Per le strade

La strada, non una strada qualsiasi, anzi le strade è la caratteristica dei Magi che vanno a Betlemme. Oggi, ma non è proprio così, si chiude il tempo del Natale, con questa immagine tra il fantastico e il romantico. Ma non è questa la strada che ci vuole tracciare il Dio fatto bambino a Betlemme e uomo, dopo 33 anni, a Gerusalemme.
La strada che un credente è chiamato a percorrere è quella dell’innamorato, è quella del costruttore di Pace – lo dicevano a Natale e al 1 gennaio, è quella del cercatore della verità – lo diciamo oggi.
I Magi non sono degli abitudinari, sono degli Innamorati della vita e forse diventeranno innamorati di questo Dio fatto bambino. Ma Dio non si formalizza, Lui è tanto innamorato di ognuno di noi che si “accontenta” che noi ci innamoriamo della Vita, della Pace, dell’Umanità. D’altra parte nel racconto dei Magi non si dice il nome di Dio: Gesù, ma semplicemente “videro il bambino con Maria sua madre”. Il volto di questo bambino è il volto dell’Umanità.
Un cristiano innamorato è un cristiano che si sa inginocchiare davanti al volto di questa umanità offrendo i propri doni: ognuno quelli che ha! Anche i propri peccati – parola desueta!
Siamo innamorati o abitudinari?
L’innamorato è colui che è sempre in ricerca sulle strade della Vita; è colui che conosce il rischio di poter sbagliare strada; è colui che non si assoggetta al potere ma sa distinguerlo tra vero e falso; è colui che adorare, contemplare perché la verità non è un veloce messaggio: richiede tempo e profondità. L’innamorato è colui che non cerca il nulla, l’ignoto, ma un volto; è colui che supera l’individualismo ma si affida ad altri e dona fiducia ad altri. I Magi non erano 1, forse 3, forse di più. Uomini e donne che hanno imparato il rischio della fiducia reciproca.
Concludo con le tre citazioni che mi hanno accompagnato in queste feste di Natale:

«Ci vuole coraggio per camminare, per andare oltre. È questione di amore. Ci vuole coraggio per amare… La fatica, oggi, è quella di trasmettere passione a chi l’ha già persa da un pezzo. A sessant’anni dal Concilio, ancora si dibatte sulla divisione tra “progressisti” e “conservatori”, ma questa non è la differenza: la vera differenza centrale è tra “innamorati” e “abituati”. Questa è la differenza. Solo chi ama può camminare.» papa Francesco.
«Com’è possibile che in ogni ambito si studino teorie e pratiche innovative, mentre la violenza rimane l’unico, arcaico mezzo per risolvere i conflitti fra gruppi, popoli, nazioni?
Com’è possibile che manchino sempre le risorse per la salute, l’istruzione, la lotta alla povertà o al cambiamento climatico, mentre i soldi per le armi si trovano sempre, persino nei paesi più disastrati? Cercare la pace interiore non significa pacificare la nostra coscienza. La pace può e deve convivere con l’inquietudine, col dubbio, con le domande che danno senso e sapore all’esistenza.» Don Luigi Ciotti
«Poi gli offriamo i nostri doni: l’oro, cioè la libertà (la cosa più preziosa che hai), la decisione di giovarti col segno. L’incenso, cioè la preghiera – la Messa, le lodi, i canti… – e la mirra. E questo è il dono più difficile; perché è il sacrifico, l’offerta, il dono di sé.» Angelo Scola, vesc.

La baraonda informativa

La baraonda dell’informazione

Le opportunità di avere molta informazione e la baraonda che ne deriva è un tema sentito dai diversi giovani. I giovani che ho incontrato in questi giorni di preparazione al Natale ne sono ben consapevoli. Sanno che oggi sapere tante cose, conoscere quello che succede in tanti paesi lontani dall’Italia è una opportunità per sentirsi di più cittadini del mondo e ciò è bello. Però il numero enorme di notizie è anche faticoso da sopportare, perché sono troppe per le nostre capacità elaborative, perché non sempre sono approfondite. Il fatto poi che molte, quasi tutte le notizie, siano lanciate on line, siano visibili agli occhi e non udibili dalle orecchie non migliora la situazione.
Allora il monito di san Paolo non adattatevi alla mentalità di questo mondo, il Signore non guarda l’apparenza ma il cuore è molto adatto per affrontare questa situazione. Proprio di fronte all’informazione non possiamo fermarci alla superficie, dobbiamo andare in profondità, non possiamo fidarci della grida di questo o di quello ma cercare il vero anche se ciò costa fatica. C’è una democrazia dell’ignoranza che impera e che siamo chiamati, come credenti a fermare. E su questo i social, che pure sono utili per molti ambiti dell’informazione, ci avvelenano: ci impediscono di pensare senza essere pensati, di pensare in libertà. Ci impediscono di coltivare la pazienza della ricerca anche per noi “comuni mortali”. La pazienza, l’attesa, la ricerca, la soglia di attenzione sono il problema principale dei nostri giovani. Ma ciò è anche colpa nostra: che non riusciamo più a gestire la pazienza, il tempo necessario per operare ciò che la vita ci chiede; che non siamo più capaci di farci vedere “disconnessi” dai nostri figli.
Non adattatevi alla mentalità di questo tempo. Fate digiuno, almeno intermittente, del vostro smartphone, del vostro pc. Abbiate il coraggio di restare “off” quando cenate o quando siete insieme: arriverà il silenzio? Dopo il silenzio arriverà la parola.
Guardate al cuore non all’apparenza. Riprendere in mano un libro, uno spartito. Non andate a manifestare con gli slogan degli altri, scrivete i vostri: pazienza se non fanno like, se non vanno in trend topic. Non è vero che hanno tutti ragione, che non c’è niente da insegnare a nessuno. C’è moltissimo da insegnare, ad avere la buona sorte di trovare maestri. C’è moltissimo che resta da capire.
Nel vostro quartiere c’è ancora una edicola? approfittatene, comprate un quotidiano; lo leggerete il giorno dopo? Non importa. Fate riscoprire ai giovani le dita sporche dell’inchiostro della stampa, il fruscio della carta. Aiutate a capire che una edicola è una opportunità per un quartiere, è una opportunità di relazione. Insegnate loro, e forse un poco anche a voi, che il cristiano non vive fuori della Storia, ma nella Storia di tutti gli uomini e in quella Storia le mani se le vuole sporcare.
Perché sporcarsi le mani? Perché così ha fatto Jahweh almeno due volte: quando ha plasmato l’uomo e la donna, quando ha mandato il suo Figlio in mezzo a noi. Anzi continua a sporcarsi le mani attraverso l’azione continua dello Spirito santo tra di noi.
Giorgio Montini, padre di Giovanni Battista nonché Paolo VI, era direttore del Giornale di Brescia che il regime fascista fece chiudere assaltando e distruggendo la tipografia perché faceva pensare!
Lorenzo Milani, del giornale fece la scuola principale dei suoi allievi.
David Sassoli, del suo giornalismo fece un servizio alla politica dell’Europa. «Il periodo del Natale – scriveva nel suo ultimo augurio – è il periodo della nascita della speranza e la speranza siamo noi quando non chiudiamo gli occhi davanti a chi ha bisogno, quando non alziamo muri ai nostri confini, quando combattiamo contro tutte le ingiustizie. Auguri a noi, auguri alla nostra speranza.»
Le opportunità informative oggi sono fortunatamente tante, ma la qualità delle notizie dipende da noi “consumatori”, non dimentichiamolo.

105 solo in 11 mesi

105
Questo è il numero delle donne uccise solo quest’anno 2023, e non è ancora finito!
Donne a cui la vita è stata strappata da uomini che dicevano di amarle, da padri che giuravano di proteggerle e da sconosciuti che credevano di avere il diritto di fare ciò che volevano con il loro corpo.
“Non tutti siamo così, non tutti siamo mostri” questa è la frase che nell’ultimo periodo sta circolando; una frase semplice uscita dalla bocca di uomini che vogliono prendere le distanze da tutta la violenza che ci circonda.
Tutti siamo coinvolti perché non si parla di persone che impazziscono e commettono atrocità; si parla di persone normali con una vita normale che però non capiscono un NO, non capiscono il RIFIUTO, una ROTTURA.
C’è chi colpevolizza le vittime perché “non ci si presenta mai all’ultimo appuntamento” oppure perché: “poverino lui era geloso perché l’amava tanto”, “lei avrebbe dovuto aiutarlo”, “era ubriaca e l’ha provocato”, “era una bambina provocante”.
C’è bisogno di educare le persone al rispetto reciproco facendo capire che amore e possesso sono due cose diverse, che se si ama qualcuno non deve mai esserci violenza, che se una persona dice NO bisogna rispettare la sua scelta e non superare mai il limite. Per educare bisogna iniziare dal principio, da quando si è bambini insegnando il rispetto, ma anche che la violenza non è mai la soluzione, con delle lezioni diverse a seconda dell’età e ovviamente dando l’esempio per primi.
Non sarà mai un mondo senza violenza, ma la speranza di poter vivere la mia vita senza paura è il mio sogno nel cassetto.

Martina C. – 3les Bologna

Chiese vuote… di giovani?

Le chiese sono vuote, di giovani (ma non solo).
La colpa è della Chiesa che non parla più di Cristo bensì di sole cose mondane.
I giovani hanno bisogno di Cristo non di cose mondane.
Lasciamo le necessarie cose del mondo al mondo.
I giovani scansano le chiese perché la Chiesa vuole fare da maestra in tutto non sapendo più parlare di Cristo.
Queste sono alcune delle riflessioni che molti credenti fanno alla realtà ecclesiale attuale. In particolare provo a rispondere a Matteo Matzuzi che sabato 18 novembre scriveva su IlFoglio un testo dal titolo Ite Missa Est proprio su questo tema.
Certo, ognuno ha le sue competenze, i propri ambiti di azione, ma i vari ambiti oggi più di ieri sono così interconnessi tra loro e sollecitano delle risposte anche morali.
Già Paolo VI, che non è l’ultimo arrivato, diceva che il credente deve avere su una mano il Vangelo e sull’altra il giornale, perché il vangelo è fatto per il mondo e il cristiano deve conoscere il mondo. Il Vangelo è la lampada da porre in cima al monte perché illumini le città degli uomini. Per illuminare il mondo è necessario conoscerlo.
E poi Dio si è fatto uomo in Gesù non per hobby, bensì “per conoscere” la storia degli uomini, perché gli uomini conoscessero la sua storia.
Non si può dare una fede senza il mondo e viceversa. Forse per troppo tempo si è voluto lasciare il mondo fuori dalle porte delle chiese, come fosse qualcosa di solamente cattivo, maligno e si è persa la capacità di comunicare.
Il problema non è parlare di Cristo, bensì scalfire l’indifferenza all’incontro con la persona Cristo. Questo perché l’apatia, l’indifferenza e l’individualismo della nostra società ormai sono all’apice del ben vivere: se già chiedere di incontrare l’uomo è una sfida, chiedere di incontrare l’uomo Cristo lo è ancora di più.
Non si può non parlare del mondo, perché il mondo tutto è stato ricapitolato in Cristo, perché ogni più piccolo granellino di sabbia o filo d’erba trovano il loro senso in Cristo! Certo il rischio di confondere l’ecologia con l’escatologia è alto, ma sempre è stato così. La sfida è far capire che l’ecologia senza escatologia diventa ideologia.
Forse non tutti sanno che l’escatologia è la conoscenza e l’esperienza del Paradiso; è lasciarsi guidare dalla luce e della realtà del Paradiso per dare direzione, significato e sapore all’ecologia non solo dell’ambiente, ma di ognuno di noi. Si può vivere la storia con tutte le ottime intenzioni ma solo nel presente. Si può vivere la storia con la prospettiva futura che dona continuamente speranza e forza nel presente.
Le chiese sono vuote non perché la Chiesa parla troppo del mondo e poco Cristo, bensì perché non ha ancora ritrovato quella capacità di parlare del mondo come segno della rivelazione di Cristo aperto alla luce di Cristo.
D’altra parte non è proprio il Concilio Vaticano II a scrivere: le gioie e le speranze, i dolori e le angosce degli uomini di oggi sono anche le gioie, le speranze, i dolori e le angosce dei discepoli di Cristo?
«Non so, mi scrive F., se dire le cose del mondo porti a oscurare Gesù, anche perché la religione insegna valori umani assolutamente condivisibili: fratellanza, rispetto… Quindi per forza bisogna trattare le interazioni umane che, diciamo, sono una manifestazione più diretta e visibile della Rivelazione».

La luce del Vangelo illumina davvero?

Sebbene qui faccia buio tardi e potrei rispondere affermativamente, lo stile gotico della maggioranza delle chiese indurrebbe a una risposta negativa.

Poca luce quindi poco calore? Per quanto Stato e Chiesa si sforzino di riscaldare queste enormi cattedrali, farà sempre freddo in una chiesa francese.

Dove mi trovo? Nella regione Grand Est, dipartimento della Marna, città di Reims, valle circondata dai vigneti dello Champagne e annoverata nelle cronache d’Oltralpe per il battesimo di Clodoveo e le consacrazioni dei re di Francia, che avvenivano nella cattedrale locale. Perché proprio qui? Per studiare scienze politiche in un campus internazionale.

Com’è la vita di un cristiano in Francia? 

Anche se il rischio è di scrivere un diario di bordo, proverò a raccontare il tutto seguendo un po’ le emozioni e le suggestioni susseguitesi dal primo anno agli inizi di questo nuovo anno. Per cominciare, devo ammettere che tutti i miei incontri ed esperienze di Chiesa qui hanno avuto una connotazione piuttosto provvidenziale.

Mi spiego meglio. Ho iniziato ad andare a messa quasi per scommessa, in una stagione della mia carriera da studente che si sarebbe rivelata molto dura e in un periodo tutto nuovo della mia vita. Lontano da casa, in un luogo in cui persino la lingua parlata per strada o a scuola deve essere messa in discussione, ci si sente sempre messi alla prova. Pensavo di trovare una celebrazione normale, posata, che mi restituisse il sapore della tipica domenica in oratorio, poi tutti a casa, baci e abbracci.

Pas du tout! Per niente, direbbero loro. Entro in una chiesa gremita di giovani alle 19.00, ed esco da una chiesa gremita di giovani alle 20.45, sbalordito da quanto si potesse “allungare” facilmente una messa! Mi ero reso conto di essere finito nella chiesa accanto all’università dedicata ai giovani guidata da un parroco spaziale, che presto è diventato mio amico. Col tempo, ho notato che all’interno della comunità la curiosità verso il prossimo costituiva un carattere distintivo. Mi sono reso conto, soprattutto grazie al gruppo scout con cui svolgo attività quassù, che, in contrasto con quello che si dice su di loro, i francesi sono di natura curiosi, giocherelloni e grandi provocatori nei confronti del “diverso”, sempre pronti a mettersi in discussione, mai però tentennando su nessuno dei loro punti fermi. Conscio di ciò (avendolo imparato a mie spese!), posso dire che lo scambio con coetanei, adulti, cristiani, insomma “cugini di oltralpe” non può che essere fruttuoso.

Ma torniamo a noi. Messa lunga eppure densa di importanti spunti da portarsi a casa. Qui in Francia, infatti, cantano molto di più. Il canto, sia collettivo sia del celebrante, grazie alla singolare musicalità della lingua, aiuta a scandire le parole della liturgia nella testa e contribuisce a creare un’atmosfera intima, che senza dubbio favorisce la preghiera. Un tipo di preghiera che non avevo mai vissuto in maniera tanto forte quanto adesso: il pregare con il cuore, rivolto alla tua stessa dimensione interiore. È proprio vero, quando “leggi” le cose abituali con un altro tipo di occhiali, in questo caso un’altra lingua, esse diventano straordinarie e il loro significato si rinnova. In Italia non ho mai visto tanta gente inginocchiarsi a pregare, chiudere gli occhi così intensamente, comunicarsi [prendere l’Eucaristia] in ginocchio, ma allo stesso tempo condividere la fraternità, aprirsi alla novità, vivere con la Chiesa al centro. Famiglie intere di Francesi, infatti, sono molto legate alla loro fede e al loro intimo modo di esprimerla. Ormai, riconosco a prima vista una famiglia cattolica.

Esagerato! Potreste dire. Certo, la mia analisi è senz’altro superficiale e il fenomeno avrebbe bisogno di una trattazione più ampia e di più righe (soprattutto in uno Stato dove il principio della laicité è interpretato ben diversamente). Tuttavia, è indubbio che la Chiesa francese stia affrontando un periodo storico diverso da quello italiano, che noi non riusciamo nemmeno ad immaginare.

Se il problema della carenza di vocazioni, infatti, da noi è percepito ma non sentito, in Francia stanno già correndo ai ripari, incrementando ad esempio le responsabilità dei laici: sono numerose le reti, per esempio, di pastorali universitarie e giovanili, associazioni di volontariato, sportive, culturali, benefiche di ispirazione cristiana, tutte piccole ma incredibilmente feconde. Se in Italia il problema degli abusi ci fa male ma non ci ha toccati nel profondo, qui in Francia l’argomento è ancora scottante e le ferite non sono ancora state del tutto cicatrizzate. Il presidente della Conferenza Episcopale Francese, proprio l’arcivescovo di Reims, è tuttora impegnato nel risolvere i problemi sociali e le conseguenze generali del fenomeno sulle diocesi e sulle parrocchie, completamente allineato con il pensiero di Papa Francesco.

Su questi temi, per quanto vicina, la Francia è da considerare un universo a parte. Alla luce di quanto detto, una persona potrebbe domandarsi se le chiese si stiano svuotando, come sta succedendo da noi. Pas du tout! Di nuovo, risponderebbero loro. “Pochi ma buoni”, infatti, i cristiani francesi si rimboccano le maniche, urlano dai tetti la loro presenza, riempiono le chiese, gli eventi nazionali e internazionali. Ho avuto modo di notare che nei momenti di preghiera, nella vita di tutti i giorni, per queste poche persone, si tratta di una questione di identità, di radici e di tradizioni. Certo, la fede dei Padri è tale per tutti e ci riunisce, ma il loro modo di viverla consiste nel mettere genuinamente Dio al centro e nell’essere capaci di distinguere fra ciò che Lo riguarda e ciò che riguarda il nostro passaggio sulla Terra, servendosi spesso di momenti per “fare deserto”.

Numerose sono infatti le occasioni di formazione per gli adulti e per i giovani; questi ultimi, instancabilmente inseriti nelle loro parrocchie, gruppi e comunità, si pongono domande di senso legate all’età, lasciandosi pur sempre illuminare, nell’intimità, dalla Luce del mondo che irradia attraverso la preghiera.

Che sensazioni bizzarre, che esperienza diversa, straniante! Questa esperienza in Francia mi sta aiutando ad “aprire sempre di più le braccia” per andare incontro al Padre, ma anche a me stesso e agli altri.

Per quanto distanti, ma allo stesso tempo vicini, ritengo che i cristiani francesi siano un esempio a cui guardare, per apprezzare le tipicità e il carisma di una comunità che mette in primo piano il fare silenzio e il pregare il Padre nel segreto, senza però mai prendere la lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere, affinché irradi la luce a tutti quelli che sono nella casa.

Elia Q. – (Grosseto) attualmente a Reims

AZZARDO QUESTO CONOSCIUTO

Cosa ha spinto i calciatori a scommettere? Detta così sembra una domanda retorica ed inutile perché i calciatori hanno tutto: soldi, fama, donne… eppure come se non bastasse hanno voluto provare l’ebbrezza di scommettere. Penso però che il giocatore (in quanto giocatore d’azzardo) non vuole giocare d’azzardo per arricchirsi o perché ha bisogno di soldi facili, bensì perché vuole provare l’emozione di aver battuto il banco. Ovvero quella “persona” che non perde mai. O quasi. Si inizia a giocare da giovani, per noia, passatempo, capriccio e pian pianino, se non si è bravi a dosarsi, diventa una vera e propria ossessione. I ragazzini cominciano a giocare pochi spicci al videogame di un bar e le prime volte, magari, vincono. Successivamente, l’eccitazione della sfida e l’illusione di facili guadagni li spinge a continuare il gioco nelle ricevitorie o addirittura in siti online, rubando prima i dati sensibili ai genitori e poi iscrivendosi alle piattaforme. Una droga che ti prende il cervello e non ti lascia pensare ad altro. Ti rende ridicolo e cieco di vedere comportamenti bizzarri e alquanto superstiziosi. Non riesci a scindere i problemi della vita vera da quello che dovrebbe essere un gioco. È un problema che è in aumento e secondo me questo è dovuto al fatto che al giorno d’oggi i ragazzini vivendo nell’era digitale e avendo sempre in mano uno smartphone o un tablet crescono più in fretta, conoscono più cose e sono più sgamati.
In queste settimane si è parlato tanto, forse troppo, di Fagioli e Tonali che da calciatori hanno scommesso su partite di calcio. Ai professionisti non è negato il gioco d’azzardo purché sia legale, su piattaforme legali (per intenderci quelle che vediamo in tutte le pubblicità e/o sponsor di eventi) e non su eventi sportivi rientranti nelle federazioni quali FIGC, UEFA e FIFA. Inoltre, la grande differenza con il passato è che loro hanno scommesso, fino a quello che sappiamo oggi, solo per proprio interesse personale senza commettere eventuali illeciti sportivi e/o combinare partite. È una finezza particolare che però molti media non tengono a precisare tanto da far passare i due calciatori come coloro che si sono venduti le partite, come successo anni fa.
Detto ciò, cosa ha spinto due calciatori a scommettere ed essere definiti dai giornalisti ludopatici? Come riportato dalla Rai nell’intervista mandata in onda durante “Avanti Popolo” ai dirigenti del Piacenza calcio (squadra in cui sono cresciuti Fagioli e Tonali), gran parte del problema sta nei soldi. I calciatori guadagnano troppo fin da giovane. Infatti, se un calciatore guadagnasse 1.000 – 2.000 euro al mese, tolte le spese delle bollette e altro, non gli rimarrebbero molti soldi da investire in schedine e slot machines. Di certo, se anziché 1.000, la giovane promessa ha una busta paga 10 volte superiore la situazione si complica drasticamente e di conseguenza anche le eventuali, se non quasi certe, perdite che accumulandosi diventano debiti. Poi però c’è anche una sorta di abbandono. I giocatori nelle giovanili sono spesso soli, i loro compagni al di fuori del calcio hanno una vita normale e lo stesso vale per le ragazze che frequentano. Di conseguenza, non hanno modo di vivere una vita normale di un adolescente e questo può portare a stare in casa, su internet e scoprire siti illegali e non dove con poco ci si può registrare e scommettere. Bisognerebbe che questi ragazzi venissero educati dal principio, dai primi stipendi con l’aiuto di tecnici per capire come gestire i guadagni. Anche solo far capire loro che non tutti hanno quella possibilità economica, che, ad esempio, 10.000 euro è quasi metà stipendio annuale medio di una persona. In fin dei conti questi calciatori sono nel bene o nel male ignoranti del settore. Negli USA questa formazione c’è già da qualche anno. In NBA, infatti, girano cifre molto più grosse di quelle calcistiche italiane ed europee, tant’è vero che le squadre sono corse subito a investire nell’educazione finanziaria dei propri giocatori.
Forse, tra tutte le cose che prendiamo dall’America, questa potrebbe veramente salvare molte persone giovani e non solo.
Marco C. – Milano

BARBIE un film per adulti nonostante il nome

Qualche settimana fa, verso i primi giorni di agosto, sono andato al cinema per vedere Barbie; nuovo film di Gerwig che racconta l’epopea della bambola Mattel alle prese con pensieri di morte e femminismo. Nonostante il film fosse uscito da ormai diversi giorni, la sala, in un mercoledì sera, era lo stresso gremita di persone, fra cui moltissimi ragazzini e ragazzine, vestite per lo più di rosa. Il pubblico non era certo il solito depresso di una serata qualunque di agosto in Milano, le persone erano ben felici di essere presenti e trepidanti di iniziare la visione che vedeva come protagonista Margot Robbie e Ryan Gosling nei panni rispettivamente di Barbie e Ken.
La trama è molto semplice, siamo nel mondo Barbie e Margot Robbie che interpreta la bambola stereotipo (bionda e occhi azzurri) viene assalita da pensieri di morte e altre situazioni che la portano presto a confidarsi con Barbie Stramba la quale le consiglia di andare nel mondo reale. Barbie va quindi nel mondo reale accompagnata da Ken. Qui la sceneggiatura regge grazie a diverse trovate divertenti e gag di Gosling, su tutte quando chiede a Barbie di dormire insieme senza un apparente motivo. Poi ancora, il film presenta diversi balli, canti e altre battute giocate sui luoghi comuni e infine la scoperta di Barbie che il suo femminismo non ha influenzato il mondo degli umani, anzi! Nel mondo comandano solo gli uomini.
In questo film ci sono però diversi snodi importanti e svariate incoerenza di sceneggiatura che non tolgono il divertimento e le riflessioni sulla contemporaneità. Andiamo con ordine.
Il motivo con il quale Barbie viene richiamata nel mondo reale è molto macchinoso. Il film Barbie è costato meno di 150 milioni di dollari, ma le sceneggiature in quella parte lasciavano molto a desiderare. Secondo, c’è stata troppa pubblicità. Anzitutto con Mattel, che è legittima in quanto ha prodotto il film con Warner Bros, ma il culmine si è raggiunto con il noto brand tedesco che produce sandali unisex. Non è un caso che le azioni della Birkenstock siano schizzate alle stelle dopo il primo giorno del film. Infine, sempre a mio avviso, il film dal punto di vista della sceneggiatura aveva delle lacune anche in base al contesto nel quale i personaggi si trovavano. Nel mondo Barbie mi va bene che i personaggi fluttuino, ci siano passaggi segreti e altro, ma nel mondo reale non l’ho trovato molto carino. Come non ho trovato molto carino utilizzare lo stereotipo dell’uomo che ama soltanto il cavallo (forza), la palestra (bel fisico) e la carriera (soldi) per descrivere i Ken. Dal film quasi tutti i Ken sembravano avere un alto tasso di deficienza, nel senso che sembravano tutti dei bambini in corpi di adulti.
Tutte queste cose, in un film con un gran bel potenziale, non mi sono sembrate sposarsi bene con il bel messaggio che Greta Gerwig voleva lasciare. Ovvero quello che la multiculturalità diventi la normalità. Non mi sono sembrate sposarsi bene perché ha rischiato uno di non farsi capire da tutti, magari sopravvalutando il suo target (ricordiamo che in sala c’erano e ci saranno molti bambini) e due perché è andata un po’ a screditare i Ken facendoli passare per bamboccioni cadendo nello stereotipo dell’uomo medio. Infatti la prova del nove, l’ho avuta quando fuori dalla sala ho sentito bambini chiedere ai propri genitori di spiegare dei passaggi e soprattutto chiedere se gli uomini fossero sempre cattivi. Probabilmente il bambino aveva paura di crescere come i Ken.
Il successo del film mostra però che il cinema, nonostante quel che si diceva qualche anno fa durante il Covid, non è morto e le sale si riempiono anche nelle sere di mezza estate. Bisogna però produrre film che portano le persone al ragionamento e non solo film commerciali privi di messaggi.
Marco C. – Milano

“Itañolo” o “espaliano”

Hablar en “itañolo” o en “espaliano” no fue gran dificultad para entendernos y para llevar adelante un espacio de colaboración y de servicio; por ello habiendo transcurrido algún tiempo desde el campamento “Mérida Adelante 23” podemos poner en la balanza muchos momentos de alegría, de colaboración y de motivación para futuros encuentros.
Hace más de un año qué se pensó en esta aventura poniendo en la balanza tanto los pros y los contras que nos llevaron a realizarla, dejando en el corazón de organizadores y participantes un lindo recuerdo de una experiencia novedosa. Desde grandes urbes italianas hasta una ciudad enclavada en el profundo sur Mexicano, en los grandes territorios de tradiciones mayas: Desde ciudades arrasadas por la indiferencia y el agnosticismo hasta pueblos profundamente religiosos y espiritualizados, éstas y cada una de las diferencias no vinieron al caso en esta oportunidad, más bien se transformaron en complemento y en respuesta a las propias búsquedas, para darnos cuenta que más allá de dónde estemos y provengamos tenemos las mismas ansias e inquietudes.
Puertas y corazones abiertos fueron la tónica de esos días: la sencillez y trascendencia de la cultura mexicana ha sido una gran motivación para desplegar las propias fuerzas jóvenes. Cada uno ha vuelto a su realidad, pero con una carga anímica y espiritual que dará nueva luz a nuestras acciones y palabras.
Sonrisas, sudores y lágrimas forman parte de este tesoro que se llamó “Adelante Mérida 23”. Gracias al cielo y a cada uno de quienes lo hicieron posible. Por aquí en la Capilla del Carmen, cada gesto evoca los alegres momentos vividos. Pienso que son imágenes y flashes que vuelven cada tanto a nuestro ser. También el haber compartido experiencias, viajes y comidas con los padres Barnabitas ha sido un enriquecimiento mucho. Hubo programación previa, pero se debió hacer improvisaciones de ultimo minuto que no afectaron el esquema de trabajo.
Me quedo con el entenderse y complementarse de ambos grupos. De la vida compartida, por quince días, con la familia que albergó al grupo italiano. Las diferencias culturales no fueron obstáculo, mas bien primó el buen ambiente, amistoso y de respeto por lo que cada uno podía dar.
Imago Mundi

Parlare in “itañolo” o “espaliano” non è stata una grande difficoltà per capirsi e svolgere uno spazio di collaborazione e servizio; quindi, essendo trascorso qualche settimana dal campo “Mérida Adelante 23”, possiamo mettere in bilico molti momenti di gioia, collaborazione e motivazione per i futuri incontri.
Più di un anno fa si pensava a questa avventura guardando sia i pro che i contro che poi ci hanno portato a realizzarla, lasciando nel cuore degli organizzatori e dei partecipanti un bel ricordo di un’esperienza inedita. Dalle grandi città italiane a una città incastonata nel profondo sud messicano, nei grandi territori delle tradizioni Maya: dalle città devastate dall’indifferenza e dall’agnosticismo ai popoli profondamente religiosi e spiritualizzati, queste e ciascuna delle differenze non si sono verificate in questa occasione, anzi sono diventate un complemento e una risposta alle proprie ricerche. Rendersi conto che, indipendentemente da dove siamo e veniamo, abbiamo gli stessi aneliti e preoccupazioni.
Le porte e i cuori aperti sono stati il tonico di quei giorni: la semplicità e la trascendenza della cultura messicana sono state una grande motivazione per schierare le forze giovani. Oggi ognuno è tornato alla sua realtà, ma con una carica vitale e spirituale che darà nuova luce alle nostre azioni e parole.
Sorrisi, sudori e lacrime fanno parte di questo tesoro che è stato chiamato “Adelante Mérida 23”. Grazie al cielo e a tutti coloro che lo hanno reso possibile. Qui, nella Cappella del Carmen, ogni gesto evoca i momenti gioiosi vissuti. Penso che siano immagini e flash che ritornano al nostro essere di volta in volta. Anche aver condiviso esperienze, viaggi e pasti con i Padri Barnabiti è stato un grande arricchimento. C’era una programmazione precedente, ma sono state dovute fare improvvisazioni e aggiustamenti dell’ultimo minuto che non hanno infranto lo schema di lavoro.
Mi rimane la comprensione e l’integrazione di entrambi i gruppi. Della vita condivisa, per quindici giorni, con la famiglia che ospitava il gruppo italiano. Le differenze culturali non sono state un ostacolo, piuttosto prevalevano la buona atmosfera, l’amicizia e il rispetto per ciò che ognuno poteva dare.
Imago Mundi

¡Adelante 2023!

Il 15 Maggio scorso padre Giannicola mi chiese di scrivere un pensiero sul viaggio che stavamo per intraprendere verso Mérida (Mexico); mancavano 3 mesi e non riuscivo nemmeno a immaginare ciò a cui sarei andato incontro. Nel testo scrissi che avrei sfruttato l’occasione per diventare una persona migliore e altre “frasi fatte” simili, non potendo veramente concepire quanto questa esperienza mi avrebbe cambiato.
“Il Messico non è un paese, ma uno stato mentale”, così uno dei confratelli Barnabiti, padre Miguel, ci ha descritto il paese in cui egli da qualche anno presta servizio. Noi abbiamo avuto la fortuna di poter verificare quanto realistica sia quella affermazione.
Durante l’esperienza, infatti, siamo riusciti ad abbattere ogni barriera culturale e linguistica che si è posta sul nostro cammino; abbiamo iniziato giocando con i bambini, che sono il futuro e il motore del mondo, e proprio per questo sono i primi a cui bisogna prestare attenzione. Poi il legame si è esteso anche alle famiglie che ci hanno invitato nelle loro case, raccontato le loro storie, fatto assaggiare i piatti tipici e aiutato a comprendere quella che a noi si è presentata come una realtà utopistica.
Difatti ogni persona che abbiamo incontrato a Merida, qualsiasi cosa succedesse, era sempre pronta ad aiutarti e a darti tutto ciò che poteva, anche se, di materiale, non possedeva niente. Questo è il motivo per cui ognuno di loro avrà sempre un posto nel mio cuore.
Prima di partire dissi che ero pronto a migliorare come persona, dando per scontato che il processo sarebbe avvenuto per merito mio. Ad oggi, rientrato a casa, con la volontà e l’intenzione di ritornare il prima possibile, sono invece convinto di essere riuscito a raggiungere questo “obiettivo” soltanto grazie all’amore e alla dedizione che tutte le persone che ho incontrato in questo viaggio hanno messo a mia disposizione. In primis padre Giannicola che si è fatto carico di organizzare e unire i ragazzi italiani con cui sono partito; poi padre Stefano che ci ha fatto conoscere la vita del carcere e padre Miguel tramite il quale abbiamo organizzato il “campamento” che ci ha permesso di conoscere dei bambini stupendi; quindi gli animatori messicani, che sempre hanno fatto di tutto per farci sentire a casa, riuscendo pienamente nel loro intento; infine “mamma” Yanely con marito e i loro 5 figli, che hanno accolto 8 persone in casa sua come se fosse la cosa più comune del mondo, mettendosi al nostro servizio per ogni necessità.
Non so se sarà mai possibile tornare e non so se altre esperienze del genere, una volta fatta la prima, mi cambieranno e colpiranno con lo stesso impatto però, quel che è certo, è che dopo queste due settimane sono pronto a rimettermi in gioco ogni qualvolta sarà possibile pur di aiutare chi vive in condizioni meno fortunate delle mie.
Grazie a tutti coloro che hanno reso possibile e mi hanno accompagnato in questa fantastica esperienza con l’augurio di rivederci ancora per non dimenticare mai quanto passato insieme.
¡Viva Mexico!
Michele L. – Bologna

¡Con todo l’amor del mundo!

È notte, a Mérida (Yucatán).
Alcuni, forse tutti i giovani sono in piscina di don Martin e dona Leila. Un piccolo lusso nella semplicità della periferia.
È l’ultima notte. Domani si riparte, nessuno vorrebbe ripartire. È normale.
Tutti partirono carichi, anche un poco forse molto preoccupati.
Il primo giorno, il caldo aggressivo e l’umidità opprimente, l’acqua che non arriva perché ignari del rubinetto chiuso e la prospettiva di una doccia ogni tre giorni non era peregrina. Ma non si voleva (e non si poteva) tornare indietro!
La Storia va avanti se la facciamo andare avanti. E ognuno di noi la Storia vuole continuarla.
Si è consapevoli di poter fare un pezzo di Storia, perché si è guardata in faccia la realtà, la realtà di se stessi, la realtà degli altri.
La realtà di se stessi, messi alla prova non solo dal caldo e dall’umidità improponibili ma da un mondo nuovo non fatto di 5 stelle o like di Trip Advisor bensì di uomini, donne, bambini, case, strade, fede con altri criteri di esistenza rispetto ai nostri.
Il dormire in otto in due stanze, senza cuscini, con le valigie unico armadio e appoggio. Anche il lavarsi ci mette in gioco, un solo bagno per tutti. L’altro è per la famiglia, papà mamma e 5 figli: tutti splendidi. Si sono ritirati nella loro unica stanza rimasta, sulle loro amache per fare spazio a tutti noi. E poi i criteri di pulizia ben diversi dalle nostre ossessioni igienistiche.
Eppure la vita procede, la voglia di scoprire e lasciarsi scoprire prende la meglio sulle nostre preoccupazioni.
Quale famiglia italiana avrebbe ospitato in casa sua 8 sconosciuti?
Quali persone, le altre famiglie, avrebbero mai fatto a gara per cucinare ogni sera piatti diversi per far conoscere la propria storia? Compresi i litri di Coca Cola?
I bambini, quelli in affido alla Mision de Amistad, quelli della Capilla del Carmén specialmente, che sono i veri protagonisti della storia: cosa avranno pensato dal basso della loro statura media di fronte a noi abbastanza alti per intimorirli?
Bambini tranquilli nell’attesa che ogni gioco venisse spiegato in italiano prima e in spagnolo poi, ma poi scatenati non tanto per vincere, ma per giocare! Un gioco per tutti, grandi e piccoli uniti. E le mamme in retroguardia a godere di questa anomala attività. I papà purtroppo i grandi assenti, chissà perché.
E i giovani? Che si sono prodigati nell’accogliere la nostra proposta, il nostro modo di lavorare e giocare? Anche prendendoci per la gola?
12 giorni fuori dalla nostra storia quotidiana per vivere altre storie, entrare in altre case; scoprire per quel che si può il carcere locale da una parte e bambini e bambine dimenticati dagli adulti, affidati all’associazione Amistad/Friendship.
12 giorni in cui la nostra storia non è più l’unica Storia, perché nel mondo ci sono altre Storie con la “S” maiuscola che ci insegnano le vere nozioni necessarie per vivere in un mondo occidentale che rischia di perdere la Storia, non solo perché ormai senza più figli.

Todo lo que hiciste para nosotros no es comun y por eso siempre sostendrè vuestre familias en el nostro corazon, esperando que para vosotros puede ser lo mismo.

¡Con todo l’amor del mundo!