di fatto nulla è cambiato da allora», si legge nel dossier. Oggi però c’è una «speranza prudente» per il possibile raggiungimento di un «accordo vincolante che permetta di limitare l’aumento delle temperature medie mondiali a un massimo di 2 gradi rispetto al periodo pre-industriale». L’ostacolo più grande è «l’enorme divario tra Paesi ricchi e poveri e il ruolo particolare delle nazioni emergenti», elementi che richiedono l’adozione di misure specifiche. Riprendendo l’enciclica di Papa Francesco Laudato si, la Comece rilancia l’appello per una «conversione individuale» e una «conversione strutturale, a livello politico, economico e sociale».

Da domani, domenica, si pregherà per il clima in molte chiese nel mondo. Anche in Argentina, dove la Commissione giustizia e pace dell’episcopato ha invitato i fedeli a speciali momenti di raccoglimento durante la messa.

(Osservatore Romano)

The richness of the infinitely small

The richness of the infinitely small

The man has long acted as if natural resources were inexhaustible. We now know that this is not the case! If we are to ensure the living conditions of future generations, it is necessary to conduct today active preservation policies.
In the plant kingdom, they pass through both the preservation of the biodiversity of species and their environment, and by developing seed banks to conserve genetic resources.
The major challenge of this century will be to feed and ensure decent living conditions for a population growing exponentially: the FAO (United Nations Food and Agriculture) provides as well as the world population could s increase to two billion by 2030! This demographic explosion is accompanied by an intensification and agricultural standardization; urban development is carried out to the detriment of natural or agricultural areas. All these factors have resulted in the regression of plant genetic resources. But each genetic resource is alive, his loss is irreparable.
The richness of the infinitely small makes the richness and strength of our world, let us take conscience and act now!

Nicolas Legrain

Presentazione dell’enciclica Laudato sì / 2

La realtà cui si rivolge Laudato si

Un metodo cristiano, che segue dal Concilio Vaticano II è quello di ascoltare il mondo prima di offrire delle proposte di soluzione; certo è un cammino più lungo, ma è il metodo di Dio che ha mandato il suo Figlio per imparare la lingua degli uomini così da poter insegnare a questi la sua lingua.
La nostra tradizione barnabitico/zaccariana potrebbe dirci: forte della tua conoscenza di Cristo impara a conoscere la quotidianità dell’uomo per condurlo a Cristo.
Il dato di fatto è la velocità dei cambiamenti socio/culturali che contrastano con la naturale lentezza del tempo biologico, dell’universo e della persona. Cioè la nostra mente è più lenta del correre del mondo.
A seguito dei drammi e dei disagi apportati dalla fiducia irrazionale nel progresso, siamo invitati a «prendere dolorosa coscienza, a osare di trasformare in sofferenza personale quello che accade nel mondo, e così riconoscere qual è il contributo che ciascuno può apportare» (19).
Questo primo capitolo vuole analizzare, anche con informazioni dettagliate, le disfunzioni ecologiche del pianeta tenendo presente due costanti ineludibili riferimenti: il bene comune e l’uomo, specialmente il povero. Non basta parlare di ecologia se non si tengono continuamente presenti queste due coordinate, anche perché finanza e tecnologia agiscono volontariamente dimenticandole!
Se la natura ha un «modello circolare di produzione», la finanza e la tecnologia hanno invece come unico dogma il «modello dello scarto», della spazzatura! (22).
Da ciò ne conseguono tutti i problemi di cambiamenti climatici che però ancora non hanno portato «a prendere coscienza della necessità di cambiamenti di stili di vita, di produzione, di consumo» (24), una mancata coscientizzazione che si rivolta sui paesi più poveri!
Il problema dell’acqua! Il mancato accesso all’acqua potabile, il generarsi di conflitti legati all’oro blu!
Il problema della perdita delle biodiversità! «Per causa nostra, migliaia di specie non daranno gloria a Dio con la loro esistenza né potranno comunicarci il proprio messaggio. Non ne abbiamo il diritto» (33).
«Se teniamo conto del fatto che anche l’essere umano è una creatura di questo mondo, che ha diritto a vivere e a essere felice, e inoltre ha una speciale dignità, non possiamo tralasciare di considerare gli effetti del degrado ambientale, dell’attuale modello di sviluppo e della cultura dello scarto sulla vita delle persone» (43).
Pensiamo all’urbanizzazione selvaggia e alle isole verdi per ricchi! «A questo si aggiungono le dinamiche dei media e del mondo digitale, che, quando diventano onnipresenti, non favoriscono lo sviluppo di una capacità di vivere con sapienza, di pensare in profondità, di amare con generosità… non dovrebbe stupire che insieme all’opprimente offerta di tanti prodotti, vada crescendo una profonda malinconica insoddisfazione nelle relazioni interpersonali, o un dannoso isolamento» (47).
«Vorrei poi osservare che spesso non si ha chiara consapevolezza dei problemi che colpiscono particolarmente gli esclusi» (49). Per affrontare questo problema non basta indurre a una riduzione della natalità o incolpare l’incremento demografico e non il consumismo estremo e selettivo di alcuni! Dimenticando lo spreco alimentare e la distribuzione dei rifiuti! (cfr. 50.51).
Come denunciamo il debito economico, altrettanto dovremmo denunciare il debito ecologico e risolverlo! Dobbiamo rafforzare la consapevolezza che siamo una sola famiglia umana! (cf. 52).
«Mai abbiam maltrattato e offeso la nostra casa comune come negli ultimi due secoli. Siamo invece chiamati a diventare strumenti di Dio Padre perché il nostro pianeta sia quello che egli ha sognato nel crearlo e risponda al suo progetto di pace, bellezza e pienezza. Il problema è che non disponiamo ancora della cultura necessaria per affrontare questa crisi e c’è bisogno di costruire leadership che indichino le strade…» (54).
Attenzione al pericolo di credere che tutto ciò sia falso con la conseguenza di riuscire a prendere decisioni coraggiose.

Domande:
Hai mai provato la sensazione di una vita, di un corpo che corre troppo veloce, rispetto al tuo pensare, amare, ridere, piangere… ?
Quali realtà del mondo ti fanno soffrire?
Il bene comune è uno dei tuoi valori nelle scelte quotidiane?
Hai compreso la differenza tra “modello circolare” e “modello scarto”? Quale modello segui?
n. 47: Cosa ne pensi rigurdo l’affermazione che la forte comunicazione tecnologica odierna ha portato a una malinconia delle relazioni?

Preferisci un consumismo esasperato o la riduzione della natalità?
Sei tu o sono gli altri che trattano male il pianeta?
Quanto operi per rendere più bello il mondo?
La questione ecologica è un falso problema? 60s