Qualche settimana fa, verso i primi giorni di agosto, sono andato al cinema per vedere Barbie; nuovo film di Gerwig che racconta l’epopea della bambola Mattel alle prese con pensieri di morte e femminismo. Nonostante il film fosse uscito da ormai diversi giorni, la sala, in un mercoledì sera, era lo stresso gremita di persone, fra cui moltissimi ragazzini e ragazzine, vestite per lo più di rosa. Il pubblico non era certo il solito depresso di una serata qualunque di agosto in Milano, le persone erano ben felici di essere presenti e trepidanti di iniziare la visione che vedeva come protagonista Margot Robbie e Ryan Gosling nei panni rispettivamente di Barbie e Ken.
La trama è molto semplice, siamo nel mondo Barbie e Margot Robbie che interpreta la bambola stereotipo (bionda e occhi azzurri) viene assalita da pensieri di morte e altre situazioni che la portano presto a confidarsi con Barbie Stramba la quale le consiglia di andare nel mondo reale. Barbie va quindi nel mondo reale accompagnata da Ken. Qui la sceneggiatura regge grazie a diverse trovate divertenti e gag di Gosling, su tutte quando chiede a Barbie di dormire insieme senza un apparente motivo. Poi ancora, il film presenta diversi balli, canti e altre battute giocate sui luoghi comuni e infine la scoperta di Barbie che il suo femminismo non ha influenzato il mondo degli umani, anzi! Nel mondo comandano solo gli uomini.
In questo film ci sono però diversi snodi importanti e svariate incoerenza di sceneggiatura che non tolgono il divertimento e le riflessioni sulla contemporaneità. Andiamo con ordine.
Il motivo con il quale Barbie viene richiamata nel mondo reale è molto macchinoso. Il film Barbie è costato meno di 150 milioni di dollari, ma le sceneggiature in quella parte lasciavano molto a desiderare. Secondo, c’è stata troppa pubblicità. Anzitutto con Mattel, che è legittima in quanto ha prodotto il film con Warner Bros, ma il culmine si è raggiunto con il noto brand tedesco che produce sandali unisex. Non è un caso che le azioni della Birkenstock siano schizzate alle stelle dopo il primo giorno del film. Infine, sempre a mio avviso, il film dal punto di vista della sceneggiatura aveva delle lacune anche in base al contesto nel quale i personaggi si trovavano. Nel mondo Barbie mi va bene che i personaggi fluttuino, ci siano passaggi segreti e altro, ma nel mondo reale non l’ho trovato molto carino. Come non ho trovato molto carino utilizzare lo stereotipo dell’uomo che ama soltanto il cavallo (forza), la palestra (bel fisico) e la carriera (soldi) per descrivere i Ken. Dal film quasi tutti i Ken sembravano avere un alto tasso di deficienza, nel senso che sembravano tutti dei bambini in corpi di adulti.
Tutte queste cose, in un film con un gran bel potenziale, non mi sono sembrate sposarsi bene con il bel messaggio che Greta Gerwig voleva lasciare. Ovvero quello che la multiculturalità diventi la normalità. Non mi sono sembrate sposarsi bene perché ha rischiato uno di non farsi capire da tutti, magari sopravvalutando il suo target (ricordiamo che in sala c’erano e ci saranno molti bambini) e due perché è andata un po’ a screditare i Ken facendoli passare per bamboccioni cadendo nello stereotipo dell’uomo medio. Infatti la prova del nove, l’ho avuta quando fuori dalla sala ho sentito bambini chiedere ai propri genitori di spiegare dei passaggi e soprattutto chiedere se gli uomini fossero sempre cattivi. Probabilmente il bambino aveva paura di crescere come i Ken.
Il successo del film mostra però che il cinema, nonostante quel che si diceva qualche anno fa durante il Covid, non è morto e le sale si riempiono anche nelle sere di mezza estate. Bisogna però produrre film che portano le persone al ragionamento e non solo film commerciali privi di messaggi.
Marco C. – Milano
Blog
“Itañolo” o “espaliano”
Hablar en “itañolo” o en “espaliano” no fue gran dificultad para entendernos y para llevar adelante un espacio de colaboración y de servicio; por ello habiendo transcurrido algún tiempo desde el campamento “Mérida Adelante 23” podemos poner en la balanza muchos momentos de alegría, de colaboración y de motivación para futuros encuentros.
Hace más de un año qué se pensó en esta aventura poniendo en la balanza tanto los pros y los contras que nos llevaron a realizarla, dejando en el corazón de organizadores y participantes un lindo recuerdo de una experiencia novedosa. Desde grandes urbes italianas hasta una ciudad enclavada en el profundo sur Mexicano, en los grandes territorios de tradiciones mayas: Desde ciudades arrasadas por la indiferencia y el agnosticismo hasta pueblos profundamente religiosos y espiritualizados, éstas y cada una de las diferencias no vinieron al caso en esta oportunidad, más bien se transformaron en complemento y en respuesta a las propias búsquedas, para darnos cuenta que más allá de dónde estemos y provengamos tenemos las mismas ansias e inquietudes.
Puertas y corazones abiertos fueron la tónica de esos días: la sencillez y trascendencia de la cultura mexicana ha sido una gran motivación para desplegar las propias fuerzas jóvenes. Cada uno ha vuelto a su realidad, pero con una carga anímica y espiritual que dará nueva luz a nuestras acciones y palabras.
Sonrisas, sudores y lágrimas forman parte de este tesoro que se llamó “Adelante Mérida 23”. Gracias al cielo y a cada uno de quienes lo hicieron posible. Por aquí en la Capilla del Carmen, cada gesto evoca los alegres momentos vividos. Pienso que son imágenes y flashes que vuelven cada tanto a nuestro ser. También el haber compartido experiencias, viajes y comidas con los padres Barnabitas ha sido un enriquecimiento mucho. Hubo programación previa, pero se debió hacer improvisaciones de ultimo minuto que no afectaron el esquema de trabajo.
Me quedo con el entenderse y complementarse de ambos grupos. De la vida compartida, por quince días, con la familia que albergó al grupo italiano. Las diferencias culturales no fueron obstáculo, mas bien primó el buen ambiente, amistoso y de respeto por lo que cada uno podía dar.
Imago Mundi
Parlare in “itañolo” o “espaliano” non è stata una grande difficoltà per capirsi e svolgere uno spazio di collaborazione e servizio; quindi, essendo trascorso qualche settimana dal campo “Mérida Adelante 23”, possiamo mettere in bilico molti momenti di gioia, collaborazione e motivazione per i futuri incontri.
Più di un anno fa si pensava a questa avventura guardando sia i pro che i contro che poi ci hanno portato a realizzarla, lasciando nel cuore degli organizzatori e dei partecipanti un bel ricordo di un’esperienza inedita. Dalle grandi città italiane a una città incastonata nel profondo sud messicano, nei grandi territori delle tradizioni Maya: dalle città devastate dall’indifferenza e dall’agnosticismo ai popoli profondamente religiosi e spiritualizzati, queste e ciascuna delle differenze non si sono verificate in questa occasione, anzi sono diventate un complemento e una risposta alle proprie ricerche. Rendersi conto che, indipendentemente da dove siamo e veniamo, abbiamo gli stessi aneliti e preoccupazioni.
Le porte e i cuori aperti sono stati il tonico di quei giorni: la semplicità e la trascendenza della cultura messicana sono state una grande motivazione per schierare le forze giovani. Oggi ognuno è tornato alla sua realtà, ma con una carica vitale e spirituale che darà nuova luce alle nostre azioni e parole.
Sorrisi, sudori e lacrime fanno parte di questo tesoro che è stato chiamato “Adelante Mérida 23”. Grazie al cielo e a tutti coloro che lo hanno reso possibile. Qui, nella Cappella del Carmen, ogni gesto evoca i momenti gioiosi vissuti. Penso che siano immagini e flash che ritornano al nostro essere di volta in volta. Anche aver condiviso esperienze, viaggi e pasti con i Padri Barnabiti è stato un grande arricchimento. C’era una programmazione precedente, ma sono state dovute fare improvvisazioni e aggiustamenti dell’ultimo minuto che non hanno infranto lo schema di lavoro.
Mi rimane la comprensione e l’integrazione di entrambi i gruppi. Della vita condivisa, per quindici giorni, con la famiglia che ospitava il gruppo italiano. Le differenze culturali non sono state un ostacolo, piuttosto prevalevano la buona atmosfera, l’amicizia e il rispetto per ciò che ognuno poteva dare.
Imago Mundi
¡Adelante 2023!
Il 15 Maggio scorso padre Giannicola mi chiese di scrivere un pensiero sul viaggio che stavamo per intraprendere verso Mérida (Mexico); mancavano 3 mesi e non riuscivo nemmeno a immaginare ciò a cui sarei andato incontro. Nel testo scrissi che avrei sfruttato l’occasione per diventare una persona migliore e altre “frasi fatte” simili, non potendo veramente concepire quanto questa esperienza mi avrebbe cambiato.
“Il Messico non è un paese, ma uno stato mentale”, così uno dei confratelli Barnabiti, padre Miguel, ci ha descritto il paese in cui egli da qualche anno presta servizio. Noi abbiamo avuto la fortuna di poter verificare quanto realistica sia quella affermazione.
Durante l’esperienza, infatti, siamo riusciti ad abbattere ogni barriera culturale e linguistica che si è posta sul nostro cammino; abbiamo iniziato giocando con i bambini, che sono il futuro e il motore del mondo, e proprio per questo sono i primi a cui bisogna prestare attenzione. Poi il legame si è esteso anche alle famiglie che ci hanno invitato nelle loro case, raccontato le loro storie, fatto assaggiare i piatti tipici e aiutato a comprendere quella che a noi si è presentata come una realtà utopistica.
Difatti ogni persona che abbiamo incontrato a Merida, qualsiasi cosa succedesse, era sempre pronta ad aiutarti e a darti tutto ciò che poteva, anche se, di materiale, non possedeva niente. Questo è il motivo per cui ognuno di loro avrà sempre un posto nel mio cuore.
Prima di partire dissi che ero pronto a migliorare come persona, dando per scontato che il processo sarebbe avvenuto per merito mio. Ad oggi, rientrato a casa, con la volontà e l’intenzione di ritornare il prima possibile, sono invece convinto di essere riuscito a raggiungere questo “obiettivo” soltanto grazie all’amore e alla dedizione che tutte le persone che ho incontrato in questo viaggio hanno messo a mia disposizione. In primis padre Giannicola che si è fatto carico di organizzare e unire i ragazzi italiani con cui sono partito; poi padre Stefano che ci ha fatto conoscere la vita del carcere e padre Miguel tramite il quale abbiamo organizzato il “campamento” che ci ha permesso di conoscere dei bambini stupendi; quindi gli animatori messicani, che sempre hanno fatto di tutto per farci sentire a casa, riuscendo pienamente nel loro intento; infine “mamma” Yanely con marito e i loro 5 figli, che hanno accolto 8 persone in casa sua come se fosse la cosa più comune del mondo, mettendosi al nostro servizio per ogni necessità.
Non so se sarà mai possibile tornare e non so se altre esperienze del genere, una volta fatta la prima, mi cambieranno e colpiranno con lo stesso impatto però, quel che è certo, è che dopo queste due settimane sono pronto a rimettermi in gioco ogni qualvolta sarà possibile pur di aiutare chi vive in condizioni meno fortunate delle mie.
Grazie a tutti coloro che hanno reso possibile e mi hanno accompagnato in questa fantastica esperienza con l’augurio di rivederci ancora per non dimenticare mai quanto passato insieme.
¡Viva Mexico!
Michele L. – Bologna
¡Con todo l’amor del mundo!
È notte, a Mérida (Yucatán).
Alcuni, forse tutti i giovani sono in piscina di don Martin e dona Leila. Un piccolo lusso nella semplicità della periferia.
È l’ultima notte. Domani si riparte, nessuno vorrebbe ripartire. È normale.
Tutti partirono carichi, anche un poco forse molto preoccupati.
Il primo giorno, il caldo aggressivo e l’umidità opprimente, l’acqua che non arriva perché ignari del rubinetto chiuso e la prospettiva di una doccia ogni tre giorni non era peregrina. Ma non si voleva (e non si poteva) tornare indietro!
La Storia va avanti se la facciamo andare avanti. E ognuno di noi la Storia vuole continuarla.
Si è consapevoli di poter fare un pezzo di Storia, perché si è guardata in faccia la realtà, la realtà di se stessi, la realtà degli altri.
La realtà di se stessi, messi alla prova non solo dal caldo e dall’umidità improponibili ma da un mondo nuovo non fatto di 5 stelle o like di Trip Advisor bensì di uomini, donne, bambini, case, strade, fede con altri criteri di esistenza rispetto ai nostri.
Il dormire in otto in due stanze, senza cuscini, con le valigie unico armadio e appoggio. Anche il lavarsi ci mette in gioco, un solo bagno per tutti. L’altro è per la famiglia, papà mamma e 5 figli: tutti splendidi. Si sono ritirati nella loro unica stanza rimasta, sulle loro amache per fare spazio a tutti noi. E poi i criteri di pulizia ben diversi dalle nostre ossessioni igienistiche.
Eppure la vita procede, la voglia di scoprire e lasciarsi scoprire prende la meglio sulle nostre preoccupazioni.
Quale famiglia italiana avrebbe ospitato in casa sua 8 sconosciuti?
Quali persone, le altre famiglie, avrebbero mai fatto a gara per cucinare ogni sera piatti diversi per far conoscere la propria storia? Compresi i litri di Coca Cola?
I bambini, quelli in affido alla Mision de Amistad, quelli della Capilla del Carmén specialmente, che sono i veri protagonisti della storia: cosa avranno pensato dal basso della loro statura media di fronte a noi abbastanza alti per intimorirli?
Bambini tranquilli nell’attesa che ogni gioco venisse spiegato in italiano prima e in spagnolo poi, ma poi scatenati non tanto per vincere, ma per giocare! Un gioco per tutti, grandi e piccoli uniti. E le mamme in retroguardia a godere di questa anomala attività. I papà purtroppo i grandi assenti, chissà perché.
E i giovani? Che si sono prodigati nell’accogliere la nostra proposta, il nostro modo di lavorare e giocare? Anche prendendoci per la gola?
12 giorni fuori dalla nostra storia quotidiana per vivere altre storie, entrare in altre case; scoprire per quel che si può il carcere locale da una parte e bambini e bambine dimenticati dagli adulti, affidati all’associazione Amistad/Friendship.
12 giorni in cui la nostra storia non è più l’unica Storia, perché nel mondo ci sono altre Storie con la “S” maiuscola che ci insegnano le vere nozioni necessarie per vivere in un mondo occidentale che rischia di perdere la Storia, non solo perché ormai senza più figli.
Todo lo que hiciste para nosotros no es comun y por eso siempre sostendrè vuestre familias en el nostro corazon, esperando que para vosotros puede ser lo mismo.
¡Con todo l’amor del mundo!
Agosto 2023
Agosto, tempo di riposo o di ritmi più tranquilli.
Non proprio: tutte le energie recuperate in una settimana al mare a luglio, sono già esaurite alla vigilia di questo 15 agosto.
Avrei voluto leggere un libro in più, approfondire qualche tema lasciato in sospeso, ma il vortice delle questioni burocratiche o delle emergenze ha avuto il sopravvento.
Anche il pensare a tutti i fatti di cronaca di questo ultimo mese o poco più ha avuto la meglio.
Quante violenze su questa donna o quella ragazza, nelle carceri; quante violenze tra giovani; quanta droga ancora in circolazione di cui non si parla; poi le guerre, e poi … tanto altro.
Sembra un mondo che non vuole uscire dal vortice del male, un mondo sul quale non vogliamo ragionare per sconfiggere il male e tirar fuori il bello e il vero. Talvolta lo sconforto sembra prevalere; altre si sceglie l’indifferenza e si riesce anche a procedere senza grossi problemi.
Però non possiamo non vedere tanta violenza gratuita di tanti giovani, tanta violenza che ci infetta se non facciamo attenzione. Perché l’essere umano è violento, ma può domare la violenza e coltivare il bene.
Il Papa ha detto qualche cosa di interessante a proposito parlando ai giovani a Lisbona qualche giorno fa. Certo non erano tanti questi giovani di fronte ai milioni di giovani sparsi nel mondo. Probabile che molti di quei giovani abbiano già dimenticato le parole ascoltate e la mission sollecitata dal Papa: «Voi siete la generazione che potete vincere la sfida del clima… non abbiate paura, andate avanti!».
Ma il lievito è sempre poco rispetto alla farina da impastare e al pane da cuocere. E se anche pochi, quei giovani, di cui nessuno tra i giornali del mondo ha parlato tranne qualche pagina italiana, hanno ascoltato e vissuto la spiritualità della GMG e sicuramente ne sentono la responsabilità.
Commentava un mio giovane amico, Giorgio Brizio, su Instagram l’altro ieri: «Non sono credente, ma penso davvero che la Chiesa e le comunità religiose possano avere un ruolo decisivo tanto nella lotta climatica quanto nel supporto alle realtà che salvano vite nel Mediterraneo».
E non sono pochi i giovani che amano vivere la vita. Non sono pochi quelli che hanno rallegrato queste mie serate con lunghe chiacchierate non su come si veste Harry Styles ma come la fisica possa aiutare a migliorare la vita, come possa incontrarsi o ancora scontrarsi con la fede e cose del genere… Fortunatamente la birra ha mantenuto fresche e agili le corde vocali! Potrei sintetizzare le tante parole che ci siamo scambiati con quanto scritto l’8 agosto scorso da Michele Serra (Ok Boomer, Ilpost.it): «Siamo animali, la realtà fisica è ciò che ci dà vita e senso, ci rimette in quadro. La tecnologia, anche se silicio e terre rare ne garantiscono l’hardware, è metafisica, ci fa sembrare di essere ovunque ma, nel farlo, ci leva la terra sotto i piedi, espropria il nostro metro quadrato e ci fa galleggiare come anime nel paradiso – e siccome il paradiso non esiste, la sensazione di spaesamento, e di truffa, è anche peggiore».
Certo, per me il Paradiso esiste e proprio perché esiste so che la speranza non è una chimera ma ciò che rende bello e vero il presente, anche con le sue fatiche. Il Paradiso sono quei due giovani che hanno dato del tempo a dei ragazzetti albanesi nella missione che purtroppo il 15 agosto chiuderemo per mancanza di pastori/sacerdoti che possano guidarla. Il Paradiso sono quei 9 giovani con cui, senza troppe pretese ma voglia di esserci, condivideremo dal 15 agosto del tempo con bambini e bambine della periferia di Mérida (Messico) per imparare un po’ di senso e magari darne un poco anche noi.
Siamo ad agosto e il silenzio e le città deserte ti fanno meglio ragionare su quanta buona speranza si riesca comunque a coltivare. E il tempo un po’ più rallentato ti fa capire la pazienza che si deve avere con le nuove generazioni, i loro ritmi, i loro aneliti, i loro dilemmi, anche quando l’età che avanza rischia l’impazienza.
Il 15 agosto è anche la festa dell’Assunzione di Maria alla casa del Padre e del Figlio (l’abitudine della Chiesa di immettere in feste “pagane” il proprio zampino!) che ci insegna come la paziente perseveranza di questa giovane donna le abbia donato il Cielo sulla Terra, perché non si può andare in Cielo se prima non si vive sulla Terra.
Non abbiate paura, andate avanti! Questo è il mio 15 agosto 2023.

Giannicola M. Simone
SAMZDAY 2023
Oggi è la festa del nostro amato e simpatico e ganzo e innovativo e instancabile e… SAMZ!
Non scrivo cose su di Lui, già lo ha fatto Paolo recentemente e non solo lui. Piuttosto credo che il modo migliore sia quello di ragionare su come mettere in pratica i suoi insegnamenti e renderlo presente oggi.
Recentemente don Alberto R. a scritto che il rischio dei preti e della Chiesa è di dire: “abbiamo sempre fatto così”, un rischio pernicioso e mortale. Una Chiesa che dovrebbe essere il normale alveo della fantasia rinnovatrice dello Spirito santo rischia in effetti di arenarsi nel “abbiamo sempre fatto così”.
Non è facile uscire da questo ritornello, non credo sempre e solo per accidia pastorale, bensì perché è complesso trovare strade nuove. Meglio, è facile tentare nuove strade e o strategie ma non altrettanto mantenerle perché l’oggetto dei tentativi si stanca facilmente ovvero ha gusti difficili o non si interessa a nulla.
Sicuramente il problema della Chiesa oggi, anche in Italia, è quello di non riuscire ad arrivare ai giovani a tanti più giovani anche se diverse immagini di questi giorni sui nostri Campi Estivi sembrano dimostrare il contrario.
I giovani che collaborano con me hanno letto e commentato l’articolo di don Alberto, lo hanno apprezzato ma ritengono sia una questione non così reale e importante perché la maggior parte dei loro coetanei non è interessata a nulla se non a ciondolare di qua o di là perché è estate, perché devono essere liberi, perché non amano puzza di incenso o di impegno qualsiasi.
Uno dei motivi per cui 40 anni fa decisi di intraprendere la strada della vita consacrata, del sacerdozio, fu proprio quella di far conoscere a tanti miei coetanei la bellezza dell’amicizia con Gesù. Ho cercato strade e strategie anche nuove, ho notato delle costanti e dei cambiamenti tra le generazioni incontrate. Ho cercato di trasmettere ai miei confratelli più giovani il gusto della cura dei giovani e adolescenti più che dei pizzi e merletti. Non devo certo fare una statistica dei risultati ottenuti (è necessaria?). Mi accorgo che non è facile appassionare a Cristo, al vivere in Cristo; non è facile formare a una “evangelizzazione per attrazione” o far “scendere dal divano” i giovani.
Eppure tre settimane fa ho incominciato – dopo anni di sosta – l’oratorio estivo forte della mia formazione milanese ma anche preoccupato per la mancanza di animatori e altri collaboratori: non volevo comunque si perdesse l’occasione di una cura dei bambini e dell’attenzione alle loro famiglie, in vista di una “capitalizzazione” per il futuro. Le cose sono andate bene, anche con un po’ di “copia e incolla”, tranne per i ragazzi 11/13 (ma questo è un altro discorso).
Specialmente con gli animatori ho notato una fedeltà che non mi sarei aspettato (compresa la pausa Coldplay a Milano!!!) e una capacità di coinvolgere loro coetanei a dare un contributo (ciò che non ero riuscito a fare io).
Gli “altri” giovani, anche quelli che al termine delle attività arrivavano a frotte per giocare a basket o… non è stato possibile coinvolgerli, nemmeno in attività alternative come scrivi don Alberto.
È giusto dire che sono contento di poter dare loro almeno un sorriso, un chiamarli per nome, uno spazio accogliente?
È giusto “accontentarsi” degli animatori vecchi e nuovi, come di quelli impegnati nella maturità o i nostalgici ora all’università che percorrono nuove strade? Lavorare con loro richiede molto tempo e pazienza e molta preparazione e non è facile trovarne per altro: è una considerazione comoda?
È corretto che l’età di don Alberto, più giovane della mia, si ponga la preoccupazione che è anche la mia: “abbiamo sempre fatto così”. Non è facile trovare una alternativa, ma con pazienza, comunione tra noi, i giovani e lo Spirito santo, credo che la troveremo.
Antonio Maria Zaccaria è sempre stato preoccupato di riformare se stesso prima degli altri, per riformare gli altri e la Chiesa; Antonio Maria ha sempre considerato l’errore dell’altro come un fatto necessario per crescere e costruire, perché, Antonio Maria prima di tutto ha sempre creduto nella libertà dell’altro per crescere nella libertà di Cristo.
Con questi pensieri grazie a tutti voi celebriamo oggi la festa del nostro Padre e Fondatore.
Giannicola M. Simone prete
32 anni da prete
32 anni fa sono diventato prete.
Oggi a 61 anni ancora a giocare con i bambini in calzoncini corti! Era questa la mia idea di sacerdozio?
La testimonianza dell’amicizia con Cristo passa attraverso molte strade.
Ho chiesto a qualche amico o conoscente cosa ne pensi dei preti. Due risposte mi hanno fatto pensare di più.
Una, inaspettata, che nonostante la differenza di età, di valori, di fede richiama l’amicizia creatasi e rimasta anche a distanza di tempo e di spazi; la percezione di ricevere sensazioni positive; la consapevolezza, pur essendo ateo il mio amico, di essere di fronte a un pusher dello Spirito santo, come mi chiamava da studente; poter parlare di tutto con un prete lo rende sicuramente necessario per questa società tecnologica.
L’altra, altrettanto inaspettata, di chi distante dalla religione ritiene la figura del prete neutra per la società di oggi, tranne che per il piccolo gruppo di credenti.
È quell’aggettivo “neutra” che mi ha fatto pensare, forse perché ha toccato quel bisogno di protagonismo che tutti perseguiamo o forse perché potrebbe significare anche la mia insignificanza.
Eppure credo sia importante essere “neutri”, cioè sapere che si vive e lavora per non lasciare spazio se non a Dio. Il protagonismo che spesso, troppo, ha caratterizzato la figura del prete non è evangelico, l’unico protagonismo è quello dello Spirito santo.
Solo quando sarò in grado di rendere visibile lo Spirito santo piuttosto che me allora sarò veramente sacerdote di Gesù.
Neutro può essere un aggettivo negativo: insignificante, inutile, pressoché sconosciuto. Ma forse è proprio qui che nasce la verità della fede. Si è sacerdoti di Cristo non per fare le crociate, bensì per tessere quella rete di comunione tra gli uomini e le donne che Dio ama, una comunione che perlopiù chiede poca visibilità ma c’è! Una comunione che va oltre le immagini delle varie reti o di chissà quali politiche.
Una comunione che nasce dall’invisibile di Dio.
Neutro, mi scrive con rispetto Mttplz; a prima lettura ci sono rimasto male, non tanto per me ma per Dio! Ma rileggendo ne ho tratto grande insegnamento e preghiera per comprendere che il metro di Dio non è il metro degli uomini; per riconoscere che se anche gli uomini e le donne di oggi possono vivere senza Dio, un credente, un sacerdote, continua a stare con Dio con quella “neutra” semplicità della brezza del mattino che più di ogni terremoto o incendio o straripare di acque rivela la Sua presenza.
Dimenticavo, inaspettatamente il quasi unico augurio per oggi è di un mio altro amico, anche egli ateo. Quasi a dire: tu sarai “neutro”, ma noi no!
Grazie a voi che tenete viva la mia vocazione e il mio servire Dio nel sacerdozio.
Giannicola M. prete.
Firenze, 29 giugno 2029, solennità dei santi apostoli Pietro e Paolo
Questi gli scritti inviatimi.
Essendo quasi completamente estraneo al mondo della chiesa, non ho mai avuto modo di avere un’opinione riguardo i preti (inteso come figura lavorativa). Mi è
capitato però, attraverso un amico, di poterne conoscere qualcuno e di scambiarci qualche parola. Tra le cose che ho notato è che emanavano una sensazione di
‘leggerezza’, riuscendo a creare un ambiente amichevole, e talvolta erano anche simpatici. So anche che buona parte dei preti fanno attività di volontariato,
cercando di coinvolgere studenti ma anche adulti.
Essendo così lontano dal mondo religioso, non saprei dire se c’è ancora bisogno dei preti o meno. Visto l’aura positiva che emanano, e le buone azioni che
fanno, posso dire che non ho motivo di pensare che questi non servano più o che abbiano fatto il loro corso.
Non sapevo che il numero di preti stesse diminuendo, suppongo però che questo sia dovuto all’era tecnologica in cui viviamo. E’ possibile che le persone
cerchino conforto su internet, soprattutto con le nuove intelligenze artificiali che possono sostituirsi alle figure religiose, invece di andare in chiesa.
Consigli non ne ho purtroppo. Al massimo posso consigliarvi di modernizzarvi, oltre ad emanare sensazioni positive emanate (molti di voi, non tutti) anche
la sensazione di star parlando con persone ‘intrappolate’ in un’epoca passata e che abbiano deciso di rimanere li, invece di modernizzarsi.
Ho avuto la fortuna di poter conoscere un prete quando stavo alle scuole superiori, padre Giannicola (detto anche PJannic o Pusher dello Spirito Santo),
che mi ha fatto entrare nel mondo del volontariato. In lui oltre ho trovato un amico che mai avrei pensato di trovare (vista la differenza di età e visto che
l’unico prete con cui avevo parlato prima di allora era durante il periodo della comunione), in grado di poter parlare di qualsiasi cosa (spesso con una birra
vicino), con una bontà unica, che alternava però anche a momenti di estrema serietà. Dopo la scuola siamo rimasti in contatto, e anche se ora viviamo in due
città diverse e siamo meno in contatto, riusciamo sempre a chiamarci e aggiornarci, spesso per farmi partecipare ad iniziative di volontariato all’estero o
anche solo per sapere come stiamo.
Padre Giannicola è stato un prete, ma soprattutto un amico, molto significativo, riuscendo a rendere la scuola meno pesante di quello che era.
AleBevi, Napoli
Quanti anni di sacerdozio fai di bello ? 😀, Julien, Milano
Ciao, certo volentieri rispondo (e auguri per i 32 anni!)
Premesso che rispondo da non credente, quindi personalmente non vedo l’utilità della figura ma sicuramente per chi crede è importante, non credo che ci sia una differenza nell’importanza della figura ma semplicemente oggi si rivolge a un pubblico piú piccolo credo. Come esempio significativo me ne viene in mente solo uno piuttosto negativo in realtà che era il mio prete del catechismo, evidentemente frustrato e continuamente nervoso quindi quella non è stata una grande esperienza devo dire. Per il resto direi tutti neutri senza infamia e senza lode.
Matteo, Berlino
siamo salvati
intervista a Alessandra Carati, scrittrice
“Dopo Londra non è stato più lui, come se il destino lo avesse aspettato per voltare pagina in modo irreversibile. Ero convinta che gli servisse un recinto capace di segnare in modo chiaro il confine tra ordine e disordine.”
Abbiamo scelto queste parole, tratte dal romanzo “E poi saremo salvi”, per introdurne l’autrice, Alessandra Carati. Donna, scrittrice, finalista del Premio Strega Giovani 2021, si racconta in un’intervista che, traendo spunto da riflessioni sul suo più celebre romanzo, un libro che parla di bambini, adolescenti, adulti, un percorso generazionale attraverso le varie fasi della vita, approda a tematiche profonde sulla società e complessità umana. Alessandra Carati, donna, scrittrice, finalista premio strega giovani 2021.
1) Nel suo libro incontriamo la protagonista, poco più che bambina, e la seguiamo nel suo percorso di formazione: è davvero così difficile crescere?
La vita nella sua totalità è complessa. Per i protagonisti del libro forse ancora di più, poiché incontrano degli ostacoli ulteriori. La guerra li costringe a scappare, è un moltiplicatore di fatica e di dolore. Quando conosciamo Aida, la protagonista, ha solo sei anni. Oltre ad attraversare le normali difficoltà del diventare adulti ha quindi un fardello da sciogliere molto pesante. Il trauma della guerra impatta sulla sua famiglia direttamente e il padre li porta a vivere in Italia per salvarli. Vengono strappati all’improvviso dalla loro realtà rurale e quotidiana, dove la comunità ha una sua forza e una sua vitalità, per andare a vivere a Milano. La guerra ha conseguenze non solo su Aida ma su tutta la sua famiglia, su tutte le generazioni che la compongono, dai genitori fino ai nonni, lasciando in ciascuno ferite diverse.
2) Quale è il rapporto dei personaggi del romanzo con la religione?
Il modo in cui vivono la religione non ha niente di trascendente, non hanno dimensione religiosa realmente viva. La religione diventa una qualità per identificarsi in una situazione in cui si sentono esclusi, quasi a voler marcare una differenza e rivendicare l’appartenenza a qualcosa. Stanno attaccati ad essa come ad una formalità. Neppure il fratello riesce a trovare questa dimensione, anche quando cerca di ricomporre qualcosa nella sua dimensione di delirio, quando tenta di riunificare la sua dimensione psichica attraverso la lettura dei testi sacri delle tre grandi religioni monoteiste. L’unico momento in cui pare esserci un una ricerca di una dimensione trascendente è quando il padre porta Aida sulla tomba della nonna: in quell’istante entrano in contatto con l’invisibile, anche se non direi in senso propriamente religioso.
3) È veramente necessario un evento così traumatico come una guerra per indurci a riflettere maggiormente su noi stessi?
La guerra sicuramente funge da moltiplicatore di emozioni, portandone ad una fortissima ed eccezionale intensificazione. Eppure, questo ci dovrebbe far riflettere. Quante volte anche noi siamo alla ricerca di intensificatori di emozioni, come se il quotidiano non fosse bastante. Forse perché oggi è sempre più rarefatto lo spazio per la propria intimità. L’attenzione assidua al nostro corpo, al nostro involucro, ci ha forse fatto dimenticare la necessità di un ascolto di noi stessi in modo più organico. Il nostro copro non è solo lo strumento che ci permette di fare delle cose, ma preferiamo forse ridurlo a questo per una innata paura della solitudine, di cui non riusciamo a comprendere appieno l’importanza per comprendere realmente noi stesso e le relazioni con l’altro.
4) Allontanandoci dalla specificità del romanzo, cosa è per lei la scrittura e quando è nata la sua passione per essa?
La scrittura per me è stata una sorta di vocazione che, tuttavia, non ho coltivato da subito. Prima di ritornavi, infatti, mi sono “dispersa” in altri ambiti professionali, creando un bagaglio di esperienze che confluiscono nel processo creativo. Per me scrivere è sempre stato un atto di condivisione di esperienza umana, da vivere in primo luogo come una pratica, qualcosa di tangibile, che sta nelle mie mani ancor prima che nel mio intelletto. Qualcosa che avviene con il corpo tramite un contatto con la materia. È un’azione fisica in cui racchiudiamo emozioni, commozioni, sensazioni.
Nello scrivere vi è sicuramente una parte professionale, ma anche una parte più intima che non necessariamente confluisce in un libro, un’attività intima dello scrivere, di cui tutti noi abbiamo fatto esperienza. Scrivere ci nutre, riusciamo ad oggettivare ciò che sentiamo e ciò che proviamo, permettendo di guardare le cose in modo diverso.
Citavo prima la componente fisica della scrittura: oggi, in realtà, poche persone scrivono a mano, abbiamo diversi supporti. È rimasta la scrittura a mano libera solo quando scriviamo qualcosa che è ancora caldo, dobbiamo annotare una sensazione momentanea, un pensiero improvviso. Il supporto cambia molto la temperatura di ciò che si scrive.
5) Come sceglie il materiale e gli argomenti su cui scrivere?
Non scelgo il materiale su cui scrivo, è il materiale che mi sceglie. Ho sempre bisogno di scrivere qualcosa. Mi interessa l’umano, le esperienze biografiche anche lontane dalle mie.
Il romanzo “E poi saremo salvi” ad esempio, nasce da incontro con una mia studentessa, come precipitato di tante storie diverse, scoperte dopo la conoscenza, il dialogo e l’ascolto con una comunità di ex profughi. Ascoltare è una conditio sine qua non per la scrittura, componente essenziale del processo creativo.
Il momento in cui scrivo fisicamente sono pochi mesi, ma sono preceduti da tanti anni di studio di materiale umano, incontri. Per questo libro, ad esempio, ho dedicato molto spazio allo studio teorico, geografico, geopolitico e antropologico, alla lettura di opere di scrittori bosniaci. Tutto questo per me è già scrittura, che diventa così la sintesi di diversi input in contatto diretto con la materia viva, il risuonare dei racconti. Come un grande calderone da ci traggo materia narrativa. Più è stratificato più il processo di sintesi è lungo.
Infine vi è il momento in cui sento di essere pronta a scrivere. I mesi immediatamente precedenti sono periodi di grande sofferenza, è come se stessi covando qualcosa che tuttavia non arriva. In un mondo così orientato alla performatività e alla produttività, questi mesi in cui apparentemente sembra di non fare niente sono in realtà cruciali per la composizione dell’opera.
6) Quali sono alcune sue strategie di comunicazione e scrittura efficaci?
Non credo che ci siano delle strategie di comunicazione. Ci possono essere degli strumenti. La parola strategia suscita in me un sentimento di manipolazione, ma io credo in una forma di scrittura che sia onesta. Il sentimento è qualcosa di estremamente complesso, che ha bisogno di cultura e riflessione, non deve essere forzatamente suscitata.
intervista a cura di Giulia C. – Firenze
puoi vedere e ascoltare l’intervista sul nostro canale youtube: https://youtu.be/5WHAKTcmJqk
33 anni dopo Maradona
Alle 22:37 del 4 maggio 2023 il Napoli è diventato campione d’Italia per la terza volta della sua storia. La squadra di Spalletti va sotto nei primi minuti della partita, ma poi pareggia grazie a un gol di Osimhen vincendo così il campionato con ben 5 giornate d’anticipo.
L’urlo liberatorio, atteso da diversi giorni, si è levato dallo stadio Maradona, dove 50.000 tifosi supportavano la loro squadra del cuore attraverso maxischermi, e ha finalmente scacciato la paura di giocatori e tifosi. Da lì è cominciata la festa in gran parte delle città italiane e anche nel mondo.
È stata la festa del popolo, delle persone da sempre emarginate e schernite, di coloro che sono sempre stati presi di mira perché emigrati, ma che almeno per una notte hanno potuto gridare al cielo la loro fede e la propria origine. Da Fuorigrotta a Posillipo passando dal Vomero, tutta la città era avvolta in un unico colore: l’azzurro. Tutte le vie e ogni vicolo del centro storico erano affollati di gente nuda che piangeva, non ci credeva e sventolava i bandieroni tricolori consapevoli del fatto che nessuna squadra poteva più superarli. Tutto il paese era dipinto di azzurro e bianco con motivetti tricolori. Dalle finestre dei palazzi scendevano gigantografie dei campioni d’Italia mentre tra i vicoli erano appesi a mo’ di lenzuola le magliette della formazione titolare scudettata. Tutta la città era scesa in strada per cantare, gridare e ballare a cielo aperto.
Immagini che ricordavano molto la festa azzurra della magica estate del 2021, quando la Nazionale si laureò campione d’Europa e che ci fanno quasi distogliere lo sguardo alla crisi pandemica. Ricordiamo che proprio in questi giorni, l’Italia è uscita finalmente dallo stato di emergenza sanitaria e sembrerebbe vedersi la luce in fondo al lungo tunnel buio. Un po’ come i napoletani con il tanto agognato scudetto.
Tornando alla festa partenopea, quest’ultima si è estesa fino alle 4 del mattino ovvero fino a quando la squadra è atterrata all’aeroporto della città. Ad accoglierli, anche lì un’ondata di scooter biancoazzurri che strombazzavano a più non posso per esprimere il loro amore verso tutti i componenti della squadra. Piazze e strade erano strette in un unico e interminabile abbraccio cercato, voluto e raggiunto. Nessuno voleva che finisse mai; è stata una cosa del tutto spontanea e organizzato dai napoletani soltanto qualche settimana prima anche grazie alle istituzioni che hanno predisposto un servizio d’ordine pubblico preciso con ampie zone pedonali e polizia a presidiare il tutto.
La vera festa, con la sfilata dei giocatori a pullman scoperto, avverrà soltanto all’ultima giornata di campionato del 4 giugno. In occasione della 38esima giornata, ci sarà infatti la premiazione e di conseguenza l’alzata del trofeo da parte del capitano della squadra vincitrice. Motivo per cui dopo la premiazione ci sarà la classica manifestazione ufficiale organizzata dalla squadra e dal comune. Si sa, i napoletani sono persone simpatiche e calorose, con inventiva di idee stravaganti e fuori dal comune (il carro della nave in giro per la città è uno dei moltissimi esempi a supporto della tesi). Dopo essere passato dal golfo di Napoli, difficilmente si riesce a trovare posti che suscitano le stesse emozioni e la famosa frase “vedi Napoli e poi muori!” racchiude tutte queste cose. La festa del Napoli rappresenta un po’ tutto questo spirito che la persona napoletana ha intrinsecamente dentro di sé. La storia del Napoli stesso, inteso come società sportiva, combacia esattamente con la figura del napoletano. Per anni derisi, ricordati soltanto per il periodo d’oro di Maradona, il fallimento e gli eterni secondi posti; poi, quando nessuno se l’aspettava, ecco la vera forza del gruppo uscire allo scoperto. La forza di chi, nonostante importanti cessioni durante il mercato estivo, ha creduto dove nessuno ci credeva ed è riuscito in un’impresa che durava da decenni.
Il Napoli che spendendo poco e nulla stravince il campionato battendo le ricche squadre del Nord è riuscito in un’impresa che ricorda molto quella di Davide che, con una semplice fionda, batte il temibile gigante Golia dei Filistei. Questo è il bello del calcio. Anzi, questo è il bello della vita che riserva situazioni inattese in momenti ancora più inaspettati.
Marco C. – Milano
Campamento de verano – PP. Barnabitas Mérida – Yucatán. ¡Adelante 2023!
Con este lema comienza oficialmente nuestra aventura junto a los padres Barnabitas de Mérida – Yucatán, México.
Con gusto publicamos las expectativas de cuatro de nuestros voluntarios entre los 9 que vivirán esta oportunidad:
Cuando cumples18 años, el verano representa la libertad, las salidas con los amigos, las primeras vacaciones juntos y yo también me imaginaba que pasaría mi verano así. Luego se me presentó un viaje a México, como voluntario, en una misión de los padres Barnabitas: ¡no tardé en cambiar de opinión! Al principio estaba muy indeciso porque significaba, y sigue significando, hacer solo el primer viaje al extranjero, pero las preocupaciones no se limitan a eso; los diferentes usos y costumbres pueden representar un obstáculo difícil de superar, y ni hablar del idioma -del que conozco pocas palabras-. Sin embargo, creo que todo esto es un “riesgo” que vale la pena correr, porque experiencias de este tipo, a mi edad, ocurren sólo una vez en la vida y espero que sean formativas tanto a nivel personal como en términos de interacción con los demás. También estoy convencido de que ver y poder tocar con mis propias manos las carencias y las dificultades de otras sociedades puede darme una apertura mental que hoy, en un mundo que tiende cada vez más al egoísmo y al bienestar personal, es una característica fundamental poseer Así que a la pregunta del Padre Giannicola “¿por qué elegiste embarcarte en esta aventura?” respondo: para poder mejorar, como persona y como joven, y, a mi manera pequeña, esperando poder dar una mano prestándome a todos los servicios necesarios.
Michele LaD. – Bolonia
En agosto del 2023, a pesar de mi corta edad, estaré a punto de vivir una experiencia destinada a marcarme para el resto de mi vida. La oportunidad de embarcarme en un viaje así siempre ha sido un sueño para mí. De hecho, desde niño, he tenido el compromiso de intentar ayudar a los demás, pero ninguna actividad de voluntariado en la que he participado se puede comparar con esta futura experiencia. Ir a un lugar tan lejano y culturalmente diferente será profundamente educativo, me ayudará a crecer y madurar. Será un viaje inolvidable, en el que mejoraré mi sentido de la empatía y en el que viviré de primera mano las dificultades a las que algunas personas están acostumbradas a vivir. Espero sinceramente poder contribuir a las comunidades que encontraremos, siendo conscientes de las dificultades que podemos encontrar. Finalmente seré capaz de ayudar realmente a alguien, yendo directamente a los lugares que necesitan. Probablemente, emprender un viaje así a los 18 años requiere un poco de valentía e inconsciencia, pero la posibilidad de ser realmente útil en mi vida es un impulso más fuerte que los miedos. En pocas palabras, en unos meses viviré lo que, desde chico, siempre he soñado, y la esperanza es estar a la altura de todo lo que se requerirá de mí.
Arturo M. – Bolonia
Siempre me han fascinado las experiencias de voluntariado, de aquellos que volaban al extranjero para dedicar su tiempo a ayudar a otras personas, a transmitir su cultura y tradición, o simplemente a entretener a los niños pero también a los adultos que cada día están en contacto con una realidad bastante diferente. y complicada comparado con la, pero igualmente fascinante. Este año también tendré la oportunidad de poder vivir una experiencia de este tipo, más precisamente una experiencia de voluntariado en México, en la ciudad de Mérida, con los Padres Barnabitas. Aunque es un camino largo, lleno de compromiso y sacrificio, no dudé ni un momento en confirmar mi presencia para sumarme al proyecto. En el momento en que me llegó la propuesta, sentí dentro de mí el sentido del deber que siempre he tenido con el voluntariado, comprendí que era hora de profundizar y ampliar mi camino, que partía del servicio prestado en el comedor de los pobres de la ciudad de Como, a un viaje al extranjero que me hubiera dejado una huella imborrable. Creo que el objetivo del viaje, junto con otros jóvenes, será diseñar y organizar actividades que puedan estimular a los niños especialmente a nivel social y en el campo del aprendizaje, a través de juegos, canciones y talleres al aire libre. De este viaje espero volver como una persona nueva pero sobre todo enriquecida: estoy segura que el espíritu genuino, especialmente de los niños, me llenará de alegría, haciéndome comprender que la alegría y la alegría de la niñez se encuentran también en las circunstancias más difíciles. Estos son mis propósitos de partir y emprender un viaje en el que pondré todo mi esfuerzo y fuerza, para dar mi aporte y marcar la diferencia en mi vida y la de algunas personas.
Lucrecia S. – Como
¡¡15 días en Mérida (México) participando en actividades de entretenimiento para niños del lugar, junto con un grupo de adolescentes italianos y otros jóvenes de las comunidades locales de los Padres Barnabitas!! Cuando pienso en este extraordinario viaje, me llena una gran emoción, porque sé que esta experiencia cambiará mi vida y dejará una huella imborrable en mi corazón. No puedo evitar pensar en todas esas sonrisas que veré y la energía contagiosa de las personas que conoceré a lo largo de mi viaje. Siento que me enriquecerán, mucho más de lo que yo podré hacer por ellos. Imagino las caras curiosas de los niños mientras comparto con ellos momentos de juego, creatividad y divertido. Me pregunto cuáles son sus historias, sueños y esperanzas. Tengo muchas ganas de sumergirme en su cultura, aprender de sus tradiciones y descubrir nuevas formas de ver el mundo a través de sus ojos. Al mismo tiempo, admito que hay cierta ansiedad que me acompaña, pero creo que es normal sentirme así cuando me aventuro en un territorio desconocido. Saber que tengo la oportunidad de hacer una diferencia en la vida de estos niños me llena de gratitud. Quizás no todo sea fácil, pero tengo fe en mis habilidades y en el apoyo de los demás muchachos que me acompañarán en esta aventura. Mientras me preparo para ir, me concentro en lo que puedo ofrecer y cómo puedo ayudar a crear un impacto positivo. Estoy llena de ilusión y ganas de hacer especiales estos momentos, de compartir amor, alegría y sonrisas con todas las personas que encontraré en estas dos semanas. Así que, con la bolsa llena de ilusión y el corazón abierto, partí rumbo a Mérida, dispuesto a comenzar esta extraordinaria aventura. Espero dejar una impresión duradera y crear recuerdos que llevaré conmigo toda la vida.
Ricardo S. – Lodi